giovedì 30 novembre 2017
CHI SPECULA SUI MIGRANTI?
Che l'immigrazione sia un business dove gente senza scrupoli guadagna sulla pelle di migranti e profughi,richiedenti asilo e chi cerca un permesso di soggiorno è purtroppo veritiero,e certo c'era da aspettarsi l'implicazione di chi accoglie pensando di lucrarci sopra e di chi è preposto al rilascio di documenti(vedi la vicenda di Leonardo Sacco:madn chiesa-e-politica-i-veri-criminali-nel caso dei migranti ).
Riportando due esempi,il primo recente e l'altro di qualche settimana più a ritroso nel tempo,ecco il caso dei sei poliziotti,quattro in carcere e due ai domiciliari(di cui due attivi in commissariati e gli altri presso gli uffici dell'immigrazione)che da anni vendevano con cifre tra i 500 ed i 5mila Euro i permessi di soggiorno per alcuni richiedenti(huffingtonpost vendevano-permessi-di-soggiorno ).
Con loro anche tre stranieri procacciatori di clienti e tramite con la sbirraglia corrotta,chissà se qualcuno di loro era stata presente durante i vari rastrellamenti avvenuti in città e chissà se per qualcuno di destra questo sia solo l'effetto delle loro"povere"paghe.
Il secondo parla dell'imprenditore bresciano nel settore immobiliare e del legno Angelo Scaroni ora agli arresti domiciliari per truffa allo Stato,si parla di circa 900mila Euro,guadagnati nell'ambito della gestione dei profughi inventando strutture fantasma e ospitando questi disperati in condizioni di pietosa igiene in locali fatiscenti(contropiano arrestato-limprenditore-dellaccoglienza ).
Vendevano permessi di soggiorno da 500 a 5mila euro: arrestati sei poliziotti a Milano.
Quattro in carcere e due ai domiciliari.
Sei agenti di polizia dell'ufficio immigrazione sono stati arrestati nell'ambito di una indagine relativa ad un giro di carte di soggiorno rilasciate dietro compensi che andavano da poche centinaia di euro ad alcune migliaia. Quattro sono finiti in carcere con l'accusa di associazione a delinquere finalizzata all'illecito rilascio di permessi di soggiorno, oltre a falso in atto pubblico e accesso abusivo a sistemi informatici. Per due sono stati disposti gli arresti domiciliari perché estranei all'associazione.
Oltre ai sei poliziotti raggiunti dall'ordinanza di custodia cautelare, c'è un settimo collega che è stato sospeso per un anno dal lavoro. Tutti gli agenti erano già stati allontanati dall'ufficio Immigrazione da quasi due anni su disposizione dell'amministrazione interna, che ha avviato l'indagine nel 2013 e nel 2016 ha arrestato un altro poliziotto per i medesimi reati.
In manette anche due ristoratori cinesi e ricercato un nordafricano, che avevano il ruolo di intermediari e procacciatori di 'clienti'. Il tariffario oscillava da poche centinaia ad alcune migliaia di euro, a seconda della difficoltà nel procurare il documento. Per lo più si trattava di carte di soggiorno.
Nel corso delle indagini è emerso che gli agenti coinvolti si lamentavano dei controlli stringenti iniziati con l'arrivo della nuova dirigente dell'Immigrazione.
"Gli agenti hanno fra i 40 e i 50 anni, sono operatori esperti nel campo dell'immigrazione. Di fronte all'aumento dei controlli interni hanno iniziato ad appoggiarsi a colleghi in distaccamenti dell'ufficio all'interno dei commissariati - hanno spiegato gli investigatori della Squadra mobile - I casi scoperti sono sicuramente superiori al centinaio".
Da un minimo di 500 a un massimo di 5mila euro. Sarebbe stata questa la tariffa dei permessi di soggiorno 'a lungo periodo' fissata dai poliziotti arrestati oggi dai loro stessi colleghi della Squadra Mobile su disposizione del gip Livio Cristofano. Il prezzo più alto veniva chiesto agli imprenditori e ai clienti più danarosi, per gli altri scattava una tariffa più ridotta. Tra i poliziotti arrestati, due lavoravano per i Commissariati di Lorenteggio e Porta Genova, altri per l'Ufficio Immigrazione. L'inchiesta aveva già portato tempo fa all'arresto di un poliziotto e si e' allargata fino a svelare il presunto business relativo almeno a una cinquantina di permessi a lungo periodo che non hanno scadenza, non devono essere rinnovati e attribuiscono allo straniero più diritti rispetto al soggiorno ordinario.
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Arrestato l’imprenditore dell’accoglienza. Guadagnava 7mila euro al giorno coi profughi.
Un fulgido esempio di “imprenditoria settentrionale”, tutta efficienza e trasparenza, retorica contro migranti e lavoratori “sfaticati”. Col piccolo vizietto della truffa sui fondi pubblici, che non dipende dalla regione di residenza o di origine, ma da un sistema. Per il quale gli esseri umani – a prescindere dal coloro della pelle – “valgono” esattamente il denaro che si può ricavare da loro. Facendoli lavorare oppure curando “l’assistenza”, o meglio ancora intrecciando le due cose…
Arrestato l’imprenditore dell’accoglienza. Guadagnava 7mila euro al giorno coi profughi.
Accoglienza in strutture fantasma e alberghi fatiscenti.
di Andrea Tumiotto
Era chiamato l’imprenditore dell’accoglienza e guadagnava fino a 7 mila euro al giorno con i profughi. Ora però è stato arrestato.
La carriera «dell’accoglienza» di Angelo Scaroni, 43enne imprenditore bresciano di Montichiari attivo nel settore del legno e immobiliare, è terminata questa mattina con gli arresti domiciliari decisi dalla procura di Brescia.
Secondo le indagini l’imprenditore si era inventato il business dei migranti. Ora è accusato di truffa ai danni dello Stato nell’ambito della gestione dei profughi. Ed è l’ennesima conferma di come dietro al dramma migratorio sia fiorito un vero e proprio giro d’affari che truffa le casse dello Stato.
Di lui si era cominciato a parlare nel giugno scorso, quando la Procura di Brescia aprì un’inchiesta sugli affari di alcune strutture di accoglienza che ospitavano oltre 300 immigrati. Le strutture erano tutte gestite da imprenditori privati, con modalità poco trasparenti. Alcune di loro avevano vinto bandi della Prefettura per l’accoglienza degli immigrati destinati a Brescia e provincia, ma in alcuni casi le strutture indicate erano inesistenti e in altri casi non avevano le carte in regola per ospitare le persone.
L’imprenditore partecipava ai bandi, non ne ha perso uno dal 2015, mediante autocertificazioni relative alle varie strutture. Solo all’ultimo bando, del settembre scorso, non ha partecipato perché essendo indagato lo ha ritenuto “non opportuno”.
Scaroni, lui o la sua famiglia, è proprietario di una quarantina tra appartamenti, ristoranti e alberghi. Tutti vennero perquisiti dai carabinieri nel giugno scorso. Per vincere gli appalti Scaroni ammassava i profughi in spazi ristretti, guadagnando con essi cifre da capogiro con i famosi 35 euro al giorno che vengono stanziati per l’accoglienza degli immigrati.
A giugno, quando venne messo sotto inchiesta l’imprenditore diceva: “Ho piena fiducia nella magistratura. Sono sicuro che si chiarirà tutto molto presto” e aggiungeva che in merito alle strutture inesistenti forse si trattava solo di errori di compilazione, perché “solo chi non lavora non sbaglia”. In tutto la truffa che Scaroni ha orchestrato e messo in atto nel confronti dello Stato è di circa 900 mila euro.
Anche gli sfortunati profughi giunti a Carpeneda di Vobarno e vittime il 2 luglio del lancio di molotov da parte di ignoti erano arrivati in Val Sabbia proprio grazie a uno dei bandi vinti da Angelo Scaroni.
Per quell’episodio di violenza che fortunatamente si concluse senza feriti le indagini brancolano tutt’oggi nel buio. L’arresto di questa mattina è soltanto l’ennesima tegola giudiziaria nei confronti di Scaroni poiché lo scorso 5 aprile il suo deposito di pellet a Novagli di Montichiari fu distrutto da un gigantesco incendio sviluppatosi per cause mai chiarite.
LEILA KHALED NON POTRA' VENIRE IN ITALIA
L'altro giorno l'Italia si è ritrovata ancora nella sporca posizione di vietare l'ingesso sul proprio suolo della dirigente del Fplp(Fronte popolare per la liberazione della Palestina)Leila Khaled dopo una soffiata della deputata Carfagna di Forza Italia che aveva fatto pressioni al Viminale per impedirne i suoi incontri già programmati da tempo tra cui uno a Napoli e uno a Roma che avrebbe avuto tenersi questo sabato invitata dall'Udap(Unione democratica arabo-palestinese)sul cinquantesimo anniversario della fondazione del Fpl.
Il ministro Minniti ha subito provvisto per il fermo costringendo a Fiumicino la Khaled ad imbarcarsi per la Giordania,lo sbirro del Pd protagonista dei decreti liberticidi(madn minnitiluomo-del-manganello-e-dellolio.di ricino )e responsabile della carneficina di profughi che si sta compiendo in Libia assieme ad Orlando,dopo che la combattente palestinese era stata sia in Spagna che in Belgio dove ha anche tenuto una conferenza al Parlamento europeo.
Il primo articolo(popoff minniti-blocca-alla-frontiera-leila-khaled )parla della cronaca e della campagna filosionista che ha costretto alla rinuncia imposta dallo Stato italiano all'ingresso nel nostro paese alla Khaled,oltre che la sua storia a cavallo tra gli anni sessanta e settanta dove per far valere la libertà del suo popolo e della sua terra allora era di"moda"dirottare aerei con intenzioni di non uccidere nessuno per sollevare l'opinione pubblica sulla questione palestinese.
Il secondo contributo(contropiano sbirro-da-sempre )racconta l'aneddoto di un compagno svizzero,Norberto Crivelli,che nel 1991 fu intimidito dall'allora giovane funzionario del Pci Minniti per aver promosso una raccolta firme per un appello contro la nascente guerra Usa verso l'Iraq durante l'ultimo congresso del partito.
Minniti blocca alla frontiera Leila Khaled.
Pressioni sioniste sul Viminale. Leila Khaled, dirigente Fplp, respinta a Fiumicino: «E’ sulla lista nera del terrorismo».
di Checchino Antonini
Vietato l’ingresso in Italia a Leila Khaled, 73 anni, dirigente del Fronte popolare per la liberazione della Palestina, fermata e respinta all’aeroporto di Fiumicino, costretta ad imbarcarsi sul volo successivo per Amman. Khaled era invitata in Italia dall’Unione Democratica Arabo-Palestinese (UDAP) per un’iniziativa in calendario a Roma per sabato 2 dicembre “Cinquant’anni di Resistenza”, in occasione dell’anniversario della fondazione di Fplp, che comunque è stata confermata e Khaled interverrà grazie a un collegamento. Resta, inquietante, la gravità di un respingimento nei confronti di una persona che aveva ottenuto un visto per l’Unione Europea che si è vista revocare qui, a Roma, allo sbarco. Meno di un mese e mezzo fa è stata accolta in Spagna (dove pure penderebbe un’ordine di cattura per lei) e in Belgio, dove ha tenuto una conferenza al Parlamento Europeo.
«Questo grave episodio ha avuto luogo dopo i reiterati attacchi mediatici e a seguito di forti pressioni da parte della lobby sionista in Italia – ricorda l’Udap – nei giorni precedenti al suo arrivo numerosi quotidiani hanno pubblicato articoli sensazionalistici e diffamanti dimostrando, nella migliore delle ipotesi, accondiscendenza, nella peggiore, complicità. Il rimpatrio della compagna Leila Khaled non è che la dimostrazione dell’impotenza delle istituzioni italiane e la loro incapacità di sottrarsi al ricatto sionista: è palese quanto la sua voce, libera e coerente, continui a far paura ancora oggi. atto Nonostante le pressioni, le diffamazioni e le provocazioni, nonostante il rimpatrio imposto alla compagna dalle autorità italiane, l’Unione Democratica-Arabo Palestinese decide di confermare l’iniziativa di sabato 2 dicembre».
Chi non vuole Leila
A guidare la campagna filosionista in Italia è la nota statista Mara Carfagna, portavoce dei deputati di Forza Italia e consigliera comunale a Napoli dove Leila Khaled era attesa per una conferenza all’asilo: l’ex soubrette di Magalli, prestata alla politica, ritiene «sbagliato e pericoloso che una dirigente di una organizzazione inserita nell’elenco delle associazioni terroristiche dall’Unione europea, possa partecipare ad iniziative pubbliche senza che vi sia un controllo, che possa fare proseliti in luoghi pubblici o addirittura di proprietà comunale. Chi le ha concesso il visto per entrare in Italia?». Musica per le orecchie di Minniti, ministro di polizia del Pd, autore di sanguinosi accordi con le autorità libiche perché impediscano la libertà di circolazione ai profughi delle guerre globali, firmatario, con il collega Guardasigilli, Orlando, del pacchetto di provvedimenti liberticidi che, tra l’altro, ha sancito il daspo urbano e il foglio di via preventivo per attivisti sociali e sindacali. E non valgono le ragionevoli obiezioni sulla infame lista di proscrizione che colpisce soprattutto movimenti di liberazione o il semplice fatto che Leila non ha mai ammazzato nessuno. Figuriamoci se un ministro del Pd possa considerare l’idea che l’occupazione israeliana sia essa stessa una forma di terrorismo!
Chi è Leila Khaled
Il 29 agosto 1969 la Khaled prese parte assieme al pugile Salim Issaoui al dirottamento di un Boeing 707 della compagnia statunitense TWA. Il volo TW 840, in servizio fra Los Angeles e Tel Aviv, prevedeva due scali tecnici, a Roma e ad Atene. Montati a bordo durante il primo, la coppia prese controllo dell’aeromobile appena dopo il decollo, facendolo dirigere verso Damasco. Ella racconta di aver ordinato al pilota di sorvolare simbolicamente Haifa, città natale di entrambi i dirottatori, in modo da poterle far vedere dall’alto i luoghi della sua prima infanzia, che non avrebbero più potuto rivedere[1]. Nell’episodio non vi furono morti o feriti, ma l’aeromobile venne fatto saltare in aria dopo aver fatto sbarcare le 116 persone presenti a bordo. Secondo alcune fonti, la dirigenza del FPLP si aspettavano che a bordo vi fosse Yitzhak Rabin, all’epoca ambasciatore di Israele negli Stati Uniti d’America, anche se tale circostanza è stata smentita dalla stessa Khaled. Dopo questo episodio, divenuta una celebrità grazie ad una fotografia di Eddie Adam molto pubblicizzata (scattata nel 1970 in un campo profughi palestinese in Libano, che la ritraeva con un AK-47 ed in testa una kefiah), la Khaled si sottopose a sei interventi di chirurgia plastica al naso e al mento per cambiare l’estetica del volto, rendendosi meno riconoscibile per permetterle di partecipare ad eventuali altri dirottamenti aerei, e non vestire più i panni di una icona.
Il 6 settembre 1970, Leila Khaled, assieme al giovane statunitense di origine nicaraguense, Patrick Argüello, un sandinista simpatizzante per la causa palestinese, cercò di dirottare il volo LY 219 della El Al, in servizio fra Amsterdam e New York. Si trattava di una parte del piano coordinato dei dirottamenti di Dawson’s Field, una serie di azioni quasi simultanee portate a termine dal FPLP. Pare che i due costituissero solo una parte del commando incaricato dell’operazione, che avrebbe dovuto essere condotta da quattro elementi. L’attacco fu sventato dall’intervento di un agente delle forze di sicurezza israeliane presente a bordo dell’aereo, il quale uccise Arguello prima di riuscire a sopraffare la Khaled[6]. Sebbene avesse con sé due granate a mano, la Khaled sostenne di aver ricevuto rigide istruzioni di non mettere in pericolo i passeggeri dell’aereo civile.
Il pilota diresse il velivolo sull’aeroporto londinese di Heathrow, dove Khaled fu trasferita alla stazione di polizia di Ealing. Il 1º ottobre il governo britannico la rilasciò nel quadro di uno scambio di prigionieri. L’anno seguente il FPLP abbandonò la tattica dei dirottamenti aerei.
Khaled nell’immaginario pop
Il brano “Like Leila Khaled Said”, incluso nell’album “Wilder” composto nel 1981 dai The Teardrop Explodes è una canzone d’amore dedicata alla Khaled. Sempre grazie a Julian Cope, nel 2009, con i Black Sheep, Leila è nuovamente al centro dell’attenzione con la canzone “Leila Khaled”, a fianco di altri due pezzi intitolati “Ernesto” e “Che”. Infine, nel 2012, il doppio album “Psychedelic Revolution”, il disco più politico che Julian Cope abbia mai concepito, è ancora incentrato sulle figure di Che Guevara e Leila Khaled, simboli delle rivoluzioni popolari occorse nel ventesimo secolo. Si ritiene che il personaggio di Leela, la guerriera selvaggia della serie televisiva Doctor Who, sia stato ispirato proprio da Leila Khaled. Anche il gruppo musicale danese Magtens Korridorer scrisse una canzone intitolata “Leila Khaled” e, nel 2005, la militante palestinese è stata il soggetto del film Leila Khaled, Hijacker (Leila Khaled, dirottatrice), diretto dalla regista palestinese Lina Makboul e proiettato in anteprima all’International Documentary Film Festival di Amsterdam.
In questo periodo, Khaled, membro dell’Unione dei Comitati delle Donne Palestinesi si sta battendo contro il cosiddetto processo di normalizzazione in assenza di una pace giusta: «La marcia di normalizzazione organizzata dalle forze sioniste insieme alla cosiddetta “commissione per la comunicazione con la società israeliana” è in contraddizione fondamentale con la posizione e la lotta del popolo palestinese e la rivendicazione dei loro diritti nazionali. Questa iniziativa ha lo scopo di distorcere e mistificare gli obiettivi della lotta di liberazione palestinese e la lotta delle donne palestinesi e arabe. Questo è un altro tentativo fraudolento, nonché ripetitivo, di celarsi dietro lo slogan della “pace” per ingannare il popolo palestinese, quello arabo le persone libere del mondo. Il Fronte Popolare starà con il nostro popolo e la sua nazione, sosterrà tutti i movimenti e i comitati per il boicottaggio dell’occupazione per contrastare tutte le forme di normalizzazione politica, culturale ed economica dello stato sionista a prescindere dalla bandiera, gli slogan o le frasi scelte».
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Sbirro da sempre.
di Giorgio Cremaschi
Ho conosciuto Norberto Crivelli a Bellinzona, in un incontro del Partito Operaio Popolare del Canton Ticino per ricordare i 100 anni della Rivoluzione d’Ottobre. Crivelli è una figura storica del movimento operaio svizzero, un militante comunista con una vita di lotte nel Partito del Lavoro. Per questo nel corso dei decenni ha svolto anche una intensa attività internazionale.
Così Crivelli mi ha raccontato un fatto di 26 anni fa, quando come rappresentante del suo partito partecipò al ventesimo congresso del PCI, l’ultimo, quello che a cambiò il nome e l’identità del partito secondo la svolta di Achille Occhetto.
Era l’inizio di febbraio del 1991 e mentre il PCI finiva, cominciava quella guerra che è continuata fino ad oggi, sempre più vasta, distruttiva, insensata. George Bush padre si preparava, con una coalizione armata di cui faceva parte anche l’Italia, a bombardare ed invadere l’Iraq. Tutto il mondo era percorso da manifestazioni e pronunciamenti contro la guerra e le 120 delegazioni estere presenti al congresso sentivano gli echi di quella mobilitazione.
Crivelli pensò allora di usare tutte quelle presenze ad un congresso di per sé triste e depressivo, per organizzare un pronunciamento internazionale contro la guerra. Su un breve testo cominciò a raccogliere le firme di partiti comunisti, di sinistra, progressisti. Ricorda ancora con particolare orgoglio di aver ricevuto l’adesione di un sindacalista brasiliano appena entrato in politica, già molto conosciuto e presente al congresso: Lula.
Il PCI in via di scioglimento, sulla guerra che iniziava era diviso tra tre posizioni. Quella di Napolitano naturalmente guerrafondaia, quella di Ingrao altrettanto naturalmente pacifista e quella di Occhetto e D’Alema che si barcamenava tra le due. Questo si sapeva, così Crivelli, quando fu avvisato di recarsi immediatamente presso la presidenza del congresso, pensò con soddisfazione di aver contribuito a far esprimere un no alla guerra da parte di tutto il PCI. La sua iniziativa aveva avuto un grosso successo, quasi tutte le delegazioni estere avevano firmato il suo appello o si preparavano a farlo. Per questo quando incontrò un giovane funzionario della segreteria del partito, Crivelli pensò di ricevere elogi. Invece raccolse un ultimatum.
“So che stai raccogliendo firme su un appello contro la guerra, smettila subito e annulla l’iniziativa. Non puoi fare qui su temi così delicati quello che vuoi, voi siete ospiti e la politica internazionale qui la facciamo noi“.
Questo è il ricordo delle parole di quel funzionario arrogante, ricordo che ancora oggi fa arrabbiare il mio amico e compagno svizzero Norberto Crivelli, che ovviamente per non creare incidenti diplomatici allora rinunciò all’appello per la pace.
Già, ma perché mi ha raccontato oggi quel fatto? Non lo avete capito? Quel funzionario allora non era conosciuto, oggi lo è un po’ di più, perché il suo nome è Marco Minniti.
Gino Strada lo ha definito sbirro. Beh, se è così, lo é da sempre.
mercoledì 29 novembre 2017
LA LIBERAZIONE DELL'ALBANIA E IL RUOLO DEL BATTAGLIONE GRAMSCI
Durante la seconda guerra mondiale,verso il suo termine e l'inesorabile caduta del nazifascismo,la lotta partigiana albanese che fin dal principio dell'occupazione italiana cominciata nel 1939 si organizzò per la liberazione,ebbe una netta svolta dopo l'armistizio di Cassibile che fu annunciato l'8 settembre con la resa italiana agli Alleati e la nascita del governo Badoglio.
Infatti i militari italiani allo sbando sia in Italia che altrove,dovettero scegliere se unirsi ai tedeschi,disertare o confluire combattendo nelle forze partigiane,a anche in Albania ci fu questo e la nascita del battaglione Antonio Gramsci contribuì in parte alla liberazione albanese che nel frattempo venne occupata dai nazisti tedeschi.
Nell'articolo di Infoaut(29-novembre-1944-liberazione-dellalbania )un breve riepilogo di questa pagina di storia che vede nel giorno del 29 novembre 1944 la data dove nel paese balcanico si festeggia per l'appunto la Liberazione,mentre in questo(www.criticaproletaria.it/ )si approfondisce il tema del contributo degli italiani(alcuni)in terra albanese,da usurpatori a liberatori.
29 novembre 1944: Liberazione dell'Albania.
Con la vittoria dei partigiani, l'Albania diventa una repubblica socialista. Il processo di liberazione e resistenziale albanese vede fin dal principio, oltre alla contrapposizione a fascisti italiani e tedeschi, anche uno scontro fra partigiani comunisti e nazionalisti fedeli al deposto re albanese.
Sin dall'occupazione italiana del '39 la resistenza del popolo albanese si fa sentire. Anche se l'occupazione avviene con successo, principalmente a causa della superiorità militare dell'esercito italiano, numerosi sono gli scioperi operai e le manifestazioni contro gli occupanti.
Dal '41 sotto la direzione del partito comunista albanese, in stretti rapporti con quello jugoslavo e dell'URSS, vengono create le prime divisioni partigiane che per un periodo iniziale fecero un'alleanza strategica con le brigate partigiane nazionaliste.
Le azioni militari dei due anni di resistenza armata, portano alla liberazione di alcune città, nell'ottobre del '44 di Valona, e alla liberazione definitiva in novembre.
In questo contesto si inserisce il ruolo dei soldati italiani di stanza in Albania, che dopo l'8 settembre, ricevono l'ordine di arrendersi alla resistenza Albanese ormai riconosciuta anche dagli Alleati.
Il comandante in capo, Renzo Dalmazo, residente a Tirana, non accetta e ordina alle sue truppe di arrendersi soltanto alle truppe tedesche. Quindici mila soldati, in maggioranza della divisione “Firenze”, non accettano di arrendersi ai nazisti, 1500 di questi si aggregano all’esercito per la liberazione nazionale albanese formando il battaglione “Antonio Gramsci”.
Un'altra parte molto consistente, quasi 20 000, si nascosero protetti dalla popolazione albanese nelle campagne.
Il popolo albanese seppe fare la distinzione tra fascisti e soldati inviati li dal regime. Il contributo dei soldati che divennero partigiani in Albania fu importante e riconosciuto dalla Resistenza albanese.
In seguito alla liberazione, nel fronte partigiano prevalgono i comunisti guidati da Enver Hoxha, e l'11 gennaio 1946 nasce la Repubblica Popolare Albanese.
martedì 28 novembre 2017
IL CHE,MIO FRATELLO
Nell'importante cornice del centro congressi di Bergamo la scorsa domenica si è tenuta la presentazione del libro di Juan Martìn Guevara edito in Italia da Giunti"Il Che,mio fratello",che racconta la figura che rappresenta l'archetipo del rivoluzionario dello scorso secolo,un'icona tra mito e leggenda che ha contribuito a cambiare il corso della storia.
Il fratello minore,che assieme agli altri dopo la morte del Che avevano stretto un patto per non parlare pubblicamente di lui,ha sciolto tale accordo nel 2009 in quanto nel corso degli anni(questo è il cinquantesimo dalla sua dipartita:madn il-che-sempre-dattualita )la sua storia è stata sviscerata più volte con biografie più o meno attinenti ad una verità troppe volte ribaltata.
Come l'origine della sua famiglia che alcuni danno per essere ricca propriamente dell'alta borghesia,nel novero del ristretto numero dell'oligarchia dei possidenti terrieri,fatto più volte negato dall'autore che precisa la natura nomade della famiglia che continuava a spostarsi in Argentina,dove ad ogni città nasceva un nuovo componente,vivendo sempre in affitto precisando senza aver posseduto nemmeno un pezzo di terra.
Questi dettagli,oltre ad essere stati forniti dalla sua reale esistenza,sono stati corroborati dalle frequenti missive che"Ernestito"spediva durante i suoi primi viaggi in tutto il subcontinente americano,soprattutto quello in sella alla Poderosa col suo amico Alberto Granado che però si era concluso presto in Cile.
Nonostante la differenza di quindici anni in meno di Ernesto,Juan Martìn tiene ben vivo in se il ricordo del fratello e ne traccia un profilo privato e familiare togliendolo dal piedistallo della storia,riuscendo a fornire tre tratti caratteriali distintivi.
Il primo è l'ironia che lo ha contraddistinto sin da bambino,dai primi tempi in cui divorava letteralmente i libri in quanto costretto tanto tempo in casa per la cagionevole salute anche se non perdeva tempo per giocare a rugby o uscire per strada,un modo di affrontare la vita col sorriso non prendendosi mai troppo sul serio.
Altro tratto del Che era la sua tenacia che spesso sfociava in una testardaggine che contribuiva a fargli raggiungere i suoi scopi superando difficoltà apparentemente insormontabili,un essere sempre in prima linea che era sia un suo pregio che anche un difetto.
La sua criticità verso gli altri ma anche verso se stesso era un'altra peculiarità del suo essere:questo era l'eredità del carattere materno preciso e puntiglioso che ben si fondeva nel Che con l'indole da sognatore del padre che era un'artista,caricaturista,pittore e amante della poesia.
La serata,un evento nel contesto del Bergamo Festival-Fare la Pace,è stata introdotta dalla coordinatrice generale e collaboratrice alla direzione Chiara Boffelli mentre la traduttrice Maria Bruzzone ha permesso a chi non ha la dimestichezza con il castigliano di poter capire appieno quello che Juan Martìn,persona affabile,sorridente e spiritosa,ha descritto fornendo numerosi aneddoti,ricordi e curiosità,davanti ad una sala piena di gente attenta.
Un bel periodo di tempo trascorso parlando di un libro che a breve leggerò,scritto con l'aiuto della giornalista francese Armelle Vincent,che spedì la bozza con più di trecento pagine del lavoro all'autore che però non sapeva il francese,che fidandosi rispose che l'importante era aver scritto il vero e senza errori di ortografia!
Nel finale dell'incontro ci sono state domande da parte del pubblico incentrate soprattutto sull'importanza del Che nella liberazione di Cuba e sul legame con Fidel Castro,ma anche sulla sua morte e sui presunti tradimenti che ne hanno portato all'uccisione.
Più volte Juan Martìn ha sottolineato che la presenza del Che nel cuore ancora di milioni di persone è dovuta al fatto che tante cose per cui ha combattuto ancora non si sono avverate o almeno in parte,e la realizzazione di ciò per cui ha lottato tutta la vita fino alla morte spettano ancora alle generazioni future che vedono in Ernestito un esempio ed un maestro con il suo messaggio sia di teoria che di vita.
Il fratello minore,che assieme agli altri dopo la morte del Che avevano stretto un patto per non parlare pubblicamente di lui,ha sciolto tale accordo nel 2009 in quanto nel corso degli anni(questo è il cinquantesimo dalla sua dipartita:madn il-che-sempre-dattualita )la sua storia è stata sviscerata più volte con biografie più o meno attinenti ad una verità troppe volte ribaltata.
Come l'origine della sua famiglia che alcuni danno per essere ricca propriamente dell'alta borghesia,nel novero del ristretto numero dell'oligarchia dei possidenti terrieri,fatto più volte negato dall'autore che precisa la natura nomade della famiglia che continuava a spostarsi in Argentina,dove ad ogni città nasceva un nuovo componente,vivendo sempre in affitto precisando senza aver posseduto nemmeno un pezzo di terra.
Questi dettagli,oltre ad essere stati forniti dalla sua reale esistenza,sono stati corroborati dalle frequenti missive che"Ernestito"spediva durante i suoi primi viaggi in tutto il subcontinente americano,soprattutto quello in sella alla Poderosa col suo amico Alberto Granado che però si era concluso presto in Cile.
Nonostante la differenza di quindici anni in meno di Ernesto,Juan Martìn tiene ben vivo in se il ricordo del fratello e ne traccia un profilo privato e familiare togliendolo dal piedistallo della storia,riuscendo a fornire tre tratti caratteriali distintivi.
Il primo è l'ironia che lo ha contraddistinto sin da bambino,dai primi tempi in cui divorava letteralmente i libri in quanto costretto tanto tempo in casa per la cagionevole salute anche se non perdeva tempo per giocare a rugby o uscire per strada,un modo di affrontare la vita col sorriso non prendendosi mai troppo sul serio.
Altro tratto del Che era la sua tenacia che spesso sfociava in una testardaggine che contribuiva a fargli raggiungere i suoi scopi superando difficoltà apparentemente insormontabili,un essere sempre in prima linea che era sia un suo pregio che anche un difetto.
La sua criticità verso gli altri ma anche verso se stesso era un'altra peculiarità del suo essere:questo era l'eredità del carattere materno preciso e puntiglioso che ben si fondeva nel Che con l'indole da sognatore del padre che era un'artista,caricaturista,pittore e amante della poesia.
La serata,un evento nel contesto del Bergamo Festival-Fare la Pace,è stata introdotta dalla coordinatrice generale e collaboratrice alla direzione Chiara Boffelli mentre la traduttrice Maria Bruzzone ha permesso a chi non ha la dimestichezza con il castigliano di poter capire appieno quello che Juan Martìn,persona affabile,sorridente e spiritosa,ha descritto fornendo numerosi aneddoti,ricordi e curiosità,davanti ad una sala piena di gente attenta.
Un bel periodo di tempo trascorso parlando di un libro che a breve leggerò,scritto con l'aiuto della giornalista francese Armelle Vincent,che spedì la bozza con più di trecento pagine del lavoro all'autore che però non sapeva il francese,che fidandosi rispose che l'importante era aver scritto il vero e senza errori di ortografia!
Nel finale dell'incontro ci sono state domande da parte del pubblico incentrate soprattutto sull'importanza del Che nella liberazione di Cuba e sul legame con Fidel Castro,ma anche sulla sua morte e sui presunti tradimenti che ne hanno portato all'uccisione.
Più volte Juan Martìn ha sottolineato che la presenza del Che nel cuore ancora di milioni di persone è dovuta al fatto che tante cose per cui ha combattuto ancora non si sono avverate o almeno in parte,e la realizzazione di ciò per cui ha lottato tutta la vita fino alla morte spettano ancora alle generazioni future che vedono in Ernestito un esempio ed un maestro con il suo messaggio sia di teoria che di vita.
SCARCERAZIONE PER VETTOREL(MA NON PIENA LIBERTA')
Nello scorso luglio parecchi manifestanti vennero fermati ed altri arrestati durante le proteste contro il G20 di Amburgo,repressione cominciata ben prima dell'inizio ufficiale degli accordi tra i potenti del mondo con azioni come lo sgombero del campeggio Antikap Protestcamp(madn verso-il-g20-di-amburgo ).
Tra questi molti italiani col caso del giovane bellunese Fabio Vettorel che è stato in carcere fino alla scorsa settimana e che in questi giorni è stato scarcerato ma con obbligo di dimora ad Amburgo fino a fine processo a casa della madre che ha appositamente affittato un appartamento in città.
Oltre alla procura ad Amburgo il pagamento della cauzione di 10 mila Euro è stata l'altra condizione per non rimanere in carcere,quindi questa libertà a metà è sì un buon risultato ma ancora solo un punto di partenza per assaporarla in maniera definitiva.
Articolo preso da Contropiano:politica-news .
NoG20 Hamburg: Fabio Vettorel è stato scarcerato.
di Osservatorio contro la Repressione
Fabio Vettorel finalmente è libero. Con l’udienza di questa mattina, lunedì 27 novembre, Fabio ha lasciato l’aula da uomo libero. La polizia penitenziaria che lo ha accompagnato in udienza dal carcere è uscita dall’aula del tribunale, dopo il giudice ha letto il dispositivo della scarcerazione.
Venerdi scorso, l’alta Corte tedesca si era pronunciata favorevolmente alla libertà per Fabio respingendo il ricorso della Corte d’Appello che voleva tenere Fabio ancora in galera.
I giudici hanno però posto due condizioni molto rigide: il pagamento di una cauzione da 10 mila euro, versata a nome del 18enne, e la nomina di una persona che abbia una procura ad Amburgo.
Fabio non potrà inoltre lasciare la città per tutta la durata del processo e dovrà risiedere dalla madre, Jamila Baroni, che ha preso appositamente un appartamento ad Amburgo. Fabio inoltre dovrà firmare tre volte alla settimana presso la polizia.
L’intervista rilasciata a Radio Onda d’Urto da Jamila Baroni, mamma di Fabio, venerdi 24 novembre dopo la decisione dell’Alta Corte Ascolta o scarica qui
Da parte nostra possa giungere un forte abbraccio a Fabio con l’impegno che fintanto che non tornerà a casa continueremo a tenere alta l’attenzione su quanto sta accadendo ad Amburgo, vogliamo Fabio libero!
domenica 26 novembre 2017
IL GIRO D'ITALIA 2018 NON DEVE PARTIRE DA ISRAELE
Ieri e oggi,nell'ottica della giornata internazionale Onu di solidarietà col popolo palestinese del 29 novembre,ci sono state e ci saranno molte proteste civili fatte da appassionati di ciclismo che non vogliono la partenza del futuro Giro d'Italia da Israele,foraggiato con milioni di Euro versati a Rcs per questo evento globale.
Perché le partenze dei grandi giri in paesi differenti da quello che organizza oltre ad essere parecchio onerosi danno un grande ritorno d'immagine per chi fa questi che sono investimenti economici sul turismo prima di tutto,ma il caso di Israele nel settantesimo anniversario della sua fondazione,che coincide con il settantesimo anniversario dei soprusi e delle violenze contro la Palestina,è uno scempio ben calcolato dai soggetti interessati.
L'articolo di Contropiano(cambia-giro-lapartheid-israeliano-verso-palestinesi )è l'appello di Bds(ne avevo parlato proprio l'altro giorno(madn artisti-pro-e-contro-il-bds )a non far cominciare il Giro d'Italia 2018 da una terra che fa propaganda a fior di quattrini per rifarsi una verginità compromessa fin dal 1948.
Cambia Giro, contro l’apartheid israeliano verso i palestinesi.
di Campagna BDS - Cambia Giro
Più di centoventi organizzazioni per i diritti umani, sindacati, associazioni per il turismo etico, gruppi sportivi e religiosi da oltre 20 Paesi hanno reso pubblico un appello internazionale che invita il noto evento ciclistico “Giro d’Italia” a spostare la sua “Grande Partenza” del 2018 da Israele a causa delle sue gravi e crescenti violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani dei palestinesi.
Anche l’illustre linguista Noam Chomsky, gli eminenti giuristi John Dugard e Richard Falk, già Relatori Speciali delle Nazioni Unite per la Palestina, l’attore teatrale, scrittore e drammaturgo Moni Ovadia, gli europarlamentari Eleonora Forenza, Sergio Cofferati e Curzio Maltese, e Luisa Morgantini, già vice presidente del Parlamento Europeo, sono tra i firmatari dell’appello.
L’appello è stato lanciato in vista della presentazione ufficiale della corsa, prevista il 29 novembre a Milano, data che coincide con la “Giornata Internazionale ONU di Solidarietà con il Popolo Palestinese”.
Il 25 e 26 novembre in tutta Italia si terranno manifestazioni su due ruote per protestare contro l’uso di uno sport strettamente associato alla libertà per mascherare la brutale occupazione militare e il regime di apartheid di Israele.
I firmatari dell’appello sottolineano che tenere il “Giro d’Italia” in Israele occulterebbe l’occupazione militare e la discriminazione contro i palestinesi da parte di Israele e al contempo ne incentiverebbe la sensazione di impunità, alimentando la continua negazione dei diritti dei palestinesi sanciti dall’ONU.
Il “Giro d’Italia” sta collaborando con l’impresa israeliana “Comtec Group”, organizzatrice dell’evento “Grande partenza”, che svolge attività nelle colonie israeliane illegali. Nelle immagini, nelle mappe e nei video ufficiali della corsa, il “Giro d’Italia” sta ingannevolmente presentando Gerusalemme est, che è sottoposta da 50 anni all’occupazione militare israeliana, come se facesse parte dello Stato di Israele e fosse la sua capitale unificata.
La tappa finale, prevista nel sud di Israele, passerà vicino a decine di villaggi di beduini palestinesi che Israele si rifiuta di riconoscere e a cui non fornisce “servizi fondamentali, tra cui energia elettrica, acqua, cliniche, scuole e strade.” Uno di questi villaggi è stato demolito da Israele oltre cento volte.
I firmatari della dichiarazione condannano anche l’intenzione del “Giro d’Italia” di “celebrare” i 70 anni dalla fondazione dello Stato di Israele, mentre i palestinesi commemorano 70 anni di spoliazione, espulsione forzata e negazione dei diritti dei rifugiati palestinesi sanciti dall’ONU.
Pochi giorni prima della partenza del “Giro d’Italia”, la squadra nazionale israeliana di ciclismo, che è in lizza per uno dei quattro posti ad invito per prendere parte al “Giro d’Italia”, parteciperà ad una gara che attraverserà Gerusalemme est occupata per arrivare alla colonia illegale di Pisgat Ze’ev. La Federazione ciclistica israeliana sponsorizza e tiene competizioni del campionato nazionale in aree sotto occupazione militare da parte di Israele.
I firmatari fanno appello all’organizzatore della corsa, “RCS MediaGroup”, affinché “sposti la partenza della gara in un altro Paese, al fine di escludere ogni coinvolgimento nelle violazioni israeliane del diritto internazionale e dei diritti umani dei palestinesi.”
I firmatari ricordano inoltre alla RCS, alle squadre partecipanti ed agli sponsor le “conseguenze legali e i danni alla loro reputazione derivanti dalla collaborazione con aziende e istituzioni israeliane coinvolte nelle violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale.”
Mentre RCS afferma che la corsa non ha niente a che fare con la politica, la partenza da Israele è stata descritta da giornalisti e commentatori sportivi come un “colpo da maestro di diplomazia soft”, un “colpaccio di pubbliche relazioni” e una “preziosa ripulitura dell’immagine” in cambio di milioni di euro nella sponsorizzazione ufficiale di Israele.
Organizzazioni della società civile palestinese hanno scritto a papa Francesco, chiedendogli di rifiutare l’invito del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu a dare il via della corsa in Israele l’anno prossimo. Chiedono al papa di “non prestare in nessun modo il proprio nome alla competizione ciclistica ‘Giro d’Italia 2018’ a causa della sua incresciosa insistenza nell’occultare l’occupazione militare e le sue gravi violazioni dei diritti umani”.
Migliaia di sostenitori dei diritti umani e appassionati di ciclismo hanno scritto a RCS chiedendo di spostare la partenza da Israele.
Campagna #CambiaGiro
bdsitalia.org/cambiagiro
sabato 25 novembre 2017
HERMANA,YO SI' TE CREO
I fatti risalgono a luglio dell'anno scorso quando una giovane donna venne violentata ripetutamente da un branco di cinque mostri nell'androne di un palazzo a Pamplona durante i festeggiamenti per San Firmino,con tanto di foto e video girati da loro stessi.
E che non sono stati ammessi come prova nel processo cominciato negli scorsi giorni mentre la testimonianza di un investigatore privato che ha pedinato la vittima degli stupri può passare dimostrando che ragazza aveva proseguito nella sua vita senza dimostrare apparenti segni di problematicità.
Quindi da vittima potrebbe passare a colpevole mentre i cinque imputati di Siviglia facenti parte di un branco(si autodefiniscono per l'appunto La Manada,che rappresenta il machismo,il potere patriarcale dell'uomo e il disprezzo della donna)di ventuno,partiti con l'intento di commettere violenze sulle donne postando su social suggerimenti per poterlo fare.
Degli imputati uno è un militare e uno è un agente della Guardia Civil,i cui nomi sono elencati nel post di Infoaut(inizia-il-processo-per-lo-stupro-dei-sanfermines )che racconta anche la grande mobilitazione di tutta la Spagna al grido di"Hermana,yo sì te creo"(Sorella,io ti credo)proprio nei giorni del processo e anche oggi giornata della commemorazione di tutte le vittime della violenza maschile contro le donne,istituita il 17 dicembre 1999 dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite in memoria delle sorelle Mirabal,"las mariposas",ammazzate dal dittatore dominicano Trujillo proprio il 25 novembre 1960(madn las-mariposas ).
Da leggere anche questo:www.globalist.it stuprata-dal-branco-filmata-e-derisa .
Inizia il processo per lo stupro dei SanFermines - Hermana, yo sì te creo!
Prende le mosse in Spagna il processo contro i cinque stupratori appartenenti al gruppo dei SanFermines, accusati di violenze sessuali nei confronti di una ragazza nel luglio del 2016.
I fatti avvengono durante i famosi encierros di Pamplona, ovvero i trasferimenti dei tori dai recinti alle arene dove si svolgerà la corrida. Giornate di folklore popolare di massa, che si rivelano un incubo per una ragazza appena 18enne. Questa, dopo aver perso l'amico con il quale doveva pernottare, viene condotta forzatamente da cinque uomini oltre un portone e violentata ripetutamente.
La scena viene filmata dai cinque uomini, che rubano anche il telefono alla ragazza e poi scompaiono nel nulla, mentre la ragazza viene soccorsa da una coppia e portata in ospedale. Jose Angel Prenda, Alfonso Jesus Cabezuelo, Jesus Escudero, Angel Boza, Antonio Manuel Guerrero: questi i nomi dei cinque porci, che hanno avuto la faccia tosta di chiedere alla corte incaricata del processo di tutelare la loro vita privata e di non diffondere i propri nomi.
Una volta arrestati, si scopre che dei cinque uomini uno è appartenente alla Guardia Civil e uno è un militare. Entrambi fanno parte di un gruppo di circa venti persone conosciuto come La Manada ("il branco") che lo stupro l'aveva programmato e messo in atto da giorni, come se fosse una goliardata di cui vantarsi con gli amici.
Da quel momento il caso diventa di opinione pubblica, e partono contestualmente i depistaggi istituzionali, destinati a trasformare la vittima in colpevole, il suo dolore in vergogna e silenzio. Le foto della violenza, che i cinque avevano condiviso in un gruppo Whatsapp, non vengono considerate prove. Intanto, viene accettata una relazione di un detective privato che punta a ridurre l'accaduto sulla base del fatto che la ragazza non ha subito particolari complicazioni nella sua vita successiva. Usciva, rideva, scherzava come se non fosse successo nulla. Una seconda violenza subita dalla ragazza, attaccata per non essere stata abbastanza sconvolta dai fatti.
In tutta la Spagna però oggi, data di inizio del dibattimento in aula, presidi e mobilitazioni al fianco della ragazza sono stati convocati al grido di "Hermana, yo sì te creo!", contro una giustizia che nella cattolicissima Spagna ancora riproduce, come come istituzioni e media, una violenza di genere istituzionale e strutturale che diviene complice delle violenze e dei femminicidi. Il più importante dei concentramenti sarà a Madrid alle 18 davanti al Ministero di Giustizia.
Mentre infuriano a livello globale le polemiche sul rapporto tra potere e violenza di genere, con denunce a ripetizioni che stanno facendo emergere la capillarità della violenza sui corpi nella nostra società, non possiamo fare altro che urlare a gran voce "Hermana, yo sì te creo!" a tutte le vittime di violenza che subiscono l'ulteriore affronto della vergogna e della stigmatizzazione per essere uscite dalla paura e dal silenzio!
MLADIC CONDANNATO ALL'ERGASTOLO
La condanna definitiva per il macellaio di Balcani,il boia di Srebrenica Ratko Mladic,di certo non cancellerà le nefandezze che i militari sotto il suo diretto comando compirono durante la guerra dei Balcani negli anni novanta ma darà un senso di giustizia a tutto quello che accadde nel conflitto più sanguinoso avvenuto in Europa,a due passi da noi,dalla fine del secondo conflitto mondiale.
Nell'articolo di Left(mladic-condannato-per-il-genocidio-di-srebrenica )la sentenza del Tribunale penale internazionale dell'Aja per diversi capi d'imputazione tra i quali genocidio,crimini di guerra,deportazione e crimini contro l'umanità che condanna fino alla morte l'ex generale,simbolo di morte in Bosnia e ancora eroe in Serbia,un patriota come disse Porchezio dopo la sua cattura dopo una lunga latitanza(madn mladicun-genocidaporchezioun-relitto.umano ).
Ricordiamo anche che la guerra interna alla ex Jugoslavia fu anche malissimo gestita dall'Onu,vi fu l'intervento senza nessuna autorizzazione di questa da parte della Nato con la complicità del governo D'Alema(Kosovo)e della Bonino all'epoca Commissario europeo agli aiuti umanitari:l'Italia con il suo silenzio e complicità nulla fece per sanare il conflitto fin dal suo principio.
Mladic condannato per il genocidio di Srebrenica, ergastolo al “macellaio dei Balcani”.
Il tribunale penale internazionale dell’Aja per i crimini nella ex Jugoslavia (Tpi) ha condannato all’ergastolo, in primo grado, l’ex generale Ratko Mladic, ex comandante dell’esercito serbo bosniaco, per genocidio e crimini di guerra e contro l’umanità perpetrati durante la guerra in Bosnia (1992-95).
Il martello dei giudici che ha condannato all’ergastolo il boia di Srebrenica ha atteso 22 anni per battere. Dopo quattro anni e mezzo di udienze e trecento testimoni ascoltati, al Tribunale Penale Internazionale dell’Aja hanno pronunciato la sentenza di primo grado a carico del generale serbo Ratko Mladic, accusato di genocidio e crimini contro l’umanità. È l’ultima parola della storia: così, dicono, finiranno le guerre balcaniche.
Mladic non si è mai pentito. Ha sempre ripetuto la stessa frase: «Ho difeso il mio paese». Al processo voleva presentarsi con la sua uniforme con le stelle sulle spalle, come quando comandava la sua unità di paramilitari, gli Skorpioni. Le madri dei morti del massacro di Srebrenica saranno, come sempre, dietro al vetro a vedere quale l’espressione comparirà sul volto di quello che era lo spietato comandante serbo bosniaco ed è oggi un vecchio stordito. Mladic ha metà del corpo paralizzato, lo sguardo svuotato da 16 anni di latitanza e 3 ictus.
Oggi a volte passeggia nelle ore di luce nel corridoio della sua cella, ieri era alla guida del nono corpo d’armata jugoslavo contro i croati, poi al comando del secondo distretto militare a Sarajevo. Mladic diventò comandante dell’esercito serbo di Bosnia nel 1992.
Durante i 44 mesi d’assedio di Sarajevo, l’11 luglio 1995, i suoi uomini presero il controllo di Srebrenica e l’ufficiale scelto da Karazic, il temuto Mladic, ordinò di prendere in ostaggio 200 caschi blu, prima di procedere al massacro di 8mila musulmani. Alain Tieger, prima della rogatoria finale all’Aja, ha detto che le stragi di civili e «la pulizia etnica non erano conseguenza della guerra, ma il suo obiettivo. Qualsiasi pena che non sia la prigione a vita è un insulto alle vittime, vive o morte, e un affronto alla giustizia».
Milosevic è morto nel 2006 nella sua cella senza sentenza e ora i giudici hanno condannato Mladic, 74 anni, prima che lo faccia il tempo. I suoi avvocati, che hanno tentato di evitare il processo con 11 capi d’imputazione, tra cui deportazione, genocidio, persecuzione, crimini contro l’umanità, dicono che il vecchio generale condannato all’ergastolo, non ha più le capacità per capire cosa stia succedendo. Non si rende più conto di cosa ha intorno. Per dimostrarlo hanno mostrato le immagini delle risonanze magnetiche, ma l’Aja ha deciso di non fermarsi.
Se in Bosnia Mladic è sinonimo di genocidio, in Serbia lo è ancora di liberazione. Se a Sarajevo la sua faccia incarna per antonomasia le atrocità del conflitto, per le strade di Belgrado è ancora l’icona simbolo della resistenza serba. Ana Brnabic, premier serba, ha detto che «il tribunale dell’Aja contribuisce solo al peggiorare della situazione e non è mai stato imparziale verso tutti i lati del conflitto dall’inizio». È tempo di giustizia dal lato musulmano, di senso di sopraffazione da quello slavo. «Un processo non può condurre alla pace, questo può accadere solo se è iniziativa della società civile». Vladimir Vukcevic, prosecutore che ha arrestato Mladic nel 2011 dopo la sua fuga durata oltre 15 anni, dice che «ogni nazione ha ancora la sua personale versione della verità, finché sarà così, non ci sarà riconciliazione».
Il tribunale che ha assicurato alla giustizia 161 autori dei massacri più atroci dalla Seconda Mondiale, per la guerra che ha ucciso più di 100mila persone in tre anni, chiuderà i battenti a dicembre dopo 24 anni. Forse così le guerre dei Balcani saranno finite davvero.
venerdì 24 novembre 2017
ARTISTI PRO E CONTRO IL BDS
Da anni si è creata una rete di artisti legati principalmente al mondo musicale e che aderiscono alla campagna BDS(Boycott,divestment,sanctions-boicottaggio,disinvestimento,sanzioni)che è contro la politica israeliana di annichilimento e oppressione contro i palestinesi.
Uno dei primi aderenti all'iniziativa fu Roger Waters(madn roger-waters-e-la-palestina )con una lista denominata Artists for Palestine(vedi:theguardian cultural-boycott-israel-starts-tomorrow )cui si unirono presto altri nomi legati alla musica internazionale che hanno da anni boicottato Israele cancellando o non includendo tappe dei loro tour per protestare contro la carneficina fisica e mentale verso la Palestina.
Nell'articolo la presa di posizione di Nick Cave(che rilascia proprio dei bad seeds)che non solo non aderisce,comunque è un fatto personale e professionale che non chiede e comporta nessun obbligo se non quello dato dalla propria moralità,ma organizza un concerto a Tel Aviv per prendere posizione contro i musicisti che aderiscono alla lista legata a BDS.
Un atteggiamento spavaldo e provocatorio cui lo stesso Waters che Brian Eno hanno voluto dare risposta in quanto Israele da sempre investe una moltitudine di denaro in propaganda culturale sia per lavarsi la coscienza che per per mostrare un'immagine pulita del paese mediorientale(come accadrà per il Giro d'Italia 2018,ma ci saranno modi per approfondire la questione).
Articolo preso da Contropiano:cultura-news .
Le batterie scariche di Nick Cave sul boicottaggio culturale di Israele.
di Rino Condemi
La straordinaria efficacia della campagna Bds (Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni) verso Israele per la sua politica di oppressione contro i palestinesi, si può verificare anche dalle reazioni che produce in ambienti di solito lontani dall’agone dello scontro politico.
Alcuni giorni fa il controverso musicista Nick Cave aveva indetto una conferenza stampa per spiegare perché intende suonare in Israele e schierarsi apertamente contro il movimento BDS, dicendo che non avrebbe partecipato a nessun boicottaggio di Israele, come richiestogli da una icona della musica rock come Brian Eno fondatore insieme a Roger Waters di Artisti per la Palestina. “Circa 3 anni fa ho ricevuto una lettera da Brian Eno che mi chiedeva di firmare una lista chiamata Artists for Palestine. Mi ha mandato questa lista e io sentivo, istintivamente, che non volevo firmarla, c’era qualcosa che mi puzzava, quindi ho risposto e ho detto “non mi piacciono le liste, non voglio firmare la tua lista”, e mi sono reso conto che non stavo firmando la lista ma non stavo nemmeno suonando in Israele, e questo mi ha fatto sentire codardo” ha detto Nick Cave “Così dopo molti pensieri e considerazioni, ho chiamato i miei collaboratori e ho detto “Faremo un tour in Europa e includeremo Israele”, perché all’improvviso è diventato importante per me prendere posizione contro quelle persone che vogliono zittire i musicisti, bullizzarli, censurarli e silenziarli”.
Nick Cave si è scagliato contro Brian Eno, che ha prontamente risposto con un comunicato a tono: “L’argomentazione del movimento BDS è abbastanza semplice: Israele ha usato costantemente lo scambio culturale come forma di propaganda per migliorare l’immagine del proprio paese e per mostrare ‘il suo volto migliore’ ai ministeri degli esteri degli altri paesi. Il BDS sta semplicemente chiedendo agli artisti di non farsi strumentalizzare da questa propaganda politica. Non ha niente a che vedere con il censurare gli artisti – un’accusa che trovo difficile accettare in un contesto in cui milioni di persone vengono zittite in maniera grottesca. Israele spende centinaia di milioni di dollari in propaganda e insieme a coloro che definiscono queste iniziative come antisemite, danno un quadro inesatto di quello che effettivamente accade”.
Tra gli artisti più rappresentativi della rete Artisti per la Palestina figura Roger Waters, storico pilastro dei mitici Pink Floyd, il quale aveva chiesto anche a Cave – così a molti altri artisti – di non esibirsi in Israele come forma di pressione contro l’apartheid israeliano verso i palestinesi. Anche l’ex Pink Floyd ha risposto per le rime a Cave: “Nick crede si tratti di censurare la sua musica? Cosa? Nick, con tutto il dovuto rispetto, la tua musica è irrilevante se messa in relazione al problema principale, così come la mia o quella di Beethoven, non riguarda la musica, ma i diritti umani. […] E se qualcuno venisse a demolire la tua casa? Se invadessero il tuo paese? Le tue città venissero rase al suolo per costruire stadi per gli invasori per poi promuovervi concerti pop? E se sette milioni dei tuoi fratelli e sorelle vivessero in campi di rifugio? Vittime della soppressione etnica? Scambieresti il problema con la tua ossessione per la censura alla musica? Comunque, guardando uno dei siti di informazione di Israele, sono stato rimandato a un tuo video, che termina con questa frase: “Sediamoci assieme nell’oscurità fin quando arriverà il momento”. Nick, il momento è arrivato ed è passato, tu l’hai mancato e se in futuro vorrai riemergere dall’oscurità, tutto quello che dovrai fare è aprire gli occhi. Noi, alla BDS, saremo qui a darti il benvenuto nella luce”.
Dopo i Radiohead anche Nick Cave diventa un musicista di cui le nostre orecchie e le nostre passioni musicali possono cominciare a fare a meno.
mercoledì 22 novembre 2017
PROTESTA STUDENTESCA ALLA BICOCCA
Per la serie della pezza che è peggio del buco ecco che la ministra all'istruzione Valeria Fedeli anche ieri ha ricevuto,per via delle scelte sbagliate che compie e nella scia di quelle intraprese già dalla Gelmini e poi Profumo,Carrozza e Giannini(che hanno fatto sì che la scuola,soprattutto quella pubblica,entrasse in uno stato comatoso)l'ennesima giusta contestazione durante l'inaugurazione dell'anno accademico all'università Bicocca di Milano(repubblica universita_bicocca ).
Alcuni studenti dello stesso ateneo e provenienti da alcune sigle studentesche(Rsm e Osa)sono riusciti ad entrare nell'aula magna semi vuota per presenziare e per prendere parola nel tentativo di affossare tutte le novità che il governo nella persona della Fedeli ha compiuto.
E' soprattutto l'alternanza scuola lavoro(madn studenti-operaisfruttati-oggi-e-precari.domani )che non va giù ai giovani che non vogliono lavorare gratis e togliere principalmente il mestiere in luoghi che per la maggior parte sono inidonei per affrontare approcci lavorativi.
L'ex sindacalista Cgil ora traslata come molti altri suoi ex colleghi nel Pd con incarichi di prestigio(madn la-sorte-degli-ex-dirigenti-cgil-al governo )è stata invitata ad uscire dall'università in segno di rispetto non solo degli studenti ma anche degli insegnanti:e se le due figure primarie che coesistono in una scuola sono unite nella lotta contro le disastrose norme del governo vuol dire che hanno ragione da vendere.
In un continuo taglio di risorse per la scuola pubblica(quelle private no,anzi sono in costante aumento)e forse di anni visto la proposta del liceo breve(madn tagli-scolastici-di-spese-e-di-anni )ancora una volta un ministro tace in pubblico a precise domande ed accuse se non per starnazzare nel comodo delle sale del parlamento o delle segreterie del partito.
A margine della protesta degli studenti anche la solita dose di manganellate subita da quelli che sono rimasti fuori,naturalmente evitabili solo se fossero stati qualcuno del Blocco Studentesco(madn testevuoterotte )o gruppi di somari simili.
Università Bicocca, studenti irrompono nell'aula magna: momenti di tensione.
La protesta contro la ministra dell'Istruzione, Valeria Fedeli, sui temi dell'alternanza scuola-lavoro a cui si sono unite le rivendicazioni degli studenti in Scienze della formazione
di LUCA DE VITO
Protesta di alcune decine di studenti dell'Università Bicocca di Milano e di studenti di altri sotto le sigle Rete Studenti Milano e Osa (Organizzazione studentesca autonoma), con alcuni attimi di tensione, in occasione della cerimonia di inaugurazione dell'anno accademico dell'ateneo. Gli studenti che volevano entrare a sentire gli interventi e a contestare la ministra dell'Istruzione, Valeria Fedeli presente in sala, hanno inscenato una protesta bussando ripetutamente alle porte dell'aula magna. Un gruppo di loro è riuscito ad aprire una porta e ha fare irruzione nella sala, nonostante il tentativo delle forze dell'ordine che insieme al personale dell'ateneo ha tentato di respingerli.
Ci sono stati momenti di tensione con spintoni e urla da parte degli studenti. "Siamo studenti e dentro ci sono posti vuoti - ha spiegato uno di loro - vogliamo solo entrare a sentire la conferenza". In tutto erano qualche decina gli studenti presenti alla cerimonia e che chiedevano di intervenire: tra questi un gruppo di studenti di Scienze della formazione che vogliono tutele per i laureati nella loro disciplina e rispetto del merito, visto che una sentenza del consiglio di stato potrebbe stabilire una priorità per i diplomati magistrali. La rettora Cristina Messa ha incontrato gli studenti, a margine della cerimonia, per ascoltare le loro richieste. Fra gli studenti in protesta anche giovani dei collettivi che hanno urlato slogano contro l'alternanza scuola-lavoro. "A lavorare gratis non ci stiamo, non vogliamo sfruttamento ma formazione. Chiediamo che il ministro Fedeli esca dall'università".
La cerimonia è stata anche l'occasione per fare un bilancio sui numeri dell'ateneo. Sono calati del 41,3% in 5 anni gli abbandoni universitari all'Università degli studi Milano Bicocca, passando dal 31,2% del 2011-2012 al 18,3% del 2015-2016. Una bella notizia per inaugurare l'anno accademico 2017-2018 dell'ateneo, in cui si celebrano oltretutto i 20 anni dalla fondazione. Incoraggiante anche il dato occupazionale: a cinque anni dal conseguimento del titolo magistrale lavora l'84% dei laureati e il dato dell'occupazione per i dottorati di ricerca è più alto rispetto alla media nazionale: a un anno dal conseguimento del titolo, infatti, lavora l'88% dei dottori della Bicocca. "La storia della Bicocca è una storia di successo - spiega la rettora Cristina Messa -. Lo testimonia il continuo aumento di studenti che scelgono la nostra università per costruire il loro futuro".
La Bicocca dunque compie vent'anni. L'università milanese, fondata nel 1998, festeggia "aprendosi sempre più all'Europa" ha detto la rettora Cristina Messa. Sono cinque i nuovi corsi di studio interamente in inglese introdotti nell'ultimo triennio, mentre gli studenti stranieri sono quest'anno il 5,4%, ma "puntiamo al 10%" sostiene Messa. La vocazione europea coincide con uno dei punti forti dell'ateneo, la ricerca, che ha reso la Bicocca un "polo di riferimento per la ricerca avanzata - dice Messa - e uno dei motori del radicale cambiamento di un'area milanese che da zona industriale e fucina del manifatturiero è diventata oggi, anche grazie alla nostra presenza, area multifunzionale e laboratorio di innovazione e cultura".
IL LENTO DECLINO DEI SINDACATI CONFEDERALI
Come può essere che la triade dei sindacati confederali si dividano davanti alle proposte del governo riguardo le pensioni a partire dal 2019?
Semplice,in un periodo dove sia Cgil,Cisl e Uil perdono consensi e tessere a scapito dei sindacati di base,la linea da giocarsi a tavolino non può che non essere quella della discontinuità per recuperare qualche consenso che forse e per fortuna ormai non è più recuperabile.
Mentre solo la Fiom ha forse un barlume di speranza per galleggiare e non affondare come la casa madre Cgil,questa convoca uno sciopero per il 2 dicembre e dice un secco no alle proposte dell'esecutivo descritte qui sotto(www.rainews.it Pensioni ).
Le sempre più inguardabili Cisl e Uil,tra crociere pagate dai tesserati per i quadri(madn la-uili-gioielli-e-love-boat )e discorsi d'amore verso Gentiloni,Renzi & Co. sono ormai allo sbando e destinate a scomparire mestamente senza nemmeno lasciare qualche rimpianto.
Non solo non bisogna accettare i diktat sulle pensioni da parte del governo ma bisogna semplicemente azzerare tutto sul job act e riscrivere i contratti che riguardano il lavoro,dall'organizzazione di questo alle retribuzioni passando per le malattie,permessi e ferie.
Il punto
Pensioni, la proposta del governo che divide i sindacati.
La proposta del Governo che sarà trasformata in emendamento alla manovra divide i sindacati. Ecco cosa prevede.
ESENZIONE INNALZAMENTO ETA' PENSIONABILE. L'aumento dei requisiti che scatterà per tutti a partire dal 2019 non riguarderà alcune categorie professionali, interessati anche all'Ape sociale. Il governo ha già identificato 11 attività gravose, che sono: operai dell'industria estrattiva, edilizia e manutenzione edifici; conduttori di gru o di macchinari mobili per la perforazione nelle costruzioni; conciatori di pelli e di pellicce; conduttori di convogli ferroviari e personale viaggiante; conduttori di mezzi pesanti e camion; personale delle professioni sanitarie infermieristiche ed ostetriche ospedaliere con lavoro organizzato in turni; addetti all'assistenza personale di persone non autosufficienti; insegnanti della scuola dell'infanzia ed educatori degli asili nido; facchini; personale non qualificato addetto ai servizi di pulizia; operatori ecologici e altri raccoglitori e separatori di rifiuti. A queste categorie, l'esecutivo ora ne aggiunge altre quattro: operai e braccianti agricoli, marittimi, addetti alla pesca, siderurgici di prima e seconda fusione e lavoratori del vetro addetti ad alte temperature. Il testo precisa che l'esenzione e' condizionata allo svolgimento di attività gravose da almeno 7 anni nei 10 precedenti il pensionamento, nonché, al fine degli effetti per il requisito anagrafico, al possesso di un'anzianità contributiva pari ad almeno 30 anni.
PRIORITÀ A GIOVANI E PREVIDENZA COMPLEMENTARE. Il Governo suggerisce di dare priorità alla discussione sulla "sostenibilità sociale dei trattamenti pensionistici destinati ai giovani, al fine di assicurare l'adeguatezza delle pensioni medio-basse nel regime contributivo, con riferimento sia alla pensione anticipata che a quella di vecchiaia". Non solo, ma occorre dare priorità anche allo sviluppo della previdenza complementare nel settore privato, con un confronto "aperto" anche alle organizzazioni dei datori di lavoro.
PROROGA APE SOCIALE. L'obiettivo, si legge nel documento, e' quello di "consentire la proroga e in prospettiva la messa a regime" dell'Ape social, al termine del periodo di sperimentazione (nel 2018), grazie all'istituzione di un fondo ad hoc "dei risparmi di spesa".
DONNE. Il Governo si impegna ad allargare i requisiti per l'accesso all'Ape social delle donne, oltre quindi alla riduzione dei contributi necessari di sei mesi per ogni figlio fino a un massimo di due anni. Si punta cioè ad un "allargamento dei requisiti di accesso alle prestazioni per le lavoratrici con figli al fine di avviare il processo di superamento delle disparità di genere e dare primo riconoscimento al valore sociale del lavoro di cura e di maternità svolto dalle donne".
martedì 21 novembre 2017
SDOGANAMENTI E RICORRENZE
Accadde nel 1973 e precisamente proprio nella giornata di oggi che l'organizzazione neofascista di Ordine Nuovo venne sciolta e trenta dirigenti condannati per il reato di riscostituzione del partito fascista italiano,per la palese violazione di molti articoli della Legge Scelba(madn nuovo-ordine-nuovo ),che ricordiamo è tutt'ora in vigore anche se la proposta di Fiano vorrebbe modificarne qualche aspetto(e già Lega,Forza Italia,Fratelli d'Italia,Ala e Cinque stelle sono contro).
Quindi radiare per sempre organizzazioni come Casa Povnd e Forza Nuova,due tra le più gettonate anche se in chiaro conflitto tra loro tra le sigle neofasciste e neonaziste italiane,è possibile ma manca la volontà politica per farlo.
In queste settimane,dopo lo sdoganamento politico cominciato con l'entrata in politica di Berlusconi,soprattutto i fasci del terzo millennio hanno avuto una visibilità portatagli sia dai soliti episodi di cronaca basati sulla violenza delle loro azioni che dagli incontri pubblici con giornalisti di un certo livello nella loro sede romana.
Che pur essendo occupata abusivamente non è mai stata oggetto di sgomberi o episodi intimidatori da parte delle polizie come accade negli ambienti di sinistra,anzi lo stesso Alemanno all'apice dei suoi discorsi riguardo il mutuo sociale concesse di via Napoleone III di proprietà del demanio statale(dal valore di 12 milioni di Euro)proprio ai cagapovndini che l'avevano in precedenza occupato per le loro cinghiamattanze(madn il-mutuo-sociale-di-alemanno-favore-di ca$$apovnd ).
Quindi le comparsate di Di Stefano con i vari Mentana,Formigli(il peggiore)e Porro oltre che con la Lucia Annunziata,fanno parte di un percorso cominciato almeno vent'anni fa e che anche nel primo dopoguerra non era ancora stato chiarito,cioè se sia giusto o sbagliato dare voce a rappresentanti e formazioni di stampo dichiaratamente di estrema destra,cosa al di fuori della legge in Italia.
L'articolo preso ad esempio(www.vice.com come-casapound-sta-fregando-i-media-italiani )fornisce mezzi necessari per dare una risposta che non può essere che queste merde non abbiano il diritto di farneticare le loro ideologie nostalgiche e/o adattate alla società moderna,in quanto il fascismo non è un'opinione ma un reato.
Come CasaPound sta 'fregando' i media italiani.
Leonardo Bianchi
Da Nina Moric agli incontri pubblici con Enrico Mentana, come funziona la comunicazione di CasaPound.
È giusto parlare con persone che si ispirano a Benito Mussolini? Quanto spazio di manovra deve concedere una democrazia a chi propugna un'ideologia strutturalmente anti-democratica? Il confronto è la maniera migliore di depotenziare il messaggio fascista?
Queste domande—ma potrei farne tante altre—sono una costante nella vita politica italiana almeno a partire dal dopoguerra. E nonostante ci si siano interrogati sopra in moltissimi, ancora oggi trovare una risposta netta è tutt'altro che semplice.
Qualche anno fa, dopo che in diretta a Piazza Pulita l'eurodeputato leghista Gianluca Buonanno aveva definito i rom "la feccia dell'umanità," Gad Lerner aveva proposto un "rapido, efficace, silenzioso" antidoto a una "televisione intossicata": "Basta dire no grazie. O noi o loro. Non partecipare a quelle oscene rappresentazioni." Una sorta di autoesclusione da un dibattito che si ritiene inquinato alle fondamenta, insomma.
Ma c'è chi non la pensa così.
Nelle ultime settimane—in ossequio all'operazione di ripulitura mediatica in corso da tempo, nonché al tentativo di comparire di più in tv—CasaPound ha invitato nella sede occupata di via Napoleone III due giornalisti del calibro di Enrico Mentana e Corrado Formigli, che hanno entrambi presenziato a un confronto con il vicepresidente Simone Di Stefano.
Il Primato Nazionale (la testata ufficiosa di CPI) ha introdotto il primo evento, quello con Mentana, scrivendo che "a CasaPound nessuno ha paura della discussione politica," e descritto l'iniziativa come un qualcosa che non ha "niente a che vedere con la solita aria fritta, nulla a che fare con qualche soporifero talk show."
In realtà l'incontro dello scorso 29 settembre è stato assolutamente soporifero: due ore in cui Di Stefano ogni tanto ha preso parola per denunciare la "sostituzione etnica" in corso o i "polli transgender importati dalla Cina," mentre Mentana—che deve aver dimenticato il blaster a casa—ha comiziato per il 90 percento del tempo. Tra i discorsi più salienti, il direttore del tg di La7 ha prima respinto le accuse di "legittimare" CPI, dicendo che "se un movimento partecipa con proprie liste alle elezioni è la democrazia che lo legittima"; che c'è "un pregiudizio" sui "fascisti del terzo millennio," ma che ora è stato fatto un bel "pezzo di strada"; e che a destra CasaPound ha "molta concorrenza" di "gruppi che ancora utilizzano metodi e situazioni che riportano indietro le lancette."
Il 3 ottobre è stato invece il turno di Corrado Formigli. Nello spiegare i motivi che l'hanno portato lì, il conduttore di Piazzapulita ha detto di essere convinto che "quest'aurea di censura e di illegalità che vi circonda sia fuori luogo," poiché da un lato "siete esattamente dentro il gioco istituzionale, dentro il gioco democratico" e dall'altro che "il confronto democratico è il sale delle nostra civiltà" e "incontrarsi serve a superare i pregiudizi."
Rivolgendosi a Di Stefano e alla platea, Formigli ha inoltre affermato—con una frase abbastanza incredibile—che "siete un movimento vitale e pulito," pur condannando "alcuni episodi di violenza che sono insopportabili e contrastano il vostro percorso verso l'inserimento in una democrazia." Infine, riprendendo le argomentazioni di Mentana, ha tracciato una linea di demarcazione tra "altre forze di estrema destra di cui non faccio il nome" e CPI, considerata "una forza di cui respingo l'idea del mondo che però ha diritto di esistere."
Se ho isolato queste argomentazioni, è perché secondo me presentano tre ordini di problemi piuttosto rilevanti. Il primo riguarda la "legittimazione" di cui CasaPound godrebbe per il solo fatto di presentarsi alle elezioni, e l'annesso corollario del confronto come "il sale della civiltà." Sia Mentana che Formigli, e in questo non sono soli, si rifanno a una specie di pluralismo illimitato e incondizionato—come se tutte le posizioni fossero neutre, e dunque dotate della stessa dignità.
Ma con CasaPound questo meccanismo si inceppa facilmente e mostra tutte le sue contraddizioni. Parliamo infatti di un partito che ha riferimenti che più precisi di così si muore, e che sono rivendicati con orgoglio dai suoi leader e in perfetta continuità con l'eredità del fascismo e del neofascismo in Italia. Come ricordano gli autori di Fascisti di un altro millennio?, CasaPound tenta di adattare l'ideologia fascista alle esigenze attuali e—attraverso una strategia di selezione che rimuove gli aspetti più drammatici del fascismo—si dipinge come una forza antisistema che al tempo stesso partecipa alle elezioni. Però, inutile girarci attorno, è quella roba lì: un partito che ha un programma ispirato al manifesto di Verona del 1943. Non è che mettersi una cravatta o andare in televisione cambia la sostanza; e non esserne pienamente consapevoli, o far finta che non sia così perché si è convinti di essere dalla parte della ragione, è una tragica sottovalutazione.
Il secondo punto riguarda la differenziazione con le altre forze di estrema destra. Implicitamente (ma neanche troppo) CPI viene presentata come un movimento moderno e molto più evoluto rispetto a Forza Nuova—che, anzi, con la sua "rozzezza" e il suo "nostalgismo" danneggerebbe tutti quanti.
In realtà questa scrematura è del tutto funzionale a CPI, che si sta contendendo con Forza Nuova la supremazia all'interno dell'estrema destra italiana e non—sottolineo non—per adagiarsi nell'alveo della democrazia liberale rinunciando alla propria identità. Lo scopo di questa "guerra," che si sviluppa sia sui territori (come il Tiburtino III a Roma) che sulla sfera mediatica, è quello di stabilire una volta per tutte chi detiene la memoria del fascismo storico e dell'estrema destra extraparlamentare, e chi dunque è titolato ad attualizzarla.
Questa ci porta dritti al terzo problema: la pretesa per cui CasaPound, essendo un partito che ormai risponderebbe a logiche democratiche, abbia abbandonato la violenza; o, peggio ancora, che sia una vittima (simbolica e reale) della violenza antifascista. Anche in questo caso, basta conoscere anche superficialmente CasaPound per accorgersi che non è così—e non può esserlo proprio strutturalmente.
La violenza, infatti, è un aspetto identitario di CasaPound: è continuamente evocata nelle canzoni degli ZetaZeroAlfa ed è glorificata nel romanzo Nessun dolore ("Qui si colpisce e si è colpiti, [...] casta guerriera, santi del cuoio e della carne, beati nei lividi di domani"). Oltre a ciò, che non sia una mera questione teorica lo si può evincere anche dall'ascesa di CasaPound a Bolzano, che—come abbiamo ricostruito su VICE News—è stata preceduta anche da atti di violenza nei confronti degli avversari politici. Inoltre, la violenza (agita ed espressa) è il mezzo più efficace con cui il partito riesce a farsi spazio nell'arena mediatica ed esercitare pressione sull'opinione pubblica.
A quest'ultimo proposito, non posso evitare di soffermarmi sull'aspetto comunicativo di CasaPound. All'inizio del dibattito con Di Stefano, Corrado Formigli ha addirittura applaudito la "vostra operazione di comunicazione, molto paracula e molto intelligente." Ma il doppio incontro si iscrive appieno nelle modalità con cui il gruppo comunica all'interno e verso l'esterno, che secondo gli autori di Fascisti di un altro millennio? risponde alle "logiche di notiziabilità di una comunicazione politica sempre più personalizzata e spettacolarizzata.
In questo senso rientrano anche l'avvicinamento di Nina Moric—di cui ho già scritto tempo fa—e la collaborazione del giornalista sportivo Paolo Bargiggia con Il Primato Nazionale. Tra l'altro, come annunciato anche con una pagina su Libero, Il Primato Nazionale sta per approdare nelle edicole con un apposito mensile dove troveranno spazio le "più prestigiose firme del pensiero anticonformista."
Il successo comunicativo di cui sembra godere CPI va dunque ben oltre gli steccati dell'estrema destra, e ha una forte capacità di richiamo che negli anni ha attratto politici di opposti schieramenti come Anna Paola Concia, giornalisti mainstream come Vittorio Feltri e personaggi mediatici come Vittorio Sgarbi. La strategia di fondo—si legge ancora nel libro citato sopra—è quella del "superamento dell'antifascismo" attraverso lo "svuotamento dei simboli tradizionali e più popolari dell'estrema sinistra" e, soprattutto, la "rilegittimazione simbolica dell'estrema destra."
Tuttavia, questa rilegittimazione è resa possibile dalle condizioni generali della cultura politica in Italia. Ed è questo il vero problema di fondo: CasaPound si trova davanti un terreno dissodato per bene, e sfrutta dei media che hanno già ampiamente sdoganato, caldeggiato e incitato un certo tipo di linguaggio.
Come scrive l'antropologa Maddalena Cammelli nel saggio Fascisti del terzo millennio, "non si possono isolare i fascisti del terzo millennio come fossero mostri nostalgici, quando il linguaggio di CasaPound è lo stesso di Borghezio, di Matteo Salvini, ma anche di Beppe Grillo, Berlusconi, Renzi." Chiaramente non si tratta di accordi su punti programmatici, ma di un'affinità nella "maniera di relazionarsi alla politica, di comunicare, di utilizzare [...] un linguaggio estetizzante capace di svuotare di contenuto ogni concetto, trasformando le parole in vuoti simboli".
È anche per questa "continuità di significati" che CasaPound ha guadagnato negli anni una maggiore agibilità e accettabilità politica e mediatica—le stesse che hanno portato Formigli e Mentana (e prossimamente Nicola Porro) ad andare per la prima volta nella loro sede, mentre formazioni come Forza Nuova rimangono nell'ambito dell'impresentabilità. Il rovescio della medaglia, scrive ancora Cammelli, è che a questa accettabilità si accompagna fatalmente una "banalizzazione crescente di forme concrete di razzismo e fascismo."
La riprova—una delle tante—si è avuta il 2 ottobre, quando il gip del tribunale di Viterbo ha condannato in primi grado due militanti di CasaPound che lo scorso febbraio avevano preso a cinghiate un ragazzo a Vallerano, reo di aver postato un meme satirico sul proprio profilo Facebook. Il giorno dopo, Formigli è andato a elogiare la "vitalità" e la "pulizia" di quel partito. Dopotutto basta partecipare alle elezioni per diventare rispettabili, no?
lunedì 20 novembre 2017
LA DIFFICILE CONDIZIONE DI LUCA FANESI
Già negli ultimi giorni i social network stavano rapidamente diffondendo il caso di Luca Fanesi,il tifoso della Sambenedettese finito in ospedale a Vicenza in condizioni gravi per delle fratture al cranio ed ora in coma.
Fin da subito le tesi della polizia hanno vacillato volendo la situazione di Luca essere scaturita da un forte impatto con un cancello mentre da più fonti fornite dagli stessi amici e tifosi della Samb davano le ferite inflitte opera dalle manganellate della stessa polizia intervenuta durante gli sconti con gli ultras vicentini.
Per ora nonostante la gravità dei colpi ricevuti è stazionaria anche se il pericolo di morte è un fatto ancora non da escludere:nel weekend numerose tifoserie italiane soprattutto il Lega pro ma anche in altre categorie e nazioni hanno dedicato striscioni per richiedere la verità sul caso e per augurare a Luca Fanesi la guarigione.
Articolo preso da Infoaut:varie .
Polizia manda in coma a manganellate un tifoso della Samb.
Luca Fanesi di 44 anni, ultras della Sambenedettese, è dal 5 novembre ricoverato in coma all'ospedale di Vicenza. È stato trasportato in ospedale dopo i fronteggiamenti tra la tifoseria della Sambenedettese e quella vicentina dopo la partita. Una nota della digos della questura di Vicenza riporta che l'uomo avrebbe sbattuto la testa su un cancello ma diversi testimoni sostengono che Luca sarebbe stato colpito dalle manganellate della polizia intervenuta contro i tifosi.
La versione della questura, in effetti, fa acqua da tutte le parti. Il sostenitore della Samb, secondo le note rilasciate dalla polizia due giorni fa, avrebbe urtato la testa su dei cancelli nel ritornare verso i pulmini. Secondo i medici però la doppia frattura al cranio non sarebbe addebitabile a una caduta e inoltre nell'area interessata dagli scontri con la polizia non ci sono cancelli!
Le condizioni di Luca sono nel frattempo gravi ma stazionarie. Contro l'oscurantismo mediatico che ha derubricato la vicenda a scontri tra tifosi si sta mobilitando con forza la famiglia di Luca che nelle scorse ore per voce del fratello ha lanciato un appello a parlare rivolto a chiunque sia stato testimone dell'incidente. Forte la solidarietà e il sostegno anche dal resto delle curve di tutti i campi: nell'ultima giornata di campionato, specie in Lega Pro, sono comparsi in svariate curve striscioni di sostegno a Luca. In prima fila gli stessi vicentini che stanno sostenendo materialmente in queste ore a Vicenza.
Eppure sembra necessaria ancora tanta strada per far luce su questa vicenda nella quale stampa, polizia e istituzioni calcistiche si frappongono per impedire che venga fatta chiarezza e giustizia. L'ipotesi che Luca non fosse stato vittima di un semplice incidente o che fosse stato ferito a questa maniera dai tifosi avversari si è fatta strada solo nelle ultime ore grazie a un comunicato che ha iniziato a girare viralmente su internet. La Lega Pro ha giusto poche ore fa bocciato la richiesta della Sambenedettese di poter scendere in campo nel prepartita del match di domenica con il Bassano indossando una maglia per Luca. Un'iniziativa genuina ma evidentemente troppo ardita per una Federazione che promuove le campagne di sensibilizzazione che infestano il calcio nostrano a patto che restino testimonianza ipocrite utile a lavare la coscienza di qualcuno.
Vogliamo verità e giustizia per Luca.
domenica 19 novembre 2017
AF(FASCI)NATI DAL CRIMINE 2
Nel primo pezzo dell'articolo riguardo i rapporti di criminalità tra neofascismo e malavita si era puntato il dito soprattutto allo spaccio di droga e alle rapine(madn affascinati-dal-crimine-1 )mentre il contenuto odierno parla di società direttamente o in maniera meno visibile nelle mani delle organizzazioni dei fasci del terzo millennio.
Nel primo articolo l'inchiesta de L'Espresso(antifa tutti-i-soldi-e-le-societ-di-casapound-e-forza-nuova )sugli intrallazzi di Ca$$a Povnnd e Fogna Uova che toccano tutta Europa oltre che Londra,città feticcio del leader fognanuovista Fiore che era scappato dall'Italia per fuggire all'arresto in quanto indagato per neofascismo(vedi:madn forza-nuovavecchia-merda-e-roberto.fiore ).
Gli altri due rappresentano gli affari più o meno leciti legati alla sola Fogna Uova(www.ecn.org/antifa forza-nuova-holding e http:www.ecn.org/antifa forza-nuova-holding-2 )che riesce a rastrellare soldi(e non pochi)da diverse attività alcune delle quali con personaggi legati alla criminalità organizzata.
Tutti i soldi e le società di CasaPound e Forza Nuova: così si finanziano i partiti neofascisti.
I gruppi di estrema destra puntano a entrare in Parlamento. Grazie ai fondi di società e privati in Italia e all’estero. Ecco quali sono, tra esercizi commerciali e misteriosi trust
Dio, patria e famiglia. Ma anche ristoranti, catene di abbigliamento, gioiellerie, barberie, franchising di poste private, scuole di lingua, startup di comunicazione, imprese immobiliari, misteriosi trust e qualche strana società offshore.
Dietro la facciata ufficiale dei fascisti del terzo millennio si nasconde una galassia imprenditoriale che dall’Italia si allarga a Francia e Regno Unito. Passando per Cipro e arrivando fino alla Russia di Vladimir Putin. Una multinazionale nera dove gli ideali di purezza del ventennio si intrecciano alle più attuali esigenze dell’economia di mercato. Con imbarazzanti corollari.
Alla vigilia delle prossime elezioni politiche, L’Espresso ha indagato sugli affari dell’estrema destra italiana. Ha cercato di ricostruire nei dettagli la rete imprenditoriale creata negli anni da Forza Nuova e CasaPound, i due principali partiti d’ispirazione fascista. Movimenti che dopo aver conquistato spazio in Europa e aver ottenuto seggi nei consigli comunali di mezza Italia, ora puntano al grande passo: entrare in Parlamento. Missione non impossibile, visto che la nuova legge elettorale ha fissato l’asticella a un abbordabile 3 per cento, che se superato permetterà alle piccole formazioni nostalgiche di avere un inedito potere negoziale nello scenario delle grandi coalizioni necessarie per governare.
Latitanze dorate
Forza Nuova e CasaPound, per quanto diverse tra loro, sono unite da una radice comune. Si chiama Terza Posizione, è un movimento neofascista nato nel 1978 e morto ufficialmente quattro anni dopo. Tra i suoi fondatori, all’epoca poco più che ventenni, c’erano Roberto Fiore e Gabriele Adinolfi. Inseguiti dalle indagini giudiziarie sul terrorismo di destra, fra cui l’attentato alla stazione di Bologna, Fiore e Adinolfi scapparono dall’Italia rifugiandosi in Inghilterra, il primo, e in Francia, il secondo. Quarant’anni dopo, con alle spalle processi e condanne, i due ragazzi sono tornati. Fiore è diventato il segretario nazionale di Forza Nuova, Adinolfi l’intellettuale di CasaPound. Le radici con il passato non si sono però mai interrotte. Almeno quelle degli affari.
L’Inghilterra è da sempre la base principale del business di Forza Nuova, la fonte originaria dei guadagni. Il legame finanziario tra CasaPound e la Francia si è invece manifestato più di recente, ma è cresciuto in fretta da quando il Front National di Marine Le Pen ha scelto di investire sui camerati italiani.
Fiore segreto
Londra, 1980. Per capire l’oggi è necessario tornare ancora agli anni di piombo, subito dopo la bomba che uccise 85 persone a Bologna. Quando Fiore arriva in gran segreto nella Londra di Margaret Thatcher insieme a Massimo Morsello e ad altri militanti di Terza Posizione, ad aiutarli - si legge in un rapporto sull’eversione nera firmato dai servizi segreti italiani (Sisde) del 1982 - è la League of Saint George, snodo internazionale della destra europea, di cui fa parte tra gli altri anche l’ex presidente del British National Party Nick Griffin. Anni nebulosi, punto di partenza della carriera imprenditoriale del giovane neofascista italiano. Con un’ombra mai chiarita: «Era un agente dei servizi segreti britannici (MI6) fin dai primi anni Ottanta», scriverà in un documento del 1991 letto da L’Espresso la commissione d’inchiesta sul razzismo e la xenofobia del Parlamento europeo, gettando un’ombra inquietante sul legame tra Fiore e il Regno Unito.
Di certo, per quasi 20 anni ricercato dall’Italia, il politico romano ha creato solide attività economiche in Inghilterra. A lui e ai suoi uomini più fidati fanno infatti capo diversi marchi specializzati in viaggi-studio Oltremanica, tra cui London Orange e Easy London. Come ha dichiarato alla stampa lo stesso Fiore, forse esagerando un po’, «è la più importante struttura di riferimento per il turismo giovanile europeo».
Quello che non era però mai emerso finora è che al leader di Forza Nuova fanno riferimento anche tre trust di diritto britannico. In due di questi, chiamati Saint Michael the Archangel e Saint George Educational, almeno dalla metà degli anni ’90 sono transitate centinaia di migliaia di sterline. Soldi entrati come donazioni anonime e finiti spesso, sotto forma di finanziamenti caritatevoli, a società italiane possedute dalla famiglia del segretario di Forza Nuova o da suoi soci. Per dire: solo negli ultimi quattro anni, il trust dedicato all’arcangelo Michele, fra i cui gestori c’è Beniamino Iannace, già candidato per Forza Nuova alle europee 2009, ha incassato 475 mila euro da elargizioni liberali in Gran Bretagna.
Soldi finiti quasi completamente in Italia, con donazioni indirizzate ad almeno tre aziende private che appartengono alla famiglia Fiore: Rapida Vis, Futura Vis e Comeritresa, tutte partecipate dalle figlie del segretario di Forza Nuova. Motivazione ufficiale dei pagamenti? Finanziare la realizzazione di pubblicazioni sulla Chiesa Cattolica. Peccato che di questi soldi non si trovi traccia nei bilanci delle società italiane. Nel 1999 i trust furono messi sotto inchiesta dagli organismi di controllo amministrativo inglesi. Un paio di anni prima il quotidiano The Guardian aveva raccontato che queste due fondazioni stavano finanziando un villaggio nazista in Spagna, Los Pedriches, «occupato da Terza posizione internazionale per creare una comunità nazionalista bianca e addestrare soldati volontari», scriveva il giornale inglese. Le carte dell’indagine, chiusa nel 2005, documentarono legami di affari tra le fondazioni e una società di Fiore e Morsello: «I pagamenti», si legge nel rapporto dell’organo di controllo inglese, «erano stati effettuati a favore della Meeting Point (oggi Easy London, ndr) business privato di Fiore». Il fondatore di Forza Nuova ammise le contestazioni, spiegando che i versamenti servivano per pagare l’affitto di un “charity shop” a Shirland Road, a pochi passi dalle sedi legali delle sue tante società specializzate nell’organizzazione di viaggi di italiani a Londra.
I documenti ottenuti ora da L’Espresso indicano che l’attività dei trust è proseguita anche dopo la chiusura dell’indagine inglese. E che le donazioni anonime in alcuni casi sono finite ancora a società private di Fiore. Nel frattempo è nato anche un altro trust, il Saint Mark the Evangelist. Non ci sono bilanci disponibili per capire qual è stata l’attività svolta finora, ma tra i gestori compaiono due nomi molto vicini al politico romano: Maria Beatriz Fiore Burgos, sua figlia, e l’imprenditore Stefano Pistilli, in passato in affari con personaggi dell’estrema destra italiana e oggi gestore di altre tre imprese in Inghilterra, una dal nome particolarmente evocativo: Gladio Consulting, ufficialmente specializzata in consulenza manageriale, ricerche di mercato e sondaggi.
Sognando Putin
Se Londra è stata sempre il centro dei contatti internazionali di Forza Nuova, da qualche anno l’attenzione dei neofascisti si è spostata su Mosca. Fiore non ha mai fatto mistero delle sue simpatie per Putin. Dichiarazioni encomiastiche verso il numero uno del Cremlino e visite in Russia - diverse, negli ultimi anni, fra cui quella al Forum Conservatore tenutosi a San Pietroburgo due anni fa, alla presenza di quasi tutti i leader del neofascismo europeo - dimostrano che fra i due non manca certo la sintonia politica su temi come l’immigrazione, i gay e la famiglia tradizionale. Secondo la nostra intelligence, però, in cambio dell’appoggio alla causa russa in Europa i movimenti estremisti avrebbero «ricevuto sostegno economico». Anche Forza Nuova? Impossibile saperlo. Le informazioni raccolte da L’Espresso permettono tuttavia di descrivere alcuni legami economici che uniscono Fiore alla Russia.
Il neofascista italiano non si è infatti limitato a sostenere l’annessione della Crimea: ha anche portato nella penisola affacciata sul Mar Nero un gruppo di imprenditori nostrani. Con effetti quantomeno contraddittori rispetto allo sbandierato patriottismo economico di Forza Nuova, sempre pronta a difendere le produzioni italiane. Dopo i viaggi organizzati, alcuni di questi impresari hanno infatti deciso di delocalizzare in Crimea. Il rapporto economico tra Fiore e la Russia inizia ufficialmente nel 2012.
A Nizhny Novgorod, 400 chilometri a est di Mosca, si tiene una due giorni di incontri dal titolo “Dialogo commerciale russo-italiano”. Il programma del summit descrive Fiore come capo dell’associazione italo-russa Alexandrite. Due anni dopo si torna a organizzare missioni imprenditoriali, ma questa volta gli imprenditori vengono portati in Crimea, frattanto passata sotto il controllo russo, e il nome di Fiore non viene più accostato a quello di Alexandrite. Chi a quegli incontri ha partecipato dice però che a organizzare tutto dall’Italia è stato proprio il segretario di Forza Nuova.
«L’associazione mi è stata presentata da un amico e sapevo che Fiore era il presidente», racconta Diego Ebau, piccolo imprenditore sardo che ha preso parte a quei viaggi: «L’obiettivo mio e delle altre decine di imprese presenti non era politico, volevamo capire i vantaggi della Crimea». L’impresario spiega che oggi chi investe almeno 50mila euro nella penisola non deve pagare tasse per cinque anni, e in seguito l’aliquota si ferma a un massimo del 6 per cento. Un paradiso fiscale, insomma, collegato a Mosca tramite il ponte sullo stretto di Kerch voluto da Putin. Niente di più invitante per chi si sente schiacciato in patria da tasse e recessione. Ecco perché alcune delle aziende che hanno partecipato ai viaggi organizzati da Fiore puntano a chiudere la fabbrica in Italia e a riaprirla in Crimea. «Io dopo due viaggi sono uscito dall’associazione Alexandrite perché preferivo fare da solo», dice Ebau, «ma so che un’azienda pugliese del settore tessile dovrebbe aver già spostato lì la produzione. E a dire la verità anche io mi sto organizzando: insieme a un altro imprenditore sardo voglio aprire lì un’azienda per la lavorazione del marmo».
Mistero a Cipro
Non solo delocalizzazione. C’è qualcos’altro che Roberto Fiore non ha mai raccontato pubblicamente. Il politico più patriottico d’Italia per oltre cinque anni è stato proprietario di una società basata a Cipro, isola europea prediletta dai russi, che grazie al segreto bancario è da anni uno dei posti più in voga per chi vuole tenere riservati i propri affari. Nell’ottobre del 2010 Fiore ha infatti aperto sull’isola la Vis Ecologia Ltd, società che si occupa ufficialmente di «riciclo di materiali», ma che ha caratteristiche insolite per un’azienda operativa: nessun dipendente, niente sito internet, la sede registrata presso gli uffici di uno studio di commercialisti. Le visure camerali dicono che l’impresa è stata registrata a Cipro «per scopi fiscali», ma è impossibile sapere se sui conti siano girati soldi dato che l’impresa non ha mai depositato un bilancio. Contattato da L’Espresso, il segretario di Forza Nuova non ha risposto alle richieste di chiarimento sull’attività della sua società cipriota.
Di sicuro il leader fascista non era l’unico proprietario dell’impresa basata a Cipro. Il restante 50 per cento delle quote era infatti intestato a Beniamino Iannace, lo stesso giovane che gestisce il trust inglese dedicato a San Michele, in passato candidato alle elezioni per Forza Nuova. Anche lui presente all’incontro organizzato dall’associazione Alexandrite in Russia nel 2012, Iannace è oggi un rampante imprenditore nostrano nel settore delle poste private. Alle domande de L’Espresso si è limitato a rispondere precisando che la Vis Ecologia, la società basata a Cipro, «non è mai stata operativa, non ha mai avuto clienti e per questo non ha mai depositato un bilancio». Di certo mentre era proprietario della scatola offshore, il 36enne campano ha fondato il Gruppo Italiana Servizi Postali. Un franchising che conta oggi 64 filiali sparse per l’Italia. E in cui il nome di Fiore ritorna nuovamente. Non quello di Roberto, ma del primogenito Alessandro. Nel 2013, quando viene costituito il gruppo, il figlio è infatti tra gli azionisti insieme a Iannace e a Fabio Infante, anche lui candidato in passato con Forza Nuova alla Camera.
Qualche anno dopo Fiore junior vende le sue quote a Iannace, che diventa così azionista di maggioranza del gruppo postale, il cui business non sembra molto redditizio (l’ultimo bilancio disponibile, del 2015, segna un fatturato di 105 mila euro e una leggera perdita) ma offre opportunità interessanti. Perché distribuire multe, atti giudiziari e raccomandate dà accesso potenzialmente a dati personali e indirizzi di milioni di persone: materiale strategicamente importante per un partito politico che vuole farsi conoscere. Un accostamento che Iannace respinge con forza, garantendo che la sua società «non ha mai avuto e mai avrà alcuna colorazione, connotazione o collocazione politica che dir si voglia». Resta da notare solo una contraddizione tra il passato politico di Iannace e la sua attuale attività imprenditoriale. Il punto numero tre del programma storico di Forza Nuova prevede infatti il «blocco dell’immigrazione». Eppure il Gruppo Italiana Servizi Postali ha come partner Western Union, il più famoso servizio di trasferimento denaro utilizzato dagli immigrati di tutto il mondo. Insomma, Iannace e Infante cercano di fare affari con gli stranieri che dall’Italia mandano a casa soldi. Una pratica non proprio in linea con le direttive ufficiali del partito. Ma d’altronde, si sa, business is business.
Francia connection
Se dal punto di vista ideologico Forza Nuova è la truppa neofascista più tradizionale, i cugini di CasaPound rappresentano l’evoluzione moderna del cameratismo. Benché i contenuti della propaganda politica siano identici, a mutare sono i metodi. Così mentre Fiore e soci puntano soprattutto ad ampliare la rete dei contatti internazionali (Forza Nuova ha aperto da pochi anni una filiale negli Usa), i leader di CasaPound hanno lanciato l’assalto al cielo dei consensi in patria. E nel giro di pochi anni hanno raggiunto risultati importanti. Ronde nelle periferie,centinaia di migliaia di seguaci sui social network, spazio nel dibattito pubblico. Ma soprattutto seggi nei consigli comunali. Tanti. Da Bolzano a Lucca , da Arezzo a Grosseto. E il 5 novembre puntano a un risultato a due cifre nel municipio di Ostia, prova generale delle prossime politiche.
Dietro la propaganda anti immigrati, cavallo di battaglia dell’organizzazione neofascista che ha il suo quartier generale in un edificio pubblico occupato nel centro di Roma, c’è però una fitta rete di imprese commerciali. Un network politico-affaristico esploso in concomitanza all’arrivo in Italia di alcuni francesi. Tutti vicini al Front National, il partito guidato da Marine Le Pen, decisamente più ricco dei cugini di CasaPound anche grazie a un finanziamento da 11 milioni di euro ricevuto negli ultimi anni dalla Russia, come ha rivelato su Mediapart la giornalista Marine Turchi. Che il Cremlino sia favorevole all’ascesa di partiti euroscettici, xenofobi e filorussi non è d’altronde un mistero. Per questo Putin non dovrebbe essere ignaro delle tante società aperte in Italia dai seguaci della Le Pen. La più famosa si chiama Carré Français, una specie di Eataly in versione transalpina: champagne di tutti i generi, ostriche e formaggi. Un locale elegante nel cuore di Roma, che nel 2015 (ultimo bilancio disponibile) ha fatturato quasi mezzo milione di euro.
A controllare il ristorante-concept store è Jildaz Mahé, in gioventù membro del movimento studentesco neofascista francese Gud, lo stesso in cui militavano molti dei francesi che ultimamente hanno aperto società in Italia insieme ad esponenti di CasaPound. C’è ad esempio la catena di trattorie “Angelino dal 1889” - con ristoranti a Roma, Milano, Malaga, pure a Lima - tra i cui proprietari troviamo Maria Bambina Crognale, moglie del leader di CasaPound Gianluca Iannone, e Pierre Simonneau, militante della destra francese. E c’è il Carré Monti, locale a metà tra il bistrot e il pub, fra i cui soci spicca ancora il francese Simonneau insieme all’avvocato di CasaPound Domenico Di Tullio e a Chiara Del Fiacco, candidata alla Camera nel 2013. Il Carré Monti è il luogo di ritrovo abituale, dove spesso organizzano i compleanni dei camerati. Certamente più informale e meno chic del ristorante di Mahé.
Chiara Del Fiacco è un donna sulla quarantina, capelli biondi e tatuaggi. Rappresenta il punto di contatto diretto fra i camerati nostrani e quelli d’Oltralpe. Il suo compagno è infatti Sébastien de Boëldieu, considerato il ministro degli esteri di CasaPound, amico di vecchia data di un pezzo da novanta del Front National. Frédéric Chatillon, 49 anni, è infatti l’uomo che ha curato la comunicazione nelle ultime campagne elettorali della Le Pen.
Comprese quelle del 2012, 2014 e 2015, finite al centro di alcune inchieste della magistratura francese con accuse che vanno dalla frode all’abuso di beni sociali. Nonostante le incriminazioni Chatillon - il cui nome è emerso anche dai Panama Papers in relazione ad alcune società offshore - non si è perso d’animo. D’altra parte lui è un uomo d’azione, e non si spaventa certo per un’inchiesta. Lo ha dimostrato qualche anno fa, quando emerse che la Riwal aveva lavorato per la Siria di Bashar al Assad prendendo tra i centomila e i centocinquantamila euro l’anno dall’ambasciata siriana a Parigi, aveva scritto sempre Mediapart. Anche in quel caso la magistratura francese si era interessata alla questione, senza alla fine rilevare nulla di penalmente rilevante. Questa volta Chatillon ha però deciso di cambiare aria. Puntando dritto sull’Italia, forte dell’amicizia da lui vantata con esponenti di Alleanza nazionale, Forza Italia, Fratelli d’Italia oltre che con il dirigente di CasaPound Sébastien de Boëldieu.
Due anni fa lo stratega mediatico della Le Pen ha aperto la Riwal Italia, sede in uno splendido palazzo nobiliare nel centro della capitale. A chi sta offrendo i suoi servizi la società di comunicazione? Alle domande de L’Espresso Chatillon si è limitato a negare rapporti commerciali con CasaPound e Fratelli d’Italia, aggiungendo di non aver mai lavorato «neppure per aziende, associazioni e/o fondazioni politiche». Non resta dunque che affidarsi ai pochi documenti ufficiali disponibili, come il bilancio del 2015 che segna un fatturato di 135mila euro, la cui origine resta dunque inspiegata. Così come non trova conferme ufficiali il ruolo dell’uomo della Le Pen nel Carré Français: sebbene Chatillon non abbia ruoli ufficiali nella società, in un post pubblicato su Tripadvisor a fine 2015 lui stesso si presentava come direttore generale della cosiddetta ambasciata culinaria francese a Roma. Con la stessa discrezione altri francesi hanno intanto avviato business a sud delle Alpi. Mahé, già proprietario del Carré Français, ha costituito quest’anno un’altra società che si occupa di ristorazio,ne.
Si chiama La Romanée ed è partecipata da due sue connazionali: Simone Rosso e Audrey Orcel. Mediapart, che ha collaborato con L’Espresso a questa parte dell’inchiesta, non ha ottenuto risposta dalle due donne sui motivi del loro investimento in Italia. Risultati simili con Alexandre-Paul Martin, 27 anni, astro nascente del Front National e considerato il delfino di Chatillon, tanto da aver rimpiazzato in patria la Riwal con la sua agenzia di comunicazione, la e-Politic. Anche Martin, che secondo l’account Facebook di Chatillon è appena stato in Siria insieme al suo mentore per visitare le città liberate dall’esercito di Assad con l’aiuto della Russia, ha deciso di investire sull’Italia quest’anno. Ha aperto una società chiamata Squadra digitale, impegnata ufficialmente nel business della comunicazione e registrata a un indirizzo importante: via della Scrofa 39, Roma, storica sede del Msi che oggi ospita la fondazione Alleanza Nazionale e la redazione del Secolo D’Italia. Alle domande inviate da L’Espresso, il giovane imprenditore francese ha riposto con poche righe. Ha escluso qualsiasi rapporto commerciale con forze politiche italiane e con i connazionali del Carré Français, tagliando corto sull’obiettivo della sua nuova società. L’ho fondata, ha risposto, «perché mi interessa sviluppare la mia attività in Italia». Punto. Insomma, nessuno sembra voler svelare il motivo che li ha spinti a investire nella Capitale.
C’è anche un filo che collega indirettamente i nazionalisti francesi ad ambienti manageriali italiani, seppure in società che non hanno a che fare con i movimenti di estrema destra. Il presidente del consiglio d’amministrazione di Stroili Oro, brand internazionale dei gioielli (370 negozi, 1.800 dipendenti) con sede in Friuli, è Romain Peninque. Lo è dal 2016, da quando cioè la cordata francese Thom Europe, holding della prima catena di gioiellerie transalpine Histoire d’Or, ha comprato l’italiana Stroili. Romain è il figlio di Philippe Peninque, avvocato, consulente fiscale, già militante nel Gud. Uomo potente, descritto da diversi media transalpini come l’eminenza grigia della Le Pen.
Di certo il fatto che il figlio, Romain, sia oggi a capo di Stroili Oro - nel consiglio d’amministrazione siede anche Eric Belmonte, amico e in passato socio d’affari di Peninque - è un paradosso per i francesi dell’estrema destra, accusati di essere piegati ai voleri di Putin. Sì, perché il gruppo Thom Europe in realtà è stato capace di superare nell’offerta di acquisto della catena italiana persino il fondo d’investimento russo Vtb, partecipato al 60 per cento dal Cremlino. «Putin a un passo da Stroili oro», titolavano infatti i quotidiani locali nel 2014. Due anni dopo lo scenario è cambiato: ci sono le sanzioni contro la Federazione russa, rea di aver invaso la Crimea, e il fondo di Putin si ritira lasciando campo libero al gruppo Thom che porterà Peninque in Italia.
Avanguardia fashion
I pacchi alimentari, i picchetti, le occupazioni. Prima gli italiani. L’azione trascina le masse esauste del degrado delle periferie. Ma c’è un livello di interlocuzione che CasaPound ritiene indispensabile: gli intellettuali. Per fare cultura le tartarughe di Iannone non badano a spese. L’ultima sfida è l’informazione. Da tempo è online il quotidiano “Il primato nazionale”, recentemente affiancato dal mensile cartaceo. Periodico sovranista, si definisce. Nel numero d’esordio il direttore Adriano Scianca, responsabile cultura di CasaPound, ha scelto il faccione del deputato Pd Emanuele Fiano da mettere in copertina con il titolo “Il Talebano”, riferimento alla legge da lui promossa che proibisce di fare propaganda attraverso simboli e gesti fascisti.
La società editrice de Il Primato nazionale è la Sca 2080 e ha un capitale sociale di 100 mila euro. La prima tiratura del mensile è stata di 20 mila copie. Sui social d’area è un tripudio di complimenti: «Era ora, un giornale libero». La prima inchiesta proposta riguarda i “rossi”: la violenza è da sempre nel Dna dell’antifascismo. Chi ha interesse a investire nell’house organ dei nuovi neri? I soci sono Francesco Polacchi, storico attivista di CasaPound, e uno studio di commercialisti romani intestato a Mauro Polacchi, azionista della casa editrice neofascista attraverso la Holding Minerva. Un’impresa, la Minerva, con varie partecipazioni, persino una nella Eized, dove tra i soci troviamo Lorenza Lei, prima donna a ricoprire il ruolo di direttore generale in Rai.
La società editrice del Primato gestisce anche il sito web Mma Europa, dedicato agli amanti delle arti marziali miste. Il culto del corpo resta d’altronde un valore, come ai tempi di Mussolini. CasaPound ha infatti un suo circolo di combattenti. Con atleti-militanti che fanno competizioni internazionali. È lo stesso movimento che a volte organizza incontri in giro per le palestre d’Italia. Altri incassi, insomma. Virilità, vigore, bellezza. E cura dei dettagli estetici, fondamentali per attirare consensi.
Sarà per questo che tra gli investimenti della galassia CasaPound troviamo persino la catena di negozi Pivert. Un marchio di abbigliamento casual, affatto etichettabile come fascista, lanciato dagli stessi soci del Primato Nazionale, i Polacchi. Negli anni Pivert ha aperto varie sedi. A Roma, stesso indirizzo della redazione, e a Milano. Ma ha anche rivenditori all’estero. «Sono fiera di sposare questo progetto basato sul made in Italy. Quindi, cari maschietti, un’occhiata dategliela, anche perché noi donne ci stiamo organizzando per non darla più a chi indossa made in China»: musica per le orecchie degli Iannone Boys, specie se a scriverle è showgirl Nina Moric, che ha offerto così la promozione gratuita del brand.
Ufficializzandosi come vip organica al movimento neofascista. Non solo Moric, però. Tra i fan del brand troviamo parecchi calciatori, rugbisti, pugili. E all’appuntamento mondano non poteva mancare qualche lepenista. A una delle presentazioni della collezione 2015 erano presenti, infatti, anche i francesi Chatillon e De Boëldieu. Proprio i due nomi che legano CasaPound al Front National.
Mentre Forza Nuova non si sforza di aumentare il proprio appeal elettorale e tende a circoscrivere sempre di più la propria nicchia di consensi, i leader di CasaPound si presentano sempre più insistentemente come politici inclusivi. Lo fanno invitando alle loro conferenze giornalisti noti con idee molto distanti dalle loro. Cercano, insomma, di legittimarsi attraverso il confronto pubblico. Senza dimenticare l’estetica. I neofascisti romani hanno un loro barbiere di fiducia, situato a pochi passi dalla sede dell’Esquilino. Si chiama Bullfrog, la rana-toro: marchio famoso, presente in tutta Italia, stile hipster. Una catena di barberie creata da Romano Brida, il cui socio di maggioranza è oggi Antonio Percassi, presidente dell’Atalanta e imprenditore di successo. Il barbiere frequentato dai neofascisti romani (la società che lo controlla si chiama BF Roma) è solo un affiliato al marchio Bullfrog, nessun legame diretto con Percassi.
Tuttavia i titolari del negozio in franchising gravitano attorno al movimento. E hanno creato un legame imprenditoriale con un altro volto noto di CasaPound. Nella società Red Hook, di cui i proprietari della barberia romana sono azionisti, uno dei membri del consiglio d’amministrazione è infatti Marco Clemente. Romano di nascita, milanese d’adozione, Clemente è stato candidato al consiglio comunale nelle liste del Pdl a sostegno di Letizia Moratti sindaco, poi è finito al centro delle polemiche per un’intercettazione shock con un uomo della ’ndrangheta. Successivamente si è avvicinato a CasaPound Milano, diventandone un leader. E affiancando, all’attività politica, quella affaristica: come dimostra il suo ruolo da amministratore nella società Prince, tra i cui azionisti c’è la moglie di Gianluca Iannone. Insomma, un altro esempio di cameratismo in doppio petto. Celtiche e soldi. Saluti romani e fiuto per gli affari. Da Roma a Milano, passando per Parigi, Londra, Cipro e la Crimea. Con la benedizione dei nazionalisti russi.
http://espresso.repubblica.it/inchieste/2017/11/03/news/tutti-i-soldi-e-le-societa-di-casapound-e-forza-nuova-cosi-si-finanziano-i-partiti-neofascisti-1.313304#item1
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Forza Nuova Holding: dai dentisti ai compro-oro, il tesoro milionario dei "poveri patrioti".
Nell’inchiesta dei carabinieri del Ros sui pestaggi dei bengalesi e l’indottrinamento di giovani emergono dettagli delle attività economiche dei neofascisti: dagli affari con i russi alle relazioni col Vaticano
ROMA. Mentre Forza Nuova scatena le periferie in nome della difesa degli italiani poveri, i vertici del partito muovono milioni di euro e spostano i giovani militanti come pedine all'interno di un carosello di società. Un business certificato da una delicata informativa del Ros consegnata al pm della procura di Roma Sergio Colaiocco. "L'utilizzo di cooperative sociali e società di capitali evidenziano la partecipazione agli incarichi societari (in Italia e all'estero) di soggetti gravitanti nell'ambito di Forza Nuova, che assolvono evidenti mansioni di prestanome, fornendo così una copertura a chi ha di fatto il controllo del complesso societario-finanziario".
IL BUSINESS
Ruotano milioni di euro attorno alla Act Comunication, di cui è la testa di legno il militante di Fn Gabriele Masci. Un business costruito sulla vendita di materiale informatico che in poco tempo cresce a dismisura. Per questo arriva una segnalazione alla Banca D'Italia: "Accertamenti effettuati presso l'Uif della Banca d'Italia consentivano di verificare come a carico della Act Comunication fosse stata elevata segnalazione di operazioni sospette". La motivazione: movimentazioni anomale che "lasciano supporre intenti dissimulatori presumibilmente finalizzati a frodi fiscali".
Non solo società ma anche cooperative sociali e Compro oro nell'affaire dei leader di Forza Nuova. "Per quanto riguarda le attività Compro oro - scrivono gli inquirenti - riferibili a Luca Mancinotti queste fanno registrare significativi introiti ". Mancinotti è un militante di lungo corso in Fn, ex sediario di papa Benedetto XVI con precedenti di polizia giudiziaria per contraffazione di opere d'arte, associazione a delinquere, truffa e ricettazione.
Quanto alle cooperative sociali è Giovanni Maria Camillacci, esponente di rilievo del movimento di destra, il regista occulto di attività per la cura del verde e del giardinaggio che le intesta a prestanomi del club forzanovista. Ma Camillacci è soprattutto il re delle cliniche dentali, sotto il marchio Blu Dental Clinique Italia, che ha aperto due cliniche a Roma e una a Latina col progetto di inaugurarne un'altra a New York. Socio ombra di Camillacci un altro giovane militante, Alessio Costantini, coordinatore romano della sede storica di Fn.
LA RETE DI PRESTANOME
Roberto Fiore dispone dei militanti del partito come vuole. Li sposta come pedine, gli intesta società e conti correnti.
"Fiore mi sta mettendo in mezzo a delle società senza dirmi un c... - spiega Matteo Stella 28 anni, militante di Fn ad un altro esponente, Roberto Benignetti, in una conversazione intercettata dal Ros nel 2014 - io vorrei sapere qualcosa, vuole aprire un conto a nome mio in Inghilterra guarda ti prego (...) io non so che fare". "I timori espressi da Stella - scrivono i carabinieri - trovavano conferma perché quest'ultimo risultava, dal 2 marzo 2014, rivestire le cariche nella UK Privilege Ltd". Stella non è l'unico a rivestire ruoli di vertice nelle società senza avere uno straccio di competenza. Stessa cosa per Roberto Masci, amministratore unico della Act Comunication srl e amministratore della Fresh Wash Srl che gestisce una lavanderia a Roma. Con l'Act Comunication Masci gestisce milioni di euro in entrata e in uscita eppure "non è in grado di riferire alla dipendente di banca Fineco le motivazioni commerciali alla base dei trasferimenti di denaro in favore di un'altra società", sostiene il Ros.
"Anche Alessio Costantini - raccontano le carte - confermava come fosse noto che la figura di Masci non equivalesse a quella di un amministratore di società bensì a quella di factotum per estemporanee esigenze". Infatti, nella conversazione intercettata nel novembre 2014 Costantini "riferiva a Masci che doveva fare da autista a Toni Brandi dell'associazione pro-vita, pro-life, aggiungendo: quello con cui siamo andati a Mosca, che ci finanzia".
I CORSI AL VATICANO
"Bluedental nelle strutture dello Stato Pontificio". Alla sete di entrare in ogni consesso per allargare le maglie dei propri affari e consolidare le proprie società non poteva sfuggire il Vaticano. Per questo Camillacci chiede a Mancinotti, "accreditato nelle sedi ecclesiastiche" di farsi promotore presso le autorità vaticane per tenere dei corsi di formazione. Il coordinatore romano viene rassicurato "adesso sto andando da Monsignor Camaldo, sto prendendo i bignè di San Giuseppe anche se oggi so' le ceneri, però gliele porto lo stesso". Monsignor Camaldo, che tra loro chiamavano anche don Franco, era secondo i forzanovisti il grimaldello per accreditarsi al Vaticano. Il prelato, secondo il Ros, era "Don Francesco Camaldo, fino al 1997 segretario particolare del cardinal Ugo Poletti, ad oggi (2015, ndr) prelato d'onore di Sua Santità, nonché decano dei cerimonieri pontifici".
I RAPPORTI CON RUSSIA E CRIMEA
Anche la questione russa e i nuovi equilibri europei suscitano l'attenzione del gruppo di estrema destra. Camillacci, in una conversazione discute dei "rapporti crescenti del leader di Fn Fiore con altri politici russi". Ma "Salvini ci ha fregato i contatti con la Russia", si rammaricano i forzanovisti al cellulare, "era il cavallo nostro". La necessità di intessere rapporti "di tipo economico/commerciale - sottolineano gli inquirenti - in particolare per la produzione di vino", risultava vitale per i nuovi scenari creatisi in Crimea. Il conflitto ucraino veniva inquadrato "meramente in chiave utilitaristica" con l'unico obiettivo di sfruttare la precaria situazione governativa e incunearsi nei centri di potere per ricavarne benefici economici. Sempre nel 2014 con un'amica Camillacci
parlando dell'imminente viaggio in Crimea insieme a Fiore per un incontro col ministro dell'Agricoltura dice che andrà "per fare una cosa coi russi, per cercare di prendere la cittadinanza del nuovo governo della Crimea: il governatore è un amico di amici ".
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Forza nuova Holding 2: Così ha provato a piazzare anche un quadro di Gauguin.
Nelle carte del Ros su Forza Nuova le trattative di Fiore per l'opera d'arte e la trama dei contatti internazionali del movimento
ROMA. Il leader di Fn Roberto Fiore e il business delle opere d'arte. Non solo società che fatturano milioni, intestate a giovani militanti del movimento senza uno straccio di competenza. Fiore e due esponenti di peso di Fn, Giovanni Maria Camillacci, titolare di diverse coop nere per la cura del verde e Luca Mancinotti, ex sediario di papa Benedetto XVI con una sfilza di precedenti di polizia alle spalle, cercano anche di mediare nella vendita di un antico quadro di Gauguin.
Così, il 21 ottobre 2014, i tre si avventurano in una trattativa per piazzare un'opera del pittore francese a cui è interessata una famiglia americana. L'incarico ai tre viene affidato da un privato. Il quadro è un'opera del pittore francese, rubata a Londra, ritrovata nel 1974 a Torino nell'ufficio oggetti smarriti della stazione ferroviaria. All'epoca acquistata all'asta per 45mila euro da un operaio della Fiat. Il valore, 40 anni dopo, è di 5 milioni di euro. "Hanno offerto un milione e otto quelli no?", chiede Camillacci a Fiore al telefono. "Sì lo so, un milione e ottocentocinquanta, il problema è quella documentazione". "Mo' arriva - lo rassicura il fidato militante - noi gli diciamo che ci riserviamo trenta giorni per darvi una risposta. Gli diciamo, sentiamo i proprietaru e sentiamo se è ok, poi secondo me questi se lo comprano pure senza pratica ".
MUSEO DEL BAHRAIN
I due delfini del leader forzanovista, Camillacci e Mancinotti, vogliono accelerare la pratica della vendita e cercano anche altri acquirenti. "A me de perde tempo così me so' rotto un po' i coglioni - pressa Mancinotti - col museo del Bahrain già abbiamo avuto contatti ma non se ne fa un cazzo. Ma se fosse stato interessato ci avrebbe contattato come ci hanno contattato sti' grandi personaggi perché il pezzo (il quadro di Gauguin, ndr) non è da museo, il pezzo è una merda, Gianmarì ". "Il pezzo è una cagata - lo asseconda Camillacci - è tagliato al centro, è tagliato ai lati, è reintelato, è senza telaio, è sporco, è un'opera bretone, è rubato: cioè più di questo che cazzo vogliamo aggiungere ".
"TRE MILIONI SONO POCHI"
Il quadro non riescono a piazzarlo agli americani al prezzo che dicono loro. "Stiamo parlando dei famosi tre milioni giusto?" dice Camillacci. "Sì sono pochi, sono pochi ", si lamenta Mancinotti. Ma il problema è la documentazione che attesti l'autenticità dell'opera, che loro non hanno. "Siamo arrivati a un punto in cui dobbiamo produrre i documenti, è difficile temporeggiare ". Il problema è come dirlo a Fiore. "Tu non gli dire che sono incazzato, non fare polemiche. Fai tutto molto serenamente". Alla fine il quadro non verrà venduto. E così l'affare salta definitivamente.
INTERNAZIONALE NERA
Dalle carte emerge anche la rete internazionale di contatti del movimento. Fiore viaggia per l'Europa, arriva fino al Medio Oriente, in Siria. A novembre del 2014 vuole organizzare una conferenza a Damasco in piena guerra civile. Un incontro con "le comunità mediorientali che sto riorganizzando come Ailiance for Peace and Freedom", dice il segretario di Forza Nuova a Camillacci in una conversazione intercettata dai carabinieri.
Poi, a gennaio del 2015, Fiore vola in Grecia per far sentire la sua vicinanza al leader di Alba Dorata Nikolaos Michaloliakos, rinchiuso in carcere perché accusato di appartenere a un'organizzazione criminale. Un incontro talmente positivo che un forzanovista (intercettato dai Ros) sostiene che ora i vertici del partito di estrema destra greco "vogliono bene a Forza Nuova". Assieme a Fiore ad Atene, a trovare Michaloliakos, annotano i militari, sarebbe andato anche un altro pezzo da novanta del neofascismo europeo. L'eurodeputato Udo Voigt eletto con il partito Nazionaldemocratico di Germania, nel 2012 condannato per sedizione a 10 mesi per aver lodato in un comizio le Waffen-SS. Ma non sono solo i forzanovisti a viaggiare in giro per l'Europa.
Anche "altri camerati" vengono a Roma per suggellare alleanze. È il caso dei neofascisti polacchi arrivati nella Capitale a settembre del 2014 per far visita ai forzanovisti. L'incontro, si legge nella carte della procura, avviene nella sede romana del partito in via Amulio.
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