venerdì 3 febbraio 2017

LE COLPE USA AL CERMIS

Risultati immagini per strage cermis 1998
Con un articolo del 2012 che,dietro l'immunità totale dei colpevoli coinvolti c'è una piena confessione di uno dei responsabili della strage del Cermis,si vuole ricordare il diciannovesimo anniversario della morte di venti persone presenti sulla funivia il cui cavo venne tranciato da un jet americano.
Nel pezzo sottostante preso da L'espresso(cermis-il-pilota-confessa )ecco le dichiarazioni del pilota che con scuse varie come guasti all'altimetro e carte topografiche errate,tenta invano di difendere se stesso e gli altri marines coinvolti di stanza alla base di Aviano.
Che nella loro ultima missione prima di tornare a casa per divertimento e per una bravata volarono rasenti al suolo senza la minima accortezza che infatti si tramutò nell'abbattimento del cavo della funivia che da Cavalese porta al monte Cermis(già teatro di un disastro vent'anni prima con 42 vittime).
Le convenzioni Nato e la sottomissione atavica dell'Italia nei confronti degli Stati Uniti portarono ad un nulla di fatto nelle inchieste e nel processo agli imputati estradati e giudicati negli Usa,in un incidente che è una strage provocata e non una tragedia che mai ha visto la parola giustizia.

Cermis, il pilota confessa.

Il 3 febbraio di 14 anni fa un aereo militare Usa spezzò il cavo di una funivia uccidendo 20 persone. Ora uno dei marine che erano ai comandi ammette che quel volo era una sorta di gita per divertirsi. E che subito prima dell'incidente stava facendo riprese panoramiche con la sua videocamera. In un nastro distrutto il giorno dopo.

di Gianluca Di Feo
Ridevano e filmavano le montagne, il «paesaggio splendido» del lago di Garda. Mentre il loro aereo violava le regole, volando troppo basso e troppo veloce, loro giravano un video ricordo delle Alpi: un souvenir per il pilota, all'ultima missione prima di tornare negli Stati Uniti. E poco dopo sono andati a tranciare la funivia del Cermis, uccidendo venti persone.

È questa l'agghiacciante ricostruzione del dramma di Cavalese, realizzata da un'inchiesta di National Geographic grazie alla testimonianza inedita dei protagonisti: gli investigatori americani che tentarono invano di far condannare i responsabili. E il navigatore dell'aereo assassino, che per la prima volta parla e descrive quel video turistico distrutto per impedire che si arrivasse alla verità: «Ho bruciato la cassetta. Non volevo che alla Cnn andasse in onda il mio sorriso e poi il sangue delle vittime».

Giustizia non c'è stata, sepolta dalla ragione di Stato. Di quei venti uomini, donne e ragazzi morti mentre andavano a sciare per una folle esercitazione bellica non è importato a nessuno. Le autorità americane non hanno fatto nulla per punire i responsabili del volo che il 3 febbraio 1998 ha tranciato la funivia di Cavalese facendo precipitare nel vuoto una cabina piena di sciatori. La loro unica preoccupazione era tenere alto l'onore dei Marines, a cui apparteneva l'equipaggio, e sopire le attenzioni italiane per evitare di perdere la base di Aviano. Ma che l'assoluzione del pilota sia una vergogna adesso lo dicono apertamente anche gli investigatori militari statunitensi che aprirono l'istuttoria, poi estromessi dal corpo militare più famoso del mondo: «Non c'è stata giustizia».

Il documentario di National Geographic, che andrà in onda il 31 gennaio alle 21.25 sul canale 403 di Sky, fa luce su tutti i punti oscuri della tragedia. E da forza a un sospetto: il jet volava così in basso per girare un video ricordo. Non c'era nessuna giustificazione operativa o tecnica che giustificasse la scelta di violare i limiti di quota e di velocità. A ricostruire la spedizione è un detective del Naval investigative criminal service: il reparto federale che indaga sui crimini della Marina statunitense reso celebre dalla serie televisiva Ncis. Fu Mark Fallon a scoprire quello che l'equipaggio aveva taciuto. Dopo l'atterraggio d'emergenza gli ufficiali consegnarono una piccola telecamera portatile con dentro un nastro vuoto. Perché portarla a bordo se non è stata usata? Tra i sedili, l'investigatore ha trovato un frammento di cellophane, parte della bustina che avvolge le videocassette vergini.

Solo sei mesi dopo la strage, i due tecnici di bordo - dietro la garanzia dell'immunità - hanno raccontato che al momento dell'atterraggio di emergenza i due ufficiali non hanno abbandonato subito l'aereo, nonostante perdesse fiotti di carburante. E allora comandante e navigatore hanno confessato di essere rimasti sul jet per sostituire il nastro girato durante il volo con una cassetta vergine. Il giorno dopo il documento è stato bruciato. Cosa conteneva? «Avevo ripreso le Alpi e il lago di Garda, filmando il comandante Richard Ashby. Poi l'ho rivolta verso di me e ho sorriso», ricorda l'ormai ex capitano Joseph Schweitzer: «L'ho fatto perché non volevo che alla Cnn si vedesse il mio sorriso e poi il sangue».

I responsabili hanno dichiarato che le riprese non hanno influenzato la condotta della missione letale: la quota troppo bassa dipendeva da un malfunzionamento dell'altimetro, l'apparecchio che indica l'altezza dal suolo. Ma il detective del Ncis Fallon, oggi anche lui in pensione, non gli crede: ha verificato che il sistema era a posto. E ha ripercorso il tragitto del velivolo, interrogando le persone che lo videro passare: nonostante spesso avessero notato i jet, mai avevano assistito a un volo così vicino al suolo. Ma a Fallon e il suo staff federale venne tolta la direzione dell'indagine, affidata a una commissione dei Marines incaricata di condurre un'istruttoria sotto segreto. Nella storia statunitense non era mai accaduto prima.

All'epoca, il disastro diventò subito un affare di Stato. In Italia il governo di centrosinistra guidato da Romano Prodi aveva preso un posizione formalmente dura. Ma gli accordi Nato impongono che i militari responsabili di crimini durante il servizio vengano processati nel loro paese. E il presidente Bill Clinton promise giustizia. Invece gli investigatori di professione come il team del Ncis furono prima affiancati e poi estromessi da una commissione dei Marines, «senza nessuna esperienza di inchieste». La paura che la reazione italiana portasse a chiudere la base di Aviano, fondamentale per controllare la Jugoslavia, fece saltare la segretazione. Ma una volta allontanate le attenzioni italiane, l'unica preoccupazione è stata tutelare gli aviatori americani, che stavano per affrontare il conflitto del Kosovo: l'unico della storia vinto con il solo uso delle forze aeree.

Un altro degli investigatori, anche lui un ufficiale statunitense oggi in pensione, analizza il comportamento dell'equipaggio: «Vengono addestrati a riconoscere la distanza a vista, è la prima regola per un pilota dei Marines. Non poteva compiere un errore del genere». L'inchiesta poi ha rivelato altri retroscena surreali: la funivia di Cavalese non era segnata sulle mappe usata dai militari statunitensi, che da almeno tre anni in quei cieli quasi tutti i giorni simulavano i raid da compiere sulla Bosnia. Quasi incredibile la spiegazione: «I responsabili della cartografia avevano ricevuto le informazioni sulla funivia ma l'aggiornamento era stato inavvertitamente rimosso».

Il risultato finale - a detta degli stessi investigatori statunitensi intervistati da History Channel - resta scandaloso: nel marzo 1999 il pilota Richard Ashby dell'aereo è stato assolto per la condotta del volo, nonostante sia stato provato che gli strumenti erano in funzione e si trovasse sotto la quota minima autorizzata. Due mesi dopo Ashby e Schweitzer sono stati degradati e rimossi del servizio per "l'intralcio alla giustizia" creato con la distruzione del video-ricordo.

Al solo Ashby è stata inflitta una condanna a sei mesi di carcere: dopo quattro è stato rilasciato per buona condotta. Ma la questione del video distrutto resta la chiave della verità. I due ufficiali cambiarono la cassetta prima di sapere di avere causato una strage. Furono informati del massacro solo dopo essere arrivati negli hangar. Cosa volevano nascondere? Spiega il detective Fallon: «A noi insegnano che se viene distrutta una prova, ciò dimostra la colpevolezza». L'ex capitano Schweitzer ricorda: «Quando ci hanno detto che avevamo ucciso così tante persone ho pianto come un bambino. Mi sono chiesto perché noi siamo vivi e loro sono morti». La stessa domanda rimasta ancora oggi senza risposta.

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