venerdì 8 aprile 2016

MEMORIA REFERENDARIA

 
Dell'articolo preso da Senza Soste(http://www.senzasoste.it/ambiente/referendum-no-triv-il-petrolgate-spinge-il-quorum )prendo spunto per parlare non tanto dei motivi che schematicamente sono espressi qui sopra e che dovrebbero venire sviluppati(in un futuro vicino),ma del capovolgimento di fronte che il Pd ha avuto in materia referendaria.
Come si potrà evincere da questo post del marzo 2011(http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2011/03/somaroni-invita-ancora-tutti-alla-gita.html )ai tempi del referendum sul nucleare,il legittimo impedimento,i servizi pubblici locali e la tariffa del servizio idrico integrato,il Pd allora bersaniano voleva annettere al quesito pubblico le amministrative del maggio sempre per il discorso di un risparmio economico.
Inoltre il Pdl invitava all'astensione mentre Maroni diceva di andare al mare in quelle che poi furono indicate come data il 12 ed il 13 giugno proprio un po' come fa Renzi adesso che parla di spreco milionario e praticamente di un quesito inutile.
Rimarcando il fatto che migliaia di persone sono morte per poterci dare il diritto di voto,invitare a starsene a casa è una logica di disprezzo della politica e di biasimo verso tutti gli italiani,non solo gli aventi diritto di voto.
Comunque l'articolo parla di uno stimato e leggero aumento dei probabili votanti al quesito referendario che sarà di un solo giorno e che al momento sarebbe al di sopra del 50%,aumento dovuto allo scandalo del petrolgate del ministro Guidi e alle conseguenti indagini sulle concessioni e sull'inquinamento.
Cambiano gli anni ed i protagonisti e Renzi assomiglia sempre più a Berlusconi.
 
Referendum No Triv, il petrolgate spinge il quorum.
Il sondaggista Piepoli a L43: il 52,5% degli italiani è pronto a votare sulle trivelle. Renzi ostenta sicurezza. Ma sarebbe un segnale negativo per il suo governo.
Francesco Pacifico - tratto da http://www.lettera43.it
 
Due settimane fa il raggiungimento del quorum al referendum No Triv del 17 aprile era un’utopia.
A sei giorni dal petrolgate che ha portato alle dimissioni di Federica Guidi, diventa probabile.
Ne è convinto Nicola Piepoli, dopo l’ultima rilevazione svolta tra lunedì 4 e martedì 5 maggio dall’istituto che porta il suo nome. «Alla domanda se il caso Guidi ha cambiato l'intenzione di voto per il referendum del 17 aprile», dice il decano dei sondaggisti italiani, «abbiamo registrato un rafforzamento della percezione a partecipare alla consultazione. Tale da poter anche rendere valido il voto».
La spinta delle dimissioni della Guidi
L'istituto Piepoli non entra nel merito dei 'sì' e dei 'no'. Anche se è chiaro che chi si recherà alle urne lo farà in gran parte sia per bloccare le trivellazioni in alto mare sia per mandare un segnale al governo.
Da Palazzo Chigi fanno notare che Matteo Renzi è tranquillo.
Talmente tranquillo da metterci la faccia ed esporsi nel corso durante la diretta Twitter e Facebook #Matteorisponde: «Spero che questo referendum che potrebbe bloccare 11 mila posti di lavoro fallisca».
CAMPIONE DI 500 PERSONE. Eppure qualcosa sarebbe cambiato in questi giorni.
Racconta Piepoli: «Noi abbiamo un campione di 500 persone rappresentativo del Paese e tarato sul risultato delle ultime Europee (quelle dove il Pd prese il 40%, ndr). Alla domanda se si andrà votare o meno, nell’ultima rilevazione il 74% degli interpellati ha risposto che il proposito è quello di recarsi alle urne. Quando abbiamo chiesto di indicarci, da zero a uno, quanto era forte la propensione, la media è stata di 0,8».
SUL FILO DEL 50%. Moltiplicando il coefficiente quantitativo (74%) per quello qualitativo (0,8) «si arriva a una valore del 52,5% di italiani che, stando alla nostra rilevazione, andranno a votare sulle trivelle il prossimo 17 aprile. Il che non vuol dire che lo faranno. Quello che registriamo con certezza è però una crescita nella propensione al voto: due settimane fa era minore, allo 0,7, con il 75% pronto a recarsi al seggio. Questo si traduce in un +8% di italiani che votano».
Proprio quello che non può permettersi Palazzo Chigi, che invece confida nell’astensione.
L'EFFETTO TRAINO. Piepoli dà «alla pari la vittoria del sì come quella del no». L’incertezza è massima e «lo sarà anche per i prossimi giorni. Con i referendum, inequivocabile è soltanto il dato di metà giornata del voto: se la media è del 10% il quorum non sarà mai raggiunto, se è del 30 l’effetto traino salverà la consultazione».
Detto questo, e guardando gli ultimi risultati del sondaggio, Piepoli arriva alla conclusione che «il caso Guidi non ha aumentato il numero di chi è pronto a votare pro o contro le trivelle, ma ha rafforzato, spingendolo verso le urne, chi era disposto ad andare a votare». 
Le contromosse studiate a Palazzo Chigi
La cosa dovrebbe spaventare il governo.
Anche perché - come nota l’ex spin doctor di Silvio Berlusconi, Luigi Crespi – «non sarà il referendum a far cadere il governo, ma soltanto l’ipotesi di raggiungimento del quorum è un cambio di trend clamoroso: la fine del consenso, la materializzazione dell’esasperazione della gente, che a differenza di quanto dice il premier non sta meglio grazie al Jobs Act o agli 80 euro».
Nel cerchio magico renziano, al momento, si ostenta sicumera. Anche se sarebbero aumentate le richieste ai sondaggisti di fare rilevazioni sulle intenzioni di voto.
Gli uomini di Renzi spiegano che, in caso di vittoria del sì, le cose andranno come ha detto il premier in direzione del partito: si cambierà la legge e si userà l’esito per marcare la difficoltà di questo Paese di fare innovazione.
LA SCOMMESSA DI EMILIANO. Più in generale a Palazzo Chigi ci si fa forti del fatto che «la consultazione nasce dal basso, dai comitati civici, dalle Regioni, la sinistra del partito non ha saputo gestire la cosa e non ha avuto il tempo per sfruttarla. L’unico che potrebbe farlo è il governatore pugliese Michele Emiliano, ma non ha ancora la forza per sfidare Renzi alla segreteria».
E anche a livello elettorale il petrolgate non avrebbe avuto per ora grandi effetti.
«La fiducia nel governo», dice Piepoli, «è da settimane ferma al 39%».
Quasi il doppio di Hollande in Francia, ma ben lontana dal 60% su cui può contare in Germania la Merkel. 
6 aprile 2016

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