sabato 9 aprile 2016

MA SIAMO AMICI O NEMICI DELL'EGITTO?

Breve premessa ai due articoli presi da Contropiano(http://contropiano.org/news/internazionale-news/2016/04/08/regeni-vertice-fallito-litalia-richiama-lambasciatore-077670 e http://contropiano.org/news/politica-news/2016/04/09/egitto-missili-satelliti-fucili-italiani-torturatori-077680 )che parlano di come il governo italiano si sia mosso per acquisire la verità sul caso di Giulio Regeni e come nell'altro non si muova sulla cessazione della vendita delle armi allo stesso Egitto.
Perché quello di Regeni è stato un caso che ha avuto un clamore mediatico internazionale enorme ma è solo la punta dell'iceberg di quello che accade quotidianamente nello Stato che si affaccia sul Mediterraneo ed è amico storico con l'Italia e soprattutto le sue multinazionali energetiche.
 
Regeni,vertice fallito l'Italia richiama l'ambasciatore.
 
di Enrico Campofreda
Fallisce il supervertice fra i pool d’investigazione italiano ed egiziano. Fallisce perché nelle duemila pagine del dossier confezionato dai poliziotti del Cairo c’è la stessa aria fritta che il procuratore Pignatone aveva respirato durante il sopralluogo di marzo. Nulla di utile per indagini serie, né i più volte richiesti tabulati telefonici, né il traffico delle cosiddette “celle” che avevano agganciato il cellulare di Regeni. Egualmente mancano le registrazioni video delle telecamere metro di Dokki, dove il ricercatore viveva, che differentemente da quelle dei negozi della zona non sono state cancellate. Però non vengono mostrate. Dunque l’ennesima finzione, giudicata insoddisfacente dagli inquirenti italiani che in un comunicato hanno sottolineato le gravi carenze. La Farnesina ha deciso di dare seguito ai provvedimenti preannunciati dal ministro Gentiloni nell’intervento al Parlamento di qualche giorno fa così l’ambasciatore Massari è stato richiamato a Roma. La crisi potrebbe assumere contorni ancora più netti qualora il Cairo praticasse la stessa via del ritiro diplomatico.
Il pool spedito in Italia da Al Sisi ha spudoratamente rilanciato i sospetti sulla famosa banda criminale che avrebbe rapito il ricercatore friulano e che è stata sterminata a colpi di mitra tempo addietro, in modo che nessun malvivente potesse fornire una versione dell’eventuale sequestro. L’ipotesi è la più scalcinata fra quelle offerte dal Capo della polizia criminale di Giza, quel Khaled Shalaby, che un anonimo interlocutore del quotidiano La Repubblica, che per giorni ha inviato delle email trilingue (un mix di inglese, arabo e italiano), considera il mandante del sequestro e delle torture inflitte a Giulio. Il misterioso mittente, svelato poi in tal Afifi ex poliziotto egiziano riparato negli Usa, coinvolge alti esponenti del governo: il responsabile della Sicurezza nazionale Sharawy, il consigliere del presidente Al-Din, lo stesso Al Sisi tutti messi al corrente della morte di Regeni quando la tortura aveva tragicamente prodotto i suoi effetti letali. Costoro avrebbero deciso di far ritrovare il cadavere lungo la superstrada fra il Cairo e Alessandria.
Da quel momento è iniziato il balletto delle ipotesi di morte: incidente stradale, omicidio per rapina, per ragioni sessuali, per droga. Un’insultante pantomima che sta continuando. E di cui il nostro governo constata la recita d’un rigido copione. In tal senso la “gola profonda” de La Repubblica, paranoica o meno, non va lontano dalla realtà. Ribadisce quanto tanti attivisti egiziani hanno conosciuto sulla propria pelle e a danno della vita. Perché l’omicidio Regeni, come i cento e cento compiuti dagli uomini della sicurezza o da gruppi paramilitari, è conforme alla linea del terrore che Al Sisi ha concordato coi vertici dell’esercito che lo sostengono. Scardinare questo legame e un simile disegno è impossibile: significa rinnegare la ragion d’essere della controrivoluzione egiziana. Essa ha nelle Forze Armate il fulcro e molti sostenitori fra i feloul del sistema filo occidentale per decenni incarnato dai clan affaristi che vogliono continuare a controllare la società tramite il consolidato modello del terrore che non ammette democrazia e ingerenze interne ed esterne. E’ lo spettro contro cui s’è battuto l’altro Egitto, islamico e laico, dai giorni di Tahrir in poi fino al golpe del luglio 2013 che ha rimesso “le cose a posto”. Con fare assolutamente criminale.
articolo pubblicato su http://enricocampofreda.blogspot.it
 
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Egitto.Missili,satelliti e fucili italiani per i torturatori.
 
di Antonio Mazzeo
“Non siamo disposti ad accettare verità distorte e di comodo e se non ci sarà un cambio di marcia da parte degli inquirenti e delle autorità dell’Egitto, il governo potrà ricorrere a misure immediate e proporzionate”. Il 5 aprile 2016, intervenendo al Senato sul caso di Giulio Regeni, barbaramente torturato e ucciso al Cairo il 25 gennaio, il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha promesso il massimo sforzo per far luce sui mandanti e gli esecutori dell’omicidio del nostro giovane connazionale. Dopo il rifiuto degli inquirenti egiziani di consegnare i tabulati di una decine di utenze telefoniche, il premier Renzi ha richiamato in Italia l’ambasciatore al Cairo, Maurizio Massari.
Per tanti analisti, il governo – stavolta – sembra voler fare sul serio. Peccato però che ad oggi non esista atto concreto che rimetta in discussione la consolidata partnership politico-militare-industriale tra Italia ed Egitto o quantomeno congeli i trasferimenti di sistemi d’arma pesanti e leggeri alle forze armate e di polizia del sanguinario regime di Al-Sisi. Al contrario, nelle stesse ore in cui il ministro Gentiloni faceva la sua minacciosa sortita in Parlamento, un’azienda leader nel settore aerospaziale controllata in parte dalla holding Finmeccanica, Thales Alenia Space, annunciava la firma di un contatto di 600 milioni di euro per la fornitura di un sistema di telecomunicazione militare satellitare al governo egiziano. L’accordo è stato raggiunto nel corso della recente visita al Cairo del presidente Francois Hollande, sicuramente uno dei più accreditati sostenitori internazionali dei dittatori d’Egitto. Oltre al satellite co-prodotto da Italia e Francia, Hollande si è impegnato a fornire ai militari egiziani cacciabombardieri e unità navali. In particolare, i cantieri francesi DCNS consegneranno nel 2017 una corvetta tipo “Gowind 2500” a cui seguiranno altre tre unità dello stesso tipo prodotte nei cantieri egiziani di Alessandria tra il 2018 e il 2019. La commessa ha un valore superiore al miliardo di euro, a cui si aggiungeranno altri 3-400 milioni per la fornitura dei sistemi da combattimento che in buona parte saranno prodotti da imprese controllate interamente o parzialmente dal colosso Finmeccanica. Le quattro corvette “Gowind” saranno armate infatti con cannoni 76/62 Super Rapido di Oto Melara (società di Finmeccanica S.p.A. con stabilimenti a Brescia e La Spezia), missili antinave MM 40 Block 3 Exocet e VL MICA di produzione MBDA (Matra BAEDynamics Alenia), il maggior consorzio europeo nel settore missilistico, controllato per il 75% da Aibus e BAE System e per il restante 25% da Finmeccanica.
Alla marina militare egiziana è giunta pure una fregata multiruolo tipo FREMM  realizzata nei cantieri navali del gruppo DCNS. Anche in questo caso molti dei sistemi di combattimento parleranno italiano. La nuova fregata sarà armata con i cannoni da 76 millimetri Super Rapido di Oto Melara, con i missili antiaerei superficie/aria Aster 15 di Eurosam (un consorzio europeo formato da MBDA e Thales), con quelli da crociera Scalp Naval e antinave Exocet MM40 (di produzione MBDA) e con i siluri anti-sommergibili MU90 (prodotti dal consorzio Eurotorp, costituito dalle società Thales e DCNS e dalla Wass di Livorno del gruppo Finmeccanica). Proprio grazie alle commesse missilistiche per la fregata FREMM all’Egitto e per i cacciabombardieri Rafale che la Francia fornirà al regime del Qatar, il consorzioMBDA – Matra BAE Dynamics Alenia ha registrato nel 2015 un fatturato record di 5,2 miliardi di euro.
Nel 2013, un’altra importante azienda del gruppo Finmeccanica, AgustaWestland, si assicurò un contratto di 17,3 milioni di dollari per la manutenzione e l’assistenza al parco elicotteri delle forze armate egiziane. A fine 2012, sempre AgustaWestland consegnò all’Egitto due elicotteri AW139 in configurazione ricerca e soccorso (SAR) e trasporto truppe, armamenti e materiali. Il contratto, per un valore di 37,8 milioni di dollari, fu sottoscritto con U.S. Army Aviation and Missile Command (AMCOM), il comando aereo e missilistico dell’esercito Usa che trasferì poi alle autorità egiziane i due mezzi italiani attraverso il programma Foreign Military Sales (FMS). Ad AgustaWestland furono pure assegnate le attività addestrative dei piloti e del personale di terra e la fornitura delle attrezzature e dei ricambi necessari per la messa in servizio degli elicotteri. Nel dicembre 2010, anche l’azienda DRS Technologies, con sede e stabilimenti negli Stati Uniti d’America ma intermante controllata da Finmeccanica, firmò con l’esercito Usa un contratto di 65,7 milioni di dollari per consegnare alle forze armate egiziane veicoli, sistemi di sorveglianza e altre apparecchiature elettroniche.
“L’Italia è l’unico paese dell’Unione europea che, dalla presa del potere del generale al-Sisi, ha inviato armi utilizzabili per la repressione interna nonostante la sospensione delle licenze di esportazione verso l’Egitto decretata nell’agosto del 2013 dal Consiglio dell’Unione europea”, denunciano laRete italiana per il disarmo e l’Osservatorio permanente armi leggere (Opal) di Brescia. “Nel 2014 l’Italia ha fornito alle forze di polizia egiziane 30.000 pistole, prodotte nel bresciano e nel 2015 di 3.661 fucili, per la maggior parte prodotti da un’azienda in provincia di Urbino. Nel 2012 il valore delle esportazioni di armi italiane all’Egitto ha raggiunto i 28 milioni di euro e ha riguardato fucili d’assalto e lanciagranate della Beretta, munizioni della Fiocchi, blindati della Iveco di Torino e apparecchiature specializzate per l’addestramento militare”.
Sempre secondo i ricercatori della Rete per il disarmo e di Opal, nel 2011 il governo italiano autorizzò l’esportazione alle forze armate egiziane di 14.730 colpi completi per carri armati a cui si aggiunsero l’anno successivo 692 colpi con spoletta più altri 673, tutti prodotti da Simmel Difesa di Colleferro, Roma. Sempre nel 2011, fu autorizzata l’esportazione di 355 componenti per la centrale di tiroSkyguard per missili Sparrow/Aspide a cui sono seguiti, nel 2012, altre 1.000 componenti per la stessa centrale di tiro prodotta dalla Rheinmetall Italia Spa di Roma. Quello stesso anno il governo italiano autorizzò pure l’esportazione di 55 veicoli blindati Lizard prodotti dalla società Iveco, attrezzature del cannone navale 76/62 Super Rapido di Oto Melara e apparecchiature elettroniche e software di Selex Elsag (oggi Selex ES), altra azienda del gruppo Finmeccanica.
Antonio Mazzeo
http://antoniomazzeoblog.blogspot.it

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