mercoledì 7 settembre 2011

NOVITA' PER ALDRO

Doppia notizia nel giro di una decina di giorni che ha riguardato il caso di Federico Aldrovandi ammazzato da quattro sbirri a Ferrara nel settemnbre del 2005,e la prima in ordine cronologico che è balzata agli onori della cronaca è stata la vergognosa denuncia di uno dei quattro condannati,Paolo Forlani,che ha chiesto un risarcimento milionario alla madre del ragazzo ferrarese Patrizia Moretti per averlo denominato assassino.
Il secondo contributo di cronaca è la motivazione della sentenza di condanna verso gli sbirri colpevoli di aver agito molto al di sopra delle righe effettuando una vera e propria esecuzione disonorando la divisa che portano(sempre più insanguinate)coperti dai superiori che hanno messo in piedi falsità, insabbiamenti e per aver manipolato le indagini fin dai primi momenti.
Articoli tratti da Senza Soste.
Uno dei poliziotti condannati per l’omicidio Aldrovandi querela la madre del ragazzo
Continuano i paradossi di una vicenda tragica e senza fine: questa volta uno degli agenti incriminati e condannati in appello prova a trascinare in aula la madre della vittima
La madre di Federico Aldrovandi è stata querelata per diffamazione e istigazione a delinquere. A denunciare Patrizia Moretti è Paolo Forlani, uno dei quattro agenti di polizia condannati in primo grado a Ferrara a tre anni e mezzo per omicidio colposo, sentenza confermata lo scorso giugno in appello.
Non è la prima querela che la madre coraggio riceve da quando ha aperto un blog per denunciare quanto avvenne a suo figlio il 25 settembre 2005. Già gli altri tre poliziotti coinvolti nella colluttazione che portò alla morte del ragazzo di 18 anni la accusarono di diffamazione l’anno passato (procedimento già archiviato). Anche la pm Mariaemanuela Guerra, il primo magistrato che si occupò del caso giudiziario, l’ha chiamata in causa per diffamazione insieme ad alcuni giornalisti (il processo si aprirà a marzo) e le chiede in sede civile un risarcimento milionario.
Le parole incriminate questa volta sono quelle pubblicate il 27 aprile sul blog, in un post dal titolo “Al bar”. In un bar la donna si trovò di fronte Forlani e trasalì. Nel suo diario telematico racconterà poi di aver incontrato “uno di quelli che hanno tolto la vita a Federico (la frase originaria, poi sostituita nel giro di qualche ora, era “uno degli assassini di mio figlio”, ndr), tranquillo e allegro con una ragazza”. La madre di Federico prosegue dicendo che “quando vedo uno di loro mi manca il fiato, come a mio figlio. Mi si ferma il cuore, come a lui. Non riesco più a respirare, non so reagire. Vorrei urlare, picchiare, uccidere, ma non ne sono capace. Posso solo andare via e piangere. Andare via per non mostrare le lacrime proprio a loro. Impuniti. Per ora”. Il procedimento a carico dei quattro poliziotti attende infatti ancora la sentenza definitiva di condanna o di assoluzione.
Quelle frasi ora finiranno al vaglio del giudice per le indagini preliminari, dopo che la procura di Ferrara ha già chiesto l’archiviazione e dopo che l’avvocato del poliziotto si è opposto chiedendo l’imputazione coatta.
Per la pm Ombretta Volta la diffamazione non sussiste, dal momento che il termine “assassino” è sì “una espressione forte”, ma “è il nostro stesso codice che definisce la condotta con il termine di omicidio”, “un sinonimo di assassino”. Per quanto riguarda l’istigazione, invece, l’accusa è infondata, perché “mancherebbe la volontà cosciente di commettere il fatto”. Si tratterebbe, secondo la pm, dello “sfogo di una madre che vive il dramma di chi non riesce a colmare il vuoto di un figlio”.
Tutto il contrario per l’avvocato Gabriele Bordoni, secondo il quale il termine “assassino” è idoneo a ledere la reputazione di Forlani (“si può parlare di ‘assassino’ solo se vi è stata una volontarietà nel commettere l’omicidio”), mentre la frase “vorrei urlare, picchiare, uccidere ma non ne sono capace” basterebbe da sola “ad incitare altri verso atti di violenza contro la persona offesa”.
Patrizia Moretti comparirà davanti al gip – cui spetterà di valutare il rinvio a giudizio o il non luogo a procedere – il prossimo 10 novembre. “Non temo le sue ostinate e ripetute azioni giudiziarie – commenta sul blog la madre -, ma non posso sopportare il fatto che possa qualificarsi come ‘appartenente alla Polizia di Stato’ nel perseguitarmi giudiziariamente dopo avermi tolto mio figlio. Questo è insopportabile”.
Intanto la notizia della querela rischia di guastare il clima in vista del 29 settembre, quando Ferrara si prepara ad accogliere la festa nazionale di san Michele Arcangelo, il patrono della polizia di stato.
Marco Zavagli
tratto da http://www.ilfattoquotidiano.it
21 agosto 2011
Caso Aldrovandi, i giudici di Appello: “La Questura ordinò di manipolare la verità”.

Bologna: in 233 pagine viene motivata la sentenza che ha confermato la condanna dei quattro poliziotti: "Fu omicidio colposo, il ragazzo colpito con violenza gratuita, senza nessuna regola". Poi i riferimenti ai superiori degli agenti e al primo pm che si occupò del caso
“Non avere voluto squarciare il velo della cortina di manipolazioni delle fonti di prova, tessuta sin dalle prime ore di quel 25 settembre 2005, getta una luce negativa sulla loro personalità”. È una sentenza che sembra accompagnare la condanna penale a una morale.
Sono 233 pagine la cui lettura è un pugno nello stomaco per chi ha sempre chiesto verità e giustizia sulla morte di Federico Aldrovandi. E i giudici della corte di appello di Bologna, che lo scorso 10 luglio hanno confermato per i quattro poliziotti la condanna di primo grado a tre anni e mezzo per omicidio colposo, non fa sconti.
E non solo per quanto riguarda le responsabilità affibbiate a Paolo Forlani, Enzo Pontani, Monica Segatto e Luca Pollastri per la colluttazione che portò alla morte il ragazzo di 18 anni, ma anche per quanto concerne il comportamento di parte della questura di Ferrara, protagonista di “attività di falsificazione e distorsione dei dati probatori poste in essere sin dalle prime ore successive all’uccisione di Aldrovandi”.
Il giudice Daniela Magagnoli non si fa remore di definire “manipolazioni” quelle “ordite dai superiori” dei quattro agenti. Manipolazioni che però non escludono la responsabilità degli imputati, che anzi, proprio perché “pubblici ufficiali, privi di precedenti disciplinari, sono portatori di un ben diverso onere di lealtà e correttezza processuale rispetto ad un imputato “comune” e avrebbero dovuto portare un contributo di verità”.
Di più. “Lo stesso “onorevole stato di servizio” dei quattro ben lungi dal costituire un elemento attenuante, connota negativamente la loro condotta, improntata alla violenza ingiustificata prima e alla dissimulazione del vero poi, comportamenti che non hanno evidentemente trovato freno nello stato di servizio sino a quel momento immacolato”.
I giudici di secondo grado non risparmiano nemmeno la pm Mariaemauela Guerra, il primo magistrato incaricato del caso (e che ha querelato la madre di Federico e alcuni giornalisti per presunta diffamazione aggravata nei suoi confronti), parlando di “indagini preliminari iniziate nella sostanza vari mesi dopo i fatti e in seguito alla sostituzione del primo sostituto procuratore”.
È una seconda rivincita per Patrizia Moretti, che rimarca come “questa sentenza sottolinea chiaramente quanto sia stata importante l’opera di depistaggio attuata in fase di indagine. La questura di Ferrara ha avuto una parte importante nell’indagine e nel processo, nel quale abbiamo assistito a testimonianze false, inattendibili, lacunose, fuorvianti, come riconosce la corte d’appello”.
Diventa quasi secondario allora per la madre del giovane ricordare come i giudici descrivono il comportamento degli agenti, che hanno “scelto di porre in essere un’azione di contenimento e di repressione non necessaria nei confronti di un soggetto che aveva invece bisogno di trattamento terapeutico”.
Difficile però parlare di aspetto “secondario” se si scorrono le ultime pagine delle motivazioni, che descrivono come i poliziotti misero in atto una “manovra di arresto, contenimento e immobilizzazione condotta con estrema violenza e con modalità scorrette e lesive, quasi i quattro volessero “punire” Aldrovandi per il comportamento aggressivo tenuto nel corso della prima colluttazione”.
Il film di quel 25 settembre non è finito. La Corte continua deplorando l’intervento che “si stava trasformando in un autentico pestaggio”, in una accettazione di “violenza gratuita, assolutamente vietata dalle regole”.
Il caso Aldrovandi però non finirà qui. Le difese hanno già annunciato il ricorso in Cassazione. E in un eventuale terzo grado di giudizio la linea sarà quella dell’appello: “Non viene chiarito – spiega l’avvocato Bordoni – quale comportamento alternativo i quattro imputati avrebbero dovuto porre in essere in quelle condizioni (alle 6 di mattina, in strada, contro un ragazzo di 80 chili alterato) e fino a quando non si accerterà chi gravava sul corpo di Federico e da chi è stata esercitata la pressione letifera, non si potrà attribuire una responsabilità”.
Forse però all’avvocato Bordoni hanno già risposto i giudici di appello: “Le immagini di Aldrovandi sono agli atti e sostenere cose diverse non è possibile”.
tratto da Il Fatto Quotidiano del 31 agosto 2011

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