venerdì 30 settembre 2011

BLOCCO SOCIALE

Il sito di Senza Soste non è impazzito,non da i numeri e nemmeno ha preso una piega verso la numerologia anche se il titolo di un loro articolo odierno porta come titolo il numero 315,che in parole spicce sono la cifra della misera maggioranza dei parlamentari italiani che ancora tengono in piedi il regime dopo l'ultimo voto di sfiducia contro il ministro Romani e che è pure lo stesso numero che ha permesso ai colleghi politici tedeschi di non vedere sparire la moneta Euro e pure l'Europa dalla faccia della terra(almeno economicamente).
Che il voto sia stato contrario o a favore il numero non cambia e se nel caso italiano è l'ennesimo tentativo di portare avanti un governo in coma irreversibile quello tedesco è un minima boccata d'ossigeno in quanto permette all'Europa di poter elargire agli Stati membri in difficoltà degli aiuti per non fallire.
Da noi ormai pure chi ha votato per Berluscojoni(inteso le persone che contano in ambito decisionale)si sono pentiti e vogliono un cambiamento con elezioni anticipate,dai palazzinari a Confindustria fino ad arrivare a piccoli o grandi imprenditori.
La crisi galoppa ancora e se per persone come me(salariato e tassato dall'alto)il peggioramento è stato meno traumatico rispetto ad altri abituati al lusso o quasi,i milioni di precari,pensionati e disoccupati se la vedono molto male anche rispetto a chi la crisi l'ha subita e vissuta come un taglio di ferie o di comodità quotidiane.

315.
315 è la quota della maggioranza raggiunta alla Camera nel respingere la mozione di sfiducia contro il ministro dell'agricoltura Saverio Romano. Si tratta, voto più voto meno, della quota raggiunta con il voto di fiducia del 14 dicembre (314) e grazie alla quale il governo Berlusconi sopravvive oltre ogni evidenza politica. Mai nella storia di questo paese un governo è stato sfiduciato contemporaneamente dalle opposizioni (e fin qui..) dalla Cgil come da Confindustria, dai vescovi come dagli imprenditori. Dalle associazioni di categoria come dal mondo della cultura, della moda per non parlare di scuola e università.
Sarebbe sbagliato pensare di fare di tutto questo un blocco sociale, certo che il colpo d'occhio sull'assenza di base sociale del governo Berlusconi è impressionante. Persino gli imprenditori edili, con un governo notoriamente sensibile al mattone, si sono messi a contestare pubblicamente il ministro alle infrastrutture Matteoli. Ma il pacchetto di maggioranza alla camera, raggiunto nel dicembre 2010 con ogni mezzo necessario, il Pdl cioè Mediaset se lo tiene stretto. Perchè ad ogni momento grave di crisi del governo Berlusconi i titoli legati a Mediaset registrano cadute del valore azionario dei propri titoli anche del 5 per cento in una giornata. Questo arroccamento del Pdl e di Mediaset, entrambi senza idee sul futuro della politica e della comunicazione, ha però una data di scadenza. Un anno e mezzo, se la legislatura arriva alla sua fine (diciamo così) naturale, sei-sette mesi se nei rapporti tra gli schieramenti si imporrà l'emergenza delle elezioni anticipate per impedire il referendum elettorale a giugno.
Nel frattempo un intero paese crolla: infrastruttura, tecnologie, ricerca, occupazione, formazione, assistenza sociale, innovazione, welfare sono tutte parole morte e sono candidate a restarlo per un lungo periodo.
Intere fasce di popolazione sono senza prospettiva e assistenza, interi settori strategici sono lasciati marcire. Il fatto che l'opposizione si scaldi sulla legge elettorale, per quanto questa sia particolarmente demenziale, fa cascare le braccia di fronte alle priorità di un paese che rischia di entrare in un cono d'ombra per un ventennio.
E qui c'è un punto importante da aggiungere: la visione del declino di questo paese si accentua nitidamente se si guarda allo scenario continentale. Ce lo spiega lo stesso numero raggiunto dal centrodestra a Montecitorio. 315 è infatti la quota raggiunta dalla maggioranza di Angela Merkel al Bundestag, il parlamento tedesco, durante la votazione sull'adesione tedesca al fondo europeo di stabilità (i prestiti che, secondo la Ue, servirebbero ad aiutare gli stati in crisi nella zona euro). Nell'ordine delle priorità politiche nazionali, va sottolineato nazionali, l'agenda setting dell'informazione generalista, quella che connette un paese, va radicalmente cambiata. Questa quota 315 per l'Italia era molto più importante della stessa raggiunta dalla maggioranza di Berlusconi. Senza il 315 tedesco l'euro si sarebbe dissolto catastroficamente, e qui il problema non è tanto la fine di una moneta ma le sue modalità di esaurimento, nel giro di poche settimane. Come è molto più importante per l'Italia capire, dopo il voto al Bundestag, come effettivamente verrà definito questo fondo piuttosto che il dibattito su chi sarà il governatore della Banca d'Italia dopo la fine del governatorato Draghi. Così per interessi di rendita economica e di potere nell'occupazione di ruoli istituzionali, per provincialismo dei media, la cronaca parlamentare e quella sulle nomine occupano uno spazio spropositato nel mainstream della comunicazione italiana. Non c'è da stupirsene in un paese dove l'analfabetismo reale, che non è più il non saper leggere e scrivere ma il saper usare le piattaforme di comunicazione, è straordinariamente diffuso.
Ma senza la massa d'urto, comunicativa e politica, delle priorità in politica estera difficilmente questo paese esce dal declino in cui si trova. E non è questione, solo o tanto, di petrolio, di gasdotti, di energia. Senza una posizione chiara, forte e pubblica dell'Italia sul fondo di stabilità, sul futuro delle istitituzioni europee il commissariamento reale di questo paese durerà a lungo. Con il conseguente saccheggio delle risorse nazionali, offerto gentilmente sul piatto da Tremonti con il piano di dismissioni dei beni pubblici, da parte chi vorrà servirsene in Europa e nel mondo. Senza una politica internazionale pubblica e codificabile da tutto il mondo trovarsi in una nuova guerra, e finire di impantanarsi in Libia, sarà automatico come respirare.
E qui non si può solo accusare il berlusconismo, che del provincialismo ha fatto materia di consenso elettorale. I quattro principali leader delle opposizioni non dicono, da sempre, una parola in politica estera. Sono espressioni di maschere regionali della comunicazione. Delegando alla spettrale figura del presidente della repubblica la celebrazione dell'assenza di una visione in politica estera, e il commissariamento reale di questo paese, dietro la tetra formula degli "impegni assunti dall'Italia". Che variano dai tagli feroci alla spesa pubblica alle guerre in Afghanistan o in Libia.
Un paese senza una politica estera pubblica e chiara non è un paese. E infatti: mentre quota 315 serviva al ministro Romano per affermare che la sua famiglia è incensurata da sette generazioni (lo era anche quella Dillinger tra l'altro) la stessa quota serviva alla maggioranza moderata del Bundestag per definire un passo che, qualsiasi sia il futuro che ci aspetta, è decisivo per la forma dell'UE. Intanto in Italia si dibatteva sulla ventenne fidanzata di Berlusconi.
Davvero quando si guarda al ceto politico italiano, di qualsiasi schieramento, viene a mente la frase di Seneca che recita "la ricchezza non ha decretato la fine delle loro miserie ma solo un cambiamento". Il problema è che appaiono tutti ben decisi a ridurci noi in miseria, quella materiale.

per Senza Soste, nique la police
30 settembre 2011

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