giovedì 3 maggio 2018

FINITA L'ETA?E LA REPRESSIONE?


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Uno dei gruppi armati rivoluzionari più conosciuti a livello europeo e che più ha segnato decenni di storia di una nazione che è occupante e sfruttatrice,la Spagna,sembra proprio abbia messo la parola fine alla sua storia politica con un annuncio che si attendeva da un anno dopo che l'Eta,Euskadi Ta Askatasuna(Paese Basco e Libertà)aveva annunciato il disarmo.
Altri comunicati non erano nemmeno stati presi in considerazione come quello del 2012(madn comunicati-non-ascoltati )che già allora chiedevano il ritorno di tutti i prigionieri politici in terra basca,delle basi di dialogo per un data sul disarmo(avvenuto ugualmente come detto sopra)e per smilitarizzare uno dei territori più occupati dalle forze di polizia di tutto il mondo.
Un controllo imposto da uno Stato che non ha mai fatto i conti con un franchismo che ancora permea una parte della politica e praticamente tutto l'esercito e le forze di polizia comprese quelle regionali che si distinguono nelle varie province basche e anche nell'altra regione"ribelle"della Catalunya.
Il primo articolo(www.infoaut.org/approfondimenti )parla espressamente della fine ufficiale di ETA come voce armata della politica e dell'autodeterminazione della popolazione basca avvenuta in maniera unilaterale,mentre il secondo come promesso in un post di poco tempo fa(www.qcodemag.it/2018 )uno dei tanti esempi vergognosi della repressione spagnola nei confronti degli abitanti di Euskal Herria,quello dei giovani di Altsasu in Navarra accusati di terrorismo per una rissa con sbirraglia della Guardia Civil.
I casi di repressione,di torture,di arresti con il pretesto del terrorismo per avere fatto propaganda con volantinaggi,per avere organizzato lotterie per autofinanziare viaggi presso le carceri più lontane dove c'è la dispersione dei presos baschi e per pagare gli avvocati della difesa,sono tanti e indecenti per un paese europeo.
Gli arresti di rappresentanti sindacali e politici(Rafa Diez e Arnaldo Otegi su tutti),di personalità legate al mondo solidale(Herrira),il sequestro coatto di 111 Herriko Taberna(i bar del popolo),ragazzi spariti e probabilmente morti ammazzati,altri arrestati in tutta Europa(anche in Italia come Lander),detenuti politici malati terminali cui non sono è stato concesso alcun beneficio,gli stessi avvocati arrestati come quelli che dovevano difendere i giovani compagni di Segi,sono delle brutture che non si possono cancellare.
Mi auguro che la militanza politica e l'immenso collante che fa della società basca un esempio da seguire ovunque per la lotta al capitalismo,contro le violenze poliziesche e sulle donne,per la propria autodeterminazione,per la lotta con una nazione fascista(madn la-guerra-dichiarata-da-madrid-ad.Euskal Herria )non può e non deve finire.
Un augurio fraterno a tutti gli amici e le amiche basche che in questi anni hanno lottato in tutti i modi per la propria libertà in questo pezzo di Europa splendido ma spesso dimenticato e insabbiato anche da parte del solito giornalismo alla mercé dei potenti e dei regimi,affinché possano riuscire a raggiungere i traguardi che i loro padri e madri,nonni e nonne non hanno ottenuto con l'apporto dell'ETA.
Che comunque,ognuno la pensa alla propria maniera visto che si parla anche di azioni violente(di risposta ad altre molto peggio)con feriti e morti,ha fatto la storia ed è riuscita ad entrare nei cuori e nelle anime di parecchie persone,sia combattenti che simpatizzanti,sia all'interno di Euskal Herria che al di fuori dei propri confini,perché pensare un movimento di sinistra anticapitalista che guarda solo dentro le sue frontiere non è nemmeno da fare.

Il destino di un piccolo pezzo d’Europa a forma di cuore. Un commento sulla fine definitiva di ETA.

Da Bilbao.

Oramai é certo.
ETA, la storica Organizzazione della sinistra rivoluzionaria e indipendentista basca ha deciso lo scioglimento e smobilitazione definitivi. I prossimi 5 e 6 maggio, in Iparralde (i Paesi Baschi nella parte francese) in un atto che si presume avrà un carattere di grande rilevanza internazionale, verrà fatta la dichiarazione ufficiale. 50 anni dopo la sua nascita nel pieno della dittatura franchista, a distanza di 7 anni dalla decisione unilaterale di abbandonare la lotta armata, si conclude un processo politico che ha coinvolto - insieme ai militanti in clandestinità ed i prigionieri politici - importanti pezzi della società basca in questi anni. Per quanto annunciata, questa decisione non toglie nulla alla importanza storico-politica, che rappresenta.

A differenza di quello che accadde in Irlanda e recentemente in Colombia (con tutte le problematiche e difficoltà che ognuna rappresenta) lo stato spagnolo ha cercato in ogni modo di mantenere ed alimentare la esistenza di Eta, nella necessaria costruzione di un eterno "nemico interno" che potesse giustificare i livelli abnormi di criminalizzazione e repressione contro ogni forma di dissidenza. Una strategia che ha partorito, paradossalmente proprio in questi ultimi anni in cui é finita la lotta armata, una quantità di atti libertici nei Paesi Baschi e nel resto dello Stato. La fiamma della emergenza "antiterrorista" deve essere mantenuta sempre viva: quello che sta avvenendo in Catalogna in questi mesi ne è ulteriore paradigma di conferma…

Restano nelle carceri spagnole e francesi, oramai ostaggi di una guerra finita, ancora alcune centinaia di prigionier* politic*, il cui futuro resta ancora avvolto in un limbo fatto per molti, di centinaia di anni. Così come la battaglia sulla "narrazione" di quel che é stato il conflitto armato di questi decenni è terreno di una feroce battaglia da parte delle destre e del mainstream mediatico: una Vandea tesa a riscrivere la storia non solo del perché più generazioni abbiano fatto l’estrema e dura scelta di impugnare le armi, bensì di decenni di lotte resistenza, movimenti di massa, cicli di contropotere ed organizzazione popolare nei territori di quella che, nelle potenti caverne della Spagna monarchica erede del franchismo, è ancora considerata come "provincia ribelle" (a cui oggi Catalunya fa compagnia...).

Finisce dunque non solo una singola esperienza (con tratti originali e differenti dalle altre esperienze europee di avanguardismo armato), quanto una intera epoca con le sue forti connotazioni politiche, però anche sociali, culturali, artistiche, musicali… quel mondo attraverso il quale un antico conflitto nel cuore d'Europa riusciva a parlare (ed anche affascinare) ampi settori protagonisti delle lotte rivoluzionarie che hanno agito nelle "viscere della bestia", quelle di Monsieur le Capital.
Finisce anche (e purtroppo già da tempo) quella capacità dei gruppi dirigenti della sinistra indipendentista di interpretare il reale, far analisi di classe, tessere reti solidali, innervare ogni ambito della società di critica radicale e lotta.
È di questo, più di ogni inutile retorica nostalgica a venire, che si sente più la mancanza nei quartieri, nei paesi e nelle piazze di questo piccolo pezzo d'Europa a forma di cuore che sono i Paesi Baschi.

Nicola Latorre, militante internazionalista.

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Alsasua, la morte del diritto

Una rissa avvenuta tra locali e Guardia Civil, a poca distanza da Euskadi, si è trasformata in un caso che molti considerano di persecuzione giudiziaria

di Alessandro Ruta, da Pamplona

Da oltre cinquecento giorni la cittadina di Alsasua, in Navarra, a pochi chilometri dal confine con la Comunità Autonoma di Euskadi, vive dentro un incubo.

Più precisamente dalla notte tra il 14 e il 15 ottobre del 2016, quando in uno dei bar del centro di questo paesone si innescò una rissa che coinvolse due agenti fuori servizio della Guardia Civil con le loro compagne e alcuni giovani del borgo.

La più classica delle situazioni post-sbronza, sembrava. Qualcuno che alza troppo il gomito, parole che volano e spintoni. Non si è mai capito come si sia davvero sviluppata la faccenda; in compenso si sa molto bene quello che è successo dopo.

Un evento locale è arrivato fino a Madrid, nel momento in cui il “delitto di odio”, secondo il codice, è stato modificato in “delitto di terrorismo”, da parte dell‘Audiencia Nacional, il tribunale supremo spagnolo con sede nella capitale spagnola che aveva preso in carico l’indagine dai colleghi di Pamplona.

Un tribunale che ha ascoltato in pieno la denuncia depositata dal CoViTe (Collettivo Vittime Terrorismo), l’associazione basca che raggruppa 400 famiglie di persone uccise da Eta o dai Gal, e che fin dall’inizio della vicenda è stata dalla parte degli agenti della Guardia Civil e contro un “certo tentativo di manipolazione da parte della Sinistra Indipendentista Abertzale”.

L’Audiencia per gli otto accusati ha chiesto in totale 375 anni di carcere: si va, singolarmente, da un minimo di 12 anni e mezzo fino a 62.

Nel frattempo tre dei presunti assalitori da un anno e mezzo sono rinchiusi nelle carceri di Navalcarnero, Aranjuez ed Estremera (tutte e tre nella Comunità di Madrid). Prigione preventiva, ad alimentare il già folto gruppo degli “Euskal presoak” dispersi per mezza Spagna, lontanissimi da casa loro.

Questa settimana inizierà a Madrid il processo nei confronti degli otto accusati e sarà un dibattito di due settimane sul filo della tensione. La stessa che negli ultimi sedici mesi ha toccato direttamente Alsasua, descritta a volte in maniera sprezzante, come una sorta di covo di terroristi, e che si è ritrovata al centro dell’attenzione dall’oggi al domani.

Tuttavia sabato scorso a Pamplona, il capoluogo della Navarra, una grande manifestazione ha ribadito con forza la richiesta di un processo equo e di pene proporzionate. “Justizia” era lo slogan che circolava per le strade della città dei Sanfermines: 50mila i partecipanti secondo gli organizzatori, 40mila per la polizia.

Comunque una grande risposta di popolo, dato che in città sono giunte persone da ogni parte di Euskal Herria, più rappresentanti del parlamento spagnolo ed europeo. Alcuni manifestanti sono giunti perfino dalla Catalunya.

Tutti in appoggio ai ragazzi di Alsasua e ai loro genitori, rimasti travolti per primi dall’incubo di quella notte, e che subito dopo la manifestazione sono partiti in direzione di Madrid. Bel, mamma di Adur, uno degli accusati (per lui la richiesta è di 50 anni di galera) ha affermato con le lacrime agli occhi che “Se siamo ancora in piedi è grazie al sostegno di persone come queste”.

La mobilitazione è stata indubbiamente enorme e significativa l’immagine di Plaza del Castillo stracolma di gente che gridava come i ragazzi di Alsasua non fossero affatto dei terroristi e che non si possono fare oltre sessant’anni di prigione per una rissa in un bar.

“E’ tutto sproporzionato – continua un altro genitore -, l’Audiencia Nacional ha persino impedito ai nostri avvocati di presentare dei testimoni a nostro favore. La questione non è essere a favore di una parte o dall’altra, ma della necessità di un giusto e imparziale processo. La sensazione è che questo debba essere un castigo, o una punizione, più che un giudizio. Nel 2016 ci sono stati, secondo una fonte del Ministero dell’Interno, 9571 casi di litigi o risse con degli agenti della Guardia Civil, ma solo il nostro è stato classificato come terrorista”.

Amnesty International, che sarà presente al processo di Madrid, ha chiesto, per questo, che si ritiri l’accusa di terrorismo per gli otto ragazzi, l’organizzazione Fair Trials ha denunciato l’assenza di diritti fondamentali per gli accusati, e dal Parlamento Europeo il vicepresidente della Commissione, Frans Timmermans, ha ammesso di “seguire con attenzione il caso”.

In 100mila hanno firmato il un manifesto che appoggia le rivendicazioni della piattaforma, costituita appositamente, “Altsasukoak aske” (“quelli di Alsasu liberi”): tra questi, 194 professionisti del diritto, 88 parlamentari nazionali e 52 europei.

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