sabato 14 novembre 2015

INDIGNARSI.SEMPRE!

Oggi non si può che parlare degli attentati Isis avvenuti ieri a Parigi e che hanno causato per ora 128 vittime innocenti che stavano vivendo tranquillamente la loro vita e la loro serata,chi in un ristorante,chi per strada,chi al bar o a un concerto.
E parlarne senza continui richiami alle guerre religiose,oggi tutte le brave persone di tutto il mondo sia essi preghino Dio,Allah o Yahweh,chi crede alla reincarnazione,agli alieni alla natura,alla scienza o che non creda affatto non può che indignarsi e lasciare un pensiero rivolto a queste morti assurde.
Ma sbaglia chi lo fa solo oggi o a comando,indirizzato dai media e dai social networks e non dal cuore e dalla coscienza,poiché chiunque prova orrore solo oggi vive col paraocchi e forse anche inconsapevolmente vive una vita dettata dagli umori degli altri e non di se stesso.
Perché dobbiamo indignarci tutti e sempre per tutto quello che accade di terribile e di orrido e perfido al mondo,sennò tanto vale non indignarsi affatto,non provare tristezza e commozione mai nella vita piuttosto che essere burattini guidati dalle emozioni del gregge.
Tralasciando le ondate di ignoranza che potrebbero invadere le discussioni odierne e dei prossimi giorni in quanto anche nel nostro piccolo quotidiano pariamo ed interagiamo con persone che non cambiano molto dai macellai che hanno insanguinato ieri Parigi(a loro mancano solo l'arma tra le mani e una scusa o possibilità e basta),ed è per questo che nel futuro a brevissimo raggio è meglio che legga poco sui socials,un poco di storia per capire quello che è successo ieri,sbagliatissimo e non c'è altro termine per affermarlo,è accaduto.
Partendo dai contributi odierni presi da Infoaut e dall'Espresso con l'intervento odierno al Tg 3 speciale di mezzogiorno di Massimo D'Alema che mi ha stupito positivamente(http://espresso.repubblica.it/palazzo/2015/11/14/news/parigi-sotto-attacco-d-alema-chiede-la-guerra-bisogna-schiacciare-l-is-1.239032 )che fanno un'analisi più ampia e che non si limitano alle solite e note dichiarazioni razziste di leader politici che oggi non voglio neanche ricordarne il nome.
Siamo tutti d'accordo che negli ultimi decenni e credo che parlare dalla fine degli anni ottanta possa essere alquanto preciso,che la maggior parte delle guerre al mondo e soprattutto quelle che hanno interessato il Medio Oriente,siano state create ad arte dagli Usa.
Partendo dai lauti aiuti in armi e denaro forniti ai talebani afgani per aiutare l'Afghanistan a combattere contro i russi con un Osama Bin Laden creato non dal nulla ma direttamente dalla Cia,passando al conflitto iracheno-iraniano che ha visto Saddam Hussein stavolta essere il privilegiato di turno.
Per poi arrivare alla Guerra del Golfo con Bush senior,uno dei nomi altisonanti se non il principale responsabile di ciò che sta accadendo di marcio oggi nel mondo mediorientale,che in successione col figlio stavolta combattono i vari Saddam e Bin Laden foraggiati da loro stessi perché gli eventi della storia sono cambiati,sempre in peggio.
Fino ad arrivare all'undici settembre e ad una guerra totale dall'Iraq al Pakistan con la scusa di stanare i responsabili del massacro newyorkese e nel tentativo vano e scellerato(e certificato negli ultimi mesi anche da Downing Street con le dichiarazioni di Blair che afferma che si erano inventati tutto)di trovare armi di distruzione di massa.
Arriviamo quindi al passato recente che è avvenuto a ridosso delle primavere arabe di inizio decennio e che hanno sconvolto l'organigramma politico dalla Tunisia passando per Libia,Egitto ed arrivando su fino in Siria,con l'avvento dell'esercito islamico anch'esso nato disgraziatamente per opera degli Stati Uniti.
Tutte queste guerre sono state generate per fini economici e politici dagli Usa,e se per i primi scopi è il petrolio il principale attore,c'é Israele nel secondo punto:e dietro tutti gli altri Stati alleati,il fronte occidentale europeo e mondiale che è intervenuto per le guerre degli altri versando sangue e denaro affinché gli altri potessero trionfare(cosa che non è ancora accaduta visto la storia recente).
Ricordo ancora ed è d'obbligo,almeno parlando dell'Italia,che il nostro intervento diretto è figlio del debito che abbiamo con gli Usa per averci dato una grossa mano per averci liberato dal giogo nazifascista,è sempre utile sottolinearlo.
Quel che è emerso negli ultimi mesi e anni,e a sentire alcuni interventi odierni sembra che la voce si stia espandendo e radicando,è che di fatto si sta costruendo una coscienza appunto sul fatto che gli Usa siano la prima causa di questo conflitto e di tutti gli attentati e le fughe di massa dei disperati che sta arrivando in Europa.
E che bisogna smetterla di tenere il piede in due scarpe alleandosi con degli Stati che stanno finanziando in certi casi anche spudoratamente ed alla luce del sole questi movimenti di integralisti islamici e che stanno bombardando gli unici che tentano la difesa via terra delle milizie dell'Isis.
Parlo principalmente dell'Arabia Saudita e della Turchia,con la prima nazione della quale avevo parlato proprio martedì(http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2015/11/renzi-darabia.html )con Renzi alla corte dei sovrani arabi che stanno facendo scempio dello Yemen da mesi e che ribadisco non rispettano i diritti fondamentali dell'uomo e in primis della donna e che finanziano i gruppi integralisti islamici.
Poi c'è la Turchia che sta bombardando da anni i curdi che sono gli unici assieme alla Russia,all'Iran e agli hezbollah che stanno tenendo a bada l'Isis nei territori siriani,con i due Stati citati che stanno subendo pesanti embarghi e restrizioni da parte dell'occidente e il gruppo guerrigliero sciita che è considerata un'organizzazione terrorista alla pari del Pkk curdo.
Parlando di Siria c'è da aggiungere che è il principale territorio dell'autoproclamato califfato islamico e che l'Isis poi ha attivisti principalmente in Libia,in Nigeria con Boko Haram e seguaci nel mondo estremista islamica in tutto il Medio Oriente e in molti paesi africani oltre che le cellule in ogni dove al mondo.
Al momento non mi viene più nulla da scrivere ma sicuramente ci sarà tempo per farlo nei prossimi giorni anche per via del delinearsi nella situazione parigina e viste le reazioni mondiali a questi atti di vile violenza che fanno male innanzitutto a tutte le brave persone musulmane.
Pensando ancora ad un articolo sempre scritto in settimana,stavolta mercoledì(http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2015/11/cera-una-bomba-sullairbus-russolo.html ),non mi sembra che ci sia stato tutto questo sgomento e questo pathos per le vittime russe dell'abbattimento dell'aereo sul Sinai,che comunque ha avuto come conta delle vittime quasi il doppio di quelle di ieri,invitando quindi ad indignarsi sempre per tutte le atrocità e le ingiustizie del mondo.

Attacco a Parigi. Contributi [in aggiornamento]
Mentre proviamo a ragionare sui fatti di Parigi, mentre cerchiamo di non "essere parlati" da retoriche che non ci appartengono, cominciamo col proporre qualche contributo che dia le coordinate per sviluppare un discorso di parte che rompa con gli appelli all'unione nazionale e alla guerra santa.

Buongiorno, Bambini

di Giuseppe Genna (pagina FB)
Nel baillamme di reazioni gastroenteriche, a cui questa fase del digitale fornisce la più meschina delle microvisibilità e che davvero mette a nudo una cifra notevole di ciò che l'occidente suppostamente sviluppato è in realtà, mi asterrei dallo scrivere qualunque cosa. Se lo faccio, è perché ho potuto studiare, vent'anni orsono, lo sviluppo di una questione che riguarda il continente che abitiamo. Tali studi condussero a riflessioni, le quali costituirono una delle strutture narrative, del tutto antiletteraria, di un mio libro assurdo, l'orrendo thriller che si intitolava "Gotha" e Mondadori reintitolò "Non toccare la pelle del drago". La questione è lo stato di guerra perenne che l'occidente cosiddetto sviluppato pone come protocollo di colonialismo, soft solo in apparenza, ovunque nel globo, in un passaggio storico che realizza effettivamente il crollo del recente passato bipolare (il 1989 è ieri, secondo i parametri storicamente più assennati). Ciò che le coalizioni occidentali, anzitutto euroamericane, compiono in Medioriente e nelle zone di dissesto a matrice variamente islamica, purtroppo, non è che emerga con continuità in effetti a vantaggio della pubblica opinione. Per esempio, non è che tutti sappiano cosa gli occidentali hanno fatto coi droni ai bambini in Yemen: un massacro devastante, al cui confronto le stragi di Parigi sono un'aggressione irrilevante dal punto di vista militare. Ci si potrebbe informare in proposito, all'istante, dando un senso alla propria commozione per i fatti di Francia, che in queste ore giustifica la deresponsabilizzazione collettiva praticata inconsultamente quando i fatti di Francia non accadono, andando a vedersi quel capolavoro che è "Dirty Wars": https://en.wikipedia.org/wiki/Dirty_Wars. Il passaggio dal mondo bipolare a una geopolitica così cangiante da non essere nemmeno più geopolitica, come dimostrano i fatti in Libano di qualche anno addietro, così come il prezzo del mantenimento di una colonia di controllo e di un asse geopolitico fondamentale per l'occidente, quale Israele nei fatti è anche, comporta che la guerra sottotraccia non solo si intensifichi a livelli di impercezione, per via dell'estensione, coordinata o meno, del suo raggio - ma impone anche un'intensificazione temporale, ovvero che la guerra sia stabilmente intronata come attività quotidiana della vita stessa di quella massa di masse che l'occidente incarna. In questo protocollo di esistenza politica, il soggetto individuale sperimenta un paradosso assai innovativo e tuttavia perenne nell'interminata storia del potere: uno è attivo politicamente senza accorgersene. Qualunque francese è di fatto da anni in stato di guerra, anche se non richiamato al fronte, poiché la guerra è uscita dalla manifestazione pesante e dura che ebbe nel Novecento e il fronte oggi è nebulizzato. Ogni francese sta combattendo in Mali, ogni francese sta sganciando bombe in territorio siriano, ogni francese continua a opporsi alle più varie falangi in Iraq. La normale esistenza quotidiana del parigino medio non contempla la sensazione e nemmeno la sensibilità rispetto a questo stato di cose, così come non è percepita la sensazione di essere agenti effettivi di un massacro roboante e continuo e sempre "esterno" per via dei consumi che ci si permette di praticare a Parigi come a Roma come a New York. Grondi sangue e non te ne accorgi. La reazione vociante di chi oggi grida all'umanità sotto attacco, e cioè qualunque osservatore che abbia accesso ai mezzi informativi, è non soltanto ipocrita, ma essa stessa è un atto di belligeranza all'interno di un protocollo bellico che ha raggiunto lo stato atmosferico: sono, in pratica, opinioni funzionali allo sviluppo del conflitto perenne. In ciò risulta sommamente ridicolo e proditoriamente tragico il fatto che un intero continente non si doti delle strumentazioni necessarie a sostenere quanto fa: ovvero la guerra. Il fatto che l'Europa attenda da vent'anni di costituire le proprie strutture di intelligence militare unica, per esempio, fa ridere qualunque militare. E' ciò che pagano i servizi segreti francesi, il cui fallimento sul campo è pari esattamente a quello degli americani nel 2001. Ora, è chiaro che possono esserci fondati sospetti su quanto l'intelligence Usa fece e disfece ai tempi delle Torri Gemelle; però lo stesso non si può dire degli apparati francesi, a nemmeno un anno dai fatti di Charlie Hébdo. Il fallimento delle funzioni difensive interne è del tutto proporzionale all'intensità con cui si attacca l'esterno. Sono i paradossi storici della guerra asimmetrica e non ci vuole molto a comprenderli, mentre ci vuole molto a tollerare umanamente questa situazione per nulla intricata e facilmente leggibile. Anche in questo caso si misura la vaporizzazione del testo e della leggibilità testuale del mondo. Uno pensa che stia andando giù la letteratura, ma sbaglia: sta andando giù la percezione di essere al mondo, con tutte le responsabilità che comporta stare in questo mondo, che mangia vegano e legge on line del razzo con cui un drone avrebbe incenerito Jihady John, senza sapere nulla e perché e percome. In questa fenditura, l'intellettuale politico ritrova la consistenza di parte del suo studio e di metà del suo in interrotto discorso.
Buongiorno, bambini.

La Francia si è importata la guerra in casa. Ora tocca all’Europa?

di Redazione di Senza Soste

“Ci accingiamo a condurre una guerra che sarà spietata”. Dal discorso in diretta tv alla nazione del presidente francese Hollande, tarda serata di ieri.

Parigi, se guardiamo agli ultimi trent’anni, è già stata colpita da diverse tipologie di attacchi. Nel 1986, ad esempio c’è una serie di attentati (bombe che colpiscono negozi di lusso e magazzini popolari) legati alla richiesta di liberazione di un militante di una importante fazione libanese. Poi ci sono gli attentati della metà degli anni ’90, legati alla vicenda dell’appoggio francese al colpo di stato algerino, che provocano diversi morti. Esplosioni di bombe rudimentali non certo con attacchi coordinati come quelli di venerdì 13.

Anche allora, come per Charlie Hebdo, la retorica della restrizione della sorveglianza, dello stanare i terroristi, della mano ferma che deve colpire anche all’estero se necessario ovviamente si è sprecata. Il punto è che, da almeno trent’anni, tutte le grandi criticità del medio oriente, in un modo o in un altro, hanno finito per manifestarsi sul suolo parigino. Da quelle rappresentate dagli sciiti del 1986 ai filo-sunniti della strage Charlie Hebdo. C’è solo da stupirsi del fatto, con la Francia in testa al bombardamento della Libia del 2011, non sia accaduto a Parigi qualcosa di direttamente proveniente dal paese nordafricano. Sugli attentati di venerdì 13, rispetto al passato anche recente, possiamo notare un salto di qualità. Stavolta la Francia rischia non tanto di importare attentati ma proprio una guerra in casa. E di esportarla in Europa.

Senza cercare di analizzare i dati e i fatti che neanche le autorità francesi hanno (provenienza reale degli attentatori, organizzazione del gruppo, logistica, fiancheggiamenti) è evidente, dalle testimonianze di chi era, ad esempio, al Bataclan che il legame tra attentati a Parigi e situazione siriana ed irachena l’hanno fatto gli stessi attentatori. Mentre sparavano agli ostaggi accusando Hollande di essere responsabile di tutto questo.

Ora, che in Siria la situazione sul campo, dopo l’intervento della Russia, sia cambiata è evidente. Come lo è quella dell’Iraq, con un’offensiva anti-Isis che si sta davvero formando. Senza applicare con fretta magliette e sigle agli attentatori, sia perché gli stessi francesi sono cauti sia perché l’attribuzione in questo contesto è sempre complessa, è evidente che i contraccolpi di queste mutazioni sono finiti in Francia. Non sotto la forma di un attentato classico ma sotto quella di un attacco coordinato - kamikaze allo stadio, esecuzioni di chi mangiava al ristorante, presa di ostaggi a teatro- che porta l’intero scenario parigino in zona di guerra. Del resto la guerra asimmetrica, come si sa da un ventennio, prevede attacchi classici nel paese più piccolo e risposte, in termini di attacchi alla popolazione, nelle strade del paese più grande. L’attentato allo stadio dove si giocava (da non dimenticare) Francia-Germania lo si è trascurato forse perché è sostanzialmente fallito. Tre kamikaze, rispetto alle potenzialità di un attentato del genere, hanno prodotto una tragedia a bassa intensità di morti. Ma ad alta intensità simbolica, a parte le scene dell’invasione di campo dei tifosi impauriti (rovescio dell’hooliganismo), con un messaggio preciso alla Germania.

Il punto sta quindi tutto sulla diffusione di questo atto di classica guerra asimmetrica. Se rappresenta il culmine di una strategia, fatta di attacchi coordinati, o l’inizio. Se rimane confinato in Francia, o all’abbattimento dell’aereo russo pieno di turisti, o si estende in Europa. Se risulta efficace sullo scenario siriano e iracheo o solo simbolico. Se rappresenta una risposta spettacolare alla perdita di eroi dello spettacolo bellico sul campo (Jihadi John tra tutti) o una precisa strategia militare di indebolimento della forza dello stato francese.

L’altro punto è che gli europei, presi nelle rispettive dimensioni autoreferenziali, non hanno capito bene di essere in guerra. A Parigi in tre casi – rue Bichat, Bataclan, stadio Saint Denis – i testimoni hanno raccontato di aver creduto, all’inizio, che si trattasse di petardi piuttosto che di sparatorie. E’ uno degli effetti del muro cognitivo che separa gli europei dai fatti che li riguardano: la crisi più importante dal ’29 sterilizzata in rappresentazioni fatte di grafici, e di dichiarazioni rassicuranti, che non capisce nessuno; Il medio oriente rappresentato solo come argomento di conferenze di pace che non finiscono mai. Per questo le ondate di profughi sono viste con particolare angoscia: portano addosso quel rimosso della crisi e della guerra che non si razionalizza altrimenti, tramite i discorsi ufficiali.

La situazione è talmente dura, e maledettamente complicata, che non valgono nemmeno le risposte tradizionali. E’ impossibile la pratica di un pacifismo tradizionale Peace & Love quando dall’altro lato del mediterraneo hai Isis. Infatti, saggiamente i movimenti appoggiano il popolo curdo. Mentre arcobaleno e arancioni di ogni origine balbettano già formule senza senso che tornereanno utili per legittimare le retoriche della guerra umanitaria.
redazione, 14 novembre 2015

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Parigi sotto attacco, D'Alema chiede la guerra: «Bisogna schiacciare l'Is»

Non il mondo islamico, che anzi è vittima dell’Is, ma il fondamentalismo. Massimo D’Alema indica il nemico e auspica «una conferenza internazionale». Ma avverte: «Lo scontro con l’Is va risolto con la forza»
di Luca Sappino
 
«Abbiamo fatto una scoperta forse tardiva», dice Massimo D’Alema intervenendo al Tg3, commentando i fatti di Parigi: «Qualche giorno fa», ricorda l’ex presidente del Consiglio, «l’Isis ha abbattuto un aereo russo, e non possiamo fare finta non sia stato così». Per D’Alema la risposta deve quindi essere dura, perché «la minaccia non può essere contenuta». «È in corso una guerra», dice, «e quando c’è una guerra bisogna organizzarsi per vincerla».

Indica i passaggi da fare, D’Alema: «Credo si debba prima di tutto avere un’idea chiara di chi è il nostro nemico che va individuato con precisione e non in modo confuso». «Il nostro nemico», dice D’Alema a Bianca Berlinguer, «non è il mondo islamico in generale, che anche sarebbe complicato, ma Daesh e Al Qaida anche, la frangia estremista del fondamentalismo». Frangia, dice D’Alema, «che è il problema del nord del Mondo, dell’Occidente e della Russia, ed è il nemico però anche del mondo islamico, dove - è bene ricordare - ci sono state le principali offensive, i massacri, gli stupri di massa. Pensiamo a cosa è stato fatto contro i curdi».

«Bisogna cercare la collaborazione con tutti quelli disposti a combattere questi nemici», prosegue D’Alema. Poi bisogna «schiacciare l’Isis» che rispetto a Al Qaida ha una novità, «l’ambizione territoriale, l’esistenza di alcuni nuclei di califfato che hanno peraltro una forza di attrazione e mobilitazione anche sui giovani europei. Una parte dell’Iraq, una parte della Siria, una piccola parte della Libia. Lì c’è l’Isis, lì bisogna schiacciarli, non con bombardamenti, ma eliminandoli da questi territori».

Non teme paragoni con Matteo Salvini, le cui parole non vuole neanche commentare, D’Alema: «Stiamo parlando di cose serie», dice, «non vorrei mischiarci Salvini». «Da una parte», aggiunge però, «è ovvio che lo scontro con l’Isis va risolto con la forza, perché non mi pare vogliano raccogliere appelli. La discriminante è nell’uso della politica e dell’intelligenza».

Un intervento di terra, per D’Alema, potrebbe anche non esser necessario, «forse è sufficiente un apporto ai curdi, ma sono questioni che devono essere viste». «Non è accettabile», dice ad esempio, «che uno Stato della Nato come la Turchia attacchi sistematicamente i curdi. È arrivato il momento di dire che la priorità è combattere l’Isis». «Quando si fanno le guerre, ci si mette attorno a un tavolo, si elabora una strategia», dice ancora D’Alema, che precisa che «lo scenario non è quello dell’occidente che combatte l’Isis, ed è quindi fondamentale che ci siano i musulmani, per non cadere nella trappola della guerra di religione». Pensa all'Arabia Saudita, D'Alema: «È una guerra contro la barbarie».
 

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