domenica 19 agosto 2018

LA CRISI ECONOMICA TURCA


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Da una decina di giorni la Turchia è in balìa di un turbine di vicissitudini economiche che hanno fatto sì che la Lira,la moneta nazionale,si sia svalutata contro tutte le altre e si sia avviato un processo di impoverimento a carico del sultanato di Erdogan che comprensibilmente si è infuriato attaccando soprattutto gli Usa che con i loro dazi imposti su acciaio e alluminio turco hanno affossato ancora di più un'economia già non in gran forma(vedi anche:madn la-guerra-dellacciaio-e-dellalluminio ).
Negli articoli proposti da Contropiano(crollata-la-lira-turca e turchia-le-agenzie-di-rating-si-scatenano )gli effetti dell'improvvisa caduta della Lira turca e i tagli delle agenzie di rating con una previsione di ulteriori peggioramenti,e le minacce turche di cercare nuovi alleati,quelli che fino a pochi mesi fa sembravano nemici(Russia)oppure altre nazioni come la Cina da sempre in rapporti tesi con gli Usa.
Questi ultimi si erano riavvicinati con l'amministrazione Trump visto che con la precedente di Obama(madn il-tiramolla-emozionale-tra-washington e ankara )c'erano stati enormi contrasti,salvo poi il cambio di politica verso Ankara soprattutto per difendere l'economia statunitense:da tutto questo anche l'inaspettata solidarietà iraniana,più contro gli Usa che a favore della Turchia a dire la verità,con l'accusa verso i primi di perseguire il loro domino con sanzioni e bullismo(vedi:ansa iran-raddoppio-dazi-usa-una-vergogna ).
Altro punto importante è il rapporto con l'Europa che ha dato milioni di Euro per stoppare l'ingresso di milioni di migranti,con Erdogan col coltello dalla parte del manico e che sicuramente userà questa situazione a proprio favore con minacce e ricatti.

E’ crollata la lira, turca. Gli effetti arrivano in Europa.

di  Alessandro Avvisato 
Le crisi esplodono lì dove non te lo aspetti. La lira turca ha perso il 19% sul dollaro e l’euro. La borsa dopo un avvio calmo ha imboccato la strada del ribasso e l’indice Bst ha accusato un tonfo del 4,70% con i principali titoli del settore bancario che lasciano sul terreno tra il 7 e il 9%.

La crisi si è riflessa anche sui titoli di Stato con rendimenti che sono schizzati ai massimi storici. Il titolo con scadenza a un anno mostra un rendimento del 21% il triennale ha superato il 23%. L’effetto Turchia si è abbattuto anche sulle borse europee (in modo particolare Milano, Francoforte, Parigi, in misura minore Londra). La Borsa di Milano ha accusato una caduta del 2,80%. Lo scivolone della Borsa di Milano è alimentato dal comparto bancario con UniCredit che lascia sul terreno oltre il 6% per la sua esposizione in Turchia ma ribassi rilevanti anche per Intesa Sanpaolo con un -4,95% e Ubi -4,65%. L’Unicredit possiede il 41% della banca turca Yapi Credi Bank.

Il contagio turco non ha risparmiato i titoli di Stato con il rendimento del Btp a 10 anni in salita al 2,96% mentre si allarga lo spread con il Bund a 260 punti per effetto della corsa agli acquisti sul decennale tedesco. Sulla crisi turca pesano indubbiamente le aspettative sull’inflazione che, dopo aver già raggiunto il 15% nel mese di luglio, potrebbe continuare a salire se – come pare – la presidenza eserciterà pressione sulla banca centrale affinché i tassi restino bassi. Ciò porterebbe ad un ulteriore surriscaldamento dell’economia turca. La corsa dei prezzi rischia di erodere, inoltre, la crescita reale del Pil: il governo ha già tagliato le previsioni della crescita annua dal 5,5% al 4%.

Ma la crisi finanziaria in Turchia sembra avere anche un evidente “agente esterno”: gli Stati Uniti. Il presidente americano Donald Trump ha annunciato via Twitter l’inasprimento dei dazi verso Ankara: “Ho appena autorizzato il raddoppio dei dazi su acciaio e alluminio della Turchia, visto che la loro valuta, la lira turca, è scesa rapidamente contro il nostro dollaro forte! L’alluminio sarà ora al 20% e l’acciaio al 50%. I nostri rapporti con la Turchia non sono buoni, al momento!”. L’acciaio turco è una delle maggiori voci delle esportazioni, con un valore di 11,5 miliardi di dollari, pari al 7% delle esportazioni totali. Fino all’anno scorso erano proprio gli Stati Uniti il primo importatore dell’acciaio turco, prima che i precedenti dazi riducessero gli scambi fra i due Paesi, portando gli Usa al terzo posto. Il 2 agosto scorso, il dipartimento del Tesoro Usa ha sanzionato il ministro dell’Interno e quello della Giustizia della Turchia per il rifiuto di quest’ultima di liberare il pastore statunitense Andrew Brunson, arrestato nel 2016 con l’accusa di aver partecipato al fallito colpo di stato del 2016 contro Erdogan. Il Congresso ha inoltre temporaneamente bloccato la vendita degli F-35 alla Turchia.

Il presidente turco Erdogan ha dichiarato che la Turchia “non perderà la guerra economica”. Già ieri sera Erdogan aveva parlato di una “campagna contro la Turchia”, esortando i connazionali a non temere le conseguenze della crisi della valuta nazionale. E oggi poi li ha invitati a vendere la valuta straniera di cui dispongono in modo da rafforzare la lira turca.

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Turchia. Le agenzie di rating si scatenano, il governo ricorre all’austerity.

di  Stefano Porcari 
E’ scattata la tagliola delle agenzie di rating internazionali sulla Turchia. Sia Moody’s che Standard and Poor’s hanno reso noto di aver ridotto la valutazione sul debito della Turchia alle prese con i dazi statunitensi e forti tensioni valutarie. Moody’s ha tagliato a Ba3 da Ba2 ed ha cambiato a “negativo” l’outlook sulla tenuta creditizia del Paese, mentre la S&P ha tagliato il rating del debito sovrano del Paese a B+ da BB-, con un secondo declassamento nell’arco di un mese.

Per Moody’s la scelta si fonda soprattutto sul “continuo indebolimento delle istituzioni pubbliche turche” e sul fatto che le politiche di Ankara sono sempre meno prevedibili. Valutazioni analoghe quelle di S&P: secondo l’agenzia inoltre la Turchia rischia di entrare in recessione il prossimo anno. “Il sostanziale indebolimento della lira – si legge in una nota – ha implicazioni finanziarie negative e prevediamo una contrazione dell’economia nel 2019”

Ma mentre gli Stati Uniti non escludono nuove sanzioni contro la Turchia, Ankara si dice convinta di poter uscire dalla crisi senza l’aiuto dell’FMI, ma solo con misure di rigore fiscale.

“Usciremo ancora più forti da queste turbolenze” – ha detto ieri il ministro delle finanze della Turchia, Berat Albayrak nel corso di una conferenza con un migliaio di rappresentanti di fondi e investitori stranieri – “Non ci sono piani del Fondo Monetario Internazionale. Ci concentreremo invece sugli investimenti diretti stranieri nel paese”.

Il canale turco Trt riferisce che nella conferenza, il ministro ha spiegato come il paese intenda fare ampio uso di misure fiscali per ridurre il pesante deficit delle partite correnti e mettere un freno all’inflazione salita al 16% annuo.

Albayrak ha aggiunto che il governo chiederà ai ministeri tagli delle spese compresi fra il 10 e il 30 per cento e che l’obiettivo è di arrivare ad avere un surplus primario di 6 miliardi di lire turche per il resto dell’anno.  La Turchia, ha aggiunto infine il ministro, sta progettando di inserire nella costituzione il principio tutto liberista dell’obbligo del pareggio di bilancio.

Dopo il crollo della scorsa settimana, la lira turca ha iniziato la risalita tre giorni fa quando la banca centrale ha annunciato che fornirà alla banche tutta la liquidità di cui hanno bisogno per superare la crisi, mentre ieri il governo di Erdogan ha incassato la promessa da parte del Qatar (alleato/competitore dell’Arabia Saudita, ndr) di investire in Turchia 15 miliardi di dollari.

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