mercoledì 30 novembre 2016
TIRARSELE ADDOSSO
L'endorsement,termine tanto in voga dopo le elezioni statunitensi,per il Si al referendum,che sarebbero i personaggi soprattutto pubblici e conosciuti che mettono la faccia per la vittoria alla proposta di modifica costituzionale,non è che nell'immaginario degli italiani possano essere tanto utili alla campagna starnazzata dal governo italiano.
Ultimi in termine temporale sono stati il ministro delle finanze tedesco Schaeuble ed il collega titolare del ministero degli esteri Steinmeier,due personaggi,in maniera più marcata il primo,odiati in maniera molto spiccata al di fuori dei confini teutonici e molto in Italia.
Che si aggiungono a quelli di tutte le banche e le società finanziarie,la famiglia Agnelli e Marchionne,Obama,il voltagabbana Benigni e il vergognoso Saviano solo per citarne una manciata,praticamente chi ha il potere in mano o ce l'ha avuto fino a qualche settimana fa.
Che fa da contraltare a quella del NO che è riuscita ad unire pur se con motivazioni differenti il resto degli italiani dall'estrema destra(ops,Cagapound è per il si)all'estrema sinistra:da notare anche che tanti di quelli che sono per il Si del famoso endorsement detto in precedenza siano cittadini senza diritto di voto in Italia e che sono più che altro speculatori e sciacalli approfittatori ed indirizzatori di voto seriali(per il loro tornaconto che mai coincide con quello del popolo).
Da leggere anche questo post recente(madn balle-prereferendum ),articolo preso da Contropiano(schaeuble ).
Schaeuble per il “sì”, ci si vede sotto l’ambasciata tedesca!
di Redazione Contropiano
Ultime 72 ore di follia, poi le urne daranno il loro verdetto. La sensazione di oppressione scomparirà, facendo finire un tam tam bulimico dei renziani su tutte le televisioni principali e sui giornali di regime.Nel crescendo di endorsement per il “sì”, comunque, non si può evitare di sottolineare gli autentici autogol.Sorvoliamo su quello a fondo boccaccesco del povero “Rapo” Elkann, che alla fine sarà il meno dannoso per gli eversori della Costituzione. Più illuminante è invece il convinto sostegno esibito anche ieri dai maggiorenti tedeschi (il luciferino ministro delle finanze Wolfgang Schaeuble e quello degli esteri Frank-Walter Steinmeier). Avevamo scritto nelle scorse settimane che le sortite “antieuropee” di Renzi (vedi qui e qui) intorno alla legge di stabilità erano tutta manfrina, nella speranza di guadagnare qualche consenso in campo leghista, forzitaliota o pentastellato. In realtà a Bruxelles sanno benissimo di avere il pieno controllo su quel che il governo italiano va facendo, fin nei dettagli. Sanno, insomma, che fino a domenica Renzi dovrà promettere mari e monti, la pioggia insieme al sole, l'abbondanza e i conti in ordine. Ma a loro – al contrario dei servi della stampa “locale” – non sfugge che – per esempio – per coprire gli strombazzati “85 euro” di aumento salariale per il pubblico impiego (un rinnovo contrattuale dopo sette anni, con una cifra ridicola, dal punto di vista dei lavoratori) non è stato inserito niente in bilancio per il 2017. Quei soldi, insomma, non sono previsti. Vedremo dopo domenica se scompariranno del tutto o se l'aumento verrà eventualmente fatto scattare solo nel 2018, ma al momento si tratta solo di chiacchiere. Così come i “30 o 50 euro” per le pensioni più basse, buttati lì per raggirare ancora meglio l'unica fascia di elettori in cui il “sì” risulta leggermente in testa nei sondaggi.
Stabilito questo, non è secondario leggere attentamente quanto ha detto Schaeuble.
"Se fossi italiano lo voterei, anche se non appartiene alla mia famiglia politica; spero in un successo di Renzi". Una conferma dello schema in vigore un po' in tutta Europa, con le “grösse koalition” tra popolari e “socialdemocratici”, per sostenere governi in linea con le direttive dell'Unione Europea. Una dimostrazione palese di come il termine “sinistra” non significhi letteralmente più nulla.
Più precisamente: Renzi "dà l'idea più di altri di poter fare le riforme". E "anche se dovesse andar male, spero che continuerà a cercare altre vie per far avanzare l'Italia. Se perdesse, non vuol dire che si ritirerà dalla vita politica. Continuerà comunque a impegnarsi per migliorare l'Italia". Una investitura piena come terminale della Troika, banale burattino teleguidato per “fare le riforme” indicate a suo tempo – agosto 2011 – nella ormai famosa lettera della Bce firmata da Mario Draghi e Jean-Claude Trichet.
Interessante anche il fatto che Schaeuble consideri non transitoria la presenza del contafrottole fiorentino nella politica italiana anche se dovesse trionfare il “NO”, segno della difficoltà di trovare qualcuno in grado di sostituirlo. Non certo per competenza in qualcosa, ma proprio in quanto contafrottole (tecnicamente, in base al banale calcolo dei tempi, Renzi non governa; è sempre impegnato in interviste, taglio di qualche nastro, spettacolini autopubblicitari, dichiarazioni televisive, ecc; a dare disposizioni operative ci deve per forza essere qualcun altro…). In fondo, qualcosa di utile per la Troika l'ha fatto davvero, tra Jobs Act, “buona scuola”, tagli alla sanità, riduzione degli spazi di democrazia rappresentativa, ecc.
Una conferma, dal nostro punto di vista, di quanto sia stata corretta e lungimirante la scelta del Coordinamento per il NO sociale di chiudere venerdì sera la campagna referendaria manifestando sotto l'ambasciata tedesca, a Roma, e davanti al consolato di Napoli.
martedì 29 novembre 2016
IL NO CONTRO LE BUGIE DI RENZI
Meno quattro giorni alla fatidica data del referendum costituzionale che può segnare in positivo o in negativo l'andazzo economico e sociale italiano per i prossimi anni,sottolineando da subito il fatto che il bugiardo Renzi dice per l'appunto una fesseria asserendo che il paese per i prossimi decenni non potrà attuare delle riforme.
I due pezzi qui sotto parlano principalmente dell'aspetto economico che naturalmente andrà a condizionare l'assetto sociale del paese con il primo che è un redazionale di Senza Soste(vota-no )che già dal titolo riflette il pensiero da becchino che circola negli ambienti Pd con scenari apocalittici se dovesse passare il NO.
Verso la fine si aggancia a quello espresso più ampiamente dal contributo ripreso da Contropiano(destino-delle-banche-italiane )dove le banche e soprattutto la MPS tengono banco sembrando che siano il ricatto d'eccellenza per poter far vincere il Si.
Non devo ribadire che così facendo gli altarini tra il Pd e il mondo delle banche(vedi Etruria:madn affari-di-famiglia )saltano fuori nella maniera più lapalissiana possibile,un intrigo tra capitale e politica spesso infarcito dalla criminalità e da migliaia di persone che hanno perso i risparmi di una vita.
Vengono nel complesso dei contributi evocati nomi come Bloomberg,Economist,spread,Financial Times,Brexit...tutti spunti che vengono strumentalizzati dal governo per dire che col NO le banche falliranno oltre che a episodi di disgrazia e tragedia biblica,una balla colossale che fanno parte dell'essere del Pinocchio fiorentino cui siamo abituati e spero vaccinati col voto del 4 dicembre.
Il segno meno della Borsa di Milano e, ancor più, del titolo Monte dei Paschi non ci coglie certo di sprovvista. Tanto meno la propaganda, prevedibile come una mossa dell’antico giocatore della Roma Andrade (detto “er moviola” non a caso), sul “se voti No a referendum falliscono tutte le banche”. Già il referendum scozzese e quello greco sono stati occasione, da parte di quelle entità che vengono chiamati “i mercati”, non sono di esprimere un’opinione ma anche di fare un po’ di soldi. E’ poi toccato alla Brexit e alle elezioni americane. Adesso è il turno del referendum di Renzi. La democrazia contemporanea è infatti un’occasione di prezzare un po’ di azioni e di obbligazioni, da parte degli attori finanziari globali, durante un periodo di transizione e di indecisione. Ci sarà chi ci guadagnerà e chi ci perderà, naturalmente, ma tra chi ci guadagna non ci saranno di certo le popolazioni. Non a caso all’indomani del referendum sulla Brexit, e degli scossoni di borsa che l’avevano accompagnato, avevamo scritto “la democrazia è ridotta ad essere un momento della necessaria creazione di volatilità per la speculazione finanziaria. Un rapporto tra democrazia e creazione di valore che non va affatto sottovalutato e che non è episodico ma, invece, fa parte della catena di creazione di valore dell’industria finanziaria” (Senza Soste, Brexit chi ha paura di un referendum? http://www.senzasoste.it/internazionale/brexit-chi-ha-paura-di-un-referendum-ecco-gli-scenari ).
Ma come funziona questa catena di creazione del valore? Semplice, esattamente al contrario di quello che dicono pubblicamente gli analisti quando affermano: “il mercato ha bisogno di certezze”. A queste frasi ci può credere un Pisapia, grande amico di Deutsche Bank quando era sindaco di Milano, o Grillo quando cerca, da un palco improvvisato come il suo discorso, di rassicurare gli investitori sul futuro dell’Italia. Il mercato, per fare soldi, oggi ha bisogno di incertezza. Ad esempio perché le obbligazioni rendono molto meno che in passato, e quindi ciò che per i grandi investitori era la certezza, ovvero un guadagno assicurato sugli interessi legati alle obbligazioni, va a scemare. Per far soldi, visto che la certezza non rende, il mercato ha bisogno quindi di incertezza. E i referendum, le elezioni in generale possono essere una bella situazione di incertezza, in uno scenario dove le istituzioni, messe proprio a incertezza dall’esito dalle elezioni, rappresentano comunque un significativo volano di investimento. La Gran Bretagna, con la maggior piazza borsistica d’Europa, si spiegava, in questo senso, da sola mentre l’Italia, terzo-quarto mercato obbligazionario al mondo, si spiega anche con il suo ruolo negli equilibri complessivi dell’eurozona. A quel punto in una situazione di incertezza, chi disinveste, o punta contro qualche titolo, ha un comportamento amplificato nei grandi media globali. E un giudizio degli analisti che comunque rafforza l’importanza dell’operazione di disinvestimento, o di scommessa, alla vigilia di una elezione o di un referendum. I risultati, per chi crea valore sulle elezioni democratiche, sono grosso modo tre: un grosso guadagno da posizioni ribassiste, scommettendo contro un titolo o una serie di titoli; un grosso guadagno acquistando, a tempo debito, assicurazioni contro il titolo che sta scendendo; un acquisto di titoli a prezzo scontato, causa crisi, che poi risaliranno dopo la fase di incertezza. Lo abbiamo detto in termini didascalici per esser chiari: il valore, nella finanza di oggi, si fa più con l’incertezza, con la volatilità. Se l’incertezza è alta, chi si sa muovere guadagna, grosso modo, attraverso questi sentieri. Questo anche per rovesciare il luogo comune che vuole una politica inefficiente e una società pigra alla base delle crisi finanziarie perché “puniti dai mercati” (una metafora originaria della società disciplinare che ha poco contatto con la realtà).
Il referendum italiano non poteva mancare entro questo schema di produzione di valore, che distrugge beni pubblici e risparmio come altra faccia della medaglia. L’avevamo indicato a settembre in “Ambasciatori americani, agenzie di rating e referendum italiani: la nuova normalità” (http://www.senzasoste.it/internazionale/ambasciatori-americani-agenzie-di-rating-e-referendum-italiani-la-nuova-normalita) dove segnalavamo: “Alle borse non interessa tanto il risultato di un referendum ma saper capire la volatilità dei mercati per estrarre valore”. Già perchè dire, in questa situazione, chi è il candidato delle borse, quello per il quale le piazze finanziarie festeggeranno il 5 dicembre, è un esercizio ideologico. Lo stesso Renzi, dal Financial Times che è il principale quotidiano finanziario del mondo, adottato e mollato (http://www.senzasoste.it/internazionale/clamoroso-il-financial-times-molla-matteo-renzi). Per poi essere di nuovo ripreso alla vigilia del referendum (http://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2016/11/27/ft-con-il-no-a-referendum-otto-banche-a-rischio-fallimento_4fcee06e-1ab0-4d25-9db2-20cd30322df3.html ).
Queste posizioni giornalistiche non si spiegano solo sul piano delle differenti firme, e delle differenti diplomazie che fanno diverso effetto in una redazione, presenti in un giornale prestigioso. Ma anche sulla necessità, ed è un ruolo tipico della stampa finanziaria, di dare fiato, o meno, a posizioni di disinvestimento o di acquisizione di posizioni assicurative contro un rischio paese. Per cui, il Financial Times si è dedicato a coprire, alternativamente, le posizioni del “Si” e del “No”. E, come si capisce, è un comportamento che guarda alla produzione di valore durante un periodo di incertezza non al risultato di un referendum. Se guardiamo poi a testate come il New York Times, che ha fatto analisi cliniche ma anche ha dato spazio a chi vorrebbe lasciare l’Italia in caso di vittoria del No, o dell’Economist, che si è detto per il No ma oggi è anche espressione della famiglia Agnelli non certo nemica di Renzi, vediamo come esistano posizioni differenziate. Proprio perché, specie nel referendum del 4 dicembre, l’importante è seguire il denaro che si crea nella volatilità di borsa dovuta all’incertezza, processo di messa a valore della democrazia deliberativa, piuttosto che prendere davvero parte ad un voto. Poi, con una seria analisi degli spostamenti di capitale legati al referendum, si avrebbero un sacco di risposte interessanti. Nel frattempo ecco l’immancabile Bloomberg che, sull’Italia, fa uscire un articolo sul ribasso dei titoli bancari, e sulla crisi dei bond sovrani italiani, causa referendum.
https://www.bloomberg.com/news/articles/2016-11-28/energy-producers-drag-europe-stocks-lower-after-weekly-advance
Un articolo che spinge chi può movimentare denaro, dal piccolissimo trader al grande fondo pensioni aggressivo alla ricerca disperata di redditività, verso tre direzioni: scommettere contro i titoli bancari italiani, per guadagnare dalla scommessa, acquistare a basso costo titoli bancari oggi per vederli salire domani, scommettere su un rialzo dei tassi di interesse dei bond italiani domani (causa crisi o rialzo tassi federal reserve). Occhi anche ad un aspetto. Quella che Bloomberg chiama crisi di liquidità presente sui mercati. Cosa vuol dire? Altro non è che l’incapacità di poter vendere un’obbligazione per la mancanza di compratori: la causa principale della crisi di liquidità risiede oggi nei tassi di remunerazione negativi o pari a zero, in certi casi anche per le scadenze fino a sette anni, non compensando così nemmeno il tempo in cui si decide di restare investiti. E se la certezza è questa oggi, ben venga l’incertezza nei mercati. Permette, a chi si sa muovere, di predare ricchezza. Prezzando i referendum o le elezioni. Trasformando la democrazia in occasione di creazione di valore.
Che dire quindi del titolo del Financial Times sul fallimento di MPS, e di altre sette banche, in caso di vittoria del no?
Semplice, più che sul piano della notizia siamo su quello dello spettacolo fatto per la creazione di valore. Quello spettacolo che muove i comportamenti delle borse in modo da generare volatilità. Perché MPS è appesa ad un filo. Ma il referendum, nonostante la stessa MPS attenda il voto come un elemento di chiarificazione politica, con la situazione del monte dei Paschi c’entra poco. Casomai la banca di Siena deve avere un referente politico certo, comunque vada il referendum. Ma il punto qui non è solo che un titolo che perde, come ha fatto MPS, il 99% del valore in dieci anni non può, eventualmente, addossare la responsabilità del naufragio finale ad una consultazione referendaria. Sta, guardando all’oggi, piuttosto nel fatto, che il piano di “salvataggio” di MPS, che prevede un sacrificio economico dei possessori di obbligazioni e un forte investitore esterno (entrambi non proprio all’orizzonte), mostra più problemi di quanti ne sembra risolvere. Speculare in questa situazione prima di una data politicamente incerta, con ribassi degni del ’29, è un gioco da ragazzi. Tanto più che i giochi veri si faranno dopo il referendum, calendario crisi MPS alla mano. Se si guarda alle norme sul bail-in bancario poi, si vedrà come la presenza di un governo legittimato, aggiungiamo purtroppo, possa essere anche irrilevante in caso di precipitazione della crisi. Ma intanto si è fatto un favore a Renzi, a chi specula sui titoli bancari e posta qualche anticipazione su chi farà la voce grossa quando il gioco MPS si farà serio.
Altra questione importante che col voto non ha niente a che vedere ma che mina la situazione delle banche: diversi analisti sostengono come sia vicina, a livello di autorità bancarie sovranazionali, una revisione dei modelli interni di credito delle banche che porterebbe a nuovi buchi di capitale negli istituti di credito italiani; poi c’è l’imminente adozione del principio contabile Ifrs 9, che introduce nuovi modelli statistici di previsione delle perdite su crediti,ed è, anch’essa, sfavorevole alle banche italiane. E tutto ciò rischia di produrre una ulteriore stretta creditizia, in un momento in cui le banche sono il settore meno appetibile per gli investitori globali in genere. Confezioniamo la questione dentro la scatola referendum, mediatizzando così la crisi delle banche, e si avranno effetti in borsa. E sono quelli che contano, a prescindere dal risultato. Con chi vince poi, si farà capire chi comanda.
Ecco come l’Italia, Renzi potrebbe andarne orgoglioso, è entrata nell’uso della democrazia come occasione di produzione di valore. Un nuovo modo di interpretare la speculazione, probabilmente. D’altronde stiamo parlando di un fenomeno, la speculazione, che uno storico broker ha definito “vecchia come le colline”. Ed è un fenomeno vecchio che, dopo aver investito su ogni bene, non poteva non toccare la democrazia. D’altronde basta sapere di cosa stiamo parlando. Jesse Livermore che riuscì ad arricchirsi con il drammatico crack del 1907, quello che dette vita alla Federal Reserve e fu tra le cause della prima guerra mondiale, facendo milioni con il crollo del ’29, aveva una chiara stella polare: “non trasformare mai il capitale speculativo in capitale di investimento”. Oggi il capitale speculativo si muove entro i flussi di notizie globali. L’opinionismo renziano fa di tutto per alimentare l’equivoco che si tratti di capitale di investimento, pronto a scappare dall’Italia se vince il No. Del resto, dove c’è Renzi c’è un tasso così alto di alterazione della realtà che, altrimenti, se fosse inquinamento saremmo tutti morti. Così, a reti unificate, il no viene annunciato come un qualcosa che sta tra l’invasione delle locuste e il fallimento delle banche, i crollo della borsa. Fossimo il mago Otelma, una certa invidia per tutto questo spettacolo la proveremo. Perché, statene certi, almeno a reti unificate, Renzi dirà di averci indovinato. Comunque vada.
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Il destino delle banche italiane dipende dal referendum? Solo un patetico imbroglio.
Ieri sul Financial Times leggevamo: "Alti funzionari e banchieri dichiarano che fino a otto banche italiane rischiano il fallimento se Renzi perde il referendum costituzionale". Non è indispensabile conoscere i nomi di questi segreti informatori del FT: svariati capitani dell'alta finanza hanno apertamente evocato in questi giorni la minaccia di turbolenze bancarie se domenica i No alla riforma dovessero prevalere. Il motivo, essi dicono, è che un'eventuale sconfitta costringerebbe il Premier e i suoi ministri a dimettersi, con la conseguenza di interrompere i tentativi del governo di stabilizzare il sistema bancario italiano.
Oggi che la borsa è in rosso e che le banche vanno per l'ennesima volta sotto, una pletora di commentatori nostrani rilancia le parole degli alti finanzieri: il pericolo sta nelle urne, nel rischio di una vittoria del No al referendum.
Questa lettura della partita referendaria è del tutto fuorviante, e francamente anche un po' patetica. La ragione è semplice: essa presuppone che le iniziative del governo, dall'istituzione del fondo Atlante alla gestione del dossier Montepaschi, siano in grado di scongiurare una crisi bancaria.
La verità, purtroppo, è che le misure adottate finora dal governo sono state del tutto inadeguate, e persino controproducenti. Il caso Montepaschi è un esempio emblematico. Matteo Renzi avrebbe dovuto finalmente avviare la ricapitalizzazione pubblica della banca, come in questi anni si è fatto innumerevoli volte nel resto del mondo, dagli Stati Uniti alla Germania. A tale scopo, Renzi avrebbe potuto persino ricorrere all'applicazione di regole europee vigenti, secondo le quali il salvataggio statale di una banca è consentito senza bail-in qualora sia in gioco la stabilità finanziaria di un paese.
Invece, riesumando una stantia retorica liberista, il Premier ha voluto imporre una sgangherata "soluzione di mercato": vale a dire, trovare investitori privati disposti ad acquistare la banca a prezzi di saldo. Questa iniziativa non sta funzionando, per usare un eufemismo. Nello scenario attuale, chi detiene ingenti capitali prevede ulteriori cali dei prezzi e magari svalutazioni incontrollate, che permetterebbero di fare incetta delle banche dei paesi in difficoltà a prezzi ancor più scontati. Ecco perché è così difficile trovare oggi degli acquirenti privati. L'unica certezza della "soluzione di mercato" è che anche nel caso in cui essa fallisca Montepaschi dovrà comunque pagare laute commissioni a JP Morgan, la banca d'affari a cui Renzi ha affidato la gestione dell'operazione.
La linea d'azione del governo aiuta dunque a stabilizzare il sistema bancario nazionale? Chi lo sostiene è un bell'incosciente. O forse ha interessi in gioco.
Con Dani Rodrik e altri sostenemmo proprio sul Financial Times che i guai dei mercati finanziari e dei sistemi bancari, italiani e non solo, dipendono da cause profonde, legate alla struttura dell'Unione monetaria e alla funesta politica deflazionista con cui le autorità europee e i governi nazionali stanno gestendo la crisi: in questo scenario nuovi tracolli bancari e quindi ulteriori crisi dell'eurozona saranno eventi inesorabili. L'unica ragione per cui finora le turbolenze sono state circoscritte sta nel fatto che la BCE ha inondato i mercati di liquidità ad ogni fiammata ribassista. Ma ad ogni attacco il banchiere centrale deve rispondere con azioni sempre più incisive ed estese, al limite rivolte non più solo ai titoli pubblici ma anche privati. Ecco perché gli speculatori non stanno cambiando idea: essi sono pronti a buttare giù il mercato ogni volta che sorga un dubbio sulla capacità di Mario Draghi di convincere il direttorio a spingere sempre di più la politica monetaria oltre i confini degli accordi europei.
In un simile inviluppo macroeconomico, il referendum è solo uno dei tanti pretesti possibili: in realtà ogni occasione è propizia per alimentare nuove onde al ribasso del mercato. Con buona pace di chi sostiene che sotto l'euro siamo protetti.
Se si volesse davvero iniziare ad affrontare la situazione bisognerebbe prepararsi a nazionalizzazioni bancarie e a controlli sui movimenti di capitale, con o senza il consenso delle istituzioni europee. Simili soluzioni trovano riscontri persino all'interno del Fondo Monetario Internazionale e sono state ampiamente praticate altrove, ma in Italia non sembrano attecchire. A quanto pare, siamo talmente sedotti dalle "soluzioni di mercato" che qualcuno sarebbe capace di rifilarcele anche in caso di uscita dall'euro. Di questo passo, al cospetto di una crisi di portata storica, potremmo a breve essere additati come una delle ultime province occidentali tuttora disposte a bersi le vecchie, sballate ricette del liberismo finanziario.
La situazione delle banche in Italia è dunque grave ma non è seria. Legare la stabilità del sistema bancario agli esiti del referendum e al destino del governo Renzi è solo un patetico imbroglio.
da http://brancaccio.blogautore.espresso.repubblica.it
lunedì 28 novembre 2016
DECRETO MADIA,BUROCRAZIA E DERIVE ANTIDEMOCRATICHE
La pluriraccomandata titolare del ministero per la semplificazione e la pubblica amministrazione Marianna Madia,quella che voleva sovvertire l'esito referendario del giugno 2011 privatizzando l'acqua(madn sovvertire-un-plebiscito-referendario ),stavolta ha ricevuto un secco due di picche da parte della Corte Costituzionale che ha bocciato il suo decreto.
Un provvedimento sui servizi pubblici che avrebbe fatto decidere privatizzazioni a raffica saltando il parere delle regioni facendolo decidere solo dalla Conferenza Stato-Regioni:un no chiaro che non è stato digerito dalla Madia e in particolar modo da Renzi che ha parlato di burocrazia che blocca il paese.
Se il premier rognoso considera burocrazia uno degli organi basilari della democrazia italiana allora sta facendo dichiarazioni sovversive in quanto irrispettoso di un importante elemento che sancisce e giudica la legittimità di tutti gli atti dello Stato e delle Regioni.
Un metodo fascista che vorrebbe far trionfare se dovesse vincere il Si al referendum di domenica prossima così toglierebbe di mezzo la Corte e chi impedisce il controllo su chi comanda praticamente sotterrando la democrazia e la Costituzione.
Gli articoli presi da Senza Soste(la-corte-costituzionale )e Contropiano(lultimo-renzi-si-appella-al-fascismo-profondo )spiegano questa pericolosa deriva antidemocratica del governo non votato dagli italiani e che si gioca molto se non tutto col voto referendario che deve essere un NO chiaro e netto.
tratto da http://contropiano.org
Un’altra sventola è arrivata per Renzi e il suo governo. Secondo la Corte Costituzionale la riforma della ministra Madia sulla Pubblica amministrazione presenta profili di illegittimità rispetto ai principi della Carta fondamentale dello Stato, in particolare nella parte in cui prevede che l’attuazione della stessa, attraverso i decreti legislativi, possa avvenire con il semplice parere della Conferenza Stato-Regioni. Secondo la Consulta, che si è pronunciata dopo un ricorso della Regione Veneto, è invece necessaria la previa intesa. La pronuncia di legittimità riguarda le norme relative alla dirigenza, alle società partecipate, ai servizi pubblici locali e al pubblico impiego.
La notizia della bocciatura del Decreto Madia arriva all’indomani della convocazione dei sindacati al tavolo per il rinnovo del contratto del pubblico impiego. Ieri al Ministero della Funzione Pubblica era intervenuta la polizia per impedire alla delegazione della Usb, che pure è maggiormente rappresentativa nel settore, di poter partecipare al negoziato.
Immediata e velenosa la reazione di Renzi. "Siccome non c'è l'intesa con le regioni, noi avevamo chiesto un parere, ma per la Corte costituzionale il decreto sulla Pubblica Amministrazione è illegittimo. E poi mi dicono che non devono cambiare le regole del Titolo V: siamo circondati da una burocrazia opprimente, questo dimostra che siamo un Paese bloccato", ha commentato Renzi impegnato a Vicenza in una manifestazione per il Si. A contestarlo, anche qui, la coalizione “Vicenza si solleva” a cui aderiscono No Dal Molin, Usb e centro sociale Bocciodromo, che da piazzale del Mutilato, ha cercato di arrivare in viale Mazzini dove c’era Renzi ma è stato bloccato dalla polizia in via Bonolis.
Nel documento di sintesi pubblicato dalla Corte Costituzionale si ricorda che le norme impugnate dalla regione Veneto “delegano il Governo ad adottare decreti legislativi per il riordino di numerosi settori inerenti a tutte le amministrazioni pubbliche, comprese quelle regionali e degli enti locali, in una prospettiva unitaria”. Si tratta cioè di interventi che “influiscono su varie materie, cui corrispondono interessi e competenze sia statali, sia regionali (e, in alcuni casi, degli enti locali)”. La Consulta ha ponderato se “fra le varie materie coinvolte, ve ne sia una, di competenza dello Stato, cui ricondurre, in maniera prevalente, il disegno riformatore nel suo complesso. Questa prevalenza escluderebbe la violazione delle competenze regionali”. Di contro, se la materia non viene riconosciuta come di competenza dello Stato, per la Corte si deve rispettare “il principio di leale collaborazione” e prevedere “adeguati strumenti di coinvolgimento delle Regioni (e degli enti locali), a difesa delle loro competenze”. Nella sua sentenza, la Corte sottolinea il ruolo centrale della Conferenza Stato-Regioni: l’intesa al suo interno è ritenuto “un necessario passaggio procedurale anche quando la normativa statale deve essere attuata con decreti legislativi delegati”.Alla luce di tali premesse, la Consulta ha precisato che le “pronunce di illegittimità costituzionale colpiscono le disposizioni impugnate solo nella parte in cui prevedono che i decreti legislativi siano adottati previo parere e non previa intesa”. In particolare, sono stati respinti i dubbi di legittimità costituzionale relativi delega per il Codice dell’amministrazione digitale. Le dichiarazioni di illegittimità costituzionale riguardano quindi esclusivamente le deleghe al Governo “in tema di riorganizzazione della dirigenza pubblica”, “per il riordino della disciplina vigente in tema di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni”, “di partecipazioni azionarie delle pubbliche amministrazioni e di servizi pubblici locali di interesse economico generale”.
26 novembre 2016-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
L’ultimo Renzi si appella al “fascismo profondo”.
di Giorgio Cremaschi
Anche se più volte son stato tentato di farlo, ho finora sempre evitato di ricorrere alla parola fascismo per definire ciò che si agita attorno alla controriforma renziana della Costituzione. Questa cautela però non ha più ragione d'essere dopo le ultime parole del presidente del consiglio, quelle a commento della sentenza della Corte Costituzionale che ha bocciato il decreto Madia. Renzi ha bollato quella sentenza come un esempio della burocrazia che blocca il paese. E naturalmente tutta la grande stampa e le tv hanno raccolto e amplificato il messaggio, gridando che per colpa della burocrazia i furbetti del cartellino la faranno franca.
Dunque, secondo il presiedente del consiglio e la sua stampa, la Corte Costituzionale – cioè il presidio supremo e ultimo della nostre libertà democratiche – è burocrazia. Una burocrazia che si oppone al progresso del paese e che per questo dovrebbe essere spazzata via con la nuova costituzione, che opera una cancellazione ad ampio raggio di poteri democratici a favore del governo, che così finalmente potrebbe decidere senza intralci.
Peccato però che attualmente sia ancora in vigore la vera Costituzione e che, come suo dovere, la Corte ne abbia preteso il rispetto da parte di un governo che invece si comporta come se avesse già vinto il referendum. Il decreto Madia è stato bocciato perché non prevede alcun ruolo delle regioni in quel processo di privatizzazione e liquidazione del pubblico che costituisce il suo scopo di fondo. Si badi bene: la Corte non è arrivata a giudicare incostituzionale la svendita di servizi e stato sociale, ma ha semplicemente detto che secondo le regole vigenti il governo non può fare tutto da solo.
Apriti cielo, "la burocrazia ci blocca", ha urlato il coro dei renziani. "La legalità ci uccide", esclamò il reazionario francese Barrot nel 1849. Le classi dominanti chiamano pastoie burocratiche le regole democratiche e i diritti quando vogliono sovvertirli, quando ritengono che il loro affari ed interessi siano troppo frenati dai lacci e laccioli che vengono dalla democrazia. Questo sovversivismo dall'alto (in realtà tecnicamente eversivo) è una caratteristica storica delle classi dirigenti del nostro paese, come ci ha insegnato Antonio Gramsci sul fascismo.
E oggi questa storica insofferenza verso regole e diritti da parte dei potenti di casa nostra può godere di due fondamentali apporti. Da un lato la spinta del capitalismo finanziario multinazionale a distruggere ogni costruzione pubblica che freni il suo dominio. È stata la banca JPMorgan ad affermare brutalmente come le costituzioni antifasciste costituiscano un freno al pieno dispiegarsi delle politiche liberiste e di austerità. D'altro lato la rabbia popolare per le devastazioni della crisi a volte spinge a trovare il colpevole nel vicino di casa, migrante o impiegato pubblico a seconda delle preferenze. E il sistema mediatico da anni alimenta la guerra tra i poveri e la sfiducia verso la democrazia.
Così, quando il presidente del consiglio chiama burocrazia la democrazia, sintetizza tre spinte reazionarie. Quella delle multinazionali, quella dei nostri poteri forti di sempre, quella qualunquista di massa. Renzi tenta la stessa fusione politica riuscita al fascismo storico, naturalmente con altre forme e modi, ma con un punto comune: il ricorso alla insofferenza che in Italia c'è verso regole e diritti, il sentimento per il quale alla fine ci voglia qualcuno che comandi sul serio senza ostacoli. Una volta erano i treni che dovevano arrivare in orario, ora sono le leggi, il concetto di fondo è sempre lo stesso. Il fascismo è un' autobiografia della nazione, scrisse Piero Gobetti.
Non pensiamo quindi che le frasi reazionarie e sovversive di Renzi siano un errore; esse sono invece una calcolata ultima carta per vincere il referendum. Che la controriforma ha già perso tra la popolazione più attiva e attenta, ma che può ancora vincere se si muove la maggioranza silenziosa. Quella a cui si rivolge ora la campagna del presidente del consiglio, solleticandone i più antichi pregiudizi, risvegliandone le più irrazionali paure.
Attenzione, in un paese logorato da dieci anni di crisi economica senza uscita e da un ancora più lungo percorso di riduzione della democrazia, l'appello di Renzi al fascismo profondo che si annida nella società può avere successo.
In questi ultimi giorni di campagna referendaria vanno denunciati con forza gli interessi economici ed i poteri che si celano dietro la controriforma della costituzione. Interessi e poteri che in caso vittoria si considererebbero svincolati da ogni limite. Va diffuso l'allarme democratico per un successo del SI, che farebbe un danno persino superiore a quello dei contenuti autoritari della costituzione renziana.
Dobbiamo far capire che basta un SI per rovinarci.
domenica 27 novembre 2016
TORNANDO SULLA MORTE DEL LIDER MAXIMO
A bocce ferme dopo una giornata di episodi e di commenti sulla morte di Fidel Castro facendo attenzione a non condannare per partito preso tutto quello detto su questo evento soprattutto in riferimento a interpretazioni negative sulla sua figura e sul suo operato,ecco alcune considerazioni in merito a tutto questo.
Parlando in generale su larga scala c'è uno Stato in un lutto vero e diverse persone in differenti luoghi del mondo che hanno reagito con tristezza alla dipartita del lider maximo di Cuba,in particolar modo in Sudamerica dove Castro negli ultimi anni ha contribuito ad una sollevazione popolare e ad una rinascita del movimento bolivariano di sinistra contro le varie dittature fasciste che avevano contraddistinto gli ultimi decenni dello scorso secolo.
Gli esuli cubani soprattutto in Florida hanno esultato alla notizia di questo decesso,non voglio nemmeno commentare più di tanto questo perché liberi di farlo così come io ho fatto per altre dipartite cui mi sono trovato in uno stato d'animo da poter se non gioire comunque festeggiare.
Invece restringendo il campo all'Italia e in modo particolare a Crema e nel cremasco,che comunque rispecchia abbastanza fedelmente le reazioni a livello nazionale,riferendomi a contatti su social network di persone che comunque conosco anche di persona,vorrei fare una puntualizzazione ribadendo il fatto che ognuno ha il diritto di esprimere le sue idee che comunque essendo esternate pubblicamente possono essere apprezzate o criticate.
Leggendo commenti di uomini e donne,chi più e chi meno giovani o più vecchietti,di sicura provenienza del partito della nazione attuale(il Pd),trovo allucinante certe reazioni e commenti che lasciano,senza dubbio alcuno,che questi rappresentati poco o nulla c'entrino con gli ideali basilari di democrazia e buon senso degli anni novanta dei transfughi del Partito Comunista.
Chi per motivi anagrafici di fresca età e chi per giunta comunque adulto e vaccinato,e questi sono i peggiori,fanno capire che sono eredi non di un movimento comunista di enorme rilievo ma della vecchia democrazia cristiana ma non solo,con infiltrazioni cielline e pure reazionarie se non apertamente di destra,in un partito non per le persone ma per le poltrone e per tutti gli intrallazzi col mondo del lavoro e del potere che spesso sfociano nell'illegalità e nella criminalità.
Un popolo di arraffatori e seguaci del sistema clientelare che fu come detto prima proprio della vecchia Dc,dei famosi culi di legno,pari pari all'altra feccia che si è ricreata una verginità con Berlusconi & company.
Personaggi politici cremaschi con ruoli importanti nel Pd che parlano di Castro dittatore e che si dimenticano che da giovani indossavano la maglietta del Che e che magari in Birroteca Rock alla festa dell'Unità,in una coerenza propria dei così detti"comunisti"di facciata pippa spinelli che se ne andavano(e vanno tutt'ora)in giro da"straccioni"col culo parato dai soldi del papi,sono tutti compagni ma che appena ti giri te lo ficcano in culo.
Sono stufo di questa gente piena di sé ed arrogante ai limiti della sopportazione,che ti sorridono e parlano di peace & love ma che poi parlano male di Castro ma appoggiano per esempio Poroshenko e il suo regime nazista ucraino,tifano per il Ttip tra Usa ed Europa,inneggiano alla suddetta Unione Europea e strizzano l'occhio ad Erdogan,vanno a fare affari in Arabia Saudita con i finanziatori dell'Isis,vogliono destituire Assad in Siria,sostengono la Tav e le grandi ed inutili opere,foraggiano i signori della guerra ma comunque per fortuna è morto Fidel!
Non credo abbiano mai commentato con felicità le morti di Pinochet piuttosto che Carrero Blanco,di Videla o di Trujillo,dei colonnelli greci o di Franco:senza la memoria storica e la coerenza non si va avanti e stiamo consegnando il paese nelle mani di questi maiali,io vedo un altro motivo ulteriore per un bel NO al voto di domenica prossima.
Articoli presi da Senza Soste(senzasoste )e Contropiano(contropiano )che parlano rispettivamente di numeri e non parole di quello compiuto da Castro a Cuba e di commenti infelici di quaquaraquà di casa nostra.
Vedi anche il post di ieri dove mi ero ripromesso di tornare a parlare dell'argomento(adios-fidel ).
In occasione della scomparsa del comandante Fidel Castro riproponiamo un articolo pubblicato il giorno del suo 90° compleanno, il 13 agosto scorso, sui risultati delle politiche sociali attuate a Cuba dalla vittoria della Rivoluzione ad oggi. Al di là di tutte le incertezze sul prospettive del socialismo nell’isola e nel mondo, questi dati rimangono indiscutibili e costituiscono l’espressione concreta di quello che la Rivoluzione cubana ha rappresentato e rappresenta, con buona pace dei professorini di tutte le provenienze. (redazione).
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Fidel Castro, riformatore sociale
di Salim Lamrani (*)
Cuba è universalmente rinomata per il suo sistema di protezione sociale e i suoi eccezionali risultati nei campi dell’educazione, della salute, della scienza, della cultura e dello sport. Dando la priorità ai diseredati, Fidel Castro ha creato la società più egualitaria del continente latinoamericano e del Terzo Mondo.
Le cifre sono eloquenti. Per quanto riguarda l’educazione, il tasso di analfabetismo in America Latina è dell’11,7% e a Cuba dello 0,2%. Il tasso di scolarizzazione nell’istruzione primaria (fino agli 11 anni) è del 92% nel continente latinoamericano e del 100% nell’isola caraibica. Il tasso di scolarizzazione nell’istruzione secondaria (fino ai 14 anni) è del 52% in America Latina e del 99,7% a Cuba. Circa il 76% dei bambini latinoamericani raggiungono il livello del liceo e questa cifra è del 100% per gli alunni cubani.[1] Il Consiglio Economico e Sociale dell’Unione Europea riconosce che “queste cifre sono eccezionali tra i Paesi in via di sviluppo”. [2] Il Dipartimento dell’Educazione dell’UNESCO segnala che Cuba registra il tasso di analfabetismo più basso e il tasso di scolarizzazione più alto del continente. Secondo questo organismo un alunno cubano ha il doppio di conoscenze di un bambino latinoamericano. Aggiunge che “Cuba, anche se è uno dei Paesi più poveri dell’America Latina, fa registrare i migliori risultati quanto a educazione di base” perché “l’educazione è stata la priorità più importante a Cuba”.[3]
L’UNESCO sottolinea che Cuba occupa il sedicesimo posto nel mondo -il primo del continente americano- nell’Indice di Sviluppo dell’Educazione per tutti (IDE), che valuta l’insegnamento primario universale, l’alfabetizzazione degli adulti, la parità e l’uguaglianza tra i sessi e anche la qualità dell’educazione. A titolo di paragone, gli Stati Uniti sono al 25° posto.[4] L’organismo informa inoltre che Cuba nel mondo è la nazione che dedica la parte più grande del suo bilancio all’educazione, con circa il 13% del PIL.[5] Questa percentuale è del 7,3% negli Stati Uniti, il 6,7% in Svezia, 6,4 in Finlandia, 6,3 in Francia, 6,2 in Holanda, 6% nel Regno Unito e in Australia, 5,6% in Spagna, 5,3% in Germania, 5,2% in Giappone e 4,9% in Italia.[6]
Alcuni indicatori permettono di valutare l’eccellenza del sistema sanitario a Cuba. Come il tasso di mortalità infantile, che è del 32 per mille in America Latina e del 4,6 per mille a Cuba, il più basso del continente dal Canada all’Argentina.[7] La speranza di vita è di 70 anni per i latinoamericani e di 78 per i cubani. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, Cuba è uno dei Paesi che contano il più alto numero di centenari rispetto alla loro popolazione.[8] Il numero di medici su 100.000 abitanti è di 160 in America Latina e di 590 a Cuba.[9] Cuba è la nazione che dispone di più medici per abitante in tutto il mondo.
La American Association for World Health, il cui presidente onorario è James Carter, segnala che il sistema sanitario cubano è “considerato in modo uniforme come il modello preminente per il Terzo Mondo”.[10] Secondo la American Public Health Association, “non ci sono barriere razziali che impediscano l’accesso alla salute” e si evidenza “l’esempio fornito da Cuba, un Paese con la volontà politica di offrire una buona assistenza medica a tutti i cittadini”.[11]
Secondo il New England Journal of Medecine, la più prestigiosa rivista medica del mondo, “il sistema sanitario cubano sembra irreale. Ci sono troppi dottori. Tutti hanno un medico di famiglia. Tutto è gratis, totalmente gratis […]. Nonostante che Cuba disponga di risorse limitate, il suo sistema sanitario ha risolto problemi che il nostro [quello degli Stati Uniti] non è ancora riuscito a risolvere”. Il NEJM aggiunge che “Cuba dispone del doppio di medici per abitante degli Stati Uniti”.[12]
Secondo il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo, nell’ultimo decennio Cuba è l’ unico Paese dell’America Latina e del Terzo Mondo che si trova nelle prime dieci nazioni con il miglior indice di sviluppo umano sui tre criteri “speranza di vita, educazione e livello di vita”.[13]
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, Cuba è un modello per i Paesi in via di sviluppo riguardo all’assistenza medica fornita alle mamme e ai bambini.[14] L’UNICEF evidenzia che “Cuba è un esempio nella protezione dell’infanzia”.[15] Secondo Juan José Ortiz, rappresentante dell’UNICEF a L’Avana, “la denutrizione grave non esiste a Cuba […]. Qui non c’è nessun bambino per strada. A Cuba i bambini sono sempre una priorità e per questo non soffrono le carenze che colpiscono milioni di bambini in America Latina che lavorano, che sono sfruttati o che si trovano nelle reti della prostituzione”.[16] Secondo lui, Cuba è un “paradiso dell’infanzia in America Latina”.[17] L’UNICEF segnala che Cuba è l’unico Paese dell’America Latina e del Terzo Mondo che ha sradicato la denutrizione infantile. [18]
L’Organizzazione non Governativa Save the Children colloca Cuba al primo posto tra i Paesi in via di sviluppo per le condizioni offerte alle mamme, davanti ad Argentina, Israele o Corea del Sud. In questo studio sono stati presi in considerazione vari criteri come il sistema sanitario e l’educazione, ossia l’assistenza da parte di personale qualificato durante il parto, la diffusione dei metodi anticoncezionali e il livello di educazione delle donne e dei bambini. Si è tenuto conto dell’uguaglianza politica ed economica tra uomini e donne, ossia la partecipazione delle donne alla vita politica e l’uguaglianza salariale.[19]
L’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIT) ha definito il sistema di sicurezza sociale cubano un “miracolo”, data la protezione che offre ai lavoratori e il tasso di disoccupazione molto basso (1,9%). Secondo la OIT, in America Latina l’11% delle persone senza lavoro e circa il 65% degli abitanti non hanno accesso alla sicurezza sociale. In America Latina uno dei grandi paradossi sta nel fatto che 25 milioni di bambini sono obbligati a lavorare mentre 19 milioni e mezzo di adulti si trovano senza lavoro.[20]
Mettendo l’essere umano al centro del progetto della società nuova, Fidel Castro ha dimostrato al mondo che è possibile, nonostante risorse molto limitate e uno stato d’assedio economico imposto dagli Stati Uniti, offrire a tutti i cittadini un sistema di protezione sociale simile a quello delle nazioni più ricche.
Traduzione per Senzasoste di Nello Gradirà
*Dottore in Studi Iberici e Latinoamericani dell’Università di Parigi Sorbona-Paris IV, Salim Lamrani è professore titolare dell’Universidad di La Reunión e giornalista, specialista di relazioni tra Cuba e Stati Uniti. Il suo ultimo libro si intitola Cuba, the Media, and the Challenge of Impartiality, New York, Monthly Review Press, 2014, con un prologo di Eduardo Galeano. http://monthlyreview.org/books/pb4710/
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Note
[1] United Nations Development Program, «Human Development Indicators 2003: Cuba», 2003. www.undp.org/hdr2003/indicator/cty_f_CUB.html (sitio consultado el 22 de marzo de 2004); Commission Economique Pour l’Amérique Latine (CEPAL), Indicadores del desarrollo socioeconómico de América Latina. (Nations Unies, 2002), pp. 12, 13, 39, 41, 43-47, 49-56, 66-67; 716-733.
[2] Mick Hillyard & Vaughne Miller, «Cuba and the Helms-Burton Act», House of Commons, Research Paper 98/114, 14 de diciembre de 1998, 8.
[3] Latin American Laboratory for Evaluation and Quality of Education, «Learning in Latin American», UNESCO, 3 de septiembre de 1999. Margarita Barrio, «Obtuvo Cuba las más altas calificaciones de la calidad de la educación», Juventud Rebelde, 21 de junio de 2008. http://www.juventudrebelde.cu/cuba/2008-06-21/obtuvo-cuba-las-mas-altas-calificaciones-en-evaluacion-de-la-calidad-de-la-educacion/ (sitio consultado el 22 de junio de 2008).
[4] UNESCO, Informe de 2012. Los jóvenes y las competencias: trabajar con la educación, 2012, p. 370. http://www.unesco.org/new/es/education/themes/leading-the-international-agenda/efareport/reports/2012-skills/ (sitio consultado el 2 de enero de 2013).
[5] Ibid., p. 180.
[6] Ministère de l’éducation nationale, «L’éducation nationale en chiffres», République française, 2012. http://www.education.gouv.fr/cid57111/l-education-nationale-en-chiffres.html (sitio consultado el 11 de febrero de 2013).
[7] Opera Mundi, «Cuba registra menor taxa de mortalidade infantil das Américas», 3 de enero de 2013. http://operamundi.uol.com.br/conteudo/noticias/26374/cuba+registra+menor+taxa+de+mortalidade+infantil+das+americas+.shtml (sitio consultado el 3 de enero de 2013).
[8] Le Figaro, «Cuba : centenaires grâce au système», 22 de mayo de 2009.
[9] Para América Latina (CEPAL), Indicadores del desarrollo socioeconómico de América Latina. (Nations Unies, 2002), pp. 12, 13, 39, 41, 43-47, 49-56, 66-67; 716-733.
[10] American Association for World Health, «Denial of Food and Medecine: the Impact of the U.S. Embargo on the Health and Nutrition in Cuba», marzo de 1997.
[11] Diane Kuntz, «Statement from American Public Health Association», American Public Health Association, 2 de mayo de 1996.
[12] Edward W. Campion & Stephen Morrissey, «A Different Model: Medical Care in Cuba», New England Journal of Medecine, 24 de enero de 2013, p. 297-99.
[13] O. Fonticoba Gener, «Mantiene Cuba alto índice de desarrollo humano», Granma, 1 de octubre de 2011. http://www.granma.cu/espanol/cuba/1octubre-mantiene.html (sitio consultado el 5 de octubre de 2011).
[14] AIN, «Cuba, 4,7 de mortalidad infantil, la más baja de su historia», 2 de enero de 2009; José A. De la Osa, « ¡4,7! », Granma, 2 de enero de 2008.
[15] José A. De la Osa, « Cuba es ejemplo en la protección a la infancia », Granma, 12 de abril de 2008.
[16] Fernando Ravsberg, «UNICEF: Cuba sin desnutrición infantil», BBC, 26 de enero de 2010.
[17] Marcos Alfonso, «Cuba: ejemplo de la protección de la infancia, reconoce UNICEF», AIN, 18 de julio de 2010.
[18] UNICEF, Progreso para la infancia. Un balance sobre la nutrición, 2011.
[19] Save the Children, «Informe Estado Mundial de las madres 2011», 2012. http://www.savethechildren.es/ver_doc.php?id=115 (sitio consultado el 2 de enero de 2012).
[20] Granma, «Director regional de OIT califica de ‘casi un milagro’ sistema cubano de seguridad social», 30 de marzo de 2005. www.granma.cu/espanol/2005/marzo/mier30/califican.html (sitio consultado el 13 de mayo de 2005).
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di Sergio Cararo
Ci sono occasioni in cui il silenzio o il rispetto valgono più delle parole. Lo scrittore cortigiano Roberto Saviano, i cui riconoscimenti superano abbondantemente le sue qualità, non ha saputo resistere alla insana tentazione di mettere bocca anche su materie che non conosce.
In un tweet che ha reso felice il ciarpame reazionario in Italia e nel mondo (vedi sotto) ha attaccato Fidel Castro come dittatore e come persecutore di omosessuali. Se Saviano si fosse informato prima, avrebbe evitato l’ennesima brutta figura.
Saviano scrive da un paese – il nostro – dove negli ultimi anni sono emigrati all’estero più cittadini di quanti ne siano arrivati fuggendo da fame e guerra. E’ evidente che in qualsiasi paese del mondo si cerchi di andare fuori dal proprio se si ritiene che le proprie aspettative possano essere realizzate meglio di quelle che si hanno a disposizione. E' valido per Cuba, è valido per l'Italia. Se Saviano avesse messo a confronto gli indicatori sociali di Cuba con quelli dei paesi limitrofi – e quindi simili per condizioni materiali – avrebbe potuto verificare la distanza abissale tra Cuba, Repubblica Dominicana, Haiti. Ma Cuba è anche un paese povero. Le poche risorse di cui dispone le ha distribuite piuttosto che concentrarle in poche mani. Gli ideali di Cuba e di Fidel Castro? Hanno fatto la storia e hanno influenzato l’America Latina dando vita ad una stagione progressista che ha cambiato il volto di quel mondo. Quelli di Saviano al massimo hanno influenzato Fabio Fazio
Quei tre giorni di pubblicità che gli possono venire da un tweet fetido come quello che ha scritto, verranno presto dimenticati (non da tutti però). Di Fidel Castro parlerà la storia. Di Saviano chi si ricorderà?
Saviano dovrebbe inoltre avere l’umiltà di informarsi, leggere, sapere prima di parlare.
L'omosessualità è stata depenalizzata a Cuba venti anni fa, nel 1997, quando è stata eliminata dal Codice penale che la perseguiva come scandalo pubblico. Nel 2010 lo stesso Fidel Castro mise fine alla discriminazione verso gli omosessuali anche attraverso una onesta autocritica: "Se qualcuno è responsabile, sono io. Non darò la colpa a nessuno", aveva dichiarato Fidel Castro in un'intervista alla direttrice del quotidiano messicano La Jornada. “E’ stata una grande ingiustizia” ha riconosciuto Fidel, "In quei momenti non mi potevo occupare di questo problema.
Nel 2015, all’Avana, un migliaio circa di persone hanno dato vita al Gay Pride . Al corteo c’erano anche sacerdoti che hanno benedetto una ventina di coppie. Con un dettaglio. Nessuno dei religiosi presenti apparteneva alla Chiesa Cattolica. C’era infatti il pastore metodista Raul Suarez (per anni deputato all’Assemblea Nazionale del Potere Popolare), c’erano il reverendo americano Troy Perry della Metropolitan Community Churches di Los Angeles e Roger LaRade, il capo della Chiesa cattolica di Toronto, ma nessuno della Chiesa Cattolica di Cuba.
E proprio il reverendo Raul Suarez, che abbiamo avuto la fortuna di incontrare di persona negli anni scorsi (lo abbiamo invitato due volte in Italia negli anni terrbili del "periodo especial"), ci disse con grande acume che in una società si può sconfiggere la segregazione razziale abolendone le leggi, si può sconfiggere il razzismo impedendogli di manifestarsi, ma la cosa più difficile è sconfiggere il pregiudizio razziale perchè sta dentro il senso comune delle persone. E questa era la situazione anche a Cuba. Per cambiare il senso comune e battere i pregiudizi servono generazioni, non decreti.
Saviano continua ad essere una vittima. Non della camorra, che ormai se lo è scordato e forse non lo neanche mai temuto, ma della sua megalomania. Una brutta bestia che ha rovinato anche teste migliori delle sue, quando non se ne sono rese conto per tempo.
sabato 26 novembre 2016
ADIOS FIDEL
Con la morte di Fidel Castro se n'è andato l'ultimo dei comunisti al mondo che hanno potuto avere l'onore di fregiarsi realmente di questo appellativo poiché rivoluzionario che tra i primi liberò Cuba dal governo dittatoriale del fantoccio Usa Batista.
I due articoli presi da Senza Soste(anniversari )e Infoaut(ricordando-fidel )in maniera differente parlano del Lider Maximo e ne fanno un poco la storia che è anche gran parte della storia mondiale degli ultimi sessant'anni,con un ricordo del Che nell'ultima sua missiva al compagno di tante battaglie.
Oggi è il giorno per commemorare uno dei più grandi statisti e rivoluzionari di sempre che ha saputo far eccellere Cuba nella sanità e nell'educazione pubblica in un contesto di enorme difficoltà dovuta all'embargo statunitense contro il quale c'è stata più di una scintilla per poter scatenare una terza guerra mondiale.
Prossimamente magari due parole saranno spese con chi da piccino o anche da più adulto stimava se non esaltava Fidel Castro e che oggi da povero uomo o donna mantiene le distanze se non taccia con veri e propri insulti questo grande cubano.
tratto da http://contropiano.org
La morte di Fidel Castro è arrivata, attesa ma dolorosa per tutti coloro che continuano ad agire affinchè vengano cambiati i rapporti sociali nel mondo sottoposto al dominio del capitalismo.
Il Comandante en Jefe si spegne a novanta anni, una vita lunghissima che ha attraversato la storia dell’umanità negli ultimi due secoli. E’ la storia di un leader rivoluzionario di prima grandezza, un gigante che si è spesso dovuto misurare con nani politici e passaggi storici che avrebbero piegato le ginocchia a molti di noi.
Fidel Castro, insieme a un pugno di rivoluzionari come Camilio Cianfuegos, Ernesto Che Guevara, Haydeè Santamaria, Melba Hernandez, l’italiano Gino Donè, scelsero di rompere nel 1953 con la coesistenza pacifica tra l’Urss post-stalinista di Kruscev e gli Stati Uniti. Passarono all’azione e rimisero in campo l’opzione rivoluzionaria. La realizzarono nel 1956 a Cuba e cercarono di estenderla, senza successo, nel resto dell’America Latina negli anni successivi. Resistettero eroicamente ad ogni tentativo imperialista di rovesciare il governo rivoluzionario di Cuba e diventarono il punto di riferimento per il Terzo Mondo, quell’Asia, Africa, America Latina dove i movimenti di liberazione sconfissero il colonialismo. I volontari cubani furono decisivi per la liberazione dell’Angola, della Namibia ed infine contro il regime dell’apartheid in Sudafrica. In altri paesi come Congo e Etiopia le cose andarono meno bene. La Cuba di Fidel Castro è stata al centro di un ciclo rivoluzionario durato fino al luglio 1979 in Nicaragua. I guerriglieri internazionalisti cubani non sono stati solo degli ottimi combattenti, sono stati medici, infermieri, agronomi, insegnanti.
Fidel Castro è stato il dirigente comunista che senza giri di parole disse ad un Gorbaciov sulla cresta dell’onda che la sua perestrojka in Urss sarebbe stata rovinosa per il socialismo. E aveva ragione. Scendemmo in piazza nel 1989 con uno striscione ammiccante con su scritto: “Fidel tieni duro!” e tante compagne e compagni non lo compresero e ci criticarono. I fatti diedero ragione a Fidel Castro e confortarono la scelta del nostro striscione.
Fidel Castro è stato l’anima della resistenza di Cuba nei durissimi anni Novanta, quelli del “periodo especial” dove all’aggressione statunitense si sommarono la scomparsa di ogni relazione e supporto economico da parte della dissolta Unione Sovietica. Siamo stati a Cuba più volte in quegli anni che avrebbero piegato qualsiasi popolo e qualsiasi governo. Ma la Cuba di Fidel Castro compì il miracolo di rimanere in piedi. “Nadie nos pondrà en rodilla”. Nessuno ci metterà in ginocchio! Questo era il messaggio potente che Cuba e Fidel hanno tenuto aperto ad un mondo ormai piegato dal dilagare della globalizzazione capitalista.
Proprio mentre il capitalismo si annetteva o disgregava Stati che erano stati per anni al di fuori della sua egemonia, Fidel Castro denunciò, spesso in solitudine, le crescenti contraddizioni ambientali e sociali che il suo modo di produzione stava introducendo sul pianeta. Alla Conferenza sull’Ambiente di Rio le sue parole graffiarono in profondità l’appagata arroganza dei potenti della terra. .
Ha combattuto contro otto Presidenti degli Stati Uniti che volevano rimettere Cuba sotto il tallone di ferro del loro “cortile di casa”. Ha incontrato tre Pontefici ed ha gestito con straordinaria capacità le relazioni con un apparato politico ed ideologico che ha annichilito altri paesi. Ha dialogato a tutto campo ma lo ha fatto senza mai rinnegare il socialismo.
Fidel Castro ebbe la lungimiranza di guardare all’America Latina offrendogli l’esempio di una piccola isola e di una grande rivoluzione che non aveva capitolato. Nel Foro di San Paulo la sinistra latinoamericana trovò la forza, la coesione e le idee per prepararsi al ciclo progressista che ha investito l’America Latina dalla fine degli anni Novanta: Venezuela, Bolivia, Ecuador ma anche, e diversamente, Uruguay, Brasile, Argentina, devono moltissimo a Cuba e a Fidel Castro se riuscirono a venir fuori dall’incubo neoliberista che aveva massacrato socialmente l’America Latina per anni.
L’orologio biologico del comandante Fidel Castro ha proseguito inesorabile. I suoi nemici più volte ne hanno annunciato la morte venendo smentiti e sbeffeggiati dallo stesso Fidel. Ogni leader latinoamericano o africano ha sentito l’esigenza di andarlo a trovare quando si è ritirato dalla vita politica, incluso Nelson Mandela che gli ha tributato il riconoscimento del contributo decisivo dato alla sconfitta dell’apartheid in Sudafrica. Fidel ha continuato a partecipare al dibattito politico a Cuba e nel mondo attraverso le sue lettere periodiche, l’ultima delle quali sottolineava come non ci si potesse fidare di Barak Obama e degli Stati Uniti ma ne indicava anche la debolezza. Un dato anche questo confermato dai fatti.
Ci ha sempre infastidito un certo romanticismo filocubano e abbiamo combattuto apertamente contro ogni visione eurocentrista sulla realtà cubana. Abbiamo praticato a tutti i livelli la solidarietà con Cuba e abbiamo conosciuto da dentro la Rivoluzione Cubana e i suoi dirigenti, incluso Fidel Castro, ne abbiamo sempre apprezzato e valorizzato la enorme capacità di analisi, lungimiranza, concretezza e azione nella realtà.
La scomparsa di Fidel Castro apre un vuoto non colmabile nel movimento rivoluzionario. Ma lascia una eredità non disperdibile: la dimostrazione che i processi rivoluzionari possono vincere, resistere, crescere, estendersi.
La storia ha già assolto il compagno Fidel Castro, le sue ceneri verranno accolte con amore dalla terra abitata da una umanità che gli deve molto.
26 novembre 2016-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Ricordando Fidel con le parole del CHE
L'ultima lettera del Che a Fidel
L'Avana, «Anno dell'agricoltura»
Fidel,
in questa ora mi ricordo di molte cose, di quando ti ho conosciuto in casa di Maria Antonia, di quando mi hai proposto di venire, di tutta la tensione dei preparativi.
Un giorno passarono a domandare chi si doveva avvisare in caso di morte, e la possibilità reale del fatto ci colpì tutti. Poi sapemmo che era proprio così, che in una rivoluzione, se è vera, si vince o si muore, e molti compagni sono rimasti lungo il cammino verso la vittoria.
Oggi tutto ha un tono meno drammatico, perché siamo più maturi, ma il fatto si ripete. Sento che ho compiuto la parte del mio dovere che mi legava alla rivoluzione cubana nel suo territorio e mi congedo da te, dai compagni, dal tuo popolo, che ormai è il mio.
Faccio formale rinuncia ai miei incarichi nella direzione del partito, al mio posto di ministro, al mio grado di comandante, alla mia condizione di cubano. Niente di giuridico mi lega a Cuba; solo rapporti di altro tipo che non si possono spezzare come le nomine. Se faccio un bilancio della mia vita, credo di poter dire che ho lavorato con sufficiente rettitudine e abnegazione a consolidare la vittoria della rivoluzione.
Il mio unico errore di una certa gravità è stato quello di non aver avuto fiducia in te fin dai primi momenti della Sierra Maestra e di non aver compreso con sufficiente rapidità le tue qualità di dirigente e di rivoluzionario.
Ho vissuto giorni magnifici e al tuo fianco ho sentito l'orgoglio di appartenere al nostro popolo nei giorni luminosi e tristi della crisi dei Caraibi.
Poche volte uno statista ha brillato di una luce più alta che in quei giorni; mi inorgoglisce anche il pensiero di averti seguito senza esitazioni, identificandomi con la tua maniera di pensare e di vedere e di valutare i pericoli e i princìpi.
Altre sierras nel mondo reclamano il contributo delle mie modeste forze. io posso fare quello che a te è negato per le responsabilità che hai alla testa di Cuba, ed è arrivata l'ora di separarci.
Lo faccio con un misto di allegria e di dolore; lascio qui gli esseri che amo, e lascio un popolo che mi ha accettato come figlio; tutto ciò rinascerà nel mio spirito; sui nuovi campi di battaglia porterò la fede che mi hai inculcato, lo spirito rivoluzionario del mio popolo, la sensazione di compiere il più sacro dei doveri: lottare contro l'imperialismo dovunque esso sia; questo riconforta e guarisce in abbondanza di qualunque lacerazione.
Ripeto ancora una volta che libero Cuba da qualsiasi responsabilità tranne da quella che emanerà dal suo esempio; se l'ora definitiva arriverà per me sotto un altro cielo, il mio ultimo pensiero sarà per questo popolo e in modo speciale per te; ti ringrazio per i tuoi insegnamenti e per il tuo esempio a cui cercherò di essere fedele fino alle ultime conseguenze delle mie azioni; mi sono sempre identificato con la politica estera della nostra rivoluzione e continuo a farlo; dovunque andrò sentirò la responsabilità di essere un rivoluzionario cubano e come tale agirò; non lascio a mia moglie e ai miei figli niente di materiale, ma questo non è per me ragione di pena: mi rallegro che sia così; non chiedo niente per loro perché lo stato gli darà il necessario per vivere e per educarsi.
Avrei molte cose da dire a te e al nostro popolo, ma sento che le parole non sono necessarie e che non possono esprimere quello che io vorrei dire; non vale la pena di consumare altri fogli.
Fino alla vittoria sempre. Patria o Morte!
Ti abbraccio con grande fervore rivoluzionario
Che
venerdì 25 novembre 2016
CENSURA A SAN SEBASTIAN
Si è giunti quasi al termine dell'esperienza di Donostia-San Sebastian capitale europea della cultura 2016 e lo sia fa con un fatto increscioso che vanifica tutti questi mesi dove la città basca affacciata sul Mar Cantabrico si è dimostrata all'altezza dell'investitura ricevuta.
E'degli scorsi giorni la notizia della censura di alcune opere esposte nella mostra"Sin lugares,sin tiempo:notas sobre la reclusion"ree di essere dipinte(stiamo parlando di quadri)da alcuni carcerati condannati per essere membri dell'Eta.
Come detto dal direttore della fodazione"San Sebastian capitale europea della cultura 2016"e dal rappresentante della cultura del governo autonomo basco tali rappresentazioni avrebbero potuto urtare la sensibilità dei familiari delle vittime dell'Eta,una lobby piuttosto potente ed influente in Spagna,mentre certamente non dello stesso avviso i curatori e la direzione artistica della mostra che parla molto italiano.
L'articolo di Senza Soste(visioni )parla del fattaccio e approfondisce molto il tema del lavoro all'interno di un carcere con le problematiche relative spiegate grazie al lavoro della cooperativa"Sensibili alle foglie"che grazie alla propria esperienza di aiuto per esprimersi attraverso l'arte per non fare dimenticare ai detenuti cosa voglia dire la libertà.
Il governo basco censura alcuni quadri fatti da carcerati di Eta in una esposizione di donostia capitale europea 2016. La mostra si inaugura ma le opere sono coperte. Polemiche politiche in una spagna dai conflitti irrisolti
San Sebastian, capitale europea della cultura per il 2016, è stata ribattezzata Capitale europea della censura. E’ successo all’indomani della decisione del direttore della fondazione “San Sebastian capitale europea della cultura 2016”, Pablo Berástegui, di eliminare dalla mostra alcune opere fatte da carcerati. Il motivo della censura preventiva, ha dichiarato lo stesso direttore, non ha riguardato il contenuto delle opere, bensì gli autori, prigionieri ex appartenenti ad ETA, che avrebbero potuto offendere i familiari delle vittime. Dello stesso avviso il rappresentante culturale del governo basco, il socialista Denis Itxaso. I curatori però, contrariamente a quanto accade solitamente, non se la sono sentita di eliminare le opere in silenzio ed hanno preferito rendere visibile questa scelta imposta dalle autorità, coprendo le opere con l’aggiunta di un cartello dove si legge, in castigliano e in basco: opera censurata.
Da quando la notizia è stata battuta dai giornali locali e nazionali, la polemica è divampata. La mostra ha avuto una impennata di visitatori e certamente la vicenda continuerà a tenere banco tra le diverse anime della società basca e spagnola. Artisti, intellettuali, esponenti della sinistra, semplici cittadini hanno condannato con fermezza la censura imposta, facendo notare che in Spagna esistono ancora statue e monumenti che ricordano il dittatore fascista, Franco. Dall’altra, esponenti socialisti e popolari, che vanno a caccia di consensi tra i moderati, paladini di una censura senza senso .
Al centro del progetto “Sin Lugares Sin Tiempo: Notas Sobre la Reclusion" di cui la mostra è la parte conclusiva, sviluppa una riflessione a tutto campo sui sistemi di regolazione della libertà individuale, ma anche sulle intermediazioni tra il carcere, il manicomio, gli ospizi per anziani, la strada e tutto ciò che è fuori da essi.
Un tema delicato che interseca le paure individuali con la censura collettiva di pratiche che esistono, ma che non pare opportuno divulgare o far conoscere. Così, in un territorio come la Spagna, nel quale i conflitti irrisolti sono mediati dal carcere e dalla censura della indipendenza e delle idee, una mostra pensata come luogo di riflessione diventa essa stessa fonte di assurde polemiche. Se non fosse per il rumore che suscita la censura di alcune opere in mostra, verrebbe da pensare che i censori abbiano voluto nascondersi dietro questo stratagemma per non affrontare il tema vero che aleggia all’interno della mostra e cioè l’incapacità di trovare forme alternative alla privazione della libertà come forma di castigo.
Tornando alla parte seria, “Sin lugares Sin tiempo”, un progetto pensato e ideato da Dario Malventi, filosofo-antropologo livornese emigrato, è iniziato un anno fa con incontri tra gli operatori del carcere di San Sebastian e altri che hanno fatto esperienze concrete nel campo dei “linguaggi” simbolici all’interno dei sistemi di negazione della libertà. La cooperativa italiana “Sensibili alle foglie” ha messo a disposizione degli operatori spagnoli l’esperienza ventennale di un lavoro di raccolta e studio di linguaggi simbolici adottati dai “reclusi” per aggirare i dispositivi di inclusione/esclusione che producono la morte interiore.
Come sostiene Nicola Valentino, uno dei curatori della mostra: “ La ricerca socio analitica che Sensibili alle foglie porta avanti guarda all’espressione creativa come al prodotto di una “dissociazione identitaria”, come un’elaborazione mediante cui una componente identitaria aiuta la persona nel suo insieme a lenire una condizione di sofferenza e a non lasciarsi morire. Il concetto di “dissociazione identitaria”, come evidenziano le ricerche sugli stati modificati di coscienza, non è inteso in chiave patologica bensì fa riferimento ad una visione della persona come insieme di “esistenze psicologiche simultanee”. In ogni persona può emergere un’identità creatrice, di semplice resistenza ad un contesto mortificante o anche di ampliamento della consapevolezza individuale. Questo aspetto, che mette al centro la persona qualsiasi sia la sua condizione, ci sembra interessante per il visitatore al pari del - carattere simbolico – e quindi capace di comunicare forti emozioni – delle opere proposte”
L’esposizione che propone Sensibili alle foglie, oltre ad essere uno strumento valido per operatori sociali e culturali a vario titolo interessati ai temi della reclusione, del disagio sociale e della creatività, si è rivelata, dove è stata aperta alle scuole, un valido strumento didattico. Valorizzando il ricorso ai linguaggi espressivi e l’invenzione di mondi simbolici come risorse che tutti possiamo utilizzare soprattutto nei momenti difficili, essa educa alla creatività, e favorisce l’incontro con i mondi reclusi ed emarginati attraverso la voce creativa delle persone che li abitano. La funzione principale della mostra è quella di sollecitare un lavoro ad ampio raggio di consapevolezza sociale. Consapevolezza dei dispositivi di inclusione/esclusione che risultano mortificanti per gli esseri umani e dai quali origina il malessere che li accomuna, delle risorse creative che aiutano ad aggirarlo o ad elaborarlo, e di un’ecologia relazionale che accoglie e valorizza la persona evitando di mortificarla. La mostra, oltre a sollecitare l’interesse del grande pubblico, può essere validamente utilizzata per educare alla creatività e ad una cittadinanza solidale e sensibile.
L’altro segmento della mostra, che resterà aperta fino al 19 gennaio 2017 e che di fatto accompagna la chiusura di “2016 San Sebastian capitale europea della Cultura”, è riferito ad una ricerca sul sistema carcerario dei paesi baschi e della Spagna attraverso l’utilizzazione di opere artistiche prodotte dai soggetti incarcerati.
Nel complesso una mostra suddivisa in due distinti intenti comunicativi, uno simbolico e umanamente duro da digerire senza sentirsi in colpa come essere umano, una più didascalica, ma altrettanto spigolosa e forte. Insomma da vedere e certo non da censurare.
Al direttore artistico della mostra “Sin lugares Sin Tiempo”, Dario Malventi, filosofo-antropologo e tra i fondatori di Senza Soste, una domanda d’obbligo: Al di là delle polemiche politiche, soddisfatto del lavoro?
Nel complesso direi di si, Non mi aspettavo un risultato, ma molti risultati e l’apertura di nuovi percorsi. Vediamo se siamo stati capaci, con gli amici di Sensibili alle foglie e i ricercatori baschi, di lanciare sufficienti messaggi per restituire dignità al concetto di libertà. Ci stiamo avvicinando a uno degli obiettivi che mi ero posto fin dall’inizio: liberare la parola sociale sulla reclusione, fare in modo che si possa ritornare a discutere su quelle istituzioni totali che giornalmente rinchiudono ed escludono migliaia di persone. Spero davvero che aldilà delle polemiche sulla censura, la mostra possa essere visitata da tutte quelle persone che hanno intenzione di denunciare quei crimini di pace che tanto sono invisibilizzati dietro le pareti delle istituzioni reclusive.
redazione, 25 novembre 2016vedi anche
http://www.lavanguardia.com/cultura/20161117/411939418081/san-sebastian-2016-censura-obras-eta-exposicion.html
giovedì 24 novembre 2016
BALLE PREREFERENDUM
Si torna a parlare del referendum costituzionale del 4 dicembre con una serie di valutazioni che contengono promesse che stavolta non sono minacce ma che per appunto grazie a questa differenza sono appetibili a tutti e quindi palesemente fasulle(vedi anche questo articolo del 2009 sulle intimidazioni e su allarmi come accade oggi tipo l'aumento dello spread se vince il No:intimidazioneminaccia-o-promessa ).
Nell'articolo preso da Contropiano(referendum )è incorporato un pezzo de La Stampa,noto giornale filogovernativo,che spiega l'inversione di tendenza del nostro Stato che è quello più a favore dell'Unione Europea con tutto quello che comporta,con Renzi che afferma che non è più il momento del"ce lo chiede l'Europa".
Quindi inversione un voltafaccia a Bruxelles di chiaro stampo preelettorale che si aggiunge alle promesse ai pensionati,la chiusura di Equitalia,i bonus e gli incentivi per milioni di italiani,il canone Rai,
Oltre a questo una massiccia campagna per il Si a spese di tutti i contribuenti con gli allarmi già scattati per il voto all'estero,la chiamata di vip del mondo dello spettacolo e dello sport e slogan offensivi nei confronti dei sostenitori del No.
Se quest'ultimo punto si fa un parallelo con la recente campagna elettorale statunitense dove l'alternarsi di sportivi,cantanti ed attori a favore della Clinton non ha avuto l'effetto previsto così come dire che Confindustria e le banche siano a favore del referendum non è che sia di buon auspicio.
Referendum. Il disincanto sulla “fuffa” inchioda Renzi.
di Sergio Cararo
Nel paese in cui l’effetto annuncio ha avuto talvolta fortune esagerate sul piano elettorale (vi ricordate Berlusconi sull’abolizione dell’ICI?), questa volta l’operazione non sembra funzionare. Un impietoso articolo uscito su un giornale piuttosto collaterale al governo (La Stampa), analizza come i disperati tentativi di Renzi di recuperare consensi al Si nel referendum attraverso promesse ripetute e mirabolanti, non abbia inciso sugli orientamenti dell’opinione pubblica.
E’ quasi inevitabile andare con il pensiero ai comizi dell’on. Cetto La Qualunque e alle sue improbabili promesse elettorali. Ma la situazione invece è seria e segnala come il disincanto della società stia creando una sorta di “impermeabilizzazione” rispetto alla strumentazione classica della “politica”. Una novità per molti aspetti confortante, per altri aspetti da studiare attentamente per verificare, al contrario, come tale presa di distanze possa risultare invece fragile verso messaggi più reazionari e immediati come le campagne della destra contro gli immigrati, i campi rom etc.
Il fatto che il promessificio non sia più credibile, priva i demagoghi dell’establishment di molte armi, ma non neutralizza automaticamente quel “sovversivismo delle classi dominanti” oggi sollecitato alla grande da esperienze come statunitensi e ispirato neanche troppo velatamente dalla Germania e dall'Unione Europea.
Nella disperata battaglia di Renzi per far salire la sua quota di consensi, appare decisamente interessante verificare l’inefficacia del suo modello di imbonitore. Lasciamo parlare l’articolo de La Stampa: “Più Renzi spingeva l’acceleratore di provvedimenti gratificanti per milioni di cittadini e più i sondaggi restavano fermi. Le pensioni e le quattordicesime a più di due milioni di pensionati? L’'effetto sui sondaggi non è stato apprezzabile. La riduzione dei balzelli di Equitalia? L’effetto sui sondaggi, se c’è stato, non ha avuto un effetto evidente. La riduzione del canone Rai per milioni di italiani? I bonus? Lo spostamento del dibattito referendario dal plebiscito al merito? Gli effetti, se ci sono stati, non risultano quantificabili” scrive Fabio Martini nel suo articolo.
Insomma una debacle su tutto il fronte del promettibile. Viene da chiedersi come mai Renzi non sia ritenuto credibile su questioni di pancia che pure declinate da altri (dal M5S alla Lega) hanno avuto consensi. Per un verso pesa sicuramente il personaggio e l’immagine che si è costruito. La gente comune non è fatta di scienziati politici ma da persone abituate a fare i conti con la realtà, e quindi spesso capisce subito chi gli sta rifilando una fregatura da chi gli propone un prodotto attendibile. Certo ci sono anche quelli che girano per i caseggiati a rifilare agli anziani contratti-fregatura per luce, gas, telefoni o servizi vari in nome del mercato libero. Ma il tam tam ha creato ormai reti di salvaguardia informali che li respingono alla porta, più o meno bruscamente.
In secondo luogo, una volta funzionava anche l’effetto psicologico del prestigio internazionale o del sostegno di Vip, artisti e personalità famose. Ma nel caso di Renzi neanche questa carta (uscita stracciata dalle elezioni statunitensi) sembra funzionare. Il ricevimento e il sostegno ricevuto da Obama? Niente. L’endorsment di Benigni? Niente. Il sostegno al Si della Confindustria e delle banche? La Brexit insegna che è stato un boomerang. Le minacce del governo tedesco contro i rischi della vittoria del NO? Peggio ancora. Se vince il NO si alza lo spread (gioia e delizia degli anni scorsi)? Pazienza, abbiamo imparato a convivere con il terremoto, conviveremo anche con lo spread. Almeno fino a quando non ripudieremo definitivamente il ricatto del debito pubblico in mano a banche, assicurazioni e fondi di investimento che si sono arricchiti con il massacro sociale delle popolazioni.
L’ultima carta che Renzi sta giocando è la più disperata e pericolosa. Nel paese che era il più europeista d’Europa, dove ogni porcheria è stata fatta e va attuata perché “ce lo chiede l’Europa”, Renzi si è buttato sull’antieuropeismo perché da tempo il senso comune della gente ha compreso che nel rapporto tra costi e benefici, l’Unione Europea e l’euro ci sono costati molto di più dei vantaggi che hanno portato. “Impegnato nella battaglia della vita, quella del referendum costituzionale voluto dal governo. Dopo due anni e mezzo di ottimismo a getto quotidiano, il presidente del Consiglio ha deciso di riconvertire almeno una parte del suo messaggio positivo in chiave rivendicativa. Antagonista. Contro un nemico: l’Europa egoista e burocratica” sottolinea La Stampa.
Difficile pensare che Renzi si voglia aggregare alla campagna della Piattaforma Sociale Eurostop. Piuttosto sta scherzando con il fuoco. A Bruxelles, si sa che sono molto permalosi. Il povero Berlusconi è stato tolto di mezzo e sostituito da Monti senza neanche passare per le urne. Come Renzi del resto. Forse stanno pensando già ad una carta di ricambio. Magari meno incline alla “fuffa” e più incline al dispotismo tecnocratico ispirato dall’ordoliberismo tedesco che conforma ritmi, priorità, strutture e ideologia dell’Unione Europea.
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Qui sotto riproduciamo l’articolo di Fabio Martini su La Stampa del 17/11/2016
L’Europa «cattiva», tra tante rughe, ha mostrato il suo volto buono: ha inaspettatamente promosso le spese eccezionali per terremoto e migranti. Ma il presidente del Consiglio ha continuato a tenere il punto. Come se non fosse accaduto. Perché da due giorni Bruxelles è stata «promossa» a nemico stabile. Quanto durerà nessun lo sa, ma si tratta di una novità nella politica europea dell’Italia e soprattutto è una svolta nella strategia comunicativa di Matteo Renzi.
Impegnato nella battaglia della vita, quella del referendum costituzionale voluto dal governo. Dopo due anni e mezzo di ottimismo a getto quotidiano, il presidente del Consiglio ha deciso di riconvertire almeno una parte del suo messaggio positivo in chiave rivendicativa. Antagonista.
Contro un nemico: l’Europa egoista e burocratica. Certo, già lo aveva fatto nel passato, con accenti di verità e con scossoni salutari, vista la progressiva eclissi della dottrina dell’austerità. Ma stavolta il duello con Bruxelles è diverso perchè nelle settimane scorse si è silenziosamente consumato quello a palazzo Chigi qualcuno ha ribattezzato “l’ottobre nero”. Matteo Renzi vive di adrenalina e non usa espressioni così pessimistiche, eppure ha assistito con un crescendo di «sorpresa» ad un fenomeno dai tratti quasi misteriosi, che si è stratificato nelle ultime settimane. Più Renzi spingeva l’acceleratore di provvedimenti gratificanti per milioni di cittadini e più i sondaggi restavano fermi. Le pensioni e le quattordicesime a più di due milioni di pensionati? L’'effetto sui sondaggi non è stato apprezzabile. La riduzione dei balzelli di Equitalia? L’effetto sui sondaggi, se c’è stato, non ha avuto un effetto evidente. La riduzione del canone Rai per milioni di italiani? I bonus? Lo spostamento del dibattito referendario dal plebiscito al merito? Gli effetti, se ci sono stati, non risultano quantificabili. Per non parlare dell’ accoglienza regale tributata a Renzi alla Casa Bianca. Un “ottobre nero” ma anche un novembre che a metà mese non ha aperto spiragli: ieri sera, Renzi è stato aggiornato sui sondaggi più attendibili e per il momento il buon vantaggio del No (tra 4 e 8 punti, secondo gli istituti) resta invariato, anche se ancora “scalabile”.
Dopo due mesi di campagna elettorale è come se l’emittente dei messaggi si fosse opacizzata, è come se l’efficacia della narrazione renziana e del suo artefice avessero perso mordente e credibilità. La causa è una “overdose” da ottimismo esasperato? O una diffusa corrente di «antipatia» verso Renzi, come ipotizzato da un amico come Oscar Farinetti? In attesa di risposte concrete dalle urne del referendum, per provare ad invertire la rotta, due giorni fa Renzi ha maturato la decisione – covata per settimane – di convertire una parte dei messaggi positivi in chiave rivendicativa. Contro un nemico: l’Europa egoista e burocratica. E d’altra parte nella “narrazione” renziana i nemici hanno sempre avuto un ruolo da protagonisti. Renzi ha usato per la prima volta l’espressione «gufi» il 12 marzo 2014, quando era presidente del Consiglio da appena 19 giorni, era saldissimo e nessuno lo insidiava. Ora tocca di nuovo all’Europa incarnare il ruolo di capro espiatorio.
Il “numero” di due giorni fa sul (futuribile) veto al bilancio comunitario dimostra che il presidente del Consiglio ne vuole fare un cavallo di battaglia nel rush finale della campagna referendaria. Come conferma la (non) reazione di Renzi alla decisione di ieri della Commissione europea che ha promosso le spese eccezionali per terremoto e migranti, compreso il via libera per le scuole tante volte evocate dal capo del governo come prova della cattiva volontà degli euroburocrati. Dunque, l’Europa “cattiva” ha mostrato il suo volto buono, ma Renzi non ha “ringraziato”, lasciando a Padoan il compito di compiacersi pubblicamente.
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