venerdì 25 marzo 2016

JOHAN CRUIJFF CAMPIONE DENTRO E FUORI IL CAMPO DI CALCIO

Come nella foto,come un Gesù sceso dalla croce per andare a giocare a pallone all'infinito,con la consapevolezza che ha sempre contraddistinto il suo ideale di gioco che aveva da ragazzino,quello di divertirsi,Johan Cruijff è morto e con lui un calcio che sta perdendo sempre più campioni di un tempo che non tornerà mai più.
Quello delle partite tutte alla domenica alle tre del pomeriggio,del novantesimo minuto,dei tamburi e dei fumogeni negli stadi,soppiantati da una logica capitalistica di arricchimento che sta smantellando tutto un mondo creato dalla gente per la gente.
Perché i giocatori vanno e vengono così come pure i tifosi,ma la maglia resta per sempre,come quella dell'Olanda piuttosto che quella dell'Ajax o del Barcellona,quelle più importanti che hanno segnato la carriera professionale del poeta del calcio.
Il numero 14 ha sempre identificato Cruijff(a Barcellona col 9 l'aveva sotto la maglia ufficiale)e pur non avendolo mai visto giocare dal vivo i video l'hanno fatto apprezzare anche alle generazioni più giovani:quando "giocavo" a calcio avevo quasi sempre la maglia numero quattordici perché ero sempre in panchina ma un mio allenatore mi disse che avevo un qualcosa che gli ricordava il Pelè bianco,limitato solo all'interno del centro del centrocampo ovvio.
Gli articoli presi da Senza Soste(http://www.senzasoste.it/calcio/johan-cruijff-morte-di-un-poeta )e successivamente da Radio Onda d'Urto(http://www.radiondadurto.org/2016/03/25/johan-cruyff-tra-calcio-e-politica-il-ritratto-di-un-simbolo-del-calcio-totale/ )dribblano tra il calcio totale e i numeri impressionanti di presenze e di gol,da partite storiche a sconfitte a testa altissima,tra un idea di squadra in campo che ricalcava quella che aveva nella vita.
Perché Cruijff non aveva giocato al pari del collega della Germania Ovest Paul Breitner(http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2015/12/paul-il-rosso-breitner.html )i campionati mondiali di calcio in Argentina nel 1978 per protesta contro la dittatura di Videla,e da giocatore ai tempi del Barcellona sposò totalmente la causa catalana e dimostrò più volte l'assoluta contrarietà a Franco e al franchismo.
Insomma uomo e campione vero fuori e dentro al campo.
 
Johan Cruijff, morte di un poeta
Mario Di Vito - tratto da http://contropiano.org

Johan Cruijff è morto all’età di 68 anni, a Barcellona, dopo che lo scorso ottobre gli era stato diagnosticato un tumore ai polmoni. Poeta, calciatore, allenatore: in quest’ordine. Il suo nome è legato all’Ajax, al Barcellona, alla Catalogna e, soprattutto, alla grande Olanda del mondiale del 1974: secondo posto e invenzione del calcio totale, cioè di quella particolare variante del gioco del pallone in cui tutti fanno tutto, e lo fanno molto bene. Un’orchestra jazz in cui ognuno è un solista che suona da dio, ma che solo insieme agli altri compone la perfezione. L’Arancia Meccanica, il soprannome giornalistico coniato all’epoca sull’onda del successo del film di Kubrick.
Affrontare l’Olanda era come andare incontro a un incubo, per gli avversari. Per la cronaca, nel 1974 in Germania Ovest, i tulipani si arresero solo ai padroni di casa, rimontati dopo che il gol del vantaggio era arrivato in appena 120 secondi dalla battuta del calcio d’inizio. Succede. I tedeschi pure avevano uno squadrone, e gli olandesi non hanno la fama di quelli belli e incompiuti per caso. Più drammatiche le vicende del 1978, in Argentina, in un mondiale vinto più dal generale Videla che da Mario Kempes e compagni. Cruijff non c’era: dopo aver guidato la sua nazionale durante le qualificazioni decise di non imbarcarsi per il Sud America, non si è mai capito se per motivi politici o personali.
Uno sguardo ai numeri, giusto un attimo perché non bisogna distrarsi dalla poesia: in carriera Cruijff ha giocato 716 partite ufficiali segnando 402 reti. «Profeta del gol» come da documentario diretto da Sandro Ciotti o «Pelè bianco» secondo l’opinione di Gianni Brera. Ok, Johan era tutto questo, ma anche qualcosa di più. La perfezione stilistica, il distillato di pura tecnica, fiato e potenza, attaccante, centrocampista, rifinitore, fantasista, genio. Dove lo mettevi, stava. Se uno non si innamora del calcio guardando Cruijff, non è proprio interessato alla materia. Il numero 14 sulle spalle, un planetoide che porta il suo nome (il numero 14.282, per gli appassionati), Cavaliere della Casa d’Orange, membro onorario della Reale Federazione Calcistica dei Paesi Bassi, allenatore della Catalogna per un paio di partite. La leggenda è nel dettaglio, anche se la grandezza di Johan Cruijff è assai più della somma delle sue partite e dei suoi gol. Bisogna andare a guardarselo su Youtube: è un’esperienza estetica, non un giocatore di pallone.
Basette da rockstar, temperamento da divo del cinema, carattere spigoloso e polemista nato. Cruijff è il simbolo di una generazione di sognatori per necessità più che per scelta. Come diceva Galeano: ogni passo che fai verso l’utopia, questa si allontana di un altro passo e non la raggiungerai mai, ma almeno ti servirà per camminare in avanti. La sconfitta dell’Olanda nel 1974 è il simbolo di tutto questo: perdere a testa altissima dopo aver dato lezioni al mondo intero.
Il tipo, poi, era anche consapevole di tutto questo. E non deve essere stata una cosa facile avere a che fare con lui su un campo da calcio. Un aneddoto che è tutto un dire: il vigoroso ex attaccante argentino Jorge Valdano racconta di una volta in cui, quando lui era giovanissimo e Cruijff già era Cruijff, verso la metà del secondo tempo di una partita Johan si mise a protestare con l’arbitro per un fallo senza importanza. Valdano si avvicinò per dirgli di smetterla e che, insomma, sarebbe stato meglio ricominciare a giocare. L’olandese a quel punto lo guardò, gli chiese quanti anni avesse e poi gli diede uno schiaffo: «Ragazzo, a ventuno anni a Cruijff si dà del lei». Come dargli torto?
24 marzo 2016

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JOHAN CRUYFF: TRA CALCIO E POLITICA, IL RITRATTO DI UN SIMBOLO DEL CALCIO “TOTALE”.

Tra mito e realtà, tra politica e calcio giocato, la vita di Johan Cruyff è stata un unicum.
Importante per i cambiamenti, culturali e politici, di un paese intero.
Spentosi a 68 anni, il 24 marzo del 2016, merita un ricordo.
Il mito vuole che la maglia numero 14 portata sulla schiena fosse uno dei modi possibili di rifiutare le regole che il rettangolo di gioco imponeva. Regole di gioco e sociali. Probabilmente il numero 14 è capitato per caso. Johan, e mezza nazionale olandese, sembravano degli hippie: capelli lunghi, sigarette, e sesso anche in ritiro. Tre coppe campioni consecuitive vinte con l’Ajax. Il trasferimento al Barcellona. I litigi con la federazione olandese sul pagamento delle presenze in nazionale. Il rifiuto di partecipare ai mondiali del ’78 nell’ di Videla.
Johan Cruyff è figlio di un calcio ancora popolare, lontano dal business sfrenato, dalle pay tv, dagli sponsor milionari, dagli interminabili talk-show televisi. Quel calcio è finito tempo fa.
Cruyff arrogante e di sinistra. Simbolo dell’Olonda che cambiava. Simbolo dell’Olanda “socialista” del calcio totale, del rifiuto dei ruoli, del mutualismo in campo e della centralità del collettivo sulle individualità.
Il mito di Cruyff è stato certamente condito e legittimato dalle vittorie in campo. Ma quel che resta è la bellezza del suo calcio, nella rivoluzione stilistica del gioco, nelle immagini di una delle più divertenti nazionali di calcio mai viste in un rettagolo verde, e nella lotta misurata, continua ed esplicita al franchismo, la solidarietà con la lotta catalana, il rifiuto delle dittature. Il nome di suo figlio, Jordi, è il riuassunto dello Johan senza palla tra i piedi.
Assieme a Luca , giornalista de Il Fatto Quotidiano e autore dell’articolo “Morto lo Spinoza del calcio. Dove tutto era e doveva essere gioia”, dipingiamo il ritratto di Cruyff.

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