venerdì 19 luglio 2013

SERVI DI TUTTO E DI TUTTI

Sul vergognoso caso del sequestro di persona della moglie e della figlia del"dissidente politico"kazako Ablyazov non voglio soffermarmi troppo,in quanto è spiegato a grandi linee dall'articolo di Infoaut sia la figura di colui che è definito dallo stato asiatico criminale e terrorista,ma vorrei puntualizzare il fatto su come sia avvenuto l'arresto e l'estradizione della consorte e della figlia.
In puro stile anonima sequestri un commando di poliziotti italiani e digossini,istruiti direttamente dal governo del Kazakistan e dalla persona del loro ambasciatore sul nostro suolo,hanno prelevato ed estradato le due persone come se niente fosse,senza che il ministro dell'interno Alfano ne fosse a conoscenza(così dice lui).
Quando è saltata fuori la grana è successo un putiferio internazionale,con la nostra solita figura di merda in ambito internazionale ed il richiamo ufficiale dell'Onu e di tutte le organizzazioni che si battono per i diritti umani,con i kazaki che praticamente hanno comandato le operazioni assieme al Viminale secondo le ultime indagini,con l'ambasciatore Yelemessov che aveva detto che all'interno dell'abitazione dove sono state prelevate madre e figlia vi fosse un latitante armato.
Ultimo atto per ora è stato il voto di sfiducia ad Alfano che naturalmente non è stata approvata grazie all'intervento del Pd e di Letta in prima persona che ha difeso a spada tratta il ministro dell'Interno in un gioco sempre più sporco,sempre più insano e che fa sì che le due maggiori forze presenti numericamente nella maggioranza se ne stiano tranquillamente sedute sui propri scranni.
Voglio terminare citando un link di Senza soste che contiene sia il contributo sotto che un altro pezzo in cui si parla della ragione principe per cui in questa vicenda ci sia stato così tanto servilismo,ovvero gli interessi energetici che l'Italia ha in Kazakistan(http://www.senzasoste.it/politica/caso-kazako-tra-servilismo-e-incapacita-e-gas ).

Caso kazako. Tra servilismo e incapacità.

La vicenda del caso di Muktar Ablyazov-Shalabayeva è stata degna di entrare all'onor di cronaca delle maggiori testate giornalistiche solo negli ultimi giorni. Eppure risale alla notte del 29 maggio quando a Roma un ingente gruppo di forze dell'ordine e digos ha fatto irruzione in una casa al cui interno si trovavano la moglie di Ablyazov e la figlia, con un mandato di cattura alla mano per quello che viene definito un "dissidente politico", e il conseguente rimpatrio forzato in Kazakhstan per le due famigliari.
Su Ablyazov pende infatti un mandato di cattura internazionale emesso dal Kazakistan e valido anche in Russia. Considerato il nemico numero uno del presidente del Kazakistan, Nursultan Nazabarayev, Ablyazov è anche ricercato dalla Gran Bretagna dove gode di uno status un po' particolare: da un lato gli è stato riconosciuto l'asilo politico, dall'altra è sotto accusa per non essersi presentato a un processo per la sottrazione di 5 miliardi di euro alla banca di cui è stato a lungo presidente (la BTA). Per questo è stato condannato a 22 mesi. Quello che più risalta nella vicenda, senza soffermarci troppo sulla figura di Ablyazov, sono tuttavia ben altre considerazioni riguardo a quanto sta uscendo nelle ultime ore attraverso dichiarazioni et simile che sembrano aver messo in moto un meccanismo che coinvolge diversi aspetti di un potere attuato e di un servilismo concesso. A partire dall'utilizzo del termine e della conseguente applicazione della categoria "dissidente" con la quale è stato etichettato Ablyazov, che risulta essere il costrutto residuale dell'imperialismo umanitario anni '90, per legittimare in qualche modo le azioni riservate ai casi particolari come questo. Eppure, Ablyazov certamente non fa parte di nessun movimento di liberazione né tanto meno è un rappresentante di una lotta specifica nella stessa direzione. Eppure le associazioni umanitarie eccedono nell'utilizzo del concetto, forti delle considerazioni fatte invece dalle autorità del Kazakistan che lo ritengono "un criminale collegato al terrorismo internazionale", che già la dice lunga sull'implementazione di costrutti sovradeterminati.
Ma a tener banco in questa vicenda, sono ancora una volta le questioni economiche e politiche nel connubio di politica estera e energetica che riguarda l'Italia, soprattutto dopo la crisi libica e il colpo franco statunitense alla Libia con l'estromissione di Roma. A partire da quel momento, inizia a mancare per l'Italia il gas proveniente dalla Libia e gli interessi strategici che vi sono dietro. Da qui il repentino tentativo di spostarsi sul territorio dell'Azerbaijan, ritenuto un partner troppo poco affidabile e la successiva necessità di tessere relazioni e rinsaldare legami commerciali e economici con il Kazakhstan. Questo è dovuto anche al ruolo della Russia nella questione energetica petrolifera e i rapporti che i due Paesi hanno.
All'interno di questo quadro, si profila quindi una sceneggiata facilmente ricostruibile. L'interesse nazionale in materia energetica sovrasta su tutte le altre questioni, dando vita di riflesso ad un problema politico: tra accuse, smentite, dichiarazioni e lavate di mani, si trova l'equilibrismo perenne in cui oscilla Letta. All'interno del così chiamato governo delle larghe intese, vi è da una parte il Pdl che sembra avere un margine di manovra più esteso rispetto a quello del Pd, dovuto anche dalla linea berlusconiana di attuare un tentativo, fallito miseramente, di ritagliarsi una sfera di autonomia in Est Europa. Certo è che questo governo, giusto per non smentirsi, dimostra ancora una volta la sua incapacità nel gestire situazioni in cui prevale il caos sistemico che rende difficile ogni politica estera che sia un minimo organica. Un problema endemico destinato a ripetersi in futuro.

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