Non sa proprio più che pesci pigliare il razzista ministro Maroni che spande merda ogni qualvolta apre la bocca,ancora stordito dall'immensa,che se non fosse per i fatti tragici dei serbi a Genova,chiamerei gaffe,che in qualsiasi altro Stato democratico avrebbe causato le dimissioni o comunque un procedimento per impedire di rappresentare come ministro un paese.
Ora all'indomani di un'importante manifestazione sindacale a livello nazionale afferma che durante tale corteo potrebbero esserci infiltrati violenti pronti a creare tensione con le forze del disordine,aumentando di fatto lui un clima non troppo sereno e parandosi il culo in qualsiasi caso finisca la manifestazione romana della Fiom.
Avvicinandoci a casa vediamo che contemporaneamente da un paio di giorni sta combattendo una sua guerra privata a Milano che sotto l'incitamento di De Coratto e della Mo-ratti contro l'occupazione di Via Savona della Bottiglieria Okkupata ha inviato ben 350 sbirri paralizzando un intero quartiere,mentre si contano già 50 denunciati e ancora sette occupanti sul tetto dell'edificio.
Prove di forza così grandi a confronto di quello che personalmente non ritengo nemmeno un problema vanno a cozzare con i numeri degli sbirri impiegati martedì sera ed il numero di nazisti denunciati!
Per un deficiente,veramente impreparato,inetto,inefficace uomo di merda come Maroni le dimissioni sarebbero proprio gradite,visto che poi rappresenta solo una parte degli italiani volendo la sua padania libera:solo quello che ha combinato in tre giorni e senza contare tutta la sequela di cagate che ha svolto da ministro e che non sto ad elencare ma che di certo sapete(dai tre le metto,Cie,ronde e tessere varie)devono far capire a questa testyadicazzo di occuparsi a suonare il suo trombone prima che qualcuno gliele suoni veramente a lui.E sarebbe proprio ora!
Contributi da Indymedia Lombardia e Senza Soste.
Maroni, miopie dalle Tigri di Arkan alla Bottiglieria Okkupata: e ora scatta il terrore Fiom.
"Da assidui frequentatori degli stadi italiani, da anni ormai super militarizzati, dove ogni domenica viene vietato a molti tifosi di poter assistere al calcio in base ad un lavoro di intelligence che vale evidentemente solo per i tifosi italiani, dove non si lesinano manganellate anche gratuite, non potevamo credere ai nostri occhi e come noi i tanti, troppi che allo stadio, in Italia, non vanno più, proprio perché stremati, svuotati della passione, repressi".
E' questa la lettera indirizzata al ministro Maroni e pubblicata sul sito di Beppe Grillo a seguito degli scontri di Genova e della sospensione della partita Italia-Serbia, di cui avevamo parlato qui.
Le domande sulla sicurezza e sul dispegamento di forze dell'ordine che non sono riuscite a tenere a bada pochi estremisti è preoccupante. Tanto quanto la mobilitazione massiccia che oggi De Corato ha voluto a Milano per sgomberare un centro sociale, la Bottiglieria okkupata. Dentro una trentina di ragazzi autonomi.
Scrive Repubblica:
Sono stati circa 350 tra poliziotti, carabinieri, finanzieri e agenti della Digos a intervenire all'alba di giovedì. L'intero quartiere è stato «blindato» anche ai residenti: impedito l'accesso da via Solari, Montevideo, Cerano e viale Coni Zugna. I sette ragazzi non sono saliti dopo lo sgombero, ma si trovavano in presidio all'ultimo piano dell'edificio già prima dell'inizio delle operazioni e hanno lanciato dei petardi.
Insomma, viste le misure, quelli della Bottiglieria Okkupata sono più pericolosi delle Tigri di Arkan. Irrazionale e ingiustificabile.
Intanto il ministro Maroni è impegnato sul fronte terrore e già prevede l'apocalisse per la manifestazione della Fiom. Infiltrazioni di stranieri, addirittura. Veltroni offre il suo lungimirante monito: attenzione a non alimentare la tensione. Gli ricordiamo anche in questa occasione la sua promessa africana, non ancora onorata.
In Grecia e in Francia i lavoratori stanno protestando. In Italia siamo invitati a tacere anche dopo il mini caso nazionale delle pensioni di cui abbiamo parlato qui. Ciò che mi inquieta è 1) che non so se riusciremo ad arrivare alla consapevolezza di tornare uniti per i nostri diritti. Dall'altra parte, 2) incutono terrore l'inettitudine della polizia dinanzi a situazioni di reale emergenza e le banali dimostrazioni di forza davanti a sparuti gruppi di autonomi milanesi.
http://internetepolitica.blogosfere.it/
Maroni, la strategia della uova .
Puntuali, come le anticipazioni sui film di Natale, ecco le dichiarazioni del ministro Maroni sui possibili infiltrati violenti alla manifestazione nazionale indetta dalla Fiom.
L'attuale titolare del Viminale, che va anche a giro per l'Italia del nord urlando "Padania Libera", ripete uno schema di comportamento logoro. Ma efficace fino a che i suoi avversari si comportano allo stesso modo da anni.
Cosa vuole Maroni? Semplicemente spostare la notiziabilità della manifestazione dalla questione del contratto al tema della sicurezza. Necessità impellente per un governo che sta letteralmente facendo cadere a pezzi il paese. Ecco che partono quindi gli allarmi sui "violenti che possono infiltrarsi dall'estero" ai quali rispondono le rassicurazioni del sindacato.
Alla fine della manifestazione "vinceranno" tutti. Il ministro che affermerà che, grazie all'impegno delle forze dell'ordine, non è successo nulla. Il sindacato ribadirà il suo ruolo insostituibile a garanzia della convivenza civile e democratica. Le notizie e il dibattito sulla manifestazione saranno sostanzialmente queste. Contratto? Diritti? Reddito? Finiranno in secondo piano. Come il fatto che in Italia persino tirare un uovo è ormai considerato terrorismo. Nel migliore dei casi un "atto sconsiderato". E così alla fine della manifestazione le due parti si daranno a vicenda del democratico, per aver impedito fantomatici incidenti, mentre di fatto si è instaurato un clima da Argentina di Videla. Dove un uovo è terrorismo. E' ai lavoratori che spetta rompere la strategia delle uova di Roberto Maroni. E di chi non si sa se abbocca sempre perchè non ha capito o se desidera solo di abboccare.
la fonte. Agenza Agi
(AGI) - Roma, 15 ott. - Il rischio di incidenti al corteo della Fiom di domani c'e' e il ministero dell'Interno vuole evitarlo.
E' quanto ribadisce il ministro Roberto Maroni sulle colonne di Repubblica, respingendo le accuse di chi sostiene che l'allarme lanciato ieri possa condizionare la manifestazione: "E' una sciocchezza. Sono sempre i soliti, come quel De Magistris, a dire queste cose in giro. Ma io mi sono stancato di chi mi accusa di essere un nazista. Io voglio solo che tutto si svolga pacificamente. E che ci sia uno scambio di informazioni con gli organizzatori". "Se, come qualche giornale ha fatto - prosegue Maroni - vengo accusato di violare la Costituzione, di essere un colluso con la mafia, di essere un nazista, allora qualcuno puo' pensare che io sia da eliminare. E' il clima del paese che puo' provocare incidenti"; il riferimento - spiega - e' a Schifani, Bonanni, Ichino. Maroni spiega di aver rivolto l'invito al servizio d'ordine del sindacato: "Bisogna mantenere il controllo fino alla fine e anche dopo". E ribadisce: "serve una presa di distanza dai violenti forte e netta da parte di tutti i soggetti democratici".
venerdì 15 ottobre 2010
mercoledì 13 ottobre 2010
MOLTO OLTRE LA PARTITA,LA POLITICA
Certamente un giornalista sportivo non può sapere tutto di tutti soprattutto in ambiti socio-politici,ma che non abbiano nemmeno una minima infarinatura di quello che gli stia attorno,e molto vicino in questo caso direi,è segno del sempre più evidente decadimento della classe lavorativa dei giornalisti.
L'articolo di"Senza Soste"elenca gli strafalcioni che hanno commesso in diretta gli inviati presenti per la partita di Genova tra Italia e Serbia che è stata teatro di incidenti con la tifoseria serba e la conseguente sospensione del match per motivi di ordine pubblico.
Limitandosi a dire che gli ultrà protagonisti degli scontri appartenevano a frange nazionaliste serbe non volevano o potevano(forse)spingersi oltre dando una matrice politica per quello che in fondo è successo ieri,ovvero un manipolo di nazisti che hanno potuto avere visibilità internazionale grazie ad un evento sportivo per pubblicizzare le loro idee politiche che racchiudono il non volere entrare a far parte della comunità europea e di volere annesso alla loro nazione il Kosovo,che molto probabilmente otterrà la piena indipendanza dalla Serbia in quanto da un paio di anni amministrato dall'Onu(infatti nella cartina sopra è ancora rappresentato come una provincia serba).
Non sono passati molti giorni dai terribili scontri che hanno visto Belgrado messa a ferro e fuoco durante il locale gay pride,con le bestie nazifasciste indiavolate per il permesso concesso dalle autorità per questo corteo,con ripercussioni dirette subite dal capo dello Stato.
D'altronde che si vuole pretendere dalla maggior parte del"fiero"popolo serbo entrato nella cronaca degli ultimi anni soprattutto per contrabbandare droga,armi e prostitute e per essere stati protagonisti di stupri sistematici prima durante e dopo la guerra civile.
Ovvio che i fasci nostrani vadano a braccetto con queste bestie decerebrarte,infatti alcuni dei ratti nostrani erano presenti con delegazioni a Belgrado(ricordarsi dello striscione dei merdosi laziali la cui foto chiude il post odierno),così come pure chi marcia assieme a questi imbecilli sono gli sbirri che quando si tratta di menare compagni non guardano all'incolumità delle persone ma vanno giù duro di manganello.
Chi bazzica stadi ed abbia visto o partecipato a scontri con la celere avrà notato subito la differenza solo negli sguardi delle divise blu che proprio sono stati alla fine costretti ad intervenire per salvare la faccia a se stessi ed al loro corpo militaresco.
Non sono mancati saluti romani e saluti a tre dita fatti addirittura dagli stessi giocatori serbi per placare gli animi ai delinquenti in curva,che le tre dita se le mettessero in culo tra di loro assieme alle loro bandiere bruciate e alla loro voglia di restaurare un regime che solo nella ex Yugoslavia ha provocato centinaia di migliaia di vittime.
Ultima nota è quella che da il titolo all'articolo appena seguente,ovvero che se già loro si siano dimenticati degli orrori del nazifascismo pure noi nel giro di dieci anni ci siamo scordati,grazie al governo D'Alema,che siamo stati artefici della carneficina avvenuta in Serbia.
Genova, l’Italia scopre la Serbia undici anni dopo averla bombardata .
La telecronaca dal campo di Italia-Serbia di ieri è destinata a passare agli archivi come un documento sull’impossibilità dei giornalisti sportivi a commentare fatti che avvengono negli stadi. Esilarante la gaffe in diretta sul saluto dei giocatori serbi ai loro tifosi, saluto fatto nel tentativo di calmarli e di farli sentire dalla loro parte. I giocatori della Serbia hanno salutato infatti, con un fare molto timido e tipico di chi teme che gli arrivi addosso un oggetto contundente, col gesto tradizionale dell’esposizione delle tre dita. Che è il gesto storico del nazionalismo serbo e indica fedeltà a dio, alla patria e allo zar (quello moscovita, in nome dell’alleanza panslava). Dalla postazione della Rai è partito, senza pensarci un attimo, un commento che voleva il gesto delle tre dita come il timore espresso verso lo 0-3 a tavolino che sarebbe costato alla squadra che avrebbe provocato la sospensione della partita. Dallo studio Rai hanno capito la portata della gaffe, è come dire ad una cerimonia ufficiale che il saluto a pugno chiuso è preludio ad un cazzotto, e dopo un’oretta hanno fatto correggere in diretta il commento dei due giornalisti.
Quest’episodio è rivelatore di qualcosa di più di una semplice gaffe. L’Italia sta infatti scoprendo la Serbia undici anni dopo averla bombardata. Sempre, ammesso, e non concesso, che gli italiani si ricordino di aver bombardato la Serbia. Questa società ha infatti tratti orwelliani per cui il ricordo collettivo del passato sembra in preda ad una sindrome di Korsakoff, dove i vuoti di memoria vengono riempiti con costruzioni talvolta fantastiche talvolta deliranti, rigidamente governata dai media generalisti.
La società serba è invece in preda ad altro genere di convulsioni, tipiche di un sistema sociale che dopo dieci anni di guerra civile, dieci di stagnazione economica sta cercando di entrare nei canoni della piena compatibilità al mondo liberista europeo. Quello che abbiamo visto nelle strade di Genova è un fenomeno di rigetto di questo tentativo di immettere liberismo puro nella società serba da parte del potere locale. E qui ci sono frizioni interne tali che gli stessi serbi, pur essendo in trasferta, non hanno cercato contatto vero con i tifosi italiani. Hanno infatti scelto la platea internazionale, quella meglio connessa per i media, per lanciare meglio messaggi locali.
E, a parte qualche negozio che ha avuto la sfortuna di trovarsi sul loro passaggio, hanno rivolto la loro contestazione soprattutto ai giocatori della propria squadra lanciando ogni genere di messaggio ad uso interno. Un paio di striscioni in italiano, compreso uno sul Kosovo, ricordavano la loro presenza nel nostro paese. Ma nel complesso, considerando che l’Italia nel recente passato ha bombardato la Serbia, ci hanno quasi ignorati.
Genova è stato così il set, come accade nelle società della comunicazione globale, per questioni puramente serbe. Di uno stato che ha ancora decine di migliaia di sfollati, retaggio delle guerre degli anni ’90, e che sta attraversando una ristrutturazione economica e finanziaria dovuta al fatto che si è candidata ad entrare nell’Ue. Aprendo una dialettica, di fatto, tra “occidentalisti” e “puramente serbi” che rappresenta una maschera farsesca e trasfigurata dei drammi sociali di quel paese. Colpisce, in questo contesto, vedere giovani serbi fare il saluto romano. Si tratta pur sempre di una terra che, dalle invasioni naziste e fasciste, ha ricavato centinaia di migliaia di vittime. Ma il neonazismo serbo, come quello russo, ricorda quello degli skins inglesi a cavallo degli anni ’70 e ’80. L’assunzione identitaria, isterica, paradossale e desiderosa di assumere l’aura della potenza stracciona degli ultimi, tipica di chi sente addosso il fallimento di un modello sociale e cerca la prima soluzione disponibile per reagire. Qualunque sia questa soluzione. Che qui viene fuori secondo canoni a volte incomprensibili per chi non ha immediata dimestichezza con la cultura slava.
Di fronte all’attraversamento in Italia di questi fenomeni le risposte sono tipiche di un paese che non sa e non vuole capire, che non è in grado di affrontare positivamente alcuna conseguenza dei drammi del mondo contemporaneo. Prima però è utile comprendere che la polizia a Genova, città che ormai ha un proprio significato fatale, ha fatto capire che non è in grado di affrontare tifoserie che non corrispondano a comportamenti come delineati nel modello Maroni-Amato. Che è un modello che, in corrispondenza con le ristrutturazioni interne e i tagli agli organici, prevede una selezione a monte delle tifoserie intenzionate a venire in trasferta (Daspo indiscriminato, tessera del tifoso, proibizioni del Casms) per poter concentrare e specializzare le residue forze su ciò che arriva a valle.
I serbi arrivati a Genova sfuggivano completamente a questo modello mostrando così come i dispositivi di polizia italiani contemporanei funzionino meglio soprattutto sul piano preventivo. Ma stavolta i problemi erano tutti sul campo. Quando ai dispositivi di comunicazione tra istituzioni nei momenti di crisi merita riportare la telefonata del sindaco di Genova, così come è stata raccolta dal Secolo XIX, al questore della città ligure. Il sindaco PD, sempre in piedi dopo uno scandalo niente male sulla questione degli appalti delle mense nelle scuole, si è lamentato prontamente con il questore perché i serbi avevano fatto scritte sul muro del comune di Genova.
Quindi, nelle prime ore calde di ieri, le istituzioni ufficialmente temevano la messa a ferro e fuoco della città ma di fatto discutevano di scritte sui muri. Tanto per far vedere come la politica spettacolo sulla microcriminalità, alla quale è stato affrancato il graffitismo, è l’unico metro di misura con il quale le istituzioni valutano sé stesse e la propria affidabilità. Anche in momenti di emergenza e con i barbari alle porte.
Il giorno successivo i media italiani hanno mostrato la cattura del grizzly, il serbo incappucciato e vestito di nero che istantaneamente è diventato l’icona di tutte le tifoseria di destra del pianeta, come spettacolo riparatorio per quanto avvenuto il giorno precedente. Un tg non si è nemmeno risparmiato di mandare in onda le urla di giubilo dei poliziotti all’arresto. Proprio come per la caccia all’orso. Del resto i media sono l’unico elemento in grado ad oggi di assicurare la coesione sociale complessiva. E’ significativo che lo facciano efficacemente, al di là delle retoriche sulla sicurezza e sull’efficienza di polizia, quando usano codici di spettacolo mediale del tutto neotribali.
C’è da chiedersi cosa resterà della giornata genovese. Sicuramente la vicenda peserà nel comportamento della polizia nei confronti delle tifoserie italiane. Nella ricostruzione di qualsiasi incidente del prossimo periodo non mancherà mai, nei media, il richiamo a quanto accaduto a Genova. Per mantenere un più generale “allarme tifoserie” favorendo così la ristrutturazione delle tattiche di polizia dal confronto sul campo alla prevenzione, da valle a monte. Finendo così per congelare, se non peggio, ogni questione riguardante i diritti civili delle tifoserie. Per quanto riguarda la sinistra invece la vicenda di Genova rappresenta la tanto invocata manna dal cielo a conferma dei peggiori, confortevoli pregiudizi. Il miglior spot, girato su una pluralità di piattaforme mediali, per questa conferma è il saluto romano dell’hooligan serbo riprodotto incessantemente appena si apre un tg o richiamato su youtube. Icona che serve, a sinistra, per confermare il pregiudizio, totalmente errato, sulla attuale cultura ultras come fenomeno di destra. Sarebbe come dire che tutti i partiti politici sono fascisti perché il fascismo aveva fondato un partito. Ma tanto basta ad una sinistra che, dalla separazione con la società, cerca ancora di ricavare qualche voto sfruttando qualche fantasma metropolitano. In fondo sono praticamente tutti in giro quegli esponenti della sinistra che, adeguandosi alle direttive della Nato, fecero bombardare la Serbia. E quelli esponenti della sinistra che allora non erano d’accordo, dopo qualche anno, presero il presidente del consiglio responsabile di quella strage e lo nominarono ministro degli esteri. Passeranno anche loro.
Nel frattempo facciamoci due risate con l’inviata del Tg2 che ha presidiato un vetro incrinato, l’unico visibile nello stadio di Marassi, e ci ha ricamato sopra un lungo servizio sulla violenza degli hooligan serbi. C’è proprio da chiedersi quali misure politiche riuscirebbero a scatenare i media di oggi in caso di scontri provocati da tifoserie come quella del Leeds dopo la finale di coppa dei campioni a Parigi del maggio del 1975. Quanto ad un nuovo Heysel, pare certo, oggi sarebbe usato persino per legittimare un intervento militare in Pakistan.
L'articolo di"Senza Soste"elenca gli strafalcioni che hanno commesso in diretta gli inviati presenti per la partita di Genova tra Italia e Serbia che è stata teatro di incidenti con la tifoseria serba e la conseguente sospensione del match per motivi di ordine pubblico.
Limitandosi a dire che gli ultrà protagonisti degli scontri appartenevano a frange nazionaliste serbe non volevano o potevano(forse)spingersi oltre dando una matrice politica per quello che in fondo è successo ieri,ovvero un manipolo di nazisti che hanno potuto avere visibilità internazionale grazie ad un evento sportivo per pubblicizzare le loro idee politiche che racchiudono il non volere entrare a far parte della comunità europea e di volere annesso alla loro nazione il Kosovo,che molto probabilmente otterrà la piena indipendanza dalla Serbia in quanto da un paio di anni amministrato dall'Onu(infatti nella cartina sopra è ancora rappresentato come una provincia serba).
Non sono passati molti giorni dai terribili scontri che hanno visto Belgrado messa a ferro e fuoco durante il locale gay pride,con le bestie nazifasciste indiavolate per il permesso concesso dalle autorità per questo corteo,con ripercussioni dirette subite dal capo dello Stato.
D'altronde che si vuole pretendere dalla maggior parte del"fiero"popolo serbo entrato nella cronaca degli ultimi anni soprattutto per contrabbandare droga,armi e prostitute e per essere stati protagonisti di stupri sistematici prima durante e dopo la guerra civile.
Ovvio che i fasci nostrani vadano a braccetto con queste bestie decerebrarte,infatti alcuni dei ratti nostrani erano presenti con delegazioni a Belgrado(ricordarsi dello striscione dei merdosi laziali la cui foto chiude il post odierno),così come pure chi marcia assieme a questi imbecilli sono gli sbirri che quando si tratta di menare compagni non guardano all'incolumità delle persone ma vanno giù duro di manganello.
Chi bazzica stadi ed abbia visto o partecipato a scontri con la celere avrà notato subito la differenza solo negli sguardi delle divise blu che proprio sono stati alla fine costretti ad intervenire per salvare la faccia a se stessi ed al loro corpo militaresco.
Non sono mancati saluti romani e saluti a tre dita fatti addirittura dagli stessi giocatori serbi per placare gli animi ai delinquenti in curva,che le tre dita se le mettessero in culo tra di loro assieme alle loro bandiere bruciate e alla loro voglia di restaurare un regime che solo nella ex Yugoslavia ha provocato centinaia di migliaia di vittime.
Ultima nota è quella che da il titolo all'articolo appena seguente,ovvero che se già loro si siano dimenticati degli orrori del nazifascismo pure noi nel giro di dieci anni ci siamo scordati,grazie al governo D'Alema,che siamo stati artefici della carneficina avvenuta in Serbia.
Genova, l’Italia scopre la Serbia undici anni dopo averla bombardata .
La telecronaca dal campo di Italia-Serbia di ieri è destinata a passare agli archivi come un documento sull’impossibilità dei giornalisti sportivi a commentare fatti che avvengono negli stadi. Esilarante la gaffe in diretta sul saluto dei giocatori serbi ai loro tifosi, saluto fatto nel tentativo di calmarli e di farli sentire dalla loro parte. I giocatori della Serbia hanno salutato infatti, con un fare molto timido e tipico di chi teme che gli arrivi addosso un oggetto contundente, col gesto tradizionale dell’esposizione delle tre dita. Che è il gesto storico del nazionalismo serbo e indica fedeltà a dio, alla patria e allo zar (quello moscovita, in nome dell’alleanza panslava). Dalla postazione della Rai è partito, senza pensarci un attimo, un commento che voleva il gesto delle tre dita come il timore espresso verso lo 0-3 a tavolino che sarebbe costato alla squadra che avrebbe provocato la sospensione della partita. Dallo studio Rai hanno capito la portata della gaffe, è come dire ad una cerimonia ufficiale che il saluto a pugno chiuso è preludio ad un cazzotto, e dopo un’oretta hanno fatto correggere in diretta il commento dei due giornalisti.
Quest’episodio è rivelatore di qualcosa di più di una semplice gaffe. L’Italia sta infatti scoprendo la Serbia undici anni dopo averla bombardata. Sempre, ammesso, e non concesso, che gli italiani si ricordino di aver bombardato la Serbia. Questa società ha infatti tratti orwelliani per cui il ricordo collettivo del passato sembra in preda ad una sindrome di Korsakoff, dove i vuoti di memoria vengono riempiti con costruzioni talvolta fantastiche talvolta deliranti, rigidamente governata dai media generalisti.
La società serba è invece in preda ad altro genere di convulsioni, tipiche di un sistema sociale che dopo dieci anni di guerra civile, dieci di stagnazione economica sta cercando di entrare nei canoni della piena compatibilità al mondo liberista europeo. Quello che abbiamo visto nelle strade di Genova è un fenomeno di rigetto di questo tentativo di immettere liberismo puro nella società serba da parte del potere locale. E qui ci sono frizioni interne tali che gli stessi serbi, pur essendo in trasferta, non hanno cercato contatto vero con i tifosi italiani. Hanno infatti scelto la platea internazionale, quella meglio connessa per i media, per lanciare meglio messaggi locali.
E, a parte qualche negozio che ha avuto la sfortuna di trovarsi sul loro passaggio, hanno rivolto la loro contestazione soprattutto ai giocatori della propria squadra lanciando ogni genere di messaggio ad uso interno. Un paio di striscioni in italiano, compreso uno sul Kosovo, ricordavano la loro presenza nel nostro paese. Ma nel complesso, considerando che l’Italia nel recente passato ha bombardato la Serbia, ci hanno quasi ignorati.
Genova è stato così il set, come accade nelle società della comunicazione globale, per questioni puramente serbe. Di uno stato che ha ancora decine di migliaia di sfollati, retaggio delle guerre degli anni ’90, e che sta attraversando una ristrutturazione economica e finanziaria dovuta al fatto che si è candidata ad entrare nell’Ue. Aprendo una dialettica, di fatto, tra “occidentalisti” e “puramente serbi” che rappresenta una maschera farsesca e trasfigurata dei drammi sociali di quel paese. Colpisce, in questo contesto, vedere giovani serbi fare il saluto romano. Si tratta pur sempre di una terra che, dalle invasioni naziste e fasciste, ha ricavato centinaia di migliaia di vittime. Ma il neonazismo serbo, come quello russo, ricorda quello degli skins inglesi a cavallo degli anni ’70 e ’80. L’assunzione identitaria, isterica, paradossale e desiderosa di assumere l’aura della potenza stracciona degli ultimi, tipica di chi sente addosso il fallimento di un modello sociale e cerca la prima soluzione disponibile per reagire. Qualunque sia questa soluzione. Che qui viene fuori secondo canoni a volte incomprensibili per chi non ha immediata dimestichezza con la cultura slava.
Di fronte all’attraversamento in Italia di questi fenomeni le risposte sono tipiche di un paese che non sa e non vuole capire, che non è in grado di affrontare positivamente alcuna conseguenza dei drammi del mondo contemporaneo. Prima però è utile comprendere che la polizia a Genova, città che ormai ha un proprio significato fatale, ha fatto capire che non è in grado di affrontare tifoserie che non corrispondano a comportamenti come delineati nel modello Maroni-Amato. Che è un modello che, in corrispondenza con le ristrutturazioni interne e i tagli agli organici, prevede una selezione a monte delle tifoserie intenzionate a venire in trasferta (Daspo indiscriminato, tessera del tifoso, proibizioni del Casms) per poter concentrare e specializzare le residue forze su ciò che arriva a valle.
I serbi arrivati a Genova sfuggivano completamente a questo modello mostrando così come i dispositivi di polizia italiani contemporanei funzionino meglio soprattutto sul piano preventivo. Ma stavolta i problemi erano tutti sul campo. Quando ai dispositivi di comunicazione tra istituzioni nei momenti di crisi merita riportare la telefonata del sindaco di Genova, così come è stata raccolta dal Secolo XIX, al questore della città ligure. Il sindaco PD, sempre in piedi dopo uno scandalo niente male sulla questione degli appalti delle mense nelle scuole, si è lamentato prontamente con il questore perché i serbi avevano fatto scritte sul muro del comune di Genova.
Quindi, nelle prime ore calde di ieri, le istituzioni ufficialmente temevano la messa a ferro e fuoco della città ma di fatto discutevano di scritte sui muri. Tanto per far vedere come la politica spettacolo sulla microcriminalità, alla quale è stato affrancato il graffitismo, è l’unico metro di misura con il quale le istituzioni valutano sé stesse e la propria affidabilità. Anche in momenti di emergenza e con i barbari alle porte.
Il giorno successivo i media italiani hanno mostrato la cattura del grizzly, il serbo incappucciato e vestito di nero che istantaneamente è diventato l’icona di tutte le tifoseria di destra del pianeta, come spettacolo riparatorio per quanto avvenuto il giorno precedente. Un tg non si è nemmeno risparmiato di mandare in onda le urla di giubilo dei poliziotti all’arresto. Proprio come per la caccia all’orso. Del resto i media sono l’unico elemento in grado ad oggi di assicurare la coesione sociale complessiva. E’ significativo che lo facciano efficacemente, al di là delle retoriche sulla sicurezza e sull’efficienza di polizia, quando usano codici di spettacolo mediale del tutto neotribali.
C’è da chiedersi cosa resterà della giornata genovese. Sicuramente la vicenda peserà nel comportamento della polizia nei confronti delle tifoserie italiane. Nella ricostruzione di qualsiasi incidente del prossimo periodo non mancherà mai, nei media, il richiamo a quanto accaduto a Genova. Per mantenere un più generale “allarme tifoserie” favorendo così la ristrutturazione delle tattiche di polizia dal confronto sul campo alla prevenzione, da valle a monte. Finendo così per congelare, se non peggio, ogni questione riguardante i diritti civili delle tifoserie. Per quanto riguarda la sinistra invece la vicenda di Genova rappresenta la tanto invocata manna dal cielo a conferma dei peggiori, confortevoli pregiudizi. Il miglior spot, girato su una pluralità di piattaforme mediali, per questa conferma è il saluto romano dell’hooligan serbo riprodotto incessantemente appena si apre un tg o richiamato su youtube. Icona che serve, a sinistra, per confermare il pregiudizio, totalmente errato, sulla attuale cultura ultras come fenomeno di destra. Sarebbe come dire che tutti i partiti politici sono fascisti perché il fascismo aveva fondato un partito. Ma tanto basta ad una sinistra che, dalla separazione con la società, cerca ancora di ricavare qualche voto sfruttando qualche fantasma metropolitano. In fondo sono praticamente tutti in giro quegli esponenti della sinistra che, adeguandosi alle direttive della Nato, fecero bombardare la Serbia. E quelli esponenti della sinistra che allora non erano d’accordo, dopo qualche anno, presero il presidente del consiglio responsabile di quella strage e lo nominarono ministro degli esteri. Passeranno anche loro.
Nel frattempo facciamoci due risate con l’inviata del Tg2 che ha presidiato un vetro incrinato, l’unico visibile nello stadio di Marassi, e ci ha ricamato sopra un lungo servizio sulla violenza degli hooligan serbi. C’è proprio da chiedersi quali misure politiche riuscirebbero a scatenare i media di oggi in caso di scontri provocati da tifoserie come quella del Leeds dopo la finale di coppa dei campioni a Parigi del maggio del 1975. Quanto ad un nuovo Heysel, pare certo, oggi sarebbe usato persino per legittimare un intervento militare in Pakistan.
martedì 12 ottobre 2010
I LAVORATORI SENZA PENSIONE
Gettata una bella sabbiatura così per nascondere una notizia che se divulgata in maniera nazionale come le ultime morbose attenzioni degli italioti per la necrofilia o per le morti sul lavoro non uguali per tutti farebbe di certo un bello scalpore,un bel botto autunnale pronto a scaldare il prossimo inverno.
Il popolo dei precari infatti,e direttamente dalla voce del presidente Inps Mastropasqua in aperta ammissione che tutti i contratti voluti dagli ultimi governi sia di destra che di pseudosinistra in nome della flessibilità-precarietà del lavoro alla fine di tali rapporti lavorativi occasionali non avranno coperture previdenziali,è pronto ad entrare in un conflitto non solo a parole.
I contributi effettivamente questi lavoratori li pagano ma il succo spremuto di tale prelievo fiscale se ne andrà nelle tasche di tutti quelli che hanno un rapporto di lavoro indeterminato,continuo e duraturo nel tempo(sempre di meno).
L'articolo tratto da Senza Soste spiega molto meglio di me quello che è accaduto e che non è stato nemmeno insufficientemente detto ai veri lavoratori,a quelli che si sudano la pagnotta e talvolta ci lasciano la pelle senza nessun tricolore avvolto alla bara.
Inps, è ufficiale: i precari saranno senza pensione. Silenzio dei media o scatta la rivolta .
La notizia è arrivata e conferma la peggiore delle ipotesi. Rimarrà sotto traccia per ovvi motivi, anche se in Rete possiamo farla circolare. Se siete precari sappiate che non riceverete la pensione. I contributi che state versando servono soltanto a pagare chi la pensione ce l'ha garantita. Perché l'Inps debba nascondere questa verità è evidente: per evitare la rivolta. Ad affermarlo non sono degli analisti rivoluzionari e di sinistra ma lo stesso presidente dell'istituto di previdenza, Antonio Mastropasqua che, come scrive Agoravox, ha finalmente risposto a chi gli chiedeva perché l'INPS non fornisce ai precari la simulazione della loro pensione futura come fa con gli altri lavoratori: "Se dovessimo dare la simulazione della pensione ai parasubordinati rischieremmo un sommovimento sociale".
Intrage scrive che l'annuncio è stato dato nel corso di un convegno: la notizia principale sarebbe dovuta essere quella che l'Inps invierà, la prossima settimana, circa 4 milioni di lettere ai parasubordinati, dopo quelle spedite a luglio ai lavoratori dipendenti, per spiegare come consultare on line la posizione previdenziale personale. Per verificare, cioè, i contributi che risultano versati.
La seconda notizia è che non sarà possibile, per il lavoratore parasubordinato, simulare sullo stesso sito quella che dovrebbe essere la sua pensione, come invece possono già fare i lavoratori dipendenti. Il motivo di questa differenza pare sia stato spiegato da Mastrapasqua proprio con quella battuta. Per dire, in altre parole, che se i vari collaboratori, consulenti, lavoratori a progetto, co.co.co., iscritti alla gestione separata Inps, cioè i parasubordinati, venissero a conoscenza della verità, potrebbero arrabbiarsi sul serio. E la verità è che col sistema contributivo, i trattamenti maturati da collaboratori e consulenti spesso non arrivano alla pensione minima.
I precari, i lavoratori parasubordinati come si chiamano per l'INPS gli "imprenditori di loro stessi" creati dalle politiche neoliberiste, non avranno la pensione. Pagano contributi inutilmente o meglio: li pagano perché l'INPS possa pagare la pensione a chi la maturerà. Per i parasubordinati la pensione non arriverà alla minima, nemmeno se il parasubordinato riuscirà, nella sua carriera lavorativa, a non perdere neppure un anno di contribuzione.
L'unico sistema che l'INPS ha trovato per affrontare l'amara verità, è stato quello di nascondere ai lavoratori che nel loro futuro la pensione non ci sarà, sperando che se ne accorgano il più tardi possibile e che facciano meno casino possibile.
Quindi paghiamo i nostri contributi che non rivedremo sotto forma di pensione. Se reagiamo adesso, forse, abbiamo ancora la speranza di una pensione minima.
tratto da http://contintasca.blogosfere.it/
Il popolo dei precari infatti,e direttamente dalla voce del presidente Inps Mastropasqua in aperta ammissione che tutti i contratti voluti dagli ultimi governi sia di destra che di pseudosinistra in nome della flessibilità-precarietà del lavoro alla fine di tali rapporti lavorativi occasionali non avranno coperture previdenziali,è pronto ad entrare in un conflitto non solo a parole.
I contributi effettivamente questi lavoratori li pagano ma il succo spremuto di tale prelievo fiscale se ne andrà nelle tasche di tutti quelli che hanno un rapporto di lavoro indeterminato,continuo e duraturo nel tempo(sempre di meno).
L'articolo tratto da Senza Soste spiega molto meglio di me quello che è accaduto e che non è stato nemmeno insufficientemente detto ai veri lavoratori,a quelli che si sudano la pagnotta e talvolta ci lasciano la pelle senza nessun tricolore avvolto alla bara.
Inps, è ufficiale: i precari saranno senza pensione. Silenzio dei media o scatta la rivolta .
La notizia è arrivata e conferma la peggiore delle ipotesi. Rimarrà sotto traccia per ovvi motivi, anche se in Rete possiamo farla circolare. Se siete precari sappiate che non riceverete la pensione. I contributi che state versando servono soltanto a pagare chi la pensione ce l'ha garantita. Perché l'Inps debba nascondere questa verità è evidente: per evitare la rivolta. Ad affermarlo non sono degli analisti rivoluzionari e di sinistra ma lo stesso presidente dell'istituto di previdenza, Antonio Mastropasqua che, come scrive Agoravox, ha finalmente risposto a chi gli chiedeva perché l'INPS non fornisce ai precari la simulazione della loro pensione futura come fa con gli altri lavoratori: "Se dovessimo dare la simulazione della pensione ai parasubordinati rischieremmo un sommovimento sociale".
Intrage scrive che l'annuncio è stato dato nel corso di un convegno: la notizia principale sarebbe dovuta essere quella che l'Inps invierà, la prossima settimana, circa 4 milioni di lettere ai parasubordinati, dopo quelle spedite a luglio ai lavoratori dipendenti, per spiegare come consultare on line la posizione previdenziale personale. Per verificare, cioè, i contributi che risultano versati.
La seconda notizia è che non sarà possibile, per il lavoratore parasubordinato, simulare sullo stesso sito quella che dovrebbe essere la sua pensione, come invece possono già fare i lavoratori dipendenti. Il motivo di questa differenza pare sia stato spiegato da Mastrapasqua proprio con quella battuta. Per dire, in altre parole, che se i vari collaboratori, consulenti, lavoratori a progetto, co.co.co., iscritti alla gestione separata Inps, cioè i parasubordinati, venissero a conoscenza della verità, potrebbero arrabbiarsi sul serio. E la verità è che col sistema contributivo, i trattamenti maturati da collaboratori e consulenti spesso non arrivano alla pensione minima.
I precari, i lavoratori parasubordinati come si chiamano per l'INPS gli "imprenditori di loro stessi" creati dalle politiche neoliberiste, non avranno la pensione. Pagano contributi inutilmente o meglio: li pagano perché l'INPS possa pagare la pensione a chi la maturerà. Per i parasubordinati la pensione non arriverà alla minima, nemmeno se il parasubordinato riuscirà, nella sua carriera lavorativa, a non perdere neppure un anno di contribuzione.
L'unico sistema che l'INPS ha trovato per affrontare l'amara verità, è stato quello di nascondere ai lavoratori che nel loro futuro la pensione non ci sarà, sperando che se ne accorgano il più tardi possibile e che facciano meno casino possibile.
Quindi paghiamo i nostri contributi che non rivedremo sotto forma di pensione. Se reagiamo adesso, forse, abbiamo ancora la speranza di una pensione minima.
tratto da http://contintasca.blogosfere.it/
lunedì 11 ottobre 2010
L'ITALICA IMPUNITA' DELLO SBIRRO.
Due storie così simili quelle di Federico e Alexis che stanno avendo quasi in contemporanietà degli epiloghi quanto meno dal punto di vista giudiziario,e che diverse misure si sono adottate nei confronti degli assassini dei due ragazzi.
Gli sbirri che hanno ammazzato Aldro a parte non aver mai fatto un giorno di carcere,sono stati condannati nel peggior(per loro)dei casi a poco più di tre anni per coloro accusati di eccesso colposo in omicidio colposo,e per i colleghi che hanno coperto e sviato le indagini meglio non parlare:in Grecia invece l'assassino che ha sparato ad Alexis si è preso l'ergastolo ed un suo collega complice di anni ne dovrà scontare dieci.
Tutto questo per far capire come l'ingiustizia italiana quando ci sono i porci in divisa utilizzi una mano leggerissima se non premiando direttamente o meno queste merde assassine.
Casca proprio a pennello la scritta in greco che dice"sbirri maiali assassini",paesi diversi usanze simili,criminali in ogni parte del globo anche se l'impunità a volte cambia come in questo caso:articoli presi in ordine di lettura da Indymedia Svizzera(tratto da"La stampa"),Indymedia Lombardia(Ansa)e Senza Soste(La Repubblica).
Poliziotti greci condannati.
Alexandros Grigoropoulos fu assassinato nel 2008: la sua morte scatenò due mesi di proteste in tutto il Paese.
ATENE
Un tribunale greco ha condannato due poliziotti per l’uccisione del quindicenne Alexandros Grigoropoulos nel centro di Atene nel 2008, che provocò circa due settimane di proteste e disordini in tutto il Paese. Il tribunale ha riconosciuto l’agente Epaminondas Korkoneas colpevole di omicidio, e Vassilis Saraliotis complice. «Tutti siamo vittime e io muoio un giorno dopo l’altro», ha detto Korkoneas al termine del processo. Ora rischia l'ergastolo. I dettagli della sentenza sono attesi entro oggi.
Korkoneas aveva sostenuto di aver sparato in aria per avvertimento e che la morte del giovane sarebbe stata provocata dal rimbalzo di un proiettile. Ma il medico legale, pur rivelando che il colpo di pistola al torace che provocò la morte raggiunse la vittima di rimbalzo, per
aver colpito una colonnina spartitraffico, ha sostenuto che l’arma era puntata ad altezza d’uomo, come affermato da alcuni testimoni, che hanno escluso anche qualsiasi provocazione da parte del giovane studente. Il processo si è tenuto ad Amfissa, circa 200 chilometri a ovest di Atene, per il timore di nuovi disordini.
[Atene] ergastolo a agente che uccise Alexandros Grigoropoulos.
(ANSA) - ATENE, 11 OTT -
Dieci anni ad altro poliziotto condannato per complicità.
Il poliziotto greco Epaminondas Korkoneas e' stato condannato all'ergastolo per l'omicidio del giovane Alexandros Grigoropoulos. La pena e' stato comminata da un tribunale di Amfissa (150 km da Atene). Un secondo agente di polizia, Vassili Saraliotis, e' stato condannato a 10 anni per complicita'. Il giovane fu ucciso ad Atene nel dicembre 2008 durante scontri con la polizia.
questa non è giustizia e non riporterà in vita Alex.
La polizia uccide, lo Stato paga: 2 milioni alla famiglia Aldovandi.
Lo Stato offre 2 milioni di euro come risarcimento alla famiglia Aldrovandi.
Lo Stato ha deciso di risarcire la famiglia di Federico Aldrovandi, il ragazzo morto a Ferrara durante un controllo di polizia il 25 settembre 2005: ai familiari andranno quasi due milioni, ma in cambio lo Stato chiede loro di non costituirsi parte civile nei procedimenti ancora aperti sulla vicenda. “E’ un passo importante - dice Patrizia Moretti, la madre del ragazzo - una tragedia così non si chiuderà mai, Federico non ce lo restituirà mai nessuno, ma l’importante è che la sua memoria sia quella giusta. Quello che mi interessava era far sapere quello che è successo, e questo è un obiettivo raggiunto”.
Per uno dei legali della famiglia, Fabio Anselmo, che ricorda come il ministero dell’Interno non è mai stato citato come responsabile civile, la decisione di accordare il risarcimento “è un’ammissione di responsabilità di indubbia valenza. Dal punto di vista umano sono dispiaciuto, avrei voluto essere in appello. Ma capisco la fatica della famiglia per tutta questa battaglia”.
Le responsabilità penali restano in capo agli imputati: i quattro poliziotti di pattuglia quella mattina sono stati condannati in primo grado per eccesso colposo in omicidio colposo, e altri tre loro colleghi sono stati condannati per il depistaggio delle indagini (per un altro il processo è ancora in corso). “Oggi si può cominciare a parlare di pacificazione”, dice ancora l’avvocato Anselmo, ricordando che la famiglia del ragazzo “non ha mai avuto un atteggiamento di contrapposizione nei confronti della polizia, ma ha solo lottato perché fosse ristabilita la verità”. Intanto a Ferrara si lavora per dar vita ad un’associazione delle vittime delle forze dell’ordine. “L’idea è nata per aiutare chi si è trovato in una situazione simile alla nostra - spiega la mamma di Federico - lo scopo è chiedere aiuto allo Stato perché non lasci solo chi si trova in difficoltà”.
Gli sbirri che hanno ammazzato Aldro a parte non aver mai fatto un giorno di carcere,sono stati condannati nel peggior(per loro)dei casi a poco più di tre anni per coloro accusati di eccesso colposo in omicidio colposo,e per i colleghi che hanno coperto e sviato le indagini meglio non parlare:in Grecia invece l'assassino che ha sparato ad Alexis si è preso l'ergastolo ed un suo collega complice di anni ne dovrà scontare dieci.
Tutto questo per far capire come l'ingiustizia italiana quando ci sono i porci in divisa utilizzi una mano leggerissima se non premiando direttamente o meno queste merde assassine.
Casca proprio a pennello la scritta in greco che dice"sbirri maiali assassini",paesi diversi usanze simili,criminali in ogni parte del globo anche se l'impunità a volte cambia come in questo caso:articoli presi in ordine di lettura da Indymedia Svizzera(tratto da"La stampa"),Indymedia Lombardia(Ansa)e Senza Soste(La Repubblica).
Poliziotti greci condannati.
Alexandros Grigoropoulos fu assassinato nel 2008: la sua morte scatenò due mesi di proteste in tutto il Paese.
ATENE
Un tribunale greco ha condannato due poliziotti per l’uccisione del quindicenne Alexandros Grigoropoulos nel centro di Atene nel 2008, che provocò circa due settimane di proteste e disordini in tutto il Paese. Il tribunale ha riconosciuto l’agente Epaminondas Korkoneas colpevole di omicidio, e Vassilis Saraliotis complice. «Tutti siamo vittime e io muoio un giorno dopo l’altro», ha detto Korkoneas al termine del processo. Ora rischia l'ergastolo. I dettagli della sentenza sono attesi entro oggi.
Korkoneas aveva sostenuto di aver sparato in aria per avvertimento e che la morte del giovane sarebbe stata provocata dal rimbalzo di un proiettile. Ma il medico legale, pur rivelando che il colpo di pistola al torace che provocò la morte raggiunse la vittima di rimbalzo, per
aver colpito una colonnina spartitraffico, ha sostenuto che l’arma era puntata ad altezza d’uomo, come affermato da alcuni testimoni, che hanno escluso anche qualsiasi provocazione da parte del giovane studente. Il processo si è tenuto ad Amfissa, circa 200 chilometri a ovest di Atene, per il timore di nuovi disordini.
[Atene] ergastolo a agente che uccise Alexandros Grigoropoulos.
(ANSA) - ATENE, 11 OTT -
Dieci anni ad altro poliziotto condannato per complicità.
Il poliziotto greco Epaminondas Korkoneas e' stato condannato all'ergastolo per l'omicidio del giovane Alexandros Grigoropoulos. La pena e' stato comminata da un tribunale di Amfissa (150 km da Atene). Un secondo agente di polizia, Vassili Saraliotis, e' stato condannato a 10 anni per complicita'. Il giovane fu ucciso ad Atene nel dicembre 2008 durante scontri con la polizia.
questa non è giustizia e non riporterà in vita Alex.
La polizia uccide, lo Stato paga: 2 milioni alla famiglia Aldovandi.
Lo Stato offre 2 milioni di euro come risarcimento alla famiglia Aldrovandi.
Lo Stato ha deciso di risarcire la famiglia di Federico Aldrovandi, il ragazzo morto a Ferrara durante un controllo di polizia il 25 settembre 2005: ai familiari andranno quasi due milioni, ma in cambio lo Stato chiede loro di non costituirsi parte civile nei procedimenti ancora aperti sulla vicenda. “E’ un passo importante - dice Patrizia Moretti, la madre del ragazzo - una tragedia così non si chiuderà mai, Federico non ce lo restituirà mai nessuno, ma l’importante è che la sua memoria sia quella giusta. Quello che mi interessava era far sapere quello che è successo, e questo è un obiettivo raggiunto”.
Per uno dei legali della famiglia, Fabio Anselmo, che ricorda come il ministero dell’Interno non è mai stato citato come responsabile civile, la decisione di accordare il risarcimento “è un’ammissione di responsabilità di indubbia valenza. Dal punto di vista umano sono dispiaciuto, avrei voluto essere in appello. Ma capisco la fatica della famiglia per tutta questa battaglia”.
Le responsabilità penali restano in capo agli imputati: i quattro poliziotti di pattuglia quella mattina sono stati condannati in primo grado per eccesso colposo in omicidio colposo, e altri tre loro colleghi sono stati condannati per il depistaggio delle indagini (per un altro il processo è ancora in corso). “Oggi si può cominciare a parlare di pacificazione”, dice ancora l’avvocato Anselmo, ricordando che la famiglia del ragazzo “non ha mai avuto un atteggiamento di contrapposizione nei confronti della polizia, ma ha solo lottato perché fosse ristabilita la verità”. Intanto a Ferrara si lavora per dar vita ad un’associazione delle vittime delle forze dell’ordine. “L’idea è nata per aiutare chi si è trovato in una situazione simile alla nostra - spiega la mamma di Federico - lo scopo è chiedere aiuto allo Stato perché non lasci solo chi si trova in difficoltà”.
venerdì 8 ottobre 2010
NERISSIME OMBRE SULL'OMICIDIO CALORE
Ombre nere,anzi nerissime quelle che adombrano d'ignoto la strana morte dell'ex terrorista di Ordine Nuovo Sergio Calore avvenuta nelle campagne di Guidonia lo scorso mercoledì finito sgozzato forse a picconate.
Costui era anche un pentito e divenne un importante testimone su tutti i grandi processi che hanno monopolizzato la cronaca nazionale negli ultimi quarant'anni come piazza Fontana a Milano e piazza della Loggia a Brescia,e anche se per ora si stia indagando su molte piste c'è il sospetto che qualche capoccia politico-militare abbia voluto far tacere questo scomodo personaggio per sempre.
Il primo articoletto è tratto da Indymedia Lombardia mentre il secondo corposo contributo a firma di Alessandro Verri è preso dal sito"domani.arcoiris.tv".
Omicidio Calore: Da ex Ordine Nuovo 'dichiarazioni importanti' su estrema destra.
ROMA, 6 OTT - Sergio Calore e' stato 'uno dei primi e dei non molti pentiti dell'estrema destra' che fin dal 1984 ha reso 'dichiarazioni importantissime'. Il giudice milanese Guido Salvini - il magistrato per 30 anni ha indagato sui terroristi neri e sulla strage di piazza Fontana - ricorda cosi' l'ex di Ordine Nuovo ucciso oggi in un casolare alle porte di Roma. Salvini non si sbilancia sui motivi della morte ma sottolinea che non aveva piu' nulla che lo legasse al passato e conduceva una vita normale.
Allievo prediletto dell'ideologo nero Signorelli, era ricomparso in un'aula di giustizia un anno fa, ascoltato dai giudici di Brescia dove – nel disinteresse di tv e giornali – è in corso il processo per la strage di piazza della Loggia. Con le sue dichiarazioni aveva contribuito a ricostruire il puzzle dell'eversione nera: dalle bombe (sui treni, nelle banche e nelle piazze) alle relazioni pericolose tra P2, servizi segreti e “servitori dello Stato”
Sergio Calore, morto che parlava. Raccontò i retroscena dell’eversione nera, dal golpe Borghese alle stragi di Stato,07-10-2010 di Alessandro Verri
Brescia, giovedì 8 ottobre 2009, primo pomeriggio. Il pm Francesco Piantoni, riferendosi alla formazione dei militanti di Ordine Nuovo (movimento di estrema destra fondato da Pino Rauti nel 1956), pone al teste che ha di fronte questa domanda: “Ci può precisare questo discorso dell’infiltrazione e della organizzazione clandestina?”.
Sergio Calore, come altre volte in passato, non tergiversa: “Si cominciò a parlare di questo discorso nel 1973, quando si venne a sapere dell’imminente scioglimento del movimento Ordine Nuovo che sarebbe avvenuto a novembre. All’epoca le infiltrazioni si effettuarono sulla base di una serie di iniziative che erano legate all’allora rinascente movimento peronista e portarono all’infiltrazione di parecchi nostri appartenenti all’interno di gruppi politici moderati, in particolare a gruppi che erano vicini alla Democrazia Cristiana. Io stesso partecipai a delle conferenze tenute presso i ‘gruppi di impegno politico’ che erano della corrente fanfaniana, in via IV novembre, dove noi andavamo a partecipare sostenendo anche delle tesi che erano al limite fra le nostre e le tesi legalistiche, più o meno di destra democratica, per cercare di vedere la ricettività di certi ambienti a discorsi che potevano andare in questa direzione. Ci furono persone che si infiltrarono talmente bene che successivamente diventarono deputati con la Democrazia Cristiana. Per esempio Francesco Alacri che poi adesso fa parte del Pdl essendo rientrato con Publio Fiori (prima nella destra di Fini e poi nel Popolo delle Libertà), e ora credo sia deputato regionale a Roma. Questa persona, per esempio, era un esponente del Fronte Studentesco che era una delle organizzazioni con cui eravamo in contatto…”.
La nota attività di infiltrazione ad opera dei gruppi neofascisti, dunque, non riguardava solo le formazioni di estrema sinistra. E questo è solo l’inizio della testimonianza che l’ex estremista Calore rilasciò al processo per la strage di piazza della Loggia, che vede imputati Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi, Maurizio Tramonte, Francesco Delfino e Pino Rauti. Tra un mese circa (verso la metà di novembre) – dopo due anni e 150 udienze accompagnate dal silenzio assordante di stampa e televisioni, con l’unica eccezione di Radio Radicale e di una pagina su Facebook – dovremmo finalmente conoscere il verdetto del terzo processo per la strage che il 28 maggio 1974 provocò la morte di otto persone e il ferimento di un centinaio durante una manifestazione antifascista indetta dai sindacati. Una vigilia così descritta da Manio Milani, presidente dell’associazione tra i familiari delle vittime: «Un dato che è emerso in modo chiaro nel processo è il tema del depistaggio, che ha caratterizzato tutta l’istruttoria. In aula abbiamo sentito spesso testimoni e funzionari dello Stato dire: “Non ricordo”. A distanza di 40 anni esiste ancora un pezzo dello Stato che non vuole fare chiarezza su quel periodo. Il processo ha confermato la strategia del depistaggio che c’è stata, così come ha confermato il legame esistente tra servizi segreti italiani ed eversione di destra».
Ma torniamo a Sergio Calore, il morto che parlava. Questa volta le picconate non erano quelle simboliche, benché dannose, a cui ci aveva abituati Francesco Cossiga. A Calore il destino ha riservato una morte da film horror: sgozzato e picconato nei pressi della sua casa in via Colle Spina, nella campagna laziale. Condannato all’ergastolo per l’omicidio del giovane Antonio Leandri (pena commutata, dopo il pentimento, in quindici anni di reclusione), Calore fu arrestato due volte nel 1979, a distanza di pochi mesi: la prima a maggio, per iniziativa del giudice Mario Amato; il 17 dicembre fu nuovamente arrestato per l’omicidio di Leandri, scambiato per il vero obiettivo dell’agguato: l’avvocato Giorgio Arcangeli. Purtroppo l’uomo che aveva sparato a Leandri, Valerio Fioravanti, riuscì però a sfuggire: l’anno dopo, il 22 giugno 1980, i NAR uccisero anche il giudice Amato. Poi sarà il turno della stazione di Bologna… Fu proprio in carcere, tra giugno e ottobre del ’79, che Valerio Fioravanti aveva conosciuto Calore e Signorelli.
Probabilmente molti suoi ex compagni – pardòn, “camerati” – avranno festeggiato il sanguinoso evento. L’uomo di cui pochi, fino a mercoledì 6 ottobre, ricordavano l’esistenza è stato “uno dei primi e dei non molti pentiti dell’estrema destra che, fin dal 1984, aveva reso dichiarazioni importantissime”. Così lo ricorda il magistrato Guido Salvini, che nel 1990 riaprì le indagini sulla strage di piazza Fontana. Nel 1977 fu tra i fondatori di quel consorzio neofascista che si radunò attorno alla rivista “Costruiamo l’azione”, insieme a Fabio De Felice, Paolo Signorelli, Massimiliano Fachini e Paolo Aleandri. Da quella fucina neofascista nacque il Movimento Rivoluzionario Popolare (MRP), formazione armata ufficialmente “spontanea” – in realtà condivisa dagli ordinovisti – i cui obiettivi erano descritti nei cosiddetti Fogli d’ordine. Sarà proprio Paolo Aleandri a spiegare ai magistrati di Bologna, che indagavano sulla strage del 2 agosto 1980, la vera origine di quei Fogli: “furono elaborati in parte in Veneto e in parte a Roma. Vi collaborarono Signorelli e Calore che, a quanto mi risulta, rappresentavano la continuità con il vecchio Ordine Nuovo, e Fachini e gli altri veneti con i quali avemmo delle riunioni di preparazione”. Riunioni e preparazioni che di spontaneo avevano ben poco… Fu proprio nei campi paramilitari organizzati da Signorelli, nei primi anni Settanta, che Calore aveva appreso le tecniche di infiltrazione che un anno fa, a distanza di quasi quarant’anni, mostrò di ricordare molto bene.
Negli ambienti neofascisti Sergio Calore era da tempo considerato un doppio traditore: già prima di essere arrestato aveva teorizzato e praticato una “torbida e ambigua” alleanza tra rossi e neri in funzione antisistema (mentre per i veri capi di Ordine Nuovo era semplicemente una strategia per depistare indagini e processi). Poi, negli anni ’80, iniziò a collaborare con la magistratura e, come tutti i “pentiti”, fu ripetutamente accusato dagli ex sodali di raccontare bugie o mezze verità, solo per ottenere vantaggi e sconti di pena. Eppure, nel corso degli anni, molte delle sue dichiarazioni hanno trovato conferma (in altre testimonianze e in alcuni riscontri oggettivi). Nonostante il “tradimento”, il suo compare Signorelli – come ricorda Ugo Maria Tassinari in “Fascisteria” (Castelvecchi, 2001) – mostra comprensione per la sua deriva verso i movimenti dell’estrema sinistra, culminata simbolicamente nel matrimonio con una terrorista rossa: “Calore, pur se autodidatta, è una mente acuta ed è persona che ha letto molto. Era un operaio ma aveva interessi culturali e un po’ per volta cominciò ad assimilare teorie recenti, come quella dei bisogni, e mi manifestò la sua convinzione che per una efficace lotta al sistema l’unica via fosse quella dell’Autonomia”. Una ‘convinzione’ che forse faceva comodo ai poteri più o meno occulti che hanno ripetutamente tentato di allontanare la responsabilità di stragi e attentati dagli ambienti neofascisti e massonici, depistando le indagini di volta in volta verso l’estremismo di sinistra, gli anarchici o fantomatiche piste internazionali.
Una cornice storica – quella degli intrecci tra neofascismo, massoneria, servizi segreti e criminalità organizzata – confermata da numerose testimonianze e qualche sentenza. Basti pensare a quella su piazza Fontana che, pur non potendoli più condannarli – in quanto già assolti in via definitiva -, ha riconosciuto e sancito la responsabilità di Franco Freda e Giovanni Ventura (altro protagonista del terrorismo nero scomparso di recente). Strage che, secondo Calore, nelle intenzioni degli autori doveva essere propedeutica ad un colpo di stato: “era prevista per il dicembre 1969 la attuazione di un golpe cui dovevano partecipare le stesse forze che l’anno seguente, nella notte fra l’8 e il 9 dicembre 1970, tentarono di mettere in atto quello che è noto come golpe Borghese. Quando, nel dicembre 1969, si stabilì che il golpe non ci doveva essere, alcuni giovani estremisti, più o meno collegati ai gruppi giovanili del Fronte Nazionale, decisero di forzare la situazione attuando gli attentati del 12 dicembre 1969 al fine di provocare l’intervento stabilizzatore delle Forze armate”.
Sergio Calore è morto, ma qualcosa aveva detto. Quanti sono, oggi, i vivi che ancora tacciono? Molti, troppi. D’altronde proprio questo si raccomandava nei Fogli d’ordine: “negate, negate a tutti i costi. Negate tutto quello che non potete giustificare”.
Costui era anche un pentito e divenne un importante testimone su tutti i grandi processi che hanno monopolizzato la cronaca nazionale negli ultimi quarant'anni come piazza Fontana a Milano e piazza della Loggia a Brescia,e anche se per ora si stia indagando su molte piste c'è il sospetto che qualche capoccia politico-militare abbia voluto far tacere questo scomodo personaggio per sempre.
Il primo articoletto è tratto da Indymedia Lombardia mentre il secondo corposo contributo a firma di Alessandro Verri è preso dal sito"domani.arcoiris.tv".
Omicidio Calore: Da ex Ordine Nuovo 'dichiarazioni importanti' su estrema destra.
ROMA, 6 OTT - Sergio Calore e' stato 'uno dei primi e dei non molti pentiti dell'estrema destra' che fin dal 1984 ha reso 'dichiarazioni importantissime'. Il giudice milanese Guido Salvini - il magistrato per 30 anni ha indagato sui terroristi neri e sulla strage di piazza Fontana - ricorda cosi' l'ex di Ordine Nuovo ucciso oggi in un casolare alle porte di Roma. Salvini non si sbilancia sui motivi della morte ma sottolinea che non aveva piu' nulla che lo legasse al passato e conduceva una vita normale.
Allievo prediletto dell'ideologo nero Signorelli, era ricomparso in un'aula di giustizia un anno fa, ascoltato dai giudici di Brescia dove – nel disinteresse di tv e giornali – è in corso il processo per la strage di piazza della Loggia. Con le sue dichiarazioni aveva contribuito a ricostruire il puzzle dell'eversione nera: dalle bombe (sui treni, nelle banche e nelle piazze) alle relazioni pericolose tra P2, servizi segreti e “servitori dello Stato”
Sergio Calore, morto che parlava. Raccontò i retroscena dell’eversione nera, dal golpe Borghese alle stragi di Stato,07-10-2010 di Alessandro Verri
Brescia, giovedì 8 ottobre 2009, primo pomeriggio. Il pm Francesco Piantoni, riferendosi alla formazione dei militanti di Ordine Nuovo (movimento di estrema destra fondato da Pino Rauti nel 1956), pone al teste che ha di fronte questa domanda: “Ci può precisare questo discorso dell’infiltrazione e della organizzazione clandestina?”.
Sergio Calore, come altre volte in passato, non tergiversa: “Si cominciò a parlare di questo discorso nel 1973, quando si venne a sapere dell’imminente scioglimento del movimento Ordine Nuovo che sarebbe avvenuto a novembre. All’epoca le infiltrazioni si effettuarono sulla base di una serie di iniziative che erano legate all’allora rinascente movimento peronista e portarono all’infiltrazione di parecchi nostri appartenenti all’interno di gruppi politici moderati, in particolare a gruppi che erano vicini alla Democrazia Cristiana. Io stesso partecipai a delle conferenze tenute presso i ‘gruppi di impegno politico’ che erano della corrente fanfaniana, in via IV novembre, dove noi andavamo a partecipare sostenendo anche delle tesi che erano al limite fra le nostre e le tesi legalistiche, più o meno di destra democratica, per cercare di vedere la ricettività di certi ambienti a discorsi che potevano andare in questa direzione. Ci furono persone che si infiltrarono talmente bene che successivamente diventarono deputati con la Democrazia Cristiana. Per esempio Francesco Alacri che poi adesso fa parte del Pdl essendo rientrato con Publio Fiori (prima nella destra di Fini e poi nel Popolo delle Libertà), e ora credo sia deputato regionale a Roma. Questa persona, per esempio, era un esponente del Fronte Studentesco che era una delle organizzazioni con cui eravamo in contatto…”.
La nota attività di infiltrazione ad opera dei gruppi neofascisti, dunque, non riguardava solo le formazioni di estrema sinistra. E questo è solo l’inizio della testimonianza che l’ex estremista Calore rilasciò al processo per la strage di piazza della Loggia, che vede imputati Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi, Maurizio Tramonte, Francesco Delfino e Pino Rauti. Tra un mese circa (verso la metà di novembre) – dopo due anni e 150 udienze accompagnate dal silenzio assordante di stampa e televisioni, con l’unica eccezione di Radio Radicale e di una pagina su Facebook – dovremmo finalmente conoscere il verdetto del terzo processo per la strage che il 28 maggio 1974 provocò la morte di otto persone e il ferimento di un centinaio durante una manifestazione antifascista indetta dai sindacati. Una vigilia così descritta da Manio Milani, presidente dell’associazione tra i familiari delle vittime: «Un dato che è emerso in modo chiaro nel processo è il tema del depistaggio, che ha caratterizzato tutta l’istruttoria. In aula abbiamo sentito spesso testimoni e funzionari dello Stato dire: “Non ricordo”. A distanza di 40 anni esiste ancora un pezzo dello Stato che non vuole fare chiarezza su quel periodo. Il processo ha confermato la strategia del depistaggio che c’è stata, così come ha confermato il legame esistente tra servizi segreti italiani ed eversione di destra».
Ma torniamo a Sergio Calore, il morto che parlava. Questa volta le picconate non erano quelle simboliche, benché dannose, a cui ci aveva abituati Francesco Cossiga. A Calore il destino ha riservato una morte da film horror: sgozzato e picconato nei pressi della sua casa in via Colle Spina, nella campagna laziale. Condannato all’ergastolo per l’omicidio del giovane Antonio Leandri (pena commutata, dopo il pentimento, in quindici anni di reclusione), Calore fu arrestato due volte nel 1979, a distanza di pochi mesi: la prima a maggio, per iniziativa del giudice Mario Amato; il 17 dicembre fu nuovamente arrestato per l’omicidio di Leandri, scambiato per il vero obiettivo dell’agguato: l’avvocato Giorgio Arcangeli. Purtroppo l’uomo che aveva sparato a Leandri, Valerio Fioravanti, riuscì però a sfuggire: l’anno dopo, il 22 giugno 1980, i NAR uccisero anche il giudice Amato. Poi sarà il turno della stazione di Bologna… Fu proprio in carcere, tra giugno e ottobre del ’79, che Valerio Fioravanti aveva conosciuto Calore e Signorelli.
Probabilmente molti suoi ex compagni – pardòn, “camerati” – avranno festeggiato il sanguinoso evento. L’uomo di cui pochi, fino a mercoledì 6 ottobre, ricordavano l’esistenza è stato “uno dei primi e dei non molti pentiti dell’estrema destra che, fin dal 1984, aveva reso dichiarazioni importantissime”. Così lo ricorda il magistrato Guido Salvini, che nel 1990 riaprì le indagini sulla strage di piazza Fontana. Nel 1977 fu tra i fondatori di quel consorzio neofascista che si radunò attorno alla rivista “Costruiamo l’azione”, insieme a Fabio De Felice, Paolo Signorelli, Massimiliano Fachini e Paolo Aleandri. Da quella fucina neofascista nacque il Movimento Rivoluzionario Popolare (MRP), formazione armata ufficialmente “spontanea” – in realtà condivisa dagli ordinovisti – i cui obiettivi erano descritti nei cosiddetti Fogli d’ordine. Sarà proprio Paolo Aleandri a spiegare ai magistrati di Bologna, che indagavano sulla strage del 2 agosto 1980, la vera origine di quei Fogli: “furono elaborati in parte in Veneto e in parte a Roma. Vi collaborarono Signorelli e Calore che, a quanto mi risulta, rappresentavano la continuità con il vecchio Ordine Nuovo, e Fachini e gli altri veneti con i quali avemmo delle riunioni di preparazione”. Riunioni e preparazioni che di spontaneo avevano ben poco… Fu proprio nei campi paramilitari organizzati da Signorelli, nei primi anni Settanta, che Calore aveva appreso le tecniche di infiltrazione che un anno fa, a distanza di quasi quarant’anni, mostrò di ricordare molto bene.
Negli ambienti neofascisti Sergio Calore era da tempo considerato un doppio traditore: già prima di essere arrestato aveva teorizzato e praticato una “torbida e ambigua” alleanza tra rossi e neri in funzione antisistema (mentre per i veri capi di Ordine Nuovo era semplicemente una strategia per depistare indagini e processi). Poi, negli anni ’80, iniziò a collaborare con la magistratura e, come tutti i “pentiti”, fu ripetutamente accusato dagli ex sodali di raccontare bugie o mezze verità, solo per ottenere vantaggi e sconti di pena. Eppure, nel corso degli anni, molte delle sue dichiarazioni hanno trovato conferma (in altre testimonianze e in alcuni riscontri oggettivi). Nonostante il “tradimento”, il suo compare Signorelli – come ricorda Ugo Maria Tassinari in “Fascisteria” (Castelvecchi, 2001) – mostra comprensione per la sua deriva verso i movimenti dell’estrema sinistra, culminata simbolicamente nel matrimonio con una terrorista rossa: “Calore, pur se autodidatta, è una mente acuta ed è persona che ha letto molto. Era un operaio ma aveva interessi culturali e un po’ per volta cominciò ad assimilare teorie recenti, come quella dei bisogni, e mi manifestò la sua convinzione che per una efficace lotta al sistema l’unica via fosse quella dell’Autonomia”. Una ‘convinzione’ che forse faceva comodo ai poteri più o meno occulti che hanno ripetutamente tentato di allontanare la responsabilità di stragi e attentati dagli ambienti neofascisti e massonici, depistando le indagini di volta in volta verso l’estremismo di sinistra, gli anarchici o fantomatiche piste internazionali.
Una cornice storica – quella degli intrecci tra neofascismo, massoneria, servizi segreti e criminalità organizzata – confermata da numerose testimonianze e qualche sentenza. Basti pensare a quella su piazza Fontana che, pur non potendoli più condannarli – in quanto già assolti in via definitiva -, ha riconosciuto e sancito la responsabilità di Franco Freda e Giovanni Ventura (altro protagonista del terrorismo nero scomparso di recente). Strage che, secondo Calore, nelle intenzioni degli autori doveva essere propedeutica ad un colpo di stato: “era prevista per il dicembre 1969 la attuazione di un golpe cui dovevano partecipare le stesse forze che l’anno seguente, nella notte fra l’8 e il 9 dicembre 1970, tentarono di mettere in atto quello che è noto come golpe Borghese. Quando, nel dicembre 1969, si stabilì che il golpe non ci doveva essere, alcuni giovani estremisti, più o meno collegati ai gruppi giovanili del Fronte Nazionale, decisero di forzare la situazione attuando gli attentati del 12 dicembre 1969 al fine di provocare l’intervento stabilizzatore delle Forze armate”.
Sergio Calore è morto, ma qualcosa aveva detto. Quanti sono, oggi, i vivi che ancora tacciono? Molti, troppi. D’altronde proprio questo si raccomandava nei Fogli d’ordine: “negate, negate a tutti i costi. Negate tutto quello che non potete giustificare”.
giovedì 7 ottobre 2010
LA MERDA AVEVA VISTO GIUSTO!
Sa di deja-vù la notizia di una decina di giorni fà dell'arresto di due persone a Torino titolari di alberghi e numerosi immobili non solo nel capoluogo piemontese ma in tutta Italia,tra cui il ristorante"Al Cambio"protagonisrta l'anno scorso a marzo per essere stato teatro di una protesta da parte di alcuni manifestanti che hanno riempito letteralmente di merda l'elegante locale di cavouriana memoria.
La protesta contro i Cie non aveva toccato solo Torino ma altre città italiane(qui il link di questo blog che trattava dell'argomento:http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.com/2009/03/gettata-merda-sulle-merde.html)e non è un caso che sia stata colpita una proprietà di questi truffatori su larga scala,visto che i danni arrecati al fisco parlano per solo il biennio 2006-07 di 50 milioni di Euro.
Articolo tratto da Indymedia Piemonte.
Dopo la merda..l'arresto!
Dopo la merda di marzo (2009) che aveva tanto scandalizzato, sti anarchici che vogliono tra la gente per bene..ecco gli arresti per frode, evasione fiscale..ecc. ma che brave persone! ora diranno che sono anarchici anche i titolari e hanno truffato quelle brave persone dei loro clienti.. perchè sporchi ricchi ..di merda!
Torino, scoperta frode fiscale per almeno 50 mln: arrestati i titolari di alberghi di lusso ultimo aggiornamento: 23 settembre, ore 13:23 Torino - (Adnkronos) - Facevano fallire le società e ne aprivano contemporaneamente altre, riuscendo a scaricare le perdite su quelle fallite e a conservare i crediti su quelle nuove. Arrestate due persone, sequestrate cinque società e 19 conti correnti.
Torino, 23 set. - (Adnkronos) - Facevano fallire le società e ne aprivano contemporaneamente altre, riuscendo a scaricare le perdite su quelle fallite e a conservare i crediti su quelle nuove. I carabinieri hanno arrestato ieri due persone, A.R., imprenditore di 65 anni e G.L., ragioniere di 59, titolari di diversi alberghi e ristoranti di lusso.Perquisizioni sono state effettuate a Torino, Genova, Rapallo, Venezia, Catania, Roma, Napoli e Catania; cinque società e 19 conti correnti sono stati sequestrati, oltre ad alcune cassette di sicurezza. Tra gli altri locali, i due soci sono titolari dell'hotel Golden Palace e del ristorante Al Cambio di Torino, sono ex proprietari dell'hotel Turin Palace, fallito, sempre nel capoluogo piemontese, e sono proprietari di alberghi a 5 stelle anche a Rapallo, dove possiedono l'Excelsior, a Genova, dove hanno l'hotel Bentley, a Venezia, dove sono titolari dell'hotel San Clemente, e ancora a Catania, Napoli, Palermo, e Taormina, oltre che di alcuni ristoranti di lusso ad Asti e Milano.
A emettere l'ordine di custodia cautelare in carcere è stato il pm Giuseppe Riccaboni della procura di Torino. Le indagini, iniziate a marzo, in seguito a diverse segnalazioni dell'Agenzia delle entrate e di Equitalia, hanno permesso di ricostruire la strategia dei due che, con diverse operazioni, riuscivano a frodare il fisco. Nel corso di queste operazioni, che hanno portato al fallimento di molte delle loro società, i due soci d'affari non hanno presentato alcuna documentazione contabile o relativa ai bilanci ai curatori del tribunale. Equitalia ha indicato in circa 50 milioni di euro l'evasione fiscale relativa al solo periodo 2006/2007. In realtà, spiegano i carabinieri, considerato anche l'indotto rappresentato da tutti i fornitori, anche piccoli, degli alberghi che verranno tutti trascinati dal fallimento delle società e dalle banche nei cui confronti gli indagati hanno un'esposizione debitoria di centinaia di milioni di euro tra fidi, mutui e finanziamenti vari, il buco è probabilmente molto più ampio.
per chi non ricordasse nel marzo 2009...
Anarchici all'attacco del Cambio, escrementi al ristorante
Related Link: http://www.adnkronos.com/IGN/Regioni/Piemonte/Torino-sc...rrest
La protesta contro i Cie non aveva toccato solo Torino ma altre città italiane(qui il link di questo blog che trattava dell'argomento:http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.com/2009/03/gettata-merda-sulle-merde.html)e non è un caso che sia stata colpita una proprietà di questi truffatori su larga scala,visto che i danni arrecati al fisco parlano per solo il biennio 2006-07 di 50 milioni di Euro.
Articolo tratto da Indymedia Piemonte.
Dopo la merda..l'arresto!
Dopo la merda di marzo (2009) che aveva tanto scandalizzato, sti anarchici che vogliono tra la gente per bene..ecco gli arresti per frode, evasione fiscale..ecc. ma che brave persone! ora diranno che sono anarchici anche i titolari e hanno truffato quelle brave persone dei loro clienti.. perchè sporchi ricchi ..di merda!
Torino, scoperta frode fiscale per almeno 50 mln: arrestati i titolari di alberghi di lusso ultimo aggiornamento: 23 settembre, ore 13:23 Torino - (Adnkronos) - Facevano fallire le società e ne aprivano contemporaneamente altre, riuscendo a scaricare le perdite su quelle fallite e a conservare i crediti su quelle nuove. Arrestate due persone, sequestrate cinque società e 19 conti correnti.
Torino, 23 set. - (Adnkronos) - Facevano fallire le società e ne aprivano contemporaneamente altre, riuscendo a scaricare le perdite su quelle fallite e a conservare i crediti su quelle nuove. I carabinieri hanno arrestato ieri due persone, A.R., imprenditore di 65 anni e G.L., ragioniere di 59, titolari di diversi alberghi e ristoranti di lusso.Perquisizioni sono state effettuate a Torino, Genova, Rapallo, Venezia, Catania, Roma, Napoli e Catania; cinque società e 19 conti correnti sono stati sequestrati, oltre ad alcune cassette di sicurezza. Tra gli altri locali, i due soci sono titolari dell'hotel Golden Palace e del ristorante Al Cambio di Torino, sono ex proprietari dell'hotel Turin Palace, fallito, sempre nel capoluogo piemontese, e sono proprietari di alberghi a 5 stelle anche a Rapallo, dove possiedono l'Excelsior, a Genova, dove hanno l'hotel Bentley, a Venezia, dove sono titolari dell'hotel San Clemente, e ancora a Catania, Napoli, Palermo, e Taormina, oltre che di alcuni ristoranti di lusso ad Asti e Milano.
A emettere l'ordine di custodia cautelare in carcere è stato il pm Giuseppe Riccaboni della procura di Torino. Le indagini, iniziate a marzo, in seguito a diverse segnalazioni dell'Agenzia delle entrate e di Equitalia, hanno permesso di ricostruire la strategia dei due che, con diverse operazioni, riuscivano a frodare il fisco. Nel corso di queste operazioni, che hanno portato al fallimento di molte delle loro società, i due soci d'affari non hanno presentato alcuna documentazione contabile o relativa ai bilanci ai curatori del tribunale. Equitalia ha indicato in circa 50 milioni di euro l'evasione fiscale relativa al solo periodo 2006/2007. In realtà, spiegano i carabinieri, considerato anche l'indotto rappresentato da tutti i fornitori, anche piccoli, degli alberghi che verranno tutti trascinati dal fallimento delle società e dalle banche nei cui confronti gli indagati hanno un'esposizione debitoria di centinaia di milioni di euro tra fidi, mutui e finanziamenti vari, il buco è probabilmente molto più ampio.
per chi non ricordasse nel marzo 2009...
Anarchici all'attacco del Cambio, escrementi al ristorante
Related Link: http://www.adnkronos.com/IGN/Regioni/Piemonte/Torino-sc...rrest
mercoledì 6 ottobre 2010
GORA EUSKADI!
Splendido weekend quello passato in Euskal Herria grazie ad alcuni amici italiani e quelli baschi che ci hanno ospitato,un ringraziamento particolare ai compagni incontrati a Iruna e Bilbo,grandi lotte pacifiche e spettacolari feste fino all'alba e oltre.
Bilbao: 50.000 in piazza a favore di un nuovo scenario politico.
Una manifestazione molto partecipata ha sfilato nella giornata di ieri per le strade di Bilbao: 50.000 persone di diverse ideologie politiche, associazioni e collettivi hanno partecipato alla dimostrazione in difesa dei diritti umani, civili e politici.
Presenti in piazza anche vari rappresentanti di diversi partiti politici, come Eusko Alkartasuna, Aralar, Alternativa e altri piccoli partiti, oltre naturalmente alla presenza di due rappresentanti della sinistra abertzale. La partecipazione di alcuni sindacati come LAB e ELA, hanno infine dato alla manifestazione una consistenza unitaria che in rare occasioni è visibile nei Paesi Baschi.
"No ai divieti di manifestare. Nessuna imposizione, nessuna violenza. Si ai diritti umani, civili e politici" erano le parole d'ordine riportate sullo striscione di apertura, retto da alcune donne dei vari collettivi e agenti sociali che fanno parte di Adierazi EH, piattaforma politica che lavora in difesa dei diritti che come popolo corrispondono a Euskal Herria, e che hanno convocato la manifestazione di ieri.
La manifestazione, proibita per due volte nel mese di settembre -attraverso un divieto dell'Audiencia Nacional- si è successivamente conclusa davanti al municipio di Bilbao dove l'avvocato Felix Cañada è stato l'incaricato di ringraziare a nome dei convocanti, tutte le persone che hanno partecipato alla manifestazione. Successivamente rappresentanti della piattaforma Adierazi EH hanno preso parola sottolineando l'importanza dei cittadini e delle cittadine basche all'interno del processo in atto nei Paesi Baschi. "Tutti i cittadini e le cittadine basche, hanno preso oggi parola nelle strade di Bilbao, e tutti noi in quanto cittadini, dobbiamo prendere l'iniziativa per stabilire in forma definitiva un nuovo scenario di piena democrazia e libertà in Euskal Herria" sono state alcune delle frasi pronunciate a fine corteo.
Il compromesso assunto quindi da parte di Adierazi EH, invitando i cittadini e le cittadine basche a fare altrettanto, è quello di "fare pressioni sui poteri dello Stato e a tutto ciò che pone ostacoli in questo percorso, fino ad obbligarli a rispettare i diritti civili e politici che corrispondono alla cittadinanza basca". Una prima dimostrazione della determinazione di tali presupposti si è quindi verificata ieri, con una manifestazione imponente che dimostra ancora una volta quanto sia presente il popolo basco all'interno del processo democratico che si sta portando avanti in questa nuova fase politica.
Video della manifestazione
tratto da http://www.infoaut.org/
El apoyo a un nuevo escenario abarrota las calles de Bilbo.
Una multitud de ciudadanos vascos de ideologías diferentes (46.00o personas según el recuento de GARA) convirtió en éxito la movilización en favor de los derechos humanos, civiles y políticos. La marcha dio impulso a un nuevo escenario. Portavoces de Adierazi EH llamaron a su defensa.
Txisko FERNÁNDEZ
BILBO
El viento sopló ayer a favor de la multitud que se dio cita en los alrededores de La Casilla para participar en una movilización que previamente había sido prohibida en dos ocasiones por impulso del Gobierno de Lakua y con el sello de la Audiencia Nacional española. Antes de las cinco de la tarde, la temperatura era muy alta en Bilbo -algunos termómetros marcaban 30 grados- y todo indicaba que el ambiente iba estar acorde con esta jornada de hego haize.
Así se pudo constatar cuando las mujeres, representantes de los grupos sociales firmantes de Adierazi EH, que portaban la primera pancarta echaron a caminar por la calle Autonomía. Los primeros pasos tras el lema «Giza eskubideak, eskubide zibil eta politikoak» fueron acogidos con una gran ovación, a la que se sumaron los gritos de «Euskal Herria aurrera» e «Independentzia».
Una segunda pancarta recogía más ampliamente los motivos de esta movilización: «Ez manifestazioen debekuei. Ninguna imposición, ninguna violencia. Giza eskubideen, eskubide zibil eta politikoen alde». Ésta fue portada por los convocantes y otras personas que suscribieron la iniciativa.
Les seguían los pasos un numeroso grupo de representantes políticos, reflejando una amplitud del espectro ideológico que se repite en muy pocas ocasiones en nuestro país. Estas eran algunas de las caras más conocidas: Rufi Etxeberria y Jone Goirizelaia, de la izquierda abertzale; Pello Urizar e Ikerne Badiola, de EA; Aintzane Ezenarro y Josu Murgia, de Aralar; Mertxe Colina, de AB; Mikel Arana, de EB; Oskar Matute, de Alternatiba... Los dirigentes del PNV Andoni Ortuzar y Joseba Egibar tardaron en llegar, pero lo hicieron antes de que la manifestación arrancara y se colocaron un par de filas más atrás.
También se encontraban en la cabeza de la marcha el secretario general de ELA, Txiki Muñoz, y la de la LAB, Ainhoa Etxaide, así como portavoces de otros sindicatos y colectivos populares.
Como sucede en este tipo de masivas movilizaciones, las pancartas no se situaron delante de los participantes -hasta 46.000 personas, según el recuento de GARA-, sino que fue atravesando la propia manifestación, ya que cuando pasó de La Casilla, toda la calle Autonomía estaba repleta de gente, ocupando la calzada y las aceras hasta Zabalburu. El cordón de seguridad montado por la organización fue solicitando que se abriera hueco para que las pancartas lograran hacer el recorrido previsto hasta la escalinata del ayuntamiento.
Hacia delante o hacia atrás.
En los momentos previos a la manifestación, algunos de los portavoces políticos trasladaron los medios de comunicación sus primeras impresiones. Por la izquierda abertzale, Marian Beitialarrangoitia, quiso subrayar la «indudable importancia» y la «urgencia» de esta movilización, y comentó que «es la ciudadanía vasca la que va a hacer que se muevan quienes todavía impulsan el bloqueo».
En esa capacidad popular para mover «al Gobierno español y a los aparatos del Estado» coincidió el secretario general de Eusko Alkartasuna. Más concretamente, Pello Urizar reprochó al PSOE que se esté haciendo «el camino del cangrejo». Idea que apostilló Josu Murgia, quien, tras indicar que esperaba que se lanzara «un grito de paz a ETA, al Gobierno español y a [el consejero de Interior de Lakua] Rodolfo Ares», acusó a este último de actuar «como un cangrejo que va para atrás».
Por su parte, Mikel Arana advirtió que «nadie puede permanecer impasible ante esta nueva situación» y auguró que «el día en que todos a la vez, abertzales y no abertzales, asumamos estas reivindicaciones [las que se leían en las pancartas], habremos dado un paso de gigante».
Ya con la cabecera en marcha, otros lemas fueron repetidamente coreados, entre ellos los que hacían referencia a los derechos de los presos políticos, como «Euskal presoak etxera» y «Presoak kalera, amnistia osoa», o «Hator, hator...». Tampoco faltaron las referencias a las últimas operaciones policiales, con atronadores gritos de «Atxilotuak askatu».
Sin imposiciones, sin violencia.
Una hora después de haber iniciado la caminata, la cabeza de la manifestación llegó ante el ayuntamiento de Bilbo. El abogado Félix Cañada fue el encargado de agradecer en nombre de los convocantes a todas las personas que participaron en la manifestación por «haber acudido a mostrar la repulsa a la prohibición de manifestaciones y en defensa de los derechos civiles y políticos de este país».
Incidió en que éstos son «momentos importantes y delicados» por varias razones: porque «son patentes los esfuerzos de muchos para avanzar hacia una convivencia sin imposiciones y sin ninguna violencia»; porque es necesario «reivindicar la plenitud de derechos civiles y políticos para todos en este país»; y porque hay que «resistir y reaccionar contra la supresión y el recorte de libertades tan fundamentales como las de manifestación, expresión y participación política, que, entre otras, deben restaurarse inmediatamente y con plenitud».
Precisamente, «en defensa y ejercicio» de la libertad de expresión, los convocantes invitaron a tomar la palabra «a quienes injustamente les prohibieron manifestarse en dos ocasiones». Cañada se despidió animando a seguir por el camino trazado ayer en Bilbo: «Caminemos. Juntos lo conseguiremos».
La iniciativa, de la ciudadanía.
Su lugar ante el micrófono lo ocuparon el actor Ramón Agirre y la escritora Eider Rodríguez, quienes leyeron el mensaje de Adierazi EH, alternando el euskara y el castellano, que GARA recoge íntegramente en estas páginas.
El importante papel que corresponde a la ciudadanía en este proceso que se abre fue subrayado desde la primera frase -«La ciudadanía vasca ha tomado hoy la palabra en las calles de Bilbo, y los ciudadanos y ciudadanas tenemos que tomar la iniciativa para establecer ya y de forma definitiva un nuevo escenario de democracia y libertad plenas en Euskal Herria»- hasta las últimas -«El viento sopla a favor de todos los derechos para toda la ciudadanía. Ésta es nuestra hora. Aurrera!».
Adierazi EH reiteró su compromiso a «emplazar a los poderes del Estado y a todo aquel que ponga trabas a ese escenario hasta obligarles a respetar los derechos civiles y políticos de la ciudadanía vasca». Y recordaron que esos derechos básicos ya acordados consisten, resumidamente, en «la superación inmediata de toda situación de excepción o violencia», «la garantía del ejercicio de los derechos civiles y políticos, derechos humanos, individuales y colectivos». Éstos abarcan desde «el derecho a la vida y a la libertad» hasta «la legalización inmediata de partidos y organizaciones ilegalizadas», pasando por la repatriación de presas y presos.
Sin agobio policial
Al contrario de lo que sucedió el 11 de setiembre, la presencia policial uniformada fue mínima. La Ertzaintza desplegó unas pocas furgonetas en algunas de las calles que cruzan Autonomía. Tampoco hubo controles en los accesos a Bilbo.
Bertsos y música para Adierazi Euskal Herria
Il clou si è avuto durante la grande manifestazione per i diritii civili tenutasi a Bilbo lo scorso sabato e già rimandata dalla polizia per due volte nel mese di settembre,che ha avuto una strepitosa partecipazione numerica e politica così come spiegano gli articoli di Infoaut ripreso da"Senza Soste"e quello del quotidiano basco"Gara",il cui video è linkato prima della foto presa dall'alto dell'immenso corteo che ha attraversato la città.
Un commosso e sincero ringraziamento ai ragazzi di Burlada,Atarrabia e Bilbo,sempre nei nostri cuori,Gora Euskadi!Bilbao: 50.000 in piazza a favore di un nuovo scenario politico.
Una manifestazione molto partecipata ha sfilato nella giornata di ieri per le strade di Bilbao: 50.000 persone di diverse ideologie politiche, associazioni e collettivi hanno partecipato alla dimostrazione in difesa dei diritti umani, civili e politici.
Presenti in piazza anche vari rappresentanti di diversi partiti politici, come Eusko Alkartasuna, Aralar, Alternativa e altri piccoli partiti, oltre naturalmente alla presenza di due rappresentanti della sinistra abertzale. La partecipazione di alcuni sindacati come LAB e ELA, hanno infine dato alla manifestazione una consistenza unitaria che in rare occasioni è visibile nei Paesi Baschi.
"No ai divieti di manifestare. Nessuna imposizione, nessuna violenza. Si ai diritti umani, civili e politici" erano le parole d'ordine riportate sullo striscione di apertura, retto da alcune donne dei vari collettivi e agenti sociali che fanno parte di Adierazi EH, piattaforma politica che lavora in difesa dei diritti che come popolo corrispondono a Euskal Herria, e che hanno convocato la manifestazione di ieri.
La manifestazione, proibita per due volte nel mese di settembre -attraverso un divieto dell'Audiencia Nacional- si è successivamente conclusa davanti al municipio di Bilbao dove l'avvocato Felix Cañada è stato l'incaricato di ringraziare a nome dei convocanti, tutte le persone che hanno partecipato alla manifestazione. Successivamente rappresentanti della piattaforma Adierazi EH hanno preso parola sottolineando l'importanza dei cittadini e delle cittadine basche all'interno del processo in atto nei Paesi Baschi. "Tutti i cittadini e le cittadine basche, hanno preso oggi parola nelle strade di Bilbao, e tutti noi in quanto cittadini, dobbiamo prendere l'iniziativa per stabilire in forma definitiva un nuovo scenario di piena democrazia e libertà in Euskal Herria" sono state alcune delle frasi pronunciate a fine corteo.
Il compromesso assunto quindi da parte di Adierazi EH, invitando i cittadini e le cittadine basche a fare altrettanto, è quello di "fare pressioni sui poteri dello Stato e a tutto ciò che pone ostacoli in questo percorso, fino ad obbligarli a rispettare i diritti civili e politici che corrispondono alla cittadinanza basca". Una prima dimostrazione della determinazione di tali presupposti si è quindi verificata ieri, con una manifestazione imponente che dimostra ancora una volta quanto sia presente il popolo basco all'interno del processo democratico che si sta portando avanti in questa nuova fase politica.
Video della manifestazione
tratto da http://www.infoaut.org/
El apoyo a un nuevo escenario abarrota las calles de Bilbo.
Una multitud de ciudadanos vascos de ideologías diferentes (46.00o personas según el recuento de GARA) convirtió en éxito la movilización en favor de los derechos humanos, civiles y políticos. La marcha dio impulso a un nuevo escenario. Portavoces de Adierazi EH llamaron a su defensa.
Txisko FERNÁNDEZ
BILBO
El viento sopló ayer a favor de la multitud que se dio cita en los alrededores de La Casilla para participar en una movilización que previamente había sido prohibida en dos ocasiones por impulso del Gobierno de Lakua y con el sello de la Audiencia Nacional española. Antes de las cinco de la tarde, la temperatura era muy alta en Bilbo -algunos termómetros marcaban 30 grados- y todo indicaba que el ambiente iba estar acorde con esta jornada de hego haize.
Así se pudo constatar cuando las mujeres, representantes de los grupos sociales firmantes de Adierazi EH, que portaban la primera pancarta echaron a caminar por la calle Autonomía. Los primeros pasos tras el lema «Giza eskubideak, eskubide zibil eta politikoak» fueron acogidos con una gran ovación, a la que se sumaron los gritos de «Euskal Herria aurrera» e «Independentzia».
Una segunda pancarta recogía más ampliamente los motivos de esta movilización: «Ez manifestazioen debekuei. Ninguna imposición, ninguna violencia. Giza eskubideen, eskubide zibil eta politikoen alde». Ésta fue portada por los convocantes y otras personas que suscribieron la iniciativa.
Les seguían los pasos un numeroso grupo de representantes políticos, reflejando una amplitud del espectro ideológico que se repite en muy pocas ocasiones en nuestro país. Estas eran algunas de las caras más conocidas: Rufi Etxeberria y Jone Goirizelaia, de la izquierda abertzale; Pello Urizar e Ikerne Badiola, de EA; Aintzane Ezenarro y Josu Murgia, de Aralar; Mertxe Colina, de AB; Mikel Arana, de EB; Oskar Matute, de Alternatiba... Los dirigentes del PNV Andoni Ortuzar y Joseba Egibar tardaron en llegar, pero lo hicieron antes de que la manifestación arrancara y se colocaron un par de filas más atrás.
También se encontraban en la cabeza de la marcha el secretario general de ELA, Txiki Muñoz, y la de la LAB, Ainhoa Etxaide, así como portavoces de otros sindicatos y colectivos populares.
Como sucede en este tipo de masivas movilizaciones, las pancartas no se situaron delante de los participantes -hasta 46.000 personas, según el recuento de GARA-, sino que fue atravesando la propia manifestación, ya que cuando pasó de La Casilla, toda la calle Autonomía estaba repleta de gente, ocupando la calzada y las aceras hasta Zabalburu. El cordón de seguridad montado por la organización fue solicitando que se abriera hueco para que las pancartas lograran hacer el recorrido previsto hasta la escalinata del ayuntamiento.
Hacia delante o hacia atrás.
En los momentos previos a la manifestación, algunos de los portavoces políticos trasladaron los medios de comunicación sus primeras impresiones. Por la izquierda abertzale, Marian Beitialarrangoitia, quiso subrayar la «indudable importancia» y la «urgencia» de esta movilización, y comentó que «es la ciudadanía vasca la que va a hacer que se muevan quienes todavía impulsan el bloqueo».
En esa capacidad popular para mover «al Gobierno español y a los aparatos del Estado» coincidió el secretario general de Eusko Alkartasuna. Más concretamente, Pello Urizar reprochó al PSOE que se esté haciendo «el camino del cangrejo». Idea que apostilló Josu Murgia, quien, tras indicar que esperaba que se lanzara «un grito de paz a ETA, al Gobierno español y a [el consejero de Interior de Lakua] Rodolfo Ares», acusó a este último de actuar «como un cangrejo que va para atrás».
Por su parte, Mikel Arana advirtió que «nadie puede permanecer impasible ante esta nueva situación» y auguró que «el día en que todos a la vez, abertzales y no abertzales, asumamos estas reivindicaciones [las que se leían en las pancartas], habremos dado un paso de gigante».
Ya con la cabecera en marcha, otros lemas fueron repetidamente coreados, entre ellos los que hacían referencia a los derechos de los presos políticos, como «Euskal presoak etxera» y «Presoak kalera, amnistia osoa», o «Hator, hator...». Tampoco faltaron las referencias a las últimas operaciones policiales, con atronadores gritos de «Atxilotuak askatu».
Sin imposiciones, sin violencia.
Una hora después de haber iniciado la caminata, la cabeza de la manifestación llegó ante el ayuntamiento de Bilbo. El abogado Félix Cañada fue el encargado de agradecer en nombre de los convocantes a todas las personas que participaron en la manifestación por «haber acudido a mostrar la repulsa a la prohibición de manifestaciones y en defensa de los derechos civiles y políticos de este país».
Incidió en que éstos son «momentos importantes y delicados» por varias razones: porque «son patentes los esfuerzos de muchos para avanzar hacia una convivencia sin imposiciones y sin ninguna violencia»; porque es necesario «reivindicar la plenitud de derechos civiles y políticos para todos en este país»; y porque hay que «resistir y reaccionar contra la supresión y el recorte de libertades tan fundamentales como las de manifestación, expresión y participación política, que, entre otras, deben restaurarse inmediatamente y con plenitud».
Precisamente, «en defensa y ejercicio» de la libertad de expresión, los convocantes invitaron a tomar la palabra «a quienes injustamente les prohibieron manifestarse en dos ocasiones». Cañada se despidió animando a seguir por el camino trazado ayer en Bilbo: «Caminemos. Juntos lo conseguiremos».
La iniciativa, de la ciudadanía.
Su lugar ante el micrófono lo ocuparon el actor Ramón Agirre y la escritora Eider Rodríguez, quienes leyeron el mensaje de Adierazi EH, alternando el euskara y el castellano, que GARA recoge íntegramente en estas páginas.
El importante papel que corresponde a la ciudadanía en este proceso que se abre fue subrayado desde la primera frase -«La ciudadanía vasca ha tomado hoy la palabra en las calles de Bilbo, y los ciudadanos y ciudadanas tenemos que tomar la iniciativa para establecer ya y de forma definitiva un nuevo escenario de democracia y libertad plenas en Euskal Herria»- hasta las últimas -«El viento sopla a favor de todos los derechos para toda la ciudadanía. Ésta es nuestra hora. Aurrera!».
Adierazi EH reiteró su compromiso a «emplazar a los poderes del Estado y a todo aquel que ponga trabas a ese escenario hasta obligarles a respetar los derechos civiles y políticos de la ciudadanía vasca». Y recordaron que esos derechos básicos ya acordados consisten, resumidamente, en «la superación inmediata de toda situación de excepción o violencia», «la garantía del ejercicio de los derechos civiles y políticos, derechos humanos, individuales y colectivos». Éstos abarcan desde «el derecho a la vida y a la libertad» hasta «la legalización inmediata de partidos y organizaciones ilegalizadas», pasando por la repatriación de presas y presos.
Sin agobio policial
Al contrario de lo que sucedió el 11 de setiembre, la presencia policial uniformada fue mínima. La Ertzaintza desplegó unas pocas furgonetas en algunas de las calles que cruzan Autonomía. Tampoco hubo controles en los accesos a Bilbo.
Bertsos y música para Adierazi Euskal Herria
Desde la balconada de la casa consistorial bilbaina, Miren Amuriza, Iratxe Ibarra, Uxue Alberdi y Maialen Lujanbio, por ese orden, lanzaron sus bertsos cargados de referencias al importante momento que vive Euskal Herria. Bihotz Bakartien Kluba interpretó la canción «Adierazi Euskal Herria». T.F.
martedì 5 ottobre 2010
PAROLA D'ORDINE:IGNORANZA
Questo post vuole mettere sotto la lente d'ingrandimento una questione più volte sollevata da chi come me scrive sui blog e che cerca di fare controinformazione il meglio possibile,ovvero poter ancora per il momento liberamente cercare di dare notizie che sulle normali vie informative non vengono fornite o che oppure vengono riferite in maniera distorta,e solo dopo un confronto tra come vengono date le news chi legge riesce ad avere uno spettro dei fatti più ampio e quindi poter scegliere di testa sua la veridicità dei fatti e delle fonti.
I 10 punti sottoindicati sono la sintesi che il linguista Chomsky fornisce sono di una disarmante sincerità e attualità che dopo averli letti si pensa proprio che è quello che sta accadendo ora nel nostro paese e non solo"grazie"alla malainformazione cresciuta come un cancro negli ultimi trent'anni in Italia dopo l'entrata in campo di Berluscojoni come imperatore dei massmedia ma anche dalla derivante caduta di valori morali che al contrario di quanto dicano i destronzi,loro stessi hanno accelerato in maniera imbarazzante.
Ignoranza è la parola d'ordine che gli esperti di comunicazione del regime adottano per rendere ancor più dei bifolchi il fragile popolo italiano:articolo tratto da"Senza Soste".
Link:http://www.senzasoste.it/media-e-potere/le-10-strategie-della-manipolazione-mediatica
Le 10 Strategie della Manipolazione Mediatica.
Il linguista Noam Chomsky ha elaborato la lista delle “10 Strategie della Manipolazione” attraverso i mass media.
1-La strategia della distrazione.
I 10 punti sottoindicati sono la sintesi che il linguista Chomsky fornisce sono di una disarmante sincerità e attualità che dopo averli letti si pensa proprio che è quello che sta accadendo ora nel nostro paese e non solo"grazie"alla malainformazione cresciuta come un cancro negli ultimi trent'anni in Italia dopo l'entrata in campo di Berluscojoni come imperatore dei massmedia ma anche dalla derivante caduta di valori morali che al contrario di quanto dicano i destronzi,loro stessi hanno accelerato in maniera imbarazzante.
Ignoranza è la parola d'ordine che gli esperti di comunicazione del regime adottano per rendere ancor più dei bifolchi il fragile popolo italiano:articolo tratto da"Senza Soste".
Link:http://www.senzasoste.it/media-e-potere/le-10-strategie-della-manipolazione-mediatica
Le 10 Strategie della Manipolazione Mediatica.
Il linguista Noam Chomsky ha elaborato la lista delle “10 Strategie della Manipolazione” attraverso i mass media.
1-La strategia della distrazione.
L’elemento primordiale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel deviare l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dei cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche, attraverso la tecnica del diluvio o inondazioni di continue distrazioni e di informazioni insignificanti.
La strategia della distrazione è anche indispensabile per impedire al pubblico d’interessarsi alle conoscenze essenziali, nell’area della scienza, l’economia, la psicologia, la neurobiologia e la cibernetica. “Mantenere l’Attenzione del pubblico deviata dai veri problemi sociali, imprigionata da temi senza vera importanza. Mantenere il pubblico occupato, occupato, occupato, senza nessun tempo per pensare, di ritorno alla fattoria come gli altri animali (citato nel testo “Armi silenziose per guerre tranquille”).
2- Creare problemi e poi offrire le soluzioni.
Questo metodo è anche chiamato “problema- reazione- soluzione”. Si crea un problema, una “situazione” prevista per causare una certa reazione da parte del pubblico, con lo scopo che sia questo il mandante delle misure che si desiderano far accettare. Ad esempio: lasciare che si dilaghi o si intensifichi la violenza urbana, o organizzare attentati sanguinosi, con lo scopo che il pubblico sia chi richiede le leggi sulla sicurezza e le politiche a discapito della libertà. O anche: creare una crisi economica per far accettare come un male necessario la retrocessione dei diritti sociali e lo smantellamento dei servizi pubblici.
3- La strategia della gradualità.
Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, a contagocce, per anni consecutivi. E’ in questo modo che condizioni socioeconomiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte durante i decenni degli anni 80 e 90: Stato minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione in massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero state applicate in una sola volta.
4- La strategia del differire.
Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria”, ottenendo l’accettazione pubblica, nel momento, per un’applicazione futura. E’ più facile accettare un sacrificio futuro che un sacrificio immediato. Prima, perché lo sforzo non è quello impiegato immediatamente. Secondo, perché il pubblico, la massa, ha sempre la tendenza a sperare ingenuamente che “tutto andrà meglio domani” e che il sacrificio richiesto potrebbe essere evitato. Questo dà più tempo al pubblico per abituarsi all’idea del cambiamento e di accettarlo rassegnato quando arriva il momento.
5- Rivolgersi al pubblico come ai bambini.
La maggior parte della pubblicità diretta al gran pubblico, usa discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, molte volte vicino alla debolezza, come se lo spettatore fosse una creatura di pochi anni o un deficiente mentale. Quando più si cerca di ingannare lo spettatore più si tende ad usare un tono infantile. Perché? “Se qualcuno si rivolge ad una persona come se avesse 12 anni o meno, allora, in base alla suggestionabilità, lei tenderà, con certa probabilità, ad una risposta o reazione anche sprovvista di senso critico come quella di una persona di 12 anni o meno (vedere “Armi silenziosi per guerre tranquille”).
6- Usare l’aspetto emotivo molto più della riflessione.
Sfruttate l'emozione è una tecnica classica per provocare un corto circuito su un'analisi razionale e, infine, il senso critico dell'individuo. Inoltre, l'uso del registro emotivo permette aprire la porta d’accesso all’inconscio per impiantare o iniettare idee, desideri, paure e timori, compulsioni, o indurre comportamenti….
7- Mantenere il pubblico nell’ignoranza e nella mediocrità.
Far si che il pubblico sia incapace di comprendere le tecnologie ed i metodi usati per il suo controllo e la sua schiavitù.
“La qualità dell’educazione data alle classi sociali inferiori deve essere la più povera e mediocre possibile, in modo che la distanza dell’ignoranza che pianifica tra le classi inferiori e le classi superiori sia e rimanga impossibile da colmare dalle classi inferiori".
8- Stimolare il pubblico ad essere compiacente con la mediocrità.
Spingere il pubblico a ritenere che è di moda essere stupidi, volgari e ignoranti ...
9- Rafforzare l’auto-colpevolezza.
Far credere all’individuo che è soltanto lui il colpevole della sua disgrazia, per causa della sua insufficiente intelligenza, delle sue capacità o dei suoi sforzi. Così, invece di ribellarsi contro il sistema economico, l’individuo si auto svaluta e s’incolpa, cosa che crea a sua volta uno stato depressivo, uno dei cui effetti è l’inibizione della sua azione. E senza azione non c’è rivoluzione!
10- Conoscere agli individui meglio di quanto loro stessi si conoscano.
Negli ultimi 50 anni, i rapidi progressi della scienza hanno generato un divario crescente tra le conoscenze del pubblico e quelle possedute e utilizzate dalle élites dominanti. Grazie alla biologia, la neurobiologia, e la psicologia applicata, il “sistema” ha goduto di una conoscenza avanzata dell’essere umano, sia nella sua forma fisica che psichica. Il sistema è riuscito a conoscere meglio l’individuo comune di quanto egli stesso si conosca. Questo significa che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un controllo maggiore ed un gran potere sugli individui, maggiore di quello che lo stesso individuo esercita su sé stesso.
Fonte: http://www.visionesalternativas.com/.
Traduzione per Voci Dalla Strada a cura di VANESA
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