Questo mese di maggio che sta per concludersi è stato pieno di fatti di cronaca che scavalcano la tragedia e che vanno messi nell'insieme di atti criminali che col fato non c'entrano nulla e che sono frutto delle azioni compiute dagli uomini.
Che per inciso per avere più soldi e più facilmente omettono pratiche di salvaguardia dei lavoratori e delle persone che usufruiscono di servizi,e la memoria rimbalza da Prato a Stresa passando da Brescia fino a Villanterio dove ancora oggi sono moti due operai.
Solo che siamo in Italia,dove ancora si sta discutendo la semplificazione sugli appalti,con una gestione al ribasso che è anche garanzia di avere meno controlli e maggiori situazioni di pericolo per i lavoratori che per gli altri.
Siamo nel paese dove ancora la tassa patrimoniale è un tabù e addirittura i più poveri sono quelli non la vogliono,una nazione di instupiditi dai mass media e dai social networks,un paese sempre più alla deriva e che non trova una via di scampo.
Il capitalismo è criminalità organizzata.
di Giorgio Cremaschi (Potere Al Popolo)
“Io ogni tanto ci penso eh… Chissà il bambino che mangia la pannocchia di mais cresciuta sui fanghi… Io sono stato consapevolmente un delinquente”.
“Lo facciamo per il bene dell’azienda!”
Queste sono alcune delle frasi che tra una risatina e l’altra si dicevano al telefono alcuni dei coinvolti nel nuovo scandalo criminale del capitalismo italiano.
Se andate sul sito dell’azienda bresciana WTE potete leggere: “W.T.E. srl è una società di ingegneria operante nel settore della difesa del suolo e della pianificazione territoriale”.
Oggi questa impresa è chiusa dai carabinieri; quindici persone, tra cui l’imprenditore, sono indagate per un imponente traffico illecito di rifiuti, che sarebbe stato realizzato tra il gennaio del 2018 e l’agosto del 2019: poco più di un anno e mezzo in cui sarebbero stati incassati oltre 12 milioni di euro di profitti illeciti, trasportando e distribuendo 150mila tonnellate di fanghi contaminati da metalli pesanti, idrocarburi e altre sostanze inquinanti, spacciati per fertilizzati e smaltiti su circa 3mila ettari di terreni agricoli in Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia Romagna.
Avvelenavano i campi per soldi e “pazienza se qualche bambino si fosse ammalato“, gli affari sono affari.
Questa infamia viene alla luce negli stessi giorni della strage criminale del Mottarone, mentre pare accertato che anche l’operaia Luana di Prato sia stata vittima dello stesso delitto: la manomissione dei meccanismi di sicurezza per guadagnare di più.
E si scopre che a Sabaudia i braccianti venivano drogati per far loro sopportare la fatica da schiavi.
Non è una singolare coincidenza di eventi, ma un sistema.
E non solo perché casi come questi sono solo la punta dell’iceberg di una generalizzata, profonda, violazione delle regole e delle leggi da parte della imprenditoria.
In tutte le statistiche INAIL e INPS, le imprese non in regola risultano essere tra il 70 e l’80%; sotto tutti i punti di vista, da quello della sicurezza e della salute, a quello dei contributi, a quello delle retribuzioni.
I delitti di questi giorni non sono casi isolati soprattutto perché il “sistema Italia” non solo normalmente non condanna, ma giustifica e persino premia chi sfrutta, inquina, uccide. “Come si può fare l’imprenditore se ti perseguitano con le regole e le leggi…”. Questo il lamento che sentiamo da padroni e manager, applaudito con commozione da gran parte degli schieramenti politici.
Così in Italia c’è una criminalità imprenditoriale diffusa e nei fatti legale, che può prosperare perché da trent’anni viene legittimata dal potere politico, dal mondo culturale, da quello dei mass media. È l’ideologia liberista diventata non solo potere, ma anche senso comune.
Le leggi che hanno decretato la schiavitù flessibile del lavoro, fino all’abolizione dell’articolo 18, hanno dato il via libera ai peggiori istinti imprenditoriali, togliendo loro il primo ostacolo: il potere dei lavoratori. Che oggi devono accettare tutto sulla base del sacro principio: l’azienda ti dà il pane, devi esserle fedele o quel pane lo perderai.
E chi comunque rifiuta il ricatto, come da ultimo Riccardo Cristello all’ArcelorMittal, e pretende di restare libero di parlare di diritti e salute, viene licenziato.
E poi la riduzione dei controlli e degli apparati di controllo per non vessare le imprese. Ed ora la semplificazione che vuol dire deregolamentazione, che negli appalti diventa licenza di schiavismo e devastazione.
Tutto è stato messo in campo dal sistema perché gli imprenditori non trovassero ostacoli al profitto, e la gestione della pandemia, paradossalmente, invece che rafforzare il diritto alla salute ha esaltato quello agli affari. E così di concessione in concessione agli spiriti animali del capitalismo, la dimensione della illegalità imprenditoriale è diventata sempre più grande; e operazioni e procedure criminali per le quali tanti padroni anni fa avrebbero avuto cautela o timore, oggi sfacciatamente dilagano.
“Togli i freni, butta il fango, produci, crepa, dobbiamo fare PIL“. E oggi tutto questo viene beffardamente intitolato alla transizione ecologica, sotto la quale dilaga un valanga di sporchi affari.
Mi è capitato di sentire una conferenza all’Università di Pisa di Lucia Morselli, amministratore delegato dell’Arcelor e licenziatrice di operai. Davvero ho sentito la banalità del male.
La manager, accolta con tutti gli onori dalla università pubblica, che ancora una volta ha mostrato tutta la sua servitù verso il potere dei soldi, tra gli applausi riverenti di giovanotti che l’ammiravano, ha brutalmente sciorinato tutto il cinismo totalitario del capitalismo attuale.
Dopo aver affermato che l’aria di Taranto è meglio di quella di Milano e che il vero riscaldamento globale lo fa la produzione di anidride degli esseri viventi, umanità compresa, ha spiegato – con una citazione di George Bernard Shaw – che il mondo di oggi vive nel compromesso tra onore ed interesse.
Cioè l’interesse decide quale è l’onore economicamente compatibile. Che questa sia la realtà è vero, che sia l’unica possibile e che ad essa ci si debba solo adeguare, è delittuoso.
A forza di favori, oggi il capitalismo italiano è diventato strutturalmente incapace di produrre guadagni senza violare direttamente o indirettamente i diritti della civiltà e della vita. E questa non è la sua forza ma la sua debolezza, che tutti noi paghiamo ogni giorno.
Quando la parola imprenditore assumerà la stessa connotazione dispregiativa che oggi ha la parola politico, allora cominceranno a cambiare le cose e si potranno fermare la devastazione e la strage di profitto.
Il capitalismo è criminalità organizzata.
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La funivia del Mottarone è l’Italia di oggi
di Giorgio Cremaschi (Potere Al Popolo)
Come avevamo detto, come era ovvio, nonostante ci fossero tanti ottusi in malafede che tacciavano di sciacallaggio chi questo ovvio denunciava.
Le funivie, come i macchinari delle fabbriche, come qualsiasi impianto produttivo e di trasporto, oggi hanno tutti gli apparati e i sistemi di sicurezza per impedire che ci si faccia male o si perda la vita.
Se questi apparati a un certo punto non funzionano e accadono stragi come quella del Mottarone, del Ponte Morandi, delle fabbriche ogni giorno, è perché per criminale sete di guadagno la sicurezza è stata trascurata, ignorata, compromessa.
I vertici della società in appalto – ricordate questa parola – che gestiva la funivia dove sono morte quattordici persone, sono stati arrestati.
Sapevano che l’impianto aveva dei problemi, ma invece di fermarlo e metterlo in sicurezza hanno deciso di farlo funzionare lo stesso, per non perdere la ripresa“, per fare profitto, per contribuire al PIL.
Hanno fatto come nella fabbriche ove gli operai vengono uccisi perché il blocco di sicurezza dei macchinari viene escluso per far produrre senza interruzioni.
Se questo imprenditore avesse rispettato le norme, oggi il piccolo Eitan non starebbe lottando per la vita in attesa di sapere di non avere più la famiglia. Altro che errore umano, è strage di profitto.
Ecco: forse la feroce spettacolarità della tragedia, che replicava quella di Genova, ha contribuito a far agire in fretta e senza riguardo gli inquirenti, come altrove non avviene. Perché se un impianto non è sicuro, non è un segreto; tanti lo sanno, quelli che ne hanno la gestione e la responsabilità e anche coloro che ci lavorano, a cui magari vien fatti capire che è meglio tacere, se non si vuol finire in mezzo ad una strada.
C’è sempre chi sa e, se tace, è per convenienza o paura.
La funivia del Mottarone era in gestione ad un privato, come tanti servizi che sono pubblici, che dovrebbero essere anche in mano pubblica, ma invece sono sempre più spesso regalati agli affari privati.
Era uno di quegli appalti che Draghi e Bonomi vogliono oggi ancora più liberalizzare, privare di controlli, lasciar gestire al massimo ribasso. Più si ribassano gli appalti più si innalza il rischio della salute e della vita.
Oggi grazie ad una tempestiva indagine della magistratura viene definito ufficialmente ciò che sappiamo avvenire ogni giorno: il sacrificio delle vite agli affari.
È così all’Ilva, è così nei tanti luoghi di produzione che, se si applicassero rigorosamente le regole e le leggi, dovrebbero essere fermati.
Ma è proprio il fermarsi che non si vuole; dalle funivie a tutto un paese che ha avuto 130.000 morti di Covid anche perché ha deciso di non fermare ciò che era necessario, quando era necessario.
Siamo diventatati una repubblica che ha scambiato il diritto al lavoro con quello al profitto, che mette il PIL davanti alla vita; e che copre con l’omertà ed il ricatto la strage.
Non c’è tanto da stupirsi, allora, che un imprenditore decida di festeggiare la riapertura della sua attività ignorando che l’impianto non è sicuro… perché dovrebbe accadere proprio sul Mottarone?
Ora voi padroni e politici non fate gli ipocriti, non nascondetevi dietro i vostri proclami su un caso estremo di criminalità. La tragedia della funivia è l’Italia di oggi.
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Ultime di cronaca sulle indagini.
Hanno “ammesso”. Lo riferisce il comandante provinciale dei Carabinieri di Verbania, tenente colonnello Alberto Cicognani. Il freno non è stato attivato volontariamente, “sì, lo hanno ammesso”, conferma l’ufficiale dell’Arma ai microfoni di Buongiorno Regione, su Radio 3.
“C’erano malfunzionamenti nella funivia, è stata chiamata la manutenzione, che non ha risolto il problema o lo ha risolto solo in parte. Per evitare ulteriori interruzioni del servizio, hanno scelto di lasciare la ‘forchetta’, che impedisce al freno d’emergenza di entrare in funzione”, spiega ancora Cicognani.
La svolta nelle indagini sul disastro della funivia del Mottarone è arrivata nella notte. Tre persone sono state fermate: si tratta di Luigi Nerini, amministratore della società Ferrovie del Mottarone che gestisce la funivia, Gabriele Tadini, direttore del servizio ed Enrico Perocchio, caposervizio. Tutti e tre sono stati portati in carcere a Verbania.
Omicidio colposo plurimo, disastro colposo e rimozione degli strumenti atti a prevenire gli infortuni aggravato dal disastro e lesioni gravissime (in relazione alle condizioni del piccolo Eitan ricoverato al Regina Margherita di Torino): queste, secondo quanto si é appreso, le ipotesi di reato in base alle quali la procura ha deciso di procedere con i fermi.
La cosiddetta ‘forchetta’ che serve per disattivare i freni di emergenza della funivia di Stresa è stata quindi volutamente inserita per evitare di dover fermare l’impianto. Già nella giornata di sabato c’era stato un blocco: “Da quanto ci è stato riferito – aveva detto la pm Bossi – sabato pomeriggio la funivia si è fermata e c’è stato un intervento per rimetterla in funzione”.
Secondo l’accusa, il meccanismo di emergenza è stato manomesso per evitare di interrompere il servizio in una giornata che lasciava presagire un buon afflusso di turisti.
Dopo il susseguirsi di ipotesi e indiscrezioni, il tema della cosiddetta ‘forchetta’ non azionata nel sistema di sicurezza della funivia, impedendo di fatto l’azionamento del freno di emergenza al momento della rottura del cavo traente, è diventato centrale: nella caserma dei Carabinieri di Stresa la pm Bossi ha quindi cominciato ad approfondire proprio questo elemento.
Rilevanti nella svolta sarebbero state le foto del relitto della cabina scattate il giorno stesso dell’incidente da vigili del fuoco e dal soccorso alpino, immagini che mostrano la presenza della “forchetta” in uno dei freni della funivia.
Nella sera di martedì alla caserma dei Carabinieri la pm ha sentito diverse persone, 7 in tutto, tutti dipendenti della società che gestisce la funivia. Poi, intorno a mezzanotte é stato convocato il titolare dell’azienda Luigi Nerini.
Alla caserma erano arrivati anche due legali. Il primo, Canio Di Milia, ex sindaco di Stresa e attualmente consigliere comunale, non si è trattenuto a lungo: per il suo ruolo di amministratore del Comune, parte lesa, non può avere un ruolo in questa causa. Successivamente è arrivata in caserma l’avvocata Anna Maria Possetti di Domodossola. Ad assistere Nerini è arrivato invece da Milano il suo legale Pasquale Pantano.
Fonte: Agenzia Agi
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La stato di salute dell’impresa
È un imprenditore locale, di Baveno, piccolo centro sulla sponda piemontese del lago Maggiore, il gestore della Funivia del Mottarone, lì dove domenica una cabina è precipitata da una altezza di circa 30 metri provocando la morte di 14 delle quindici persone a bordo, con unico superstite un bambino di 5 anni in gravissime condizioni.
Luigi Nerini, 56 anni e diploma di liceo scientifico, è il proprietario unico della Ferrovie del Mottarone, società che ha in gestione l’omonimia funivia. Una concessione dal Comune di Stresa valida fino al 2028 mentre Nerini, scrive il Corriere della Sera, ottiene dalla sua società un compenso di 95mila euro annui. La funivia Stresa-Mottarone è di proprietà del Comune di Stresa, mentre prima del 2016 era di proprietà della Regione.
A proposito di soldi, i bilanci della società sono solidi: il fatturato, ultimo noto è del 2019, è intorno agli 1,7 milioni di euro, mentre l’utile è passato dai 200mila ai 400mila. I debiti invece sono complessivamente 2,6 milioni di euro, comunque in linea per una società che realizza un utile pari a oltre il 20% del fatturato.
Fonte: Il Riformista
P. s. Tradotto in linguaggio corrente: non possono nemmeno accampare la scusa della “crisi”; hanno scelto di manomettere i freni per qualche euro in più di quelli che già guadagnavano… Criminali totali.