lunedì 31 maggio 2021

LE ALTRE VITTIME INNOCENTI DELLA GUERRA

La tregua nei territori occupati da Israele in Palestina sta reggendo nonostante il fuoco covi ancora sotto le ceneri di questa ennesima e vergognosa aggressione tollerata ed avallata dal mondo occidentale Italia compresa,ed oltre alle tragiche storie che riguardano gli umani che vengono colpiti e nella maggior parte dei casi in disarmante stato d'innocenza,l'articolo proposto oggi parla degli animali che per la stupidità umana diventano vittime delle guerra e di come alcune persone si occupino di loro mettendo a repentaglio la propria vita.
E' il caso dei volontari del Sulala Animal Rescue di Gaza,denominazione assunta da quando ci sono stati gli ultimi attacchi di maggio(prima Sulala Society for Animal Care)e nell'intervista proposta(comune-info.net il-terrore-sui-non-umani )il direttore e fondatore Saeed Al-Err racconta di questo posto speciale e di questo team che da anni si occupano di tenere in piedi questo rifugio per animali vittime delle atrocità dei combattimenti e dei maltrattamenti anche in periodi dove in molti pensano che le priorità siano altre(tipo salvarsi la propria pelle).
Nei giorni dell'ultimo conflitto(vedi:madn senza-fine )numerosi animali,tra i quali anche un cavallo e un asinello,sono stati uccisi dalle schegge delle bombe mentre altri sono stati ricoverati per via di ferite anche gravi dovute anche dal fatto che anche i cani nel terrore dei bombardamenti si siano lanciati anche da palazzi rompendosi gli arti.
Un orrore che sia aggiunge a quello delle persone,anzi ancora più doloroso e violento in quanto gli animali,proprio come i bambini,sono vittime che con tutto questo non c'entrano nulla nella maniera più assoluta e che subiscono la follia degli umani.

Il terrore sui non umani.

di Grazia Parolari 

27 Maggio 2021

La portata della disumanizzazione che consente ai soldati israeliani di uccidere, mutilare e umiliare nella vita quotidiana i palestinesi è nota. Per compiere certe azioni, dall’irruzione armata nelle case piene di bambini alle punizioni collettive, c’è bisogno di credere che quelle persone siano portatrici di un’umanità inferiore, o comunque diversa dalla loro. Solo così, si pensa, sarà possibile piegarne la resistenza, convincerli a smettere di rivendicare una dignità. Ma cosa accade quando, in una Gaza stremata da un interminabile assedio, dove viene impedito l’accesso all’acqua e alle cure mediche, i missili piovono sugli esseri viventi che umani non sono? Possibile che ci siano degli abitanti della grande prigione che si prendano cura perfino di quelle vite? La straordinaria storia di Saeed Al Err e di chi con lui a Gaza difende, rispetta e protegge l’esistenza di tutti gli esseri senzienti

“Abbiamo il cuore spezzato. Oggi, dopo il cessate il fuoco, siamo riusciti ad andare al nostro rifugio. I cani mi guardavano come a domandarmi dell’orrore che hanno dovuto sopportare. Alcuni sono riusciti a sfondare la recinzione e sono fuggiti, restando vicino al rifugio, ma senza tornare. Ne abbiamo trovato uno mezzo seppellito dalla sabbia, l’abbiamo tirato fuori, ma è ferito ad una zampa e non riesce a camminare. Due di quelli fuggiti sono morti. Anche Lucky è morto, il cavallo che avevamo salvato a dicembre con l’impegno di dargli una vita migliore. Non è bastato il nome a portargli fortuna. E’ morto per una profonda ferita al collo causata da schegge di bombe, così come il nostro asino. Frammenti hanno colpito anche l’occhio di Sasha, uno dei cani, con gravi conseguenze. Questo solo al rifugio. Immaginate quello che hanno subito gli animali a Gaza. Abbiamo davvero il cuore spezzato. Abbiamo molto duro lavoro davanti a noi, non solo per riparare il rifugio, ma anche per sostenere psicologicamente i nostri animali, per cercare di far loro dimenticare il terrore”.

Con queste parole Saeed Al-Err, direttore e fondatore di Sulala Society for Animal Care (che durante l’attacco a Gaza ha cambiato il nome in Sulala Animal Rescue), ha raccontato in un post su FB la situazione da lui trovata, il giorno successivo al cessate il fuoco, al rifugio per cani randagi che ha creato e di cui si occupa.

In una Gaza già stremata da un assedio che dura ormai da 14 anni, con gravi problemi, tra gli altri, di acqua potabile e accesso a cure mediche, ci si aspetterebbe che gli animali non siano certo tra le priorità, e che la questione del loro benessere, incluse cure veterinarie e accesso al cibo, venga posticipata a indeterminati “tempi migliori”.

Ma a Gaza, la speranza per gli animali esiste, e si chiama Sulala  (Sulala significa semplicemente “razza” in arabo), un team i cui volontari mettono il cuore e l’anima nel prendersi cura dei numerosissimi cani e gatti randagi (e non solo) della Striscia.

Il rifugio, costruito su due dunam di terreno (2.000 metri quadrati) a sud di Gaza City, è stato istituito in collaborazione con la municipalità di Gaza, che nel 2020 ha messo a disposizione lo spazio e fornisce le gabbie per la cattura dei randagi. Il Ministero della Salute assicura invece le medicine e le vaccinazioni necessarie, oltre ad avere acconsentito a un progetto pilota di sterilizzazione che ha avuto anche parere favorevole dalle istituzioni religiose (una fatwa ha stabilito che è meglio sterilizzare gli animali piuttosto che consegnare una popolazione in costante crescita alla miseria e agli abusi).

Quotidianamente il piccolo team di Sulala percorre le strade dei quartieri residenziali in cerca di randagi, o risponde alle chiamate dei cittadini per animali feriti o maltrattati. Durante l’appena concluso attacco di Israele, ha cercato per quanto in suo potere di portare soccorso, cibo e acqua a tutti gli animali in difficoltà, oltre ad appellarsi ai cittadini perché, ove possibile, si prendessero cura dei molti cani presenti nei terreni agricoli e rimasti, legati, senza cibo e acqua per giorni, in quanto i loro proprietari erano impossibilitati a raggiungerli.

Tra i molti animali soccorsi, un cane che durante un bombardamento, in preda al terrore, si è lanciato dal sesto piano di un palazzo, procurandosi diverse fratture.

Del resto, anche in tempi di “pace”, oltre il 60% dei cani portati al rifugio soffre di malattie o fratture agli arti. Spesso le ferite o le fratture sono provocate da maltrattamenti e, come dice una volontaria del rifugio durante un’intervista al giornale Al Monitor:  “Non è sempre vero che i cittadini vengono danneggiati dai cani; a volte è il contrario. Abbiamo trovato Nancy sdraiata sul ciglio di una strada a Gaza City, con una zampa rotta dopo essere stata picchiata dai bambini. Le abbiamo fornito cure mediche e le abbiamo dato una casa in questo rifugio”.

Proprio per favorire una migliore convivenza tra uomini e animali, Sulala organizza giornate informative nelle scuole, rivolte agli scolari ma anche ai genitori, e non rifiuta il suo aiuto a nessuna specie animale.

Durante i recenti bombardamenti, molte sono state le immagini di persone, spesso ragazzini, che aiutavano cani e gatti in difficoltà, a misura di quanto la sensibilità verso gli animali non umani stia cambiando, e questo grazie anche a Sulala.

Saeed Al-Err, il fondatore di Sulala, è un dipendente dell’Autorità Palestinese in pensione, con nove figli, che si prende cura degli animali in difficoltà sin dall’infanzia. Dopo un corso di addestramento per cani di nove mesi in Russia, Al-Err ha lanciato Sulala nel 2006 e la maggior parte della sua famiglia ora lavora al suo fianco nella cura degli animali.

“Non posso fare a meno di occuparmi di loro” Saeed si racconta in un video, quando ancora non aveva fondato il rifugio e si prendeva cura degli animali dalla sua casa.

Fino all’avvento della pandemia di coronavirus, nutriva i cani e i gatti con gli scarti della macellazione dei numerosi allevamenti avicoli o delle fattorie, ma a causa della chiusura dei mercati per la macellazione e la vendita di pollame, imposte per frenare la diffusione del virus, ha dovuto ricorrere alla scorte di cibo immagazzinate per le emergenze. Quelle stesse scorte utilizzate, durante gli 11 giorni di bombardamenti, per sfamare tutti gli animali che ne avevano bisogno mentre, impossibilitato a raggiungere il suo rifugio, manteneva la speranza che qualcun altro potesse farlo.

Uno dei volontari del team è riuscito a farlo, se pure solo un paio di volte, portando cibo e acqua.

Ma nulla ha potuto, né lui né Saeed, per salvare la vita di Lucky e degli altri, uccisi dalle bombe israeliane.

Bombe sganciate da quello che, ovviamente senza alcuna vergogna, si definisce surrettiziamente “l’esercito più vegan del mondo”.

Per aiutare Sulala Animal Rescue http://paypal.me/donatesulala

Fonte: Invicta Palestina

domenica 30 maggio 2021

EDUCAZIONE CATTOLICA

La scoperta di una fossa comune nei pressi di un ex istituto di "rieducazione" per gli indigeni gestiti dalla chiesa è la fine di una serie di forti dubbi da parte dei nativi canadesi e di molti compagni di classe che pensavano che i propri compagni fossero riusciti a scappare da uno delle centinaia di questi istituti che nel giro di decine di anni strappavano alle famiglie di appartenenza per essere inseriti nella nuova nazione canadese,impedendogli di parlare la propria lingua cancellando la cultura e le tradizioni dalle loro menti.
Ma si è andati molto oltre con l'eliminazione fisica di questi bambini e adolescenti molti dei quali non sono tornati alle famiglie originarie,in un sistema che è durato fino al 1998:le inchieste partite negli ultimi anni hanno portato a parlare di un vero e proprio genocidio culturale contro i nativi della Prima Nazione.
Già il governo canadese espresse le scuse formali che non sono mai venute dalla chiesa,e la scoperta di 215 bambini nella fossa comune vicino la scuola Kamloops Indian Residential School(nella Columbia Britannica a ovest del Canada)è la prova di quello che in tanti pensavano ma che non osavano che fosse reale.
Un altro episodio dove gli insegnamenti e l'educazione cattolica sono stati l'anticamera di un inferno sulle spalle di bambini e ragazzi innocenti come accadde in Irlanda in molti istituti,orfanotrofi e scuole(tristemente famoso il caso di Tuam:madn lirlandalaborto-e-la-fossa-comune-di tuam ),in una sequela di atti disumani che sono frutto ancora di una convinta e forte quanto vergognosa fede religiosa.

Canada, resti di 215 bambini in una fossa comune/ Orrore in una “scuola per indigeni”.

di Silvana Palazzo

Canada, trovati resti di 215 bambini in una fossa comune vicino un ex scuola, un istituto per indigeni. “Pensavamo che scappassero, poi cominciarono a dire che potevano essere morti”

Macabra scoperta in Canada, dove sono stati trovati i resti di 215 bambini in una scuola per indigeni. Si riapre così la pagina di uno dei capitoli più bui della storia del Paese guidato ora dal premier Justin Trudeau, il quale non a caso ha parlato di «una fase vergognosa». I bambini, infatti, venivano strappati alle loro famiglie dal governo e dalle autorità religiose affinché venissero avviati «all’educazione bianca», quasi sempre in istituti gestiti dalla Chiesa. Di fatto rimuovevano i figli degli indigeni dalla loro cultura per assimilarli alla propria. Nel giardino di una di queste scuole, la Kamloops Indian Residential School, è stata rinvenuta con l’aiuto di un radar una fossa comune con i resti. I rappresentanti della Prima Nazione (così vengono chiamati gli abitanti originari) stanno già lavorando con gli specialisti forensi per stabilire le cause e il periodo dei decessi. «Questi bambini scomparsi sono morti senza documenti, alcuni avevano appena tre anni», ha dichiarato Rosanne Casimir, capo della Prima Nazione Tk’emlups te Secwépemc di Kamloops, come riportato dal Corriere della Sera.

TRUDEAU “RESTI IN EX SCUOLA? MI SPEZZA IL CUORE”

Harvey McLeod, che frequentò la scuola in Canada per due anni alla fine degli anni ’60, in un’intervista telefonica alla Cnn ha spiegato che «è stato molto doloroso avere la conferma di quello che temevano fosse accaduto». Ricordando quei tempi, disse che «a volte le persone non tornavano, eravamo felici per loro, pensavamo che scappassero. Poi si è iniziato a dire che potevano essere morti». Tra il 1863 e il 1998 oltre 150mila bambini indigeni furono prelevati dalle loro case, quasi sempre con la forza, e inseriti nelle scuole residenziali, dove era loro vietato parlare la lingua o praticare la cultura delle proprie comunità. Nel 2008 fu istituita una commissione per documentare l’impatto di questo sistema. Così si è scoperto che in Canada un gran numero di bambini indigeni non è mai tornato nelle comunità di origine. Il rapporto, pubblicato nel 2015, affermò che questa politica equivalse ad un «genocidio culturale». Nel 2008 arrivarono le scuse del governo canadese, non quelle dei vertici della Chiesa. «La notizia che i resti sono stati trovati nell’ex scuola residenziale di Kamloops mi spezza il cuore, è un doloroso ricordo di quel capitolo oscuro e vergognoso della storia del nostro paese. Penso a tutti coloro che sono stati colpiti da questa angosciante notizia. Siamo qui per voi», scrive oggi su Twitter il primo ministro canadese Justin Trudeau. 

sabato 29 maggio 2021

CARLA E IL PROLETARIATO


Un breve ricordo per la scomparsa di Carla Fracci,cui oggi si sono svolti i funerali nella sua Milano,da molti celebrata come la migliore danzatrice di sempre,e per sempre è stata dalla parte del proletariato e degli antifascisti:figlia di un tranviere e di un'operaia nell'articolo proposto e preso da Contropiano(la-compagna-carla-fracci-coi-tranvieri-e-i-5-eroi-cubani )si riprende proprio un'intervista rilasciata durante uno sciopero dei ferrotranvieri avvenuto nel capoluogo lombardo nel 2003.
Sono parole di una compagna che in poche righe riassume tutta la dignità e l'essenzialità di un gruppo di lavoratori ma che racchiude tutto l'insieme di quelli che con stipendi striminziti se non da fame con la loro mansione sono indispensabili come altre categorie lavoratrici per la vita di un'intera comunità.

La compagna Carla Fracci, coi tranvieri e i 5 eroi cubani.

di  Il Faro di Roma   

Carla Fracci, come si vede dalla foto, aderì alla campagna promossa tra gli altri da Luciano Vasapollo per la liberazione dei 5 eroi cubani, agenti di polizia imprigionati a Miami dove indagavano per scongiurare nuovi attacchi terroristici a Cuba. 

Ma ci sono state diverse altre occasioni per la grande artista per prendere posizione esprimendo la sua appartenenza di sinistra. Una testimonianza di questa ispirazione Carla Fracci la affidò a Repubblica il 5 dicembre 2003. Riportiamo di seguito l’articolo di Andrea Montanari.

Carla Fracci, lei figlia di un tranviere, cosa pensa della protesta che ha bloccato Milano? «Che hanno fatto bene. Altrimenti nessuno si sarebbe accorto di loro. Sono sempre stati la mia famiglia». 

Ma hanno violato le regole. «Costretti perché nessuno li ascoltava. è giusto che aspettino da due anni? Ha idea di che cosa costa vivere a Milano da quando c’è l’ euro? Tutto costa almeno il doppio». 

Giustifica anche la protesta “selvaggia”? «Due anni per una famiglia con figli sono un’ eternità. Una volta c’ era una parola di cui sono orgogliosa e che fa parte della mia infanzia: proletariato. Oggi purtroppo non la usa più nessuno». 

Cioè? «è il proletariato che ha sempre alimentato la nazione. Ci dovrebbe essere più rispetto. Se questa classe sociale si ferma la nazione cade. Oggi, invece, tutti se la sono presi con i tranvieri, ma si sono accorti di loro solo quando si sono fermati». 

In che senso? «Un tranviere lavora dalle 3 di notte fino a tutto il giorno. A Natale, a Pasqua e la domenica. Avete visto le loro buste paga?» 

Era così anche all’epoca di suo padre? «Il primo cappottino l’ho avuto di stoffa rivoltata, ma la nostra era una famiglia dignitosa. Oggi la situazione è cambiata: in peggio». 

Un ricordo? «Quando studiavo danza alla Scala, la sala prove dava ancora sulla piazza. Durante le lezioni sapevo che mio padre passava alla stessa ora con il tram. Lo riconoscevo dal campanello e mi commuovevo». 

I “duri” dell’Atm saranno davanti all’Arcimboldi per la Prima della Scala. «Fanno bene. Purtroppo sono a Los Angeles, ma idealmente sarò con loro».

In un’altra occasione la Fracci si scagliò contro l’ex sindaco di Roma, Gianni Alemanno, per difendere i lavoratori dell’Opera.

“ 

Ricordiamo quella volta in cui Fracci fece un culo così all’allora sindaco di Roma Alemanno pic.twitter.com/sSN1S3BbQQ

— Pigrizia Moratti (@pigriziamoratti) May 27, 2021

venerdì 28 maggio 2021

IMPRENDITORIA CRIMINALE

Questo mese di maggio che sta per concludersi è stato pieno di fatti di cronaca che scavalcano la tragedia e che vanno messi nell'insieme di atti criminali che col fato non c'entrano nulla e che sono frutto delle azioni compiute dagli uomini.
Che per inciso per avere più soldi e più facilmente omettono pratiche di salvaguardia dei lavoratori e delle persone che usufruiscono di servizi,e la memoria rimbalza da Prato a Stresa passando da Brescia fino a Villanterio dove ancora oggi sono moti due operai.
Nel primo articolo(contropiano il-capitalismo-e-criminalita-organizzata )vengono proposti i fatti legati all'azienda bresciana che dietro ai termini"difesa del suolo e della pianificazione territoriale"sono indagati per traffico illecito di rifiuti commercializzato fanghi tossici in tutto il nord Italia arrecando danni che sono ancora da quantificare ma che sono enormi sia per la salute ambientale che per quella umana.
Nel secondo(contropiano la-funivia-del-mottarone-e-litalia-di-oggi )l'indicibile vicenda della funivia del Mottarone che ha provocato una strage dettata dalla brama di avere sempre più denaro alla faccia della sicurezza delle persone,un fatto di una gravità estrema che spero porterà a condanne esemplari.
Solo che siamo in Italia,dove ancora si sta discutendo la semplificazione sugli appalti,con una gestione al ribasso che è anche garanzia di avere meno controlli e maggiori situazioni di pericolo per i lavoratori che per gli altri.
Siamo nel paese dove ancora la tassa patrimoniale è un tabù e addirittura i più poveri sono quelli non la vogliono,una nazione di instupiditi dai mass media e dai social networks,un paese sempre più alla deriva e che non trova una via di scampo.

Il capitalismo è criminalità organizzata.

di Giorgio Cremaschi (Potere Al Popolo)

“Io ogni tanto ci penso eh… Chissà il bambino che mangia la pannocchia di mais cresciuta sui fanghi… Io sono stato consapevolmente un delinquente”.

“Lo facciamo per il bene dell’azienda!”

Queste sono alcune delle frasi che tra una risatina e l’altra si dicevano al telefono alcuni dei coinvolti nel nuovo scandalo criminale del capitalismo italiano.

Se andate sul sito dell’azienda bresciana WTE potete leggere: “W.T.E. srl è una società di ingegneria operante nel settore della difesa del suolo e della pianificazione territoriale”.

Oggi questa impresa è chiusa dai carabinieri; quindici persone, tra cui l’imprenditore, sono indagate per un imponente traffico illecito di rifiuti, che sarebbe stato realizzato tra il gennaio del 2018 e l’agosto del 2019: poco più di un anno e mezzo in cui sarebbero stati incassati oltre 12 milioni di euro di profitti illeciti, trasportando e distribuendo 150mila tonnellate di fanghi contaminati da metalli pesanti, idrocarburi e altre sostanze inquinanti, spacciati per fertilizzati e smaltiti su circa 3mila ettari di terreni agricoli in Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia Romagna.

Avvelenavano i campi per soldi e “pazienza se qualche bambino si fosse ammalato“, gli affari sono affari.

Questa infamia viene alla luce negli stessi giorni della strage criminale del Mottarone, mentre pare accertato che anche l’operaia Luana di Prato sia stata vittima dello stesso delitto: la manomissione dei meccanismi di sicurezza per guadagnare di più.

E si scopre che a Sabaudia i braccianti venivano drogati per far loro sopportare la fatica da schiavi.

Non è una singolare coincidenza di eventi, ma un sistema.

E non solo perché casi come questi sono solo la punta dell’iceberg di una generalizzata, profonda, violazione delle regole e delle leggi da parte della imprenditoria.

In tutte le statistiche INAIL e INPS, le imprese non in regola risultano essere tra il 70 e l’80%; sotto tutti i punti di vista, da quello della sicurezza e della salute, a quello dei contributi, a quello delle retribuzioni.

I delitti di questi giorni non sono casi isolati soprattutto perché il “sistema Italia” non solo normalmente non condanna, ma giustifica e persino premia chi sfrutta, inquina, uccide. “Come si può fare l’imprenditore se ti perseguitano con le regole e le leggi…”. Questo il lamento che sentiamo da padroni e manager, applaudito con commozione da gran parte degli schieramenti politici.

Così in Italia c’è una criminalità imprenditoriale diffusa e nei fatti legale, che può prosperare perché da trent’anni viene legittimata dal potere politico, dal mondo culturale, da quello dei mass media. È l’ideologia liberista diventata non solo potere, ma anche senso comune.

Le leggi che hanno decretato la schiavitù flessibile del lavoro, fino all’abolizione dell’articolo 18, hanno dato il via libera ai peggiori istinti imprenditoriali, togliendo loro il primo ostacolo: il potere dei lavoratori. Che oggi devono accettare tutto sulla base del sacro principio: l’azienda ti dà il pane, devi esserle fedele o quel pane lo perderai.

E chi comunque rifiuta il ricatto, come da ultimo Riccardo Cristello all’ArcelorMittal, e pretende di restare libero di parlare di diritti e salute, viene licenziato.

E poi la riduzione dei controlli e degli apparati di controllo per non vessare le imprese. Ed ora la semplificazione che vuol dire deregolamentazione, che negli appalti diventa licenza di schiavismo e devastazione.

Tutto è stato messo in campo dal sistema perché gli imprenditori non trovassero ostacoli al profitto, e la gestione della pandemia, paradossalmente, invece che rafforzare il diritto alla salute ha esaltato quello agli affari. E così di concessione in concessione agli spiriti animali del capitalismo, la dimensione della illegalità imprenditoriale è diventata sempre più grande; e operazioni e procedure criminali per le quali tanti padroni anni fa avrebbero avuto cautela o timore, oggi sfacciatamente dilagano.

“Togli i freni, butta il fango, produci, crepa, dobbiamo fare PIL“. E oggi tutto questo viene beffardamente intitolato alla transizione ecologica, sotto la quale dilaga un valanga di sporchi affari.

Mi è capitato di sentire una conferenza all’Università di Pisa di Lucia Morselli, amministratore delegato dell’Arcelor e licenziatrice di operai. Davvero ho sentito la banalità del male.

La manager, accolta con tutti gli onori dalla università pubblica, che ancora una volta ha mostrato tutta la sua servitù verso il potere dei soldi, tra gli applausi riverenti di giovanotti che l’ammiravano, ha brutalmente sciorinato tutto il cinismo totalitario del capitalismo attuale.

Dopo aver affermato che l’aria di Taranto è meglio di quella di Milano e che il vero riscaldamento globale lo fa la produzione di anidride degli esseri viventi, umanità compresa, ha spiegato – con una citazione di George Bernard Shaw – che il mondo di oggi vive nel compromesso tra onore ed interesse.

Cioè l’interesse decide quale è l’onore economicamente compatibile. Che questa sia la realtà è vero, che sia l’unica possibile e che ad essa ci si debba solo adeguare, è delittuoso.

A forza di favori, oggi il capitalismo italiano è diventato strutturalmente incapace di produrre guadagni senza violare direttamente o indirettamente i diritti della civiltà e della vita. E questa non è la sua forza ma la sua debolezza, che tutti noi paghiamo ogni giorno.

Quando la parola imprenditore assumerà la stessa connotazione dispregiativa che oggi ha la parola politico, allora cominceranno a cambiare le cose e si potranno fermare la devastazione e la strage di profitto.

Il capitalismo è criminalità organizzata.

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La funivia del Mottarone è l’Italia di oggi

di Giorgio Cremaschi (Potere Al Popolo)

Come avevamo detto, come era ovvio, nonostante ci fossero tanti ottusi in malafede che tacciavano di sciacallaggio chi questo ovvio denunciava.

Le funivie, come i macchinari delle fabbriche, come qualsiasi impianto produttivo e di trasporto, oggi hanno tutti gli apparati e i sistemi di sicurezza per impedire che ci si faccia male o si perda la vita.

Se questi apparati a un certo punto non funzionano e accadono stragi come quella del Mottarone, del Ponte Morandi, delle fabbriche ogni giorno, è perché per criminale sete di guadagno la sicurezza è stata trascurata, ignorata, compromessa.

I vertici della società in appalto – ricordate questa parola – che gestiva la funivia dove sono morte quattordici persone, sono stati arrestati.

Sapevano che l’impianto aveva dei problemi, ma invece di fermarlo e metterlo in sicurezza hanno deciso di farlo funzionare lo stesso, per non perdere la ripresa“, per fare profitto, per contribuire al PIL.

Hanno fatto come nella fabbriche ove gli operai vengono uccisi perché il blocco di sicurezza dei macchinari viene escluso per far produrre senza interruzioni.

Se questo imprenditore avesse rispettato le norme, oggi il piccolo Eitan non starebbe lottando per la vita in attesa di sapere di non avere più la famiglia. Altro che errore umano, è strage di profitto.

Ecco: forse la feroce spettacolarità della tragedia, che replicava quella di Genova, ha contribuito a far agire in fretta e senza riguardo gli inquirenti, come altrove non avviene. Perché se un impianto non è sicuro, non è un segreto; tanti lo sanno, quelli che ne hanno la gestione e la responsabilità e anche coloro che ci lavorano, a cui magari vien fatti capire che è meglio tacere, se non si vuol finire in mezzo ad una strada.

C’è sempre chi sa e, se tace, è per convenienza o paura.

La funivia del Mottarone era in gestione ad un privato, come tanti servizi che sono pubblici, che dovrebbero essere anche in mano pubblica, ma invece sono sempre più spesso regalati agli affari privati.

Era uno di quegli appalti che Draghi e Bonomi vogliono oggi ancora più liberalizzare, privare di controlli, lasciar gestire al massimo ribasso. Più si ribassano gli appalti più si innalza il rischio della salute e della vita.

Oggi grazie ad una tempestiva indagine della magistratura viene definito ufficialmente ciò che sappiamo avvenire ogni giorno: il sacrificio delle vite agli affari.

È così all’Ilva, è così nei tanti luoghi di produzione che, se si applicassero rigorosamente le regole e le leggi, dovrebbero essere fermati.

Ma è proprio il fermarsi che non si vuole; dalle funivie a tutto un paese che ha avuto 130.000 morti di Covid anche perché ha deciso di non fermare ciò che era necessario, quando era necessario.

Siamo diventatati una repubblica che ha scambiato il diritto al lavoro con quello al profitto, che mette il PIL davanti alla vita; e che copre con l’omertà ed il ricatto la strage.

Non c’è tanto da stupirsi, allora, che un imprenditore decida di festeggiare la riapertura della sua attività ignorando che l’impianto non è sicuro… perché dovrebbe accadere proprio sul Mottarone?

Ora voi padroni e politici non fate gli ipocriti, non nascondetevi dietro i vostri proclami su un caso estremo di criminalità. La tragedia della funivia è l’Italia di oggi.

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Ultime di cronaca sulle indagini.

Hanno “ammesso”. Lo riferisce il comandante provinciale dei Carabinieri di Verbania, tenente colonnello Alberto Cicognani. Il freno non è stato attivato volontariamente, “sì, lo hanno ammesso”, conferma l’ufficiale dell’Arma ai microfoni di Buongiorno Regione, su Radio 3.

“C’erano malfunzionamenti nella funivia, è stata chiamata la manutenzione, che non ha risolto il problema o lo ha risolto solo in parte. Per evitare ulteriori interruzioni del servizio, hanno scelto di lasciare la ‘forchetta’, che impedisce al freno d’emergenza di entrare in funzione”, spiega ancora Cicognani.

La svolta nelle indagini sul disastro della funivia del Mottarone è arrivata nella notte. Tre persone sono state fermate: si tratta di Luigi Nerini, amministratore della società Ferrovie del Mottarone che gestisce la funivia, Gabriele Tadini, direttore del servizio ed Enrico Perocchio, caposervizio. Tutti e tre sono stati portati in carcere a Verbania. 

Omicidio colposo plurimo, disastro colposo e rimozione degli strumenti atti a prevenire gli infortuni aggravato dal disastro e lesioni gravissime (in relazione alle condizioni del piccolo Eitan ricoverato al Regina Margherita di Torino): queste, secondo quanto si é appreso, le ipotesi di reato in base alle quali la procura ha deciso di procedere con i fermi.

La cosiddetta ‘forchetta’ che serve per disattivare i freni di emergenza della funivia di Stresa è stata quindi volutamente inserita per evitare di dover fermare l’impianto. Già nella giornata di sabato c’era stato un blocco: “Da quanto ci è stato riferito – aveva detto la pm Bossi –  sabato pomeriggio la funivia si è fermata e c’è stato un intervento per rimetterla in funzione”. 

Secondo l’accusa, il meccanismo di emergenza è stato manomesso per evitare di interrompere il servizio in una giornata che lasciava presagire un buon afflusso di turisti.

Dopo il susseguirsi di ipotesi e indiscrezioni, il tema della cosiddetta ‘forchetta’ non azionata nel sistema di sicurezza della funivia, impedendo di fatto l’azionamento del freno di emergenza al momento della rottura del cavo traente, è diventato centrale: nella caserma dei Carabinieri di Stresa la pm Bossi ha quindi cominciato ad approfondire proprio questo elemento. 

Rilevanti nella svolta sarebbero state le foto del relitto della cabina scattate il giorno stesso dell’incidente da vigili del fuoco e dal soccorso alpino, immagini che mostrano la presenza della “forchetta” in uno dei freni della funivia.    

Nella sera di martedì alla caserma dei Carabinieri la pm ha sentito diverse persone, 7 in tutto, tutti dipendenti della società che gestisce la funivia. Poi, intorno a mezzanotte é stato convocato il titolare dell’azienda Luigi Nerini.     

Alla caserma erano arrivati anche due legali. Il primo, Canio Di Milia, ex sindaco di Stresa e attualmente consigliere comunale, non si è trattenuto a lungo: per il suo ruolo di amministratore del Comune, parte lesa, non può avere un ruolo in questa causa. Successivamente è arrivata in caserma l’avvocata Anna Maria Possetti di Domodossola. Ad assistere Nerini è arrivato invece da Milano il suo legale Pasquale Pantano.

Fonte: Agenzia Agi

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La stato di salute dell’impresa

È un imprenditore locale, di Baveno, piccolo centro sulla sponda piemontese del lago Maggiore, il gestore della Funivia del Mottarone, lì dove domenica una cabina è precipitata da una altezza di circa 30 metri provocando la morte di 14 delle quindici persone a bordo, con unico superstite un bambino di 5 anni in gravissime condizioni.

Luigi Nerini, 56 anni e diploma di liceo scientifico, è il proprietario unico della Ferrovie del Mottarone, società che ha in gestione l’omonimia funivia. Una concessione dal Comune di Stresa valida fino al 2028 mentre Nerini, scrive il Corriere della Sera, ottiene dalla sua società un compenso di 95mila euro annui. La funivia Stresa-Mottarone è di proprietà del Comune di Stresa, mentre prima del 2016 era di proprietà della Regione.

A proposito di soldi, i bilanci della società sono solidi: il fatturato, ultimo noto è del 2019, è intorno agli 1,7 milioni di euro, mentre l’utile è passato dai 200mila ai 400mila. I debiti invece sono complessivamente 2,6 milioni di euro, comunque in linea per una società che realizza un utile pari a oltre il 20% del fatturato.

Fonte: Il Riformista

P. s. Tradotto in linguaggio corrente: non possono nemmeno accampare la scusa della “crisi”; hanno scelto di manomettere i freni per qualche euro in più di quelli che già guadagnavano… Criminali totali.

lunedì 17 maggio 2021

SUL CALO DELLE NASCITE IN ITALIA

Negli scorsi giorni l'Istat ha diffuso i dati sulle nascite in Italia durante gli Stati Generali delle Natalità a Roma con la presenza del Papa Francesco e del premier Draghi tra gli altri,tutti preoccupati per un calo che prosegue da ormai anni,fondamentalmente l'uno perché non riuscirà ad avere altre persone timorate di dio e l'altro perché nessuno lavorerà per pagare le pensioni negli anni a venire.
In un periodo dove la sovrappopolazione è un problema primario tra tutti quelli che l'umanità deve affrontare se non il principale,questa notizia è un bene ed anzi dovrebbe essere così pure nel resto del mondo sempre più in sofferenza per i troppi abitanti e le sempre meno risorse disponibili.
Nell'articolo(agi allarme-natalita )i dati riferiti al 2020 che sono peggiorati per loro rispetto agli anni precedenti anche per la pandemia,con una popolazione sempre più vecchia e ripeto la preoccupazione più seria per lo Stato è quella di come pagare le pensioni mentre per la chiesa è quella di non avere fedeli da schiavizzare.
I vari bonus,gli incentivi e gli aiuti creati nel corso dell'ultimo decennio e quelli in serbo per i mesi a venire sono di dubbio valore,in un periodo dove chi può avere figli,anche tanti nessuno vieta loro di averne,deve avere comunque un bel reddito,sono troppe le famiglie che hanno tanti figli e che poi non ce la fanno a mantenerli.
E non bisogna fare tanto i moralisti o i benpensanti,chiunque di noi sia in ambito lavorativo o in quello sociale della vita di tutti i giorni vede con i propri occhi o è a conoscenza di famiglie che figliano come conigli e che poi vivono in miseria,con un costo economico sociale enorme e con una tristezza umana che non si può quantificare.
E ciò deve essere allargato in tutto il mondo ed in maniera ancor più decisa e in tempi rapidi nei paesi poveri e sottosviluppati dove non si hanno le infrastrutture e le conoscenze e le capacità industriali ed agricole,oltre che ovviamente i soldi per poter soddisfare i bisogni primari.
Qui non si parla di qualità della vità,qui si parla di morte per inedia e atroci sofferenze,incentivate ancora oggi da una chiesa(ben inteso tutte le religioni)che esalta la famiglia numerosa e la procreazione col solo risultato di creare disperazione e decessi.
Siamo in troppi al mondo e chiunque voglia intraprendere delle politiche serie in materia,deve togliersi l'abito del buonismo ed agire con scelte anche estreme come sterilizzazioni visto che le campagne sul controllo delle nascite non hanno portato a nessun risultato da quando sono state create,perché è in gioco la salute ambientale,sociale e la democrazia in tutto il pianeta.

Nel 2020 in Italia ci sono stati 400 mila nati in meno.

E quest'anno caleranno ancora. Il presidente dell'Istat Blangiardo agli Stati Generali della Natalità ha spiegato che senza interventi si arriverà a 350 mila nati nel 2050 con conseguenze per il sistema pensionistico e della sanità.

AGI - Il calo della natalità in Italia è un fenomeno che va avanti dal secondo dopoguerra e che è arrivato nel 2020 a registrare 404 mila nati con una stima per il 2021 che diminuisce ancora fino alle 384 mila unità.

L’analisi è stata illustrata dal presidente dell’Istat, Gian Carlo Blangiardo, nel corso degli Stati Generali della Natalità che si sono svolti a Roma alla presenza di Papa Francesco e del presidente del Consiglio Mario Draghi.

Per il presidente dell’Istat senza adeguati interventi capaci di contrastarne le cause, il costante calo della natalità è destinato a persistere anche quando si saranno esauriti gli effetti negativi della pandemia.

Lo scenario inquietante per il nostro Paese ipotizza “attorno alla metà del secolo la possibilità di scendere anche sotto i 350.000 nati annui”. Prospettiva che creerebbe seri conseguenze sul piano pensionistico e sulla possibilità di garantire un efficiente sistema sanitario per tutta la popolazione.

“Nel 2021 il confine dei 400mila nati raggiunto nel 2020 è destinato a essere superato al ribasso - ha spiegato Blangiardo - per il domani ci sono tre possibilità: una ottimistica, una intermedia e l'altra pessimistica. Noi ci stiamo incamminando nel percorso più pessimistico che prevede 350mila nati in un paese di 60 milioni di abitanti".

"Dal 2014 al 2019 l'Italia ha perso 705mila residenti, prima dell'effetto Covid, poi nel 2020 la riduzione della popolazione è stata di quasi 400mila unità, l'equivalente di una città come Firenze – ha aggiunto il presidente dell’Istat - in queste condizioni il sistema degli equilibri nel sistema previdenziale è estremamente delicato.

Ci sono 5.620 comuni che hanno perso popolazione, su circa 7.500 comuni italiani, ovvero più della metà – ha sottolineato - e meno popolazione vuol dire meno consumi e meno Pil, vuol dire spopolamento. In 4.572 comuni, più della metà, ci sono più bisnonni che pronipoti".

Altra causa della natalità per il presidente Blangiardo è legata al calo dei matrimoni in Italia: "Nel 2020 i matrimoni si sono dimezzati, un fatto negativo se pensiamo che le nascite in Italia avvengono per 2/3 nei matrimoni", ha precisato. In base ai dati Istat nel 2018 i matrimoni in Italia sono stati 184.088, mentre nel 2020 sono scesi a 96.687. 

"L'obiettivo di raggiungere 500mila nati non è solo un sogno ma una realtà possibile – ha detto Blangiardo - avere mezzo milione di nati in più vuol dire inserire iniezione di futuro".

"Per raggiungere questo risultato occorrerebbe accrescere il numero medio dei figli per donna di 0,6 unità in 10 anni - ha aggiunto - recuperando entro il 2022-metà 2023 il crollo dei matrimoni che si è registrato nel corso del 2020. E agendo sull'intensità e sui tempi per compensare l'effetto riduttivo (-11%) derivante dai cambiamenti nella struttura per età della popolazione in età feconda".

"Si arriverebbe a un aumento di 130mila nati in dieci anni - ha evidenziato Blangiardo - raggiungendo circa 517mila nati in più nel complesso del decennio".

"Occorre un percorso con una triangolazione tra gli attori, costituito dalle famiglie, il privato, il sociale e le imprese - ha rilevato il presidente dell'Istat - con le idee e i progetti, le risorse, le norme e la cultura. Facciamo crescere la cultura e diamo il giusto valore ai bambini.

Dobbiamo capire che non sono un disturbo ma il nostro futuro, coloro che ci garantiscono la continuità. L'obiettivo delle 500mila nascite non è impossibile ed è un risultato estremamente importante, avere mezzo milione di nati in più vuol dire inserire iniezione di futuro". 

venerdì 14 maggio 2021

UNA SPENNELLATA DI VERDE SUL NERO

Da quando la transizione ecologica è entrata a far parte del linguaggio politico con pure un ministero preposto ad indirizzare i miliardi di Euro destinati allo scopo della salvaguardia ambientale,perché i soldi fanno gola a tutti e soprattutto in un paese dove la dispersione dei capitali è un fatto assiomatico,l'interesse dei cittadini si è moltiplicato e fatto più attento in moda da vigilare e segnalare incongruenze.
E questo è un bene,come dimostrato negli scorsi giorni in città italiane dove c'è stata la protesta di numerose sigle e movimenti anche non strettamente legate al cambiamento climatico come può esserlo Extinction Rebellion,con due città in particolare come Roma e Ravenna legate all'Eni,principale bersaglio delle manifestazioni,ha legato il suo nome.
Nell'articolo di Comune.info(la-transizione-del-cane-a-sei-zampe )le forti perplessità su questa transizione con aziende come l'Eni che è una delle principali cause dell'inquinamento globale non solo in Italia,che nonostante pubblicità fuorvianti punta duro ancora sul carbonfossile(vedi l'ultima visita di Draghi in Libia ad elemosinare concessioni:madn draghi-in-libia e anche:madn i-dubbi-sulla-transizione-ecologica ).

La transizione del cane a sei zampe.

Olivier Turquet 

A Roma, Ravenna, Milano, Napoli e in diverse altre città italiane, il 12 maggio Extinction Rebellion insieme a GreenPeace, Fridays for Future, Re:Common, Non Una di Meno e Rise Up for Climate Justice hanno organizzato manifestazioni e performance per dire che il gioco della transizione ecologica che serve a tingere di verde l’immagine di chi devasta la terra alimentando i cambiamenti climatici è scoperto.

Mercoledì 12 maggio Extinction Rebellion insieme a  GreenPeace, Fridays for Future, Re:Common, Non Una di Meno e Rise Up for Climate Justice ha realizzato in numerose città italiane manifestazioni e performances per chiedere al Governo di cessare la connivenza con il cane a sei zampe, principale responsabile italiano delle emissioni di gas serra e del collasso climatico ed ecologico.

A Roma, dalle 9 alle 13, in Piazza della Stazione Enrico Fermi presidio di fronte al palazzo dell’ENI dove si riuniva, a porte significativamente chiuse, l’assemblea degli azionisti della multinazionale energetica. Di fronte al palazzo un enorme banner recitava “ENI killer del clima” mentre un ironico iceberg in scioglimento galleggiava nel laghetto dell’EUR adiacente, sopra il quale attiviste e attivisti di GreenPeace avevano trascorso la notte precedente. 

Dal palazzo nessuna risposta né alcuna ricerca di un dialogo con gli attivisti. Il discorso portato avanti dagli ecologisti sottolinea la logica del profitto che continua a guidare gli interventi e i provvedimenti, compresi quelli della sbandierata “transizione ecologica”. 

“Non c’è più tempo per il greenwashing” hanno sottolineato i militanti “né per operazioni cosmetiche: è ora di discutere l’attuale modello di sviluppo che divora energia e non si preoccupa delle conseguenze ambientali delle azioni”.

A Ravenna, dalle 17:00 in Piazza Kennedy manifestazione nazionale “Il futuro non si (s)tocca! – NO CCS” per denunciare l’ipocrisia green malcelata dietro il progetto di ENI per la cattura e lo stoccaggio della CO₂ a largo della costa ravennate.

Il progetto prevede un sistema tecnologico di stoccaggio della CO2 prodotta dalle industrie, cioè un modo, hanno sottolineato gli attivisti, di “nascondere la polvere sotto il tappeto”.  

Nella manifestazione, che ha visto la partecipazione di alcune centinaia di persone, campeggiava la statua di Mutoid che sputava fuoco e aveva forma del cane a sei zampe di ENI, a metà tra un cane e un drago. 

Negli interventi si è sottolineato quanto si stia sprecando, in termini di risorse e di denaro, rispetto alla ricerca delle soluzioni per una transizione seriamente ecologica e che punti alla risoluzione definitiva dei problemi, incidendo radicalmente nel modo di produzione e di consumo. 

Nel discorso di Extinction Rebellion si è sottolineata la necessità di ridare il potere alle persone con la assemblee di cittadini, una delle tre proposte di XR. 

Altri interventi hanno raccontato come il territorio di Ravenna abbia già dato molto a ENI negli anni, in termini di territorio, di persone e lavoro, di risorse naturali, a ribaltare la narrativa secondo la quale sia l’azienda a “dare” al territorio, a contribuirne allo sviluppo e alla valorizzazione. 

Mobilitazioni anche a Milano, Napoli e in altre città italiane che hanno visto la partecipazione di molti cittadini e associazioni. Per Extinction Rebellion queste azioni rientrano nella “ribellione diffusa” che è stata lanciata il 1 Aprile con azioni dedicate alle banche che appoggiano le aziende fossili, proprio come ENI, con l’aggravante che ENI è azienda di stato.

giovedì 13 maggio 2021

QUANDO CRESCERE NON E' TUTTO

Un recente lavoro di ricerca che riguarda da vicino la salute e le soluzioni dei problemi ambientali della Terra è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature e fornisce dati riguardanti un connubio tra l'economia reale e la qualità dell'ambiente e quindi della vita.
Da molti chiamata la decrescita felice queste transizioni ecologiche di cui in questi mesi tanto se n'è sentito parlare a volte a sproposito(per approfondire vedi:madn i-dubbi-sulla-transizione-ecologica )possono e devono essere accompagnate da un calo del Pil,un Dio sacro a politici e banchieri,ad industriali e capitalisti,con una sovrapproduzione sempre più letale sia per la natura che per i lavoratori e gli abitanti del pianeta.
Nell'articolo(comune-info.net/la-decrescita-che-serve-al-pianeta )la necessità di cambiare le regole e soprattutto di seguire alla lettera quelle che già abbiamo e che pur essendo buone non vengono rispettate come quelle dell'accordo di Parigi.
Lo studio riporta che un Pil negativo dovuto a soluzioni che tutelano l'ambiente e riducono o azzerano il cambiamento climatico,fonte di devastazioni e concausa di malattie,non è per nulla un fattore negativo sia per la socialità che per l'ecologia,rendendo le persone più felici ma tendendo conto che tutto questo necessiti di profonde riforme sia politiche che sociali ed economiche,come il drastico abbattimento dello sfruttamento delle risorse naturali e le emissioni zero da parte delle imprese e delle singole abitazioni.

La decrescita che serve al pianeta.

di Francesco Paniè 

Una preziosa ricerca pubblicata da Nature fornisce le prime prove che la transizione guidata dalla decrescita potrebbe portarci a raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sugli effetti del cambiamento climatico. Si fa strada così, ben al di là della riflessione elaborata dai movimenti ambientalisti, uno Stop alle false soluzioni tecnologiche per le emissioni negative o alle mitologie tossiche come quella del disaccoppiamento della crescita del PIL dagli impatti ambientali. Una riduzione del PIL, viene spiegato sull’antica e prestigiosa rivista scientifica internazionale, in questo quadro sarebbe tutt’altro che fine a se stessa, ma diretta conseguenza delle misure ecologiche e sociali necessarie.

La decrescita è una via da prendere in considerazione per mitigare il cambiamento climatico. Non lo dicono solo i movimenti che da decenni con varie sfumature hanno iniziato la conversazione globale sul superamento del dogma della crescita economica. 

Da oggi lo dice anche un lavoro appena uscito su Nature. I due ricercatori che lo hanno realizzato partono da una considerazione: a 5 anni dall’Accordo di Parigi, le emissioni globali continuano a crescere e gli scenari costruiti dall’IPCC per rispettare il target di 1,5 °C combinano lo sviluppo di controverse tecniche per raggiungere emissioni negative e una transizione tecnologica senza precedenti, pur ipotizzando una crescita continua del prodotto interno lordo (PIL). 

Finora, la scienza del clima ha trascurato di considerare scenari di decrescita, in cui la produzione economica diminuisce a causa di una rigorosa mitigazione del cambiamento climatico. 

Questo silenzio – che mette in luce un pregiudizio di fondo preoccupante che oggi affligge il mondo scientifico – impedisce di conoscere il potenzale della decrescita in un percorso di decarbonizzazione libero dalla dipendenza dai pericoli della geoingegneria, così come da uno spostamento dell’estrattivismo sulle materie prime necessarie alla transizione ecologica (con il relativo impatto sui diritti umani e la giustizia climatica).

Il prezioso lavoro pubblicato da Nature fornisce le prime prove che la transizione guidata dalla decrescita potrebbe portarci a raggiungere gli obiettivi di Parigi, abbandonando false soluzioni per le emissioni negative o mitologie tossiche come quella del disaccoppiamento della crescita del PIL dagli impatti ambientali. 

Una riduzione del PIL non sarebbe in questo quadro fine a se stessa, ma diretta conseguenza delle misure ecologiche e sociali necessarie. Ripetiamo: NECESSARIE.

La decrescita è quindi “un equo ridimensionamento del throughput“, cioè del flusso di materia e di energia che attraversa l’economia, senza intaccare – o perfino migliorando – i livelli di benessere. 

I paesi “ricchi”, ci dicono i ricercatori, “potrebbero ridurre il loro impatto biofisico (e il PIL), mantenendo o addirittura aumentando le prestazioni sociali e raggiungendo una maggiore equità tra i paesi”. 

Tutto questo, ça va sans dire, si può fare solo tramite riforme economiche, sociali e politiche profonde e mai viste: l’elenco di Nature va da un tetto ai redditi a servizi pubblici universali e gratuiti, da una riduzione dell’orario di lavoro alla proprietà democratica delle imprese. 

Inutile dire che questo genere di ipotesi non sfiora neppure la mente delle classi dirigenti. Ma è bene che almeno qualcuno che arriva a pubblicare su Nature cominci a esplorare possibilità diverse, per rompere quella saldatura ottusa e mortifera fra mondo scientifico, istituzioni e imprese che sta immobilizzando le società nel mezzo di veri e propri cataclismi come la pandemia e la crisi climatica.

Più info https://go.nature.com/33zyJvJ

mercoledì 12 maggio 2021

SENZA FINE

Il conflitto tra Israele e la Palestina,che molti pensano sia una questione degli ultimi decenni,da quando lo Stato ebraico è nato e si è insediato nel territorio arabo,ha una genesi molto più datata,si parla di millenni di lotta nella zona di Gerusalemme,ovviamente tutto nato per la religione e molto prima dell'arrivo dei musulmani a far parte di una guerra tra le fedi che non ha seminato dolore e morte in Medio Oriente ma in tutto il mondo.
Nello specifico ecco un articolo breve che parla di palestinesi e della loro lotta(ed è il secondo:contropiano che-cosa-e-la-rivolta-del-popolo-palestinese e che si può ritrovare anche in questo:madn domande-e-risposte-sulle-origini-del genocidio palestinese ),e quest'ultima fiamma è nata dagli sfratti e le demolizioni di interi quartieri della capitale contesa oltre che altre zone dove i coloni israeliani vogliono espandersi.
Una storia vecchia come lo Stato israeliano,sempre assetato di nuove terre e di potere con il popolo della Palestina costretto a Gerusalemme Est,in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza,dove ormai c'è una guerra totale e come da sempre combattuta non solo ad armi impari ma anche con differenti sponsor e diverse reazioni che riguardano l'informazione su quello che avviene.
Nel primo articolo la cronaca dei bombardamenti,le vittime ed i feriti quasi tutti palestinesi(contropiano israele-sotto-tiro-la-reazione-palestinese-mette-a-dura-prova-il-dogma-della-sicurezza ),le reazioni di sdegno dell'occidente e del mondo islamico,gli Usa da sempre dalla parte di Israele così come l'Unione Europea e l'Italia a parte il supporto comunque di molta gente che non si fa prendere in giro e abbindolare dalla stampa di parte.

Israele sotto tiro. La reazione palestinese mette a dura prova il dogma della sicurezza.

di  Alessandro Avvisato   

Anche nella notte è proseguito il lancio di razzi da Gaza  contro diverse città israeliane mettendo in crisi il dogma della sicurezza  su cui si regge gran parte della politica e della narrazione dominante in e di Israele.

Dopo lo shock di Tel Aviv i razzi si sono abbattuti sul porto di Ashkelon, su Lod e Modiin ed hanno portato ieri sera alla chiusura temporanea dell’aeroporto Ben Gurion. Un’automobile è stata colpita nella città di Lod, a sud-est di Tel Aviv portando a cinque il numero di israeliani rimasti uccisi dai razzi lanciati dalle organizzazioni palestinesi.

Secondo fonti israeliane ci sono decine i feriti, centinaia di migliaia di persone costrette nei rifugi da Tel Aviv a Beersheva a Sderot.

L’aviazione e le truppe israeliane hanno continuato a bombardare pesantemente la Striscia di Gaza, dove secondo il ministero della Salute palestinese sono state uccise 35  persone, tra cui 12 bambini nei raid effettuati negli ultimi due giorni da Israele. Le autorità militari israeliane hanno annunciato di aver distrutto a Gaza un edificio di nove piani ritenuto una sede di Hamas.

Ma anche in Cisgiordania la tensione è altissima. L’agenzia Nena News riferisce che ad un checkpoint vicino Nablus i militari israeliani hanno ucciso un poliziotto palestinese, Ahmad Abdel Fattah Daraghmeh, e ne ferivano un altro, secondo i testimoni “a sangue freddo”. A Gerusalemme, scrive Nena News, ieri sera per la terza volta in pochi giorni, le forze di polizia israeliane hanno compiuto un raid sulla Spianata delle Moschee e hanno di nuovo impedito ai medici della Mezzaluna rossa di entrare a soccorrere i feriti. Prima dell’ennesimo raid, ai palestinesi di Gerusalemme sono arrivati sms sui cellulari in cui le autorità israeliane li avvertivano di non prendere parte alle proteste: “Ciao! Sei stato segnalato per aver preso parte ad atti violenti alla moschea di al-Aqsa. Ne sei responsabile. L’intelligence israeliana”.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha decretato questa notte lo stato di emergenza nella città di Lod, a sud-est di Tel Aviv, dove sono in corso durissime proteste della comunità arabo/israeliana e si registrano scontri anche tra giovani palestinesi e israeliani. Il ministro della Difesa di Israele, Benny Gantz, ha inviato sul posto rinforzi, su richiesta del sindaco di Lod. Gli scontri hanno causato almeno 14 feriti, quattro dei quali in gravi condizioni. Ma oltre a Lodd proteste sono esplose ieri notte anche in diverse città palestinesi o miste in Israele come Nazareth, Haifa, Jaffa, Umm al-Fahem, al-Mashad, Tamra.

“Dopo una valutazione della situazione, è stato deciso che saranno aumentate sia la potenza che la frequenza dei nostri attacchi contro i terroristi a Gaza” ha affermato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu alle prese con un processo per corruzione e con la difficoltà a tenere in piedi il governo.

Sul piano diplomatico al momento non si profila nessuna ipotesi di tregua. Egitto e Qatar stanno cercando una mediazione tra israeliani e palestinesi a senza risultati. L’amministrazione Usa si è limitata ad invitare israeliani e palestinesi a porre fine alle violenze in corso aggiungendo di essere preoccupata per l’escalation tra le due parti in Medio Oriente. Gli Stati Uniti “continuano a sostenere la soluzione dei due Stati nel conflitto israelo-palestinese”, ha affermata la portavoce della Casa Bianca. Una posizione che ormai sa di ipocrisia e che ha consentito in questi decenni di vedersi affermare con la violenza solo uno degli Stati: Israele. Per i palestinesi si è trattato di un inganno durato fin troppo tempo.

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Che cosa è la rivolta del popolo palestinese.

di  Bassam Saleh   

Quello che sta succedendo in Palestina, non è un evento passeggero o una reazione al tentativo di evacuare il quartiere di Sheikh Jarrah: quest’ultima è stata la scintilla che ha acceso una rivolta palestinese globale che nessuno si aspettava e non è stata orchestrata da un parte specifica.

È la rivolta del nostro popolo a Gerusalemme contro la giudaizzazione, l’annessione e la profanazione di Al-Aqsa, e i tentativi di convertirla in un luogo di culto ebraico.

E la rivolta di Gaza e le organizzazioni di resistenza contro l’embargo e contro il piano per separarla dal resto della Palestina.

E’ la rivolta del nostro popolo in Cisgiordania contro l’occupazione, gli insediamenti, la giudaizzazione, la confisca delle terre e l’umiliazione quotidiana ai posti di blocco.

È la rivolta della nostra gente in patria, dal Negev alla Galilea, Giaffa e Lod, ogni città e villaggio contro la discriminazione razziale, l’emarginazione, l’umiliazione, la confisca della terra, la distorsione dell’identità nazionale e la diffusione della sedizione e della criminalità organizzata.

È una ribellione nazionale per tutti i palestinesi contro un’entità coloniale di insediamento e coloni terroristi.

È la rivolta di un popolo musulmano in difesa del sacro, anche se non riguarda solo loro, ma riguarda 2 miliardi di musulmani.

È la rivolta del popolo arabo in difesa di una nazione araba i cui regimi hanno abbandonato il loro dovere nazionale e legale nei confronti della Palestina dopo aver perso la Palestina con le loro fallimentare guerre.

È la ribellione del popolo Jabbarin “giganti”, come descritto dal leader Abu Ammar.

È una rivoluzione popolare, di cui hanno detto di aver venduto la loro terra e di essersi arresi alla realtà dell’occupazione e di essere stati corrotti dai soldi dei paesi donatori.

E’ una rivolta dell’accumulo delle lotte dei prigionieri, delle sofferenze dei profughi, della privazione dei diritti.

È il grande resistente popolo palestinese.

sabato 8 maggio 2021

BIDEN COMANDA E GLI ALTRI APPROVANO

La proposta del Presudente Usa Biden di sospendere i brevetti delle case farmaceutiche per i vaccini contro il Covid-19 ha avuto reazioni diverse in tutto il mondo e talvolta piene d'ipocrisia come quella che riguarda l'Unione Europea da mesi refrattaria a questa ipotesi.
Ma ora che il padrone ha detto che si può fare ecco che tutti i governi europei plaudono a tale richiesta mentre le case farmaceutiche che fanno parte del gruppo delle Big Pharma,quelle più famose e con i profitti più elevati,sono sul piede di guerra.
Proprio i loro miliardari guadagni sono messi in pericolo e quindi la reazione loro è stata quella sulla qualità del prodotto finale,la difficoltà a potere ottenerlo ed il rischio di contraffazione:argomenti non proprio campati per aria soprattutto per l'urgenza che l'emergenza stessa porta.
Nell'articolo di Contropiano(big-pharma-insorge )le considerazioni che si possono trarre dalla scelta di Biden che per prima ha provocato una perdita a Wall Street delle varie Moderna,NioNTech e Novavax e che produrrà altri effetti di contrasto e confusione all'interno delle varie nazioni,mentre il resto del mondo è ancora in piena pandemia e praticamente dei paesi del terzo mondo non si parla nemmeno.

Big Pharma insorge contro la “modesta proposta” di Biden sui brevetti.

di  Sergio Cararo   

Un po’ come avvenuto nel 1961 con il discorso di commiato del generale-presidente Eisenhower contro gli eccessivi interessi del complesso militare-industriale negli Usa, sessanta anni dopo il neo-presidente statunitense Biden ha messo in fibrillazione gli interessi di un altro gigantesco complesso finanziario/industriale: quello del Big Pharma.

La Rappresentante statunitense per il Commercio, Katherine Tai, ha preso posizione a favore di una “sospensione straordinaria della proprietà intellettuale” quando in gioco sono i vaccini contro il Covid-19,  aprendo così la strada a negoziati nell’ambito della World Trade Organization, dove una prima proposta in questo senso era già stata presentata lo scorso anno da India e Sudafrica ma respinta proprio dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea.

Gli interessi in gioco hanno visto scattare immediatamente la protesta dell’associazione americana dei produttori del settore farmaceutico, più nota come Big Pharma (anche se di essa fanno parte anche multinazionali europee del settore, ndr).

A nome della Pharmaceutical Research and Manufacturers of America, Stephen Ubl (il ceo della Phrma) ha tuonato contro quello che definisce “un passo senza precedenti che minerà la nostra risposta globale alla pandemia e comprometterà la sicurezza. Questa decisione genererà confusione tra partner pubblici e privati, indebolirà già fragili catene di forniture e alimenterà la proliferazione di vaccini contraffatti”.

La preoccupazione di perdere il monopolio sui brevetti dei vaccini, si è tinta anche di toni da “American First”. Secondo Ubl infatti la scelta di socializzare i brevetti sui vaccini avrà l’effetto di “consegnare innovazione americana a paesi che cercano di erodere la nostra leadership nelle scoperte biomedicali”. A Wall Street i titoli di società come Moderna, NioNTech e Novavax hanno perso terreno sull’onda dei timori di ripercussioni dalla decisione di Biden. Anche se Moderna si era in realtà già detta disposta a non imporre il rispetto dei suoi brevetti a coloro che producono vaccini contro la pandemia.

Positive invece le reazioni dei movimenti che sostengono proprio la socializzazione dei brevetti sui vaccini.  La loro richiesta è di spingersi oltre la sospensione delle protezioni sulla proprietà intellettuale, verso quello che definiscono un concreto e attivo transfer di tecnologia, di know how e di personale, da parte dei detentori dei brevetti per consentire la produzione necessaria, coinvolgendo realtà aziendali che vanno al di là dei gruppi oggi detentori dei segreti industriali sui vaccini.

E’ iniziato così il fuoco di sbarramento delle obiezioni “tecniche” delle società del Big Pharma su questa possibile svolta nel monopolio dei brevetti sui vaccini. Pfizer ad esempio ha ricordato che il suo vaccino richiede personale e attrezzature specializzate, le quali utilizzano 280 componenti provenienti da 86 fornitori situati in 19 paesi, ed ha criticato l’apertura dell’amministrazione Biden come inefficace ai fini di miglioramenti nella diffusione dei vaccini. Quest’ultima però ha sottolineato come ci siano produttori di farmaci ovunque nel mondo, anche in paesi in via di sviluppo (l’India è il maggior produttore di prodotti farmaceutici mondiale, ndr) e che hanno dimostrato in questi anni di essere in grado di offrire prodotti di alta qualità in condizioni corrette e che queste possono quindi essere create per il vaccino.

Adesso si tratta di andare a verificare se quello dell’amministrazione Biden è un cambio di mentalità e se produrrà effetti concreti nel monopolio dei brevetti sui vaccini da parte di Big Pharma.

La denuncia di Eisenhower contro il complesso militare-industriale nel 1961 non ci sembra che abbia poi prodotto effetti concreti, anzi. Certo una differenza notevole c’è. Eisenhower era a fine mandato e poteva togliersi qualche sassolino dalla scarpe. Biden invece è all’inizio del suo mandato ed ha come minimo quattro anni di tempo (se la salute di Sleeping Joe non lo tradirà, ndr)  per introdurre cambiamenti.

Ma questo sulla socializzazione totale o parziale dei brevetti sui vaccini antiCovid diventa comunque un test interessante, su almeno due versanti.

Il primo è che la obsoleta Wto potrebbe tornare ad essere la camera di compensazione tra interessi capitalisti diversi che aveva cessato di essere da una ventina d’anni. Il secondo è che gli Usa soffrono una crisi di egemonia globale e credibilità ormai pesantissima e che in qualche modo intendono cercare di recuperarla, e non possono farlo solo mostrando i denti e gli armamenti contro Russia e Cina.

venerdì 7 maggio 2021

I DUBBI SULLA TRANSIZIONE ECOLOGICA

Il recovery plan presentato dall'Italia per avere i tanto agognati quattrini promessi dall'Europa di cui noi saremo i più grandi beneficiari,ha all'interno una serie di agevolazioni che andranno a finire in quello che si è tradotto nel termine"transizione ecologica",una serie di accorgimenti e investimenti a favore dell'ambiente in prospettiva presente e soprattutto futura.
I miliardi di Euro che l'Europa con una mano sul cuore e l'altra che copre gli occhi perché già è conscia che una buona parte di essi saranno dispersi in varie tasche con speculazioni e corruzione hanno più o meno una percentuale sul dove andranno a finire.
E molti di essi andranno per i progetti per i trasporti pubblici,molti dei quali gestiti da privati che si garantiranno un profitto con le spese a carico della collettività,e molti di questi saranno destinati ai progetti dell'alta velocità.
Nell'articolo di Contropiano(grandi-opere-e-trasporto-locale )certamente di parte perché è presentato un documento dei No Tav,si parla in larga parte del tema,rimarcando il fatto che il resto della rete ferroviaria italiana versa in condizioni pessime grazie a gestioni che passano da Trenitalia a Trenord,qui da me sono lampanti i disservizi sulla tratta Cremona-Milano,con una percentuale di tratte cancellate aumentata nell'ultimo decennio così come una grossa parte di viaggiatori che hanno deciso di optare per altre soluzioni.
Si parla anche delle energie da fonti rinnovabili tenendo fermo comunque il punto che il passaggio non sarà a breve termine e che comunque in una quantità sempre minore le energie prese dall'idroelettrico o dal carbonfossile saranno comunque indispensabili per l'approvvigionamento energetico.

Grandi opere e trasporto locale. Nel Recovery Plan un altro passo verso il baratro.

di  No Tav.info   

In questi giorni i paesi europei sono in fermento, il 30 aprile infatti era fissata la scadenza per presentare a Bruxelles i progetti per richiedere i fondi del PNRR, 750 miliardi di euro messi a disposizione dall’Unione Europea per la tanto auspicata rivoluzione ecologica a più di un anno dall’inizio della pandemia.

Uno sguardo più attento ai piani di spesa preparati dall’Italia – il più grande destinatario del denaro dell’UE – solleva però alcuni interrogativi sul come e su quanto sarà “green” il contributo di Roma.

 L’UE in effetti ha posto dei vincoli abbastanza rigidi rispetto all’utilizzo dei fondi, richiedendo che la fetta più grande degli investimenti di ciascun paese – circa il 37% – venga destinato a progetti ecosostenibili che mirino a un’inversione di rotta soprattutto per quanto riguarda le energie rinnovabili e l’abbassamento delle emissioni di CO2.

Il documento presentato da Draghi stima 59 miliardi di euro di fondi europei sotto la voce “transizione ecologica”, da spendere nei sei anni previsti dal piano – circa 10 miliardi in meno rispetto alla bozza preparata dal suo predecessore Giuseppe Conte. Ciò equivale però soltanto al 31% contro il 37% richiesto dall’UE.

 Draghi ha aggiunto che in realtà, i 9 miliardi di differenza dal piano precedente arriveranno da prestiti governativi separati, ma così facendo questo denaro non sarà soggetto al controllo di Bruxelles e potrà quindi essere facilmente revocato o dirottato in altri progetti.

A volerla dire tutta, sembra che il raggiungimento di questa soglia sia un problema tutto italiano e che molti altri paesi europei non debbano tirare troppo la coperta per destinare fino al 50% dell’investimento in progetti “green”.

Ma è guardandolo da vicino che si scopre che il piano di Draghi offre davvero poco per quanto riguarda inquinamento e smog che affliggono le nostre città.

Per ridurre le emissioni di gas serra provenienti dal settore dei trasporti, come previsto dai target europei vincolanti al 2030, occorre rendere competitive le modalità di spostamento a emissioni zero per le persone e per le merci, con specifiche politiche per le esigenze di ambito nazionale/internazionale e per quelle in ambito urbano.

La situazione da cui partiamo è particolarmente difficile, perché in Italia la modalità di spostamento prevalente è quella su gomma, che copre il 62,5% degli spostamenti giornalieri delle persone, e oltre l’86% di quello merci.

 A fronte di un’ auspicata “cura del ferro” che mirerebbe ad abbassare queste percentuali, troviamo solo un investimento totale di 5,45 miliardi, per il potenziamento delle linee ferroviarie regionali a fronte di… 25 miliardi per l’alta velocità!

Il problema del trasporto ferroviario in Italia è però che è proprio fuori dalle direttrici principali dell’alta velocità che la situazione del servizio è peggiorata maggiormente, con meno treni in circolazione, e di conseguenza meno passeggeri.

Solo negli ultimi anni c’è stato un recupero dell’offerta di servizio Intercity – treni fondamentali nelle direttrici fuori dall’alta velocità in particolare al Sud e nei collegamenti con i centri capoluogo di Provincia – ma dal 2010 al 2017 la riduzione delle risorse, con proroghe del contratto tra il Ministero delle Infrastrutture e Trenitalia, ha portato ad una riduzione drastica dei collegamenti che emerge con chiarezza dal bilancio consolidato di Trenitalia.

Per i convogli a lunga percorrenza finanziati con il contributo pubblico, l’offerta in termini di treni*km è scesa dal 2010 al 2019 del 16,7% e parallelamente sono calati i viaggiatori del 45,9%. Nel 2019 i dati sono in leggera ripresa (+0,8%) per quanto riguarda il numero di persone, ma siamo comunque lontani dai dati di dieci anni fa sia per l’offerta sia per la frequentazione.

 Dulcis in fundo, tra le opere urgenti da finanziare troviamo niente di meno che il Tav Torino Lione, la grande opera bocciata ormai da chiunque, anche dall’Europa, in quanto obsoleta e dannosa per l’ambiente.

 Il governo italiano chiede 1 miliardo e 79 milioni per la grande opera che produrrà oltre 10 milioni di tonnellate di CO2 impossibili da riassorbire se non, forse, prima della fine del secolo quando il riscaldamento globale sarà ormai irreversibile.

Non va meglio sul fronte del trasporto pubblico urbano per cui nel piano si prevedono appena 240 km di nuove linee (sufficienti forse appena per una grande città), l’acquisto di 53 treni elettrici e 5.540 nuovi autobus (solo Roma ne ha oltre 2.000).

Insomma, ad eccezione di alcuni buoni quanto vaghi passaggi come “accumuli per rinnovabili e solare agrovoltaico”, su ambiente e clima il progetto italiano appare davvero deludente. Non è previsto infatti nessun intervento serio per l’agricoltura ecologica, nessuna vera priorità per le energie rinnovabili, una scarsa attenzione per la mobilità urbana sostenibile e per la cura della biodiversità. Inoltre, vi è una “porta spalancata per l’idrogeno blu di Eni, prodotto da gas usando tecniche rischiose e neppure convenienti”.

A tutto ciò si aggiunge il fatto che lo scorso mese il ministro della Transizione ecologica, ha appena firmato 7 decreti Via (Valutazione impatto ambientale) aventi ad oggetto altrettanti rinnovi di concessioni minerarie, progetti di messa in produzione di pozzi e di perforazione in diverse regioni d’Italia.

Ma d’altronde la politica green di Draghi la stiamo vedendo all’opera proprio qui in Val Susa. Stiamo assistendo in questi giorni all’installazione del cantiere a San Didero per la realizzazione di un nuovo autoporto che ospiterà svariati TIR. Per farlo è stato raso al suolo l’intero boschetto adiacente, l’unico polmone verde della media valle, che sta iniziando a rifiatare dopo anni di abusi e inquinamento provenienti dell’acciaieria che si trova a pochi km di distanza.

Sinceramente in tutto questo non vediamo niente di verde e questa transizione ecologica sembra sempre meno convincente.

Al suo insediamento Draghi ha esordito dicendo: “vogliamo lasciare un pianeta sano, non solo una moneta sana” ma senza una spinta decisiva verso le energie rinnovabili, il trasporto elettrico o l’abbandono di vecchie chimere come le grandi opere inutili, il piano dell’Italia rischia di essere mero “greenwashing”, nell’interesse, ancora una volta, delle aziende statali e private che mirano a mantenere un sistema basato principalmente sui combustibili fossili e sullo sfruttamento intensivo delle risorse ormai risicate di questo pianeta.

giovedì 6 maggio 2021

MADRID NELLE MANI DEL PARTIDO POPULAR

Un poco come la Lombardia la Comunidad autonoma di Madrid,una sorta di grande città metropolitana,è nelle mani della destra e le elezioni appena svoltesi hanno confermato una indiscutibile vittoria del Partido Popular che con la candidata Isabel Ayuso ha vinto con una maggioranza schiacciante che può permettersi anche il lusso di non dipendere dai voti dei neofascisti di Vox.
Il PSOE del leader al governo Sanchez prende una scoppola e praticamente la stessa percentuale di Mas Madrid,costola di Podemos,che tutti assieme arrivano alla percentuale del PP:risultato il capo di questi ultimi Iglesias ha l'intenzione di lasciare la politica(vedi:contropiano madrid-a-tutta-destra-iglesias-si-ritira ).
Nell'articolo proposto invece(left madrid-resta-nel-ventesimo-secolo-la-destra-non-perde-la-presa-sulla-capitale )si analizza più il voto,la grande affluenza e le ragioni di questa vittoria schiacciante della destra(ormai i liberali di Ciudadanos sono quasi spariti)che vanno quasi esclusivamente alla politica anti lockdown voluta dal governo autonomo e nonostante fino all'ultimo picco di infezioni e di morti di quest'inverno siano stati i peggiori dell'intera Spagna ora i numeri tendono a decrescere.
Questa politica populista e demagoga voluta dalla destra madridista ha fatto breccia nel cuore degli abitanti della capitale che hanno così premiato il Partido Popular,segnale credo nefasto per l'Italia vista la spinta sempre più continua da parte delle destre ad azzerare le misure contro la pandemia con le "sinistre" che lasciano il malessere del popolo nelle mani appunto di quegli schieramenti.

Madrid resta nel ventesimo secolo, la destra non perde la presa sulla capitale.

di Marina Turi.

La destra spagnola vince senza ambiguità e si tiene ben stretta Madrid e la sua regione. Questo è il risultato delle elezioni per il nuovo governo della Comunità di Madrid, convocate in fretta e furia a marzo dalla presidente Isabel Ayuso, del Partito Popolare, per evitare una possibile mozione di sfiducia pensata dal Psoe e da Más Madrid, la formazione nata da una scissione di Podemos. È così che si è arrivati a queste elezioni decisive per il futuro della comunità e della gente di Madrid, ma determinanti anche per il resto della Spagna. Non è bastata una partecipazione al voto elevata, oltre il 75%, per permettere alla sinistra di sparigliare quelle destre madrilene al governo della regione da 26 anni. Ogni sforzo è stato inutile, anche la candidatura diretta di Pablo Iglesias, che ora annuncia di voler abbandonare la politica istituzionale.

C’è stata una crescita per Podemos, 3 seggi in più, e il consolidamento di Más Madrid, che smette di essere “il partito di Errejón” con la nuova leadership di Mónica García e supera il Psoe che ha ottenuto il peggior risultato di sempre. Ai socialisti che hanno perso ben 13 seggi e al suo candidato Gabilondo non resta che l’opposizione. Dal fronte della destra liberale scompare Ciudadanos, formazione in caduta libera da più di un anno e mezzo. La vittoria netta è tutta per il Partito Popolare: si aggiudica un numero di seggi che supera in blocco quelli di tutta la sinistra. Ayuso è il punto di riferimento della nuova destra, si affaccia dal balcone della sede di partito e urla che «la libertà ha trionfato a Madrid» e Casado, il presidente dei popolari, la stringe tra le braccia e afferma che questo risultato è una vera mozione di sfiducia nei confronti del sanchismo.

Isabel Díaz Ayuso è arrivata a queste elezioni preceduta da un’enorme popolarità per aver permesso alle imprese, a tutti i negozi, ai bar e ai ristoranti di rimanere aperti nonostante le severe restrizioni stabilite in piena pandemia dal governo Sánchez. Lo aveva detto a gran voce «.. la sera compro dove voglio, consumo dove mi va. E se vado a messa, a una corrida o in discoteca, lo faccio perché ne ho voglia. Vivo a Madrid e per questo sono libera.. in queste elezioni si sceglie il modello di paese che vogliamo». I sondaggi avevano previsto l’ampia vittoria per la leader del Partito Popolare e adesso è stata sciolta anche l’incognita della maggioranza assoluta necessaria per poter governare da sola, con questo risultato sarà sufficiente l’astensione di Vox, il partito dell’ultradestra con idee contrarie alla democrazia. Resta l’appoggio incondizionato e i suoi 13 seggi a disposizione di Ayuso, per facilitarne l’investitura.

È stata una campagna elettorale davvero bizzarra e senza esclusione di colpi, tra minacce di morte ai candidati e dibattiti elettorali in televisione abbandonati dai partecipanti, con slogan inneggianti al fascismo e alle libertà, mentre in tutta l’area di Madrid la stolta gestione della pandemia, tra un aperitivo e l’altro, faceva salire il tasso di infezione ben al di sopra della media nazionale.

Ora è in gioco come uscirà dalla pandemia la regione che registra il maggior numero di morti e contagi e quale strada prenderà per la ripresa economica, ma è chiaro che il risultato di questa elezione trascende le elezioni regionali. Chissà se Madrid resterà allineata con il governo Sánchez nella gestione dei fondi europei e con l’idea del governo di coalizione per un maggior impegno di investimento nei servizi pubblici. Ora, con questa ascesa della destra e una possibile riluttanza di Bruxelles ad accettare le riforme pensate dal governo spagnolo per il lavoro e per le pensioni, con un prevedibile ritardo nel pagamento dei fondi di salvataggio dell’Ue che potrebbe riportare il Pil nazionale a una crescita negativa, le prospettive del dominio elettorale di Sánchez potrebbero presto cambiare.

martedì 4 maggio 2021

IN COLOMBIA AMMAZZANO

Da una settimana la Colombia è scossa da uno sciopero che ha già provocato decine di morti e che il mondo fa fatica a sapere delle disumane violenze compiute dalla polizia e dall'esercito del presidente Duque,l'ennesimo fantoccio al comando messo dagli Usa,e in tutte le città le manifestazioni di protesta sono bagnate dal sangue dei manifestanti.
Solamente on line ci si può districare per avere notizie,riporto un articolo(www.dinamopress.it )però già datata che spiega le ragioni del Paro Nacional indetto da più parti della società colombiana,dai sindacati agli studenti arrivando agli indigeni,in un clima già di tensione ma senza la guerra che si sta combattendo nelle strade e nelle piazze(vedi per la situazione a Cali :comitatocarlosfonseca.noblogs.org ).
Più che altro sono dei video a farci capire la situazione insostenibile in un paese provato più degli altri in Sud America(Brasile escluso)e che vorrebbe aumentare l'iva anche sugli alimentari di base mentre ovviamente le multinazionali e il settore finanziario non verrebbero toccati.
A gettare benzina sul fuoco le tensioni al confine con il Venezuela dove i soliti interessi legati al narcotraffico e al paramilitarismo tanto cari ai presidenti colombiani di estrema destra anche se accusano Farc e Caracas del contrario,traggono profitti enormi ovviamente prendendosi le briciole di quello che intasca lo zio Sam.
La solidarietà con i manifestanti colombiani è totale sperando che le violenze poliziesche smettano nell'immediato e che la protesta porti alla vittoria,che vuol dire dare un minimo di respiro in uno Stato duramente provato dalla pandemia e da presidenti al soldo degli Usa.

Proteste e scontri in Colombia contro la riforma fiscale.

Da due giorni mobilitazioni in tutto il paese contro la proposta di legge del presidente Ivan Duque. Se approvata, comporterà l’aumento dei prezzi dei generi alimentari in un paese già gravemente colpito dalla crisi pandemica e dalla violenza di Stato e dei gruppi armati 

di Alioscia Castronovo e Milos Skakal  

Pubblicato il 30 aprile 2021

Negli ultimi due giorni sono tornati ad inondare le strade colombiane cortei, blocchi stradali, azioni e manifestazioni del Paro Nacional lanciato dalle principali organizzazioni sindacali con l’adesione di movimenti studenteschi, popoli indigeni e altri settori sociali colpiti dalla crisi. Migliaia di persone sono scese nelle piazze diversi mesi dopo le grandi mobilitazioni del 2019 e del settembre 2020 in piena crisi pandemica. Proprio in queste settimane il paese sta attraversando uno dei peggiori momenti dallo scoppio della pandemia e mentre la sanità, da sempre privatizzata, si trova nuovamente sull’orlo del collasso, dopo mesi di coprifuoco i contagi stanno di nuovo aumentando vertiginosamente (19mila i contagi di ieri, con oltre 500 morti).

Nonostante la Colombia sia uno dei paesi più poveri e duramente colpiti dalla crisi economica e pandemica in America Latina, il governo di estrema destra Ivan Duque, legato a doppio filo con l’ex presidente Alvaro Uribe (accusato di legami con il paramilitarismo e il narcotraffico), è intenzionato a portare avanti una riforma fiscale che colpirà in maniera durissima le classi meno abbienti.

Il progetto di legge, presentato dal governo ma non ancora arrivato in discussione al Senato e al Congresso, vuole portate l’Iva al 19% su tutti i prodotti, anche su quelli alimentari di base, e aumentare le accise sulla benzina, senza toccare minimamente i settori finanziari e le grandi imprese che mantengono i loro vantaggi fiscali.

Intanto, le conseguenze della riforma sarebbero aumenti generalizzati dei costi dei servizi, luce, gas, acqua e dei prezzi degli alimenti, a fronte di una crisi economica conclamata. Ad essere colpite, in particolare, le economie popolari, informali, indigene e contadine, ma anche le classi popolari urbane delle grandi città. I ristori per la piccola e media imprenditoria e gli aiuti alle famiglie sono stati irrisori e molti settori, come quello dello spettacolo, non hanno ricevuto nessun tipo di sussidio. Intanto, sono state annunciate dal Presidente nei giorni precedenti della riforma fiscale spese per 14 miliardi di pesos per armamenti, dotazioni militari, uniformi e aerei da bombardamento.

Aumenta la violenza

Nel 2021 la violenza continua ad aumentare in tutto il paese: nei primi tre mesi dell’anno, 27.435  persone sono state sfollate a causa della violenza armata tra gruppi militari, paramilitari, dissidenze della guerriglia e narcotraffico; intanto, è arrivato a 271 il numero di ex guerriglieri assassinati dopo aver firmato la pace. Secondo Indepaz, inoltre, in questo inizio 2021 sono stati 31 i massacri con 116 vittime. La violenza dello spossessamento, dell’accumulazione e del narcotraffico non si ferma.

Nella città di Cali i collettivi femministi hanno denunciato che negli scorsi mesi ignoti hanno sequestrato almeno sette donne, ma nonostante le numerose denunce le forze dell’ordine non hanno preso sul serio i fatti accaduti.

Anche nella regione indigena del Cauca il conflitto per il controllo del territorio tra gruppi illegali armati continua a mietere vittime: una settimana fa, il 20 aprile, una delle leader del movimento indigeno caucano, Sandra Liliana Perez, è stata assassinata mentre procedeva all’eradicazione delle colture di coca.

Il Consiglio regionale indigeno del Cauca, di cui Perez faceva parte, ha convocato immediatamente la Minga hacia adentro, una mobilitazione indigena popolare finalizzata al controllo territoriale e alla lotta contro gli interessi del narcotraffico. Lo scorso 23 aprile la Minga è stata attaccata da ignoti nella zona di Caldono: almeno 31 persone sono rimaste ferite da colpi di arma da fuoco.

Mentre la violenza armata contro la popolazione non viene contrastata dalle forze dell’ordine, l’occupazione pacifica degli studenti dell’Universidad del Valle, sempre a Cali, è stata duramente sgomberata dalla polizia e da reparti di squadre speciali dell’esercito con il beneplacito della governatrice del Dipartimento e dal rettore dell’ateneo. Per cinque giorni l’università è stata presa in ostaggio dalla polizia in assetto antisommossa, intervenuta durante la conferenza stampa che gli studenti e i movimenti sociali stavano tenendo all’interno dell’ateneo. Sia l’altro ieri che ieri, durante lo sciopero, vi sono stati duri scontri tra studenti e polizia proprio attorno al campus universitario.

Viva el Paro Nacional!

In tutto il paese le manifestazioni che si sono susseguite ora dopo ora, ben oltre il coprifuoco decretato a Cali con l’obiettivo di disperdere la manifestazione, hanno sorpreso per la grande affluenza, in epoca di profonda crisi economica e sanitaria. A pochi giorni dal primo maggio, sindacati e movimenti sociali sono scesi in piazza in primo luogo, ci racconta al telefono un attivista da Cali, per esprimere rabbia e indignazione accumulate in questi mesi.

Il 28 aprile, il primo giorno di sciopero, è iniziato nella capitale con due concentramenti presso l’Università Distrital e il Parque Nacional con due cortei poi confluiti alla centralissima Plaza Bolivar, piena come non accadeva da tempo.

Ma fin dalla mattina in tutta Bogotá vi sono stati interruzioni del traffico stradale e mobilitazioni, con blocchi di ponti e strade dalla periferia sud di Usme fino ai distretti popolari di Suba a nord. Alla fine del corteo, nella piazza antistante il palazzo presidenziale, cariche e violenze della polizia hanno provato a disperdere la manifestazione e fino a notte inoltrata vi sono state dure repressioni e scontri. Nella notte però non si sono fatti attendere i cacerolazos dalle case e dai balconi che in tutti i quartieri hanno segnalato il sostegno popolare allo sciopero e l’opposizione di massa alla riforma fiscale e alle politiche di privatizzazione portate avanti dal governo con questa riforma.

A Cali, una delle principali città del paese nella regione del Valle del Cauca, si sono tenute le repressioni più forti, con l’imposizione del coprifuoco e la militarizzazione della città, annunciata oggi dal ministro della Sicurezza a fronte delle grandi manifestazioni di questi giorni.

La giornata di protesta è cominciata alle prime luci dell’alba: decine di indigeni Misak hanno abbattuto la statua del fondatore della città, Sebastián de Belalcázar, colonizzatore spagnolo responsabile del massacro e dell’oppressione dei popoli che vivevano nel sud-occidente colombiano da ben prima dell’arrivo dei conquistadores.

Contemporaneamente, le e i manifestanti si riunivano in cinque diversi punti della città bloccando tutte le principali vie di accesso alla metropoli, bloccata per due giorni la Panamericana e soprattutto chiudendo l’unica arteria che collega il porto di Buenaventura, sull’oceano Pacifico, con il resto del paese.

Il governo ha annunciato che sospenderà l’invio di vaccini nella città di Cali e nel dipartimento Valle del Cauca, epicentri della protesta di questi giorni. Una dichiarazione vergognosa che ha scatenato ancora più indignazione nel paese.

«È brutalità pura, non dissimulano più nulla, emerge chiaramente come per loro sia il popolo il nemico, questo è ciò che mostra chiaramente il governo» racconta ancora un attivista di Cali, «nelle strade ci sono lavoratori, donne, indigeni, neri, giovani, che si stanno organizzando spinti dall’indignazione e dalla fame, e la solidarietà emerge nelle strade perché tutti sentiamo dolore per quello che stiamo vivendo in questo paese. Domani torneremo ancora in piazza».

A Popayán, capoluogo del Dipartimento del Cauca, una delle regioni ancora pesantemente colpite dal conflitto armato, il corteo composto prevalentemente dal movimento indigeno che si apprestava ad entrare in città è stato attaccato diverse volte dai reparti antisommossa dell’Esmad.

Secondo il bollettino emesso dalla Commissione di garanzia per i diritti umani del coordinamento per lo sciopero nel Dipartimento del Cauca, due giornalisti, due osservatori per i diritti umani e 19 manifestanti sono stati feriti dalle forze dell’ordine, mentre durante la giornata almeno quattro persone sono state arrestate. Un altro fatto rilevante riguarda il movimento dei Senza tetto, che durante la mobilitazione ha occupato dei terreni nei sobborghi della città: nella notte, sotto una pioggia battente, la mobilitazione ha subito vari tentativi di sgombero da parte della polizia, portati avanti anche a colpi di arma da fuoco. Alla fine, più di duemila famiglie hanno dovuto abbandonare l’occupazione, senza trovare un posto dove ripararsi. Nella notte, proteste del personale sanitario dell’Ospedale Universitario in lotta contro il governo e contro la repressione della polizia.

A Pasto, nell’estremo sud del paese, un grande corteo ha attraversato le strade della città con canti e balli. La partecipazione, molto importante, ha visto il protagonismo delle giovani generazioni e le caratteristiche della mobilitazione assomigliavano molto a un carnevale. Purtroppo anche lì la polizia ha attaccato le e i manifestanti e alla fine della giornata sono state riportate numerose testimonianze di persone ferite dal lancio di cartucce di gas lacrimogeni.

Secono la rete Defender la Libertad durante le manifestazioni del 28 aprile, 49 persone sono rimaste ferite, 73 arrestate nelle città di Bogotá, Cali, Yopal, Neiva, Ibagué, Pasto, Villavicencio y Barranquilla. Ci sono state 14 perquisizioni, 10 aggressioni contro organizzazioni che promuovono la difesa dei diritti umani e del diritto a manifestare e 78 denunce contro la polizia per gli abusi e le violenze compiute durante la repressione contro le manifestazioni di massa che hanno attraversato decine di città ed in particolare la capitale del paese. Secondo diverse fonti nella giornata vi sarebbero state tre persone uccise a Cali e una a Neiva; sono in corso accertamenti per comprendere in quali dinamiche siano avvenute queste morti, ma alcuni video mostrano chiaramente poliziotti sparare colpi di arma da fuoco sulla folla.

Dopo la prima giornata, il comitato organizzatore dello sciopero ha rilanciato la protesta: anche ieri si sono ripetute proteste e blocchi stradali, ma anche saccheggi nei supermercati, scontri con le forze dell’ordine, barricate sulle strade, sulle autostrade e sui ponti che connettono città e regioni del paese.

Sui cartelli appaiono scritte come «Vogliamo vivere, non sopravvivere» oppure «Bisogna cacciare i delinquenti dal governo» per sottolineare che di fronte all’incapacità dello Stato di gestire la crisi economica ogni protesta è legittima. «Chi ha dato l’ordine di sparare e uccidere?» si legge su molti cartelli, così come «Non dimentichiamo i 6402 falsi positivi [giovani dei quartieri poveri sequestrati dalle forze militari e uccisi, poi presentati come guerriglieri caduti in battaglia]» fino a «Ci stanno uccidendo e non è il Covid!».

Molti striscioni denunciano anche il ruolo dell’esercito riguardo alla violenza che continua a imperversare nel paese: è ancora vivo il trauma suscitato dall’uccisione di 14 minorenni durante un bombardamento dell’aviazione militare contro un campamento guerrigliero, avvenuto all’incirca un anno fa nella regione del Caqueta, così come la durissima repressione che ha portato a 14 giovani assassinati dalla polizia lo scorso settembre.

Intanto la contestazione si estende, diversi presidi e azioni di solidarietà si sono tenuti in varie città latinoamericane ed europee. Nel paese, intanto, si stanno costruendo nuovi spazi di organizzazione politica ed elettorale verso le prossime elezioni, con l’obiettivo di aprire nuovi processi politici capaci di raccogliere il dissenso diffuso rispetto alle politiche neoliberiste e di guerra dell’estrema destra filo-statunitense al governo.

Nuova ondata di proteste?

In questo clima che attraversa il paese, questa nuova ondata di mobilitazioni del Paro Nacional ha spiazzato i media e il governo, segnalando la forte opposizione sociale grazie alla presenza moltitudinaria nelle strade ma anche con un forte sostegno popolare come emerso dai cacerolazos in tante città. Mentre il Senato e il Congresso non hanno ancora iniziato la discussione della riforma, la protesta continua, segno il limite della sopportazione popolare è stato oltrepassato dal governo e dal potere economico nel paese.

Domani a Cali le comunità territoriali lanceranno cucine e mense popolari nei punti di blocco, musica e punti di solidarietà, occupando la città e rilanciando la lotta.

«Questa è la minga, mutualismo, aiuto reciproco, musica, riprenderci il territorio. Stanno massacrando chi ha firmato la pace, vogliono tornare alla guerra. La protesta comincia per la riforma fiscale, ma non si tratta solo di questo, è molto più di questo. Siamo stanchi, diciamo basta Duque, basta Uribe, basta paramilitari al governo», ci racconta ancora da Cali un attivista che preferisce rimanere anonimo, con la voce emozionata, mentre si ascolta un cacerolazo di protesta sullo sfondo, dalle case e dai quartieri.

Contro la riforma fiscale neoliberista, l’aumento del costo della vita, il saccheggio e le privatizzazioni che il governo intende portare avanti per garantire l’accumulazione delle oligarchie e delle multinazionali, una nuova ondata di proteste si è scatenata.

In un paese che soffre la fame, la pandemia di Covid e l’inadeguatezza delle strutture sanitarie, mentre senza sosta prosegue e si intensifica la violenza militare e paramilitare, sono le mobilitazioni popolari a riportare l’indignazione e la dignità nelle strade e nelle piazze, in piena crisi e ad un anno dalle prossime elezioni presidenziali.