mercoledì 27 dicembre 2017

L'ONDA LUNGA DELLE CRISI DEI MALLS AMERICANI


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Gli Stati Uniti sono sempre stati nel bene e nel male un modello da seguire in vari ambiti che contraddistinguono la nostra vita,ed il declino dei giganteschi malls d'oltreoceano dopo il boom degli anni novanta che stanno chiudendo uno dietro l'altro e famose catene che stanno facendo tagli netti nei loro negozi e alle loro maestranze sono esempi tangibili di questo fallimento.
Nel primo articolo(contropiano usa-tramonta-lera-dei-centri-commerciali )si parla proprio degli Usa e dei dati impietosi delle perdite di vendita dei grandi centri commerciali dove la popolazione amava trascorrere ore perdendosi in queste cattedrali del consumismo e che lentamente stanno subendo gli effetti degli investimenti sbagliati,della crisi 2008 e dell'avvento dello shopping on-line che invece ha percentuali in netto rialzo(grazie anche a tassazioni non ancora ben delineate e condizioni lavorative più che pessime...sia in Usa che in Europa).
Nel secondo(contropiano commercio-flop-delle-liberalizzazioni-calo-del-20 )altri dati in netto calo sempre nei centri commerciali italiani colpiti dalle liberalizzazioni selvagge e del conseguente sfruttamento al limite del sopportabile da parte dei dipendenti,il tutto certificato dai numeri forniti sia da sindacati che datori di lavoro e confermati dai riscontri dei consumatori.
Dicevo un modello Usa che negli anni ottanta e novanta sponsorizzava gli immensi centri commerciali mentre dal 2000,con le scuse e gli alibi della violenza nelle strade e la praticità e comodità degli acquisti via internet hanno spostato la massa dei consumatori finali a preferire quest'ultima via per acquistare di tutto e di più.
Un modo di pensare che sta prendendo sempre più piede da noi e che bisogna studiare attentamente per evitare di trovarci anche qui a gambe all'aria.

Usa, tramonta l’era dei centri commerciali.

di  Redazione Contropiano 
A imitare gli americani ci si rimette sempre… La campagna elettorale e di lotta di #poterealpopolo è cominciata ieri con una serie di presidi e volantinaggi davanti a centri commerciali di molte città italiane. Una protesta contro il lavoro festivo, sottopagato come quello feriale ma con in più la violenza inaudita contro la possibilità di una vita affettiva normale per chi lì dentro ci deve lavorare.

Inutile anche aggiungere che, agli effetti del Pil complessivo del paese (produzione di ricchezza), le aperture domenicali e festive degli esercizi commerciali non aggiunge nulla. La domanda di beni non cresce se i negozi sono sempre aperti, ma se il reddito medio aumenta. Cosa che non avviene da oltre un decennio, nel migliore dei casi, mentre per chi fa lavoro dipendente continua a diminuire.

Ma il “modello di distribuzione” rappresentato dai centri commerciali, sviluppatosi come una mestatasi negli ultimi tre decenni per favorire soprattutto i costruttori – alle prese con una domanda di immobili per abitazione in continua frenata – è già in crisi, specie là dove era stato creato: gli Stati Uniti.

Questo lancio dell’agenzia di stampa AdnKronos suona come un autentico de profundis…

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Lo shopping online miete una vittima ingombrante: i grandi centri commerciali americani. L’ascesa dell’e-commerce sta condannando a morte i famosi malls statunitensi, trasformandoli da motori del commercio e agorà di dispersive periferie, in scheletri architettonici.

Simboli del repertorio iconografico Usa al pari dei fast food, cattedrali laiche dove recarsi con rituale sacralità per acquisti, ristoranti, ritocco unghie e via dicendo, facendosi avvolgere dall’opulenza kitch del consumismo made in Usa, dove tutto è grande, seriale e l’offerta debordante, i centri commerciali sono in lento, inesorabile declino.

Secondo una ricerca del Georgia Tech, un terzo dei circa 1.200 shopping center del nord America è morto o sta morendo. Complice la crisi dei subprime del 2008, che ha spesso lasciato senza un tetto quella fascia di popolazione che nei malls amava trascorrere i fine settimana, i centri commerciali hanno iniziato a spopolarsi.

Ma sarebbe stato il commercio online a sferrare il colpo di grazia. Sono oltre 20 grandi catene commerciali che hanno presentato istanza di bancarotta quest’anno. E chi non chiude battenti è alle prese con severe ristrutturazioni: dal colosso Macy’s, che con il suo Babbo Natale è un simbolo dell’iconografia natalizia americana, che ha avviato un piano di chiusura di 100 negozi entro il 2018, il 15% del totale, a J.C. Penney, storico marchio fondato nel 1902 in una cittadina del Wyoming che abbasserà le saracinesche di 138 esercizi; all’ottocentesca Sears che ha appena annunciato lo stop di 63 negozi.

Un fenomeno quello del declino degli shopping center documentato anche in un’insolita serie pubblicata su Youtube finita sulle pagine del ‘New York Time’: ‘The dead mall series’, nostalgico documentario in giro per i centri commerciali depressi o dismessi dell’East cost.

Per alcuni analisti tuttavia i numeri dell’e-commerce possono giustificare solo in parte il collasso dei malls Usa. Con una crescita dell’11% delle vendite totali nel 2016 (con Amazon in testa) per un valore totale pari a 394,86 mld di dollari, +15,6% rispetto al 2015 (il livello più alto dal picco del +16,5% del 2013), lo shopping online non sarebbe la sola causa del declino che andrebbe bensì ricercato nei forti indebitamenti contratti dai gruppi, negli investimenti sbagliati o rischiosi fatti dopo il boom degli anni Novanta, e la crisi e l’evoluzione tecnologica ne avrebbero solo accelerato il tramonto.

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Commercio: il flop delle liberalizzazioni, calo del 20% …..
di  USB   
COMUNICATO STAMPA

Commercio: il flop delle liberalizzazioni, calo del 20% sugli acquisti

USB, le associazioni datoriali e dei consumatori ci danno ragione

Il sacrificio dei tanti lavoratori del commercio, obbligati a trascorrere le feste nei negozi della Capitale, con turni massacranti e spesso senza le maggiorazioni contrattuali, è stato vano. Un Natale da dimenticare per i negozianti romani che lamentano un calo delle vendite medio intorno al 20 per cento. Uno shopping sottotono, dove si sono scartati sotto l’albero soprattutto cibo e libri, e dove si sono spesi mediamente solo 100 euro pro-capite per i regali.

“Non siamo affatto sorpresi, le liberalizzazioni non hanno affatto spinto gli acquisti né tantomeno favorito l’occupazione. La contrazione dei consumi è data dallo scarso reddito dei cittadini, e non saranno di certo i negozi e i centri commerciali sempre aperti a migliorare la situazione”, dichiara Francesco Iacovone, dell’USB Lavoro Privato.

“Quanto da noi sostenuto all’indomani del decreto Salva Italia del governo Monti – prosegue il rappresentante USB – è oggi confermato dal presidente di Federmoda Confcommercio Massimiliano De Toma, dal presidente della Confesercenti Valter Giammaria, dalla Cna Commercio, dalla Coldiretti e dal Codacons. Associazioni che di certo non tutelano i laoratori, ma osservano preoccupate il trend degli acquisti ”.

“Questa deriva ultraliberista è solo un danno per le donne e gli uomini che vivono di un lavoro sempre più disumanizzante, le cui vite sociali vengono sacrificate sull’altare di uno shopping in crollo e sulle infauste imposizioni di governi e padroni in crisi di politiche industriali e commerciali”, conclude Iacovone.

Roma – mercoledì, 27 dicembre 2017

USB Lavoro Privato

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