sabato 5 dicembre 2015

GIULIANO POLETTI

Mi viene da ridere pensando che era da ben più di quattro anni che non ponevo un post etichettandolo nella categoria dei "neuro deliri" e l'ultimo ad avere un simile trattamento è stato Claudio Scajola esattamente il 12 ottobre 2011.
Ne sono passati di personaggi che definire uomini è sinceramente troppo e forse vista la dimenticanza o altro ritornerò a foraggiare questo tipo di tag,ma oggi mi è venuto proprio in mente quell'ameba di Poletti Ministro del lavoro del governo Renzi che vuole cancellare e ci sta riuscendo,decenni di risultati di lotte sindacali.
Nel giro di pochi giorni Infoaut ha dedicato all'ex Presidente di Legacoop tre articoli per tre argomenti differenti anche se concatenati l'uno all'altro nel voler estenuare al massimo i lavoratori ma quelli che faticano e sudano e non quelli come lui che definire lavoratore è uno scandalo e una vergogna.
Perché come dice il detto "chi sa fa e chi non sa insegna" Poletti il paraculato nella sua vita non ha mai lavorato e questo lo si può constatare direttamente analizzando il suo curriculum vitae preso dal sito ministeriale(http://www.lavoro.gov.it/Ministero/ilMinistro/Pages/default.aspx )dove è chiaro che a parte ricoprire ruoli presidenziali senza merito alcuno ha fatto carriera leccando culi e non solo.
In altri periodi storici una merda del genere avrebbe dovuto stare molto attento ad andare in giro,ma il periodo letargico che gli italiani stanno passando fa si che possa ancora dettare legge senza opposizione alcuna,a meno che non ritorni la primavera.

Le "verità" di Luttwak e Poletti secondo Giorgio Cremaschi.

Chissà perché in questi giorni ho finito per associare Edward Luttwak a Giuliano Poletti.
Sono due persone diversissime per storia cultura e esperienze, l'uno intellettuale militante dell'imperialismo USA , l'altro burocrate un poco rozzo del pentitismo comunista. Sono persone normalmente lontanissime eppure le loro uscite di questi giorni sui mass media italiani me li hanno fatti sembrare assai vicini.
Il primo a La7 ha rivendicato con orgoglio il sostegno degli Stati Uniti ai talebani e a ciò che ne è seguito. È stato un buon affare comunque, ha detto, perché in Afghanistan è crollata l'Unione Sovietica è così l'Occidente ha visto sconfitto il suo principale nemico.
Il secondo ha dichiarato inutili le lauree con alti voti, magari conseguite in ritardo, e poi ha rivendicato la necessità di superare il concetto stesso di orario di lavoro, sostituendolo con la retribuzione a prestazione.
Io trovo che entrambi abbiano brutalmente descritto la verità. Per Luttwak la guerra si fa per conquistare potere e chi la vince, qualsiasi mezzo usi, ha sempre ragione. Non troveremo in lui le ributtanti ipocrisie sulle guerre umanitarie e democratiche. Le guerre servono a tutelare precisi interessi e per questo devono essere astute e spietate. Le guerre di Luttwak sono quelle del capitalismo liberista e globalizzato di oggi, quello santificato da George Bush padre allorché dichiarò: il nostro sistema di vita non è negoziabile e verrà difeso in tutti i modi.
Giuliano Poletti deve esercitare qualche ipocrisia in più, vista la professione, ma alla fine non scarseggia in brutalità. Il suo attacco al 110 e lode corrisponde ad un mercato del lavoro nel quale i giovani laureati vanno a fare le polpette ai MCDonald, naturalmente nascondendo il titolo di studio altrimenti non verrebbero assunti. A che serve studiare tanto se i lavori che vengono offerti non corrispondono minimamente alla cultura acquisita? Poco tempo fa ho conosciuto un ricercatore universitario che, stufo di fare la fame, aveva rilevato la bancarella del padre ai mercatini.

Poletti sta semplicemente cercando di adeguare le aspettative scolastiche alla realtà del mercato del lavoro. Nel quale serve soprattutto una piccola istruzione di base adatta alla nostra società mediatica e consumista. Solo ad una élite rigidamente selezionata, quasi sempre su basi censitarie, sarà consentito di lavorare esercitando le competenze apprese in lunghi studi.

Per la maggioranza dei giovani studiare troppo è tempo buttato. Come aveva lamentato Berlusconi, non può essere che anche l'operaio voglia il figlio dottore. Le controriforme della scuola di Gelmini e Renzi hanno cominciato ad adeguare, con i tagli, il sistema formativo al mercato del lavoro fondato su precariato e disoccupazione di massa. Meglio studiare meno e prepararsi ai lavoretti precari che verranno offerti, piuttosto che accumulare rabbia per una laurea non riconosciuta da nessuno.
Anche sull'orario di lavoro Poletti ha in fondo detto la verità. La globalizzazione finanziaria, l'euro, le politiche di austerità hanno progressivamente distrutto le secolari conquiste del mondo del lavoro. Che per avere un orario definito per la propria prestazione e ridotto a dimensioni umane e legato ad una retribuzione dignitosa, ha speso 150 anni di lotte e miriadi di vittime.

Oggi tutto è in discussione e non perché il lavoro non abbia più bisogno delle tutele conquistate, ma perché il capitale ha trovato la forza di distruggerle. Consiglierei a Poletti, che non pare persona particolarmente colta, la lettura di Furore di John Steinbeck. È la storia di una famiglia che, durante la crisi degli anni 30 negli USA, è costretta a migrare e a trovare lavoro a cottimo. E arrivano in una azienda ove si raccolgono le cassette di arance a cinque centesimi l'una, senza orario di lavoro e se non va bene via.
Il New Deal keynesiano di Roosevelt si rivolse anche contro quel sistema di sfruttamento, che oggi non a caso viene invece riproposto nell'Europa in cui, con l'austerità, trionfa il liberismo e si distruggono lo stato sociale e i diritti del lavoro.
Luttwak e Poletti sono dei reazionari, la loro visione del mondo fa venire i brividi e fa tornare indietro di secoli, ma non hanno inventato nulla. Ciò che dicono corrisponde a ciò che si fa realmente nelle nostre società malate. Quindi più che per le loro parole conviene mostrare scandalo per la realtà che cinicamente descrivono e difendono. E soprattutto conviene, quella realtà, provare a cambiarla.

da www.controlacrisi.org

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Poletti e i remi in barca.

C'è una distanza temporale di una manciata d'ore tra le dichiarazioni del ministro Poletti all'inaugurazione di Job&Orienta a Verona e i risultati del rapporto dell'Ocse, che analizza i sistemi di istruzione dei 34 paesi membri, tra cui l'Italia. Eppure sembra parlino di due posti diversi.
"In Italia abbiamo un problema gigantesco: è il tempo". Partiamo da qui: dopo aver sostenuto a più riprese che il tempo speso dai giovani italiani a formarsi sia troppo poco a scapito di quello passato in vacanza, oggi Poletti sostiene che "Prendere 110 e lode a 28 anni non serve a un fico, è meglio prendere 97 a 21". Secondo lui il problema è che "Noi in Italia abbiamo in testa il voto, non serve a niente".
Ma noi chi? Perchè l'ultima frase riportata, più che ai giovani - di cui il Ministro non è evidentemente parte - sembra quasi una frase rivolta alla governance che ha fatto dell'ideologia dei meritevoli uno dei suoi più subdoli criteri d'esclusione. E infatti, di quest'ultima egli fa certamente parte.
Ovviamente, il cooperativo Poletti non voleva velatamente attaccare le politiche di tagli che stanno devastando le scuole e le università armate di griglie di valutazione, la sua dichiarazione è piuttosto in perfetta tendenza con 'il verso' della politica del modello Renzi: quello che da anni fa ricadere costi e responsabilità della crisi su un "noi" che non comprende mai "loro", quelli al potere.
Ancora una volta il problema non sono le mancanze di chi è profumatamente pagato per occuparsi delle risorse e delle politiche del Paese, ma di chi le subisce. Se non puoi permetterti di studiare è perché non ti meriti la borsa di studio, se sei disoccupato è perché perdi tempo, se non accedi a nessun ammortizzatore sociale è perché non ne hai bisogno.
Che il voto 'non serve a niente' i giovani italiani lo sanno bene. Non tanto perché c'è un mondo di esperienze che li aspetta fuori dalle aule, quanto perché non importa dove e quanto prendono come voto di laurea, la scelta sarà sempre tra disoccupato o malpagato! E infatti stando ai dati Ocse in italia la media percentuale dei giovani laureati è tra le più alte mentre quella dei 'giovani laureati occupati' è la più bassa.
A poco serve che Poletti chiarisca che non vuole dare del choosy o bamboccione a nessuno. Oggi il rapporto con i giovani, e con chiunque pensi di aspirare a un futuro migliore facendo sentire la propria voce, è caratterizzato da insulti ben più velati.
Non sia mai che il-potere-ai-tempi-di-matteo si metta a indicarci la rotta dall'austera distanza di una cattedra! Del resto Poletti preferisce uscire dalla barca e schierare la polizia armata, caso mai ci venisse in mente di prendere il timone!

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Io Boeri, lui Poletti, siamo in società...

E dopo le parole di Poletti sulla necessità di abolire l'antiquata corrispondenza tra ora lavorata e salario, arrivano come un orologio svizzero le parole-corollario sulle pensioni di Boeri, presidente dell'INPS. Questi ieri si è soffermato sulla necessità per la generazione '80 di scordarsi di fatto ogni ipotesi di una vecchiaia degna, abituandosi sin da ora ad un futuro fatto solo di lavoro, lavoro, lavoro. Con un tasso di crescita costante dell'1% da qui al 2050, il 35enne medio dovrà lavorare fino a 75 anni per ottenere poi una pensione di un quarto di quelle attualmente spettanti a chi si ritira dal mondo del lavoro. Una prospettiva fenomenale.
La realtà è che sulla questione del lavoro si gioca una partita narrativa sempre più complessa, dove i dati vengono oscurati o diffusi a seconda delle necessità politiche. Ad esempio i dati sulla disoccupazione non scendono in alcun modo, nonostante le panzane del governo e dei media; le uniche avvisaglie di ripresa del mercato del lavoro sono derivate dai dati “drogati” dagli incentivi alle assunzioni assicurate dal JobsAct, che riguardano solo le grandi aziende, che attraverso il licenziamento facile mettono incertezza sui consumi, bloccando la ripresa economica di lungo periodo, che produrranno solamente una bolla alimentata fino a quando si vorrano mettere quattrini nel fondo ad hoc.

Cresce intanto il numero degli inoccupati, ovvero di chi ha smesso di cercare lavoro perchè è sicuro di non riuscire a trovarlo: è questo il vero termometro del mercato del lavoro, un dato non a caso sempre meno diffuso nelle tabelle dei talk show che devono anch'essi necessariamente orientarsi alla lotta contro i gufi del ducetto toscano.

Verrebbe da chiedersi: ma di quale lavoro stanno parlando il gatto e la volpe? Di quello precario, dove i contributi sono inesistenti? Di quello a chiamata? Del cottimo tanto amato dall'ex presidente di Legacoop? Dell'indeterminato a tutele crescenti e a licenziamenti costanti? Questo “lavoro” assume sempre più una impronta mitologica, un santo graal cosi difficile da trovare che una volta acchiappato diventa comportamento inaccettabile lamentarsi delle condizioni a cui questo si svolge, perfino quando ad esempio il sempre più diffuso meccanismo del voucher configura meccanismi di vera e propria rapina nei confronti del lavoratore.

L'azione di Poletti e Boeri sembra sempre più allora essere incentrata su un'intenzione pedagogica, con la volontà di ridisegnare le formae mentis al fine di abituarle ad una realtà dove non esiste alcun diritto acquisito e dove ogni retaggio di welfare deve essere demonizzato (Poletti) o reso una totale chimera (Boeri).  A tutto questo fa da cornice la narrazione dell'ottimismo renziano, con il mantra dell'dell'”uno su mille ce la farà” che ha sempre più centralità, spostando sul piano della competizione e della meritocrazia un atteggiamento che dovrebbe necessariamente, per le condizioni in cui siamo, essere dominato da solidarietà e rivendicazione collettiva.

L'obiettivo è spingere sempre di più in basso i livelli di accettazione dello sfruttamento, intensificare sin dalla più tenera età (a che serve la laurea?) la disponibilità a piegare la testa,  in una dinamica dove il dispositivo dell'economia della promessa si ri-disegna ogni volta abbassando via via lo standard del contenuto definitivo di quella promessa.

All'azione istituzionale si aggiunge poi quella mediatica, con personaggi dello squallore di Gramellini che inneggiano alla necessità da parte dei giovani, dei trentenni di impegnarsi, di ribellarsi per cambiare lo stato di cose “catatonico” (ma cosa diceva la Stampa di Expo?) . Il solito appello paternalistico che poi però contemporaneamente dà a Boeri del galantuomo, per aver sollevato il problema a differenza di altri personaggi che in passato avevamo “sepolto” la questione..come se avessimo bisogno di queste nuove dichiarazioni per capire che il futuro di milioni di persone coinciderà con un costante sfruttamento fino alla tomba!

Sul piano economico complessivo, la volontà sottostante a tutto questo bailamme di dichiarazioni è quella di americanizzare -  nell'approccio neoliberista più sfrenato - il sistema delle prestazioni sociali (dalla sanità, alla scuola, ora le pensioni). La svendita e la dequalificazione di questi ambiti si lega a doppio filo all'avanzare del sistema della previdenza privata e della riconfigurazione del welfare su basi censitarie, dove – ancora una volta – saranno soltanto i garantiti/solvibili del blocco sociale renziano a poter galleggiare mentre l'enorme racaille che compone il proletariato giovanile e migrante dovrà arrangiarsi in qualche modo per sopravvivere.

Ad ogni modo, l'idea di lavorare più a lungo in relazione all'aumento della speranza di vita cozzerà necessariamente con le realtà di esistenze senza dubbio meno agiate di quelle della generazione precedente. Saremo curiosi di vedere se quando l'aspettativa di vita di una generazione sempre più segnata da stress, precarietà, alimentazione nociva e via di questo passo, ci sarà una corrispettiva riduzione dell'età del congedo..ma non abbiamo molta fiducia in questo. Si pone la necessità di capire come intercettare il malcontento diffuso che già ora agita i nostri quartieri, le nostre periferie..è necessario attrezzarci per farlo!

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