Quest'ultima mascherata da motivo economico o disciplinare potrebbe benissimo mascherare una discriminante verso il lavoratore che pretende a ragione determinati compensi,sicurezze e l'applicazione delle norme che costituiscono la carta dei diritti del lavoratore stesso.
L'esempio riportato è un colloquio tra un operaio licenziato ed un avvocato sulla disputa tra il primo ed il suo padrone,che l'ha lasciato a casa per un chiaro motivo discriminante e che,a detta del proprio difensore,non saprà se sarà reintegrato al suo posto oppure venga solamente risarcito con un'indennità o che la sua richiesta non venga nemmeno accettata.
Il tutto perché la norma scritta com'è adesso è ambigua e anche nel caso di aver ragione l'operaio licenziato potrebbe non venire reintegrato ma solamente indennizzato,e questo a discrezione del giudicante.
Come a dire,hai ragione,ti diamo un contentino ma comunque il tuo padrone è riuscito ad ottenere quel che voleva,ovvero lasciarti a spasso,una legge tutta italiana.
Art. 18: ecco quel che sarà
Dialogo immaginario fra un licenziato e un avvocato dopo la truffa della riforma dell'art.18
Proviamo ad immaginare un dialogo tra un lavoratore licenziato, a suo dire, ingiustamente e l'avvocato al quale si rivolge per ottenere giustizia. Ovviamente dobbiamo immaginare che questo dialogo si svolga dopo l'entrata in vigore di questa legge di riforma dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori che ho giù definito “idiota” ma sto ancora cercando il termine più corretto che, tuttavia, al momento non mi sovviene.
Ebbene, sipario:
Avvocato: “Buongiorno, mi dica”
Lavoratore: “Avvocato, guardi questa lettera. Mi è arrivata stamani. Mi hanno licenziato. Dice: “per motivi economici”.
Avvocato: “Mi faccia vedere. Dunque, l'azienda è la Furbex S.r.l., un'azienda di trasporti; che lei sappia ha più o meno di quindici dipendenti?”
Lavoratore: “Ne avrà una trentina”.
Avvocato: “Ho capito. Dunque, qui dice che l'azienda negli ultimi periodi ha subito una flessione e che le previsioni per il prossimo anno non sono rosee per cui ha deciso di licenziarla.”
Lavoratore: “A parte che non è vero e che lavoriamo più di prima, qui la questione è un'altra. A me mi hanno licenziato perché ho fatto una denuncia all'USL e all'ispettorato per via delle troppe ore di straordinario che facciamo che, visto che il nostro lavoro consiste nel guidare un TIR, mettono a repentaglio la nostra sicurezza e quella degli altri”.
Avvocato: “Lei ha una copia della denuncia che ha fatto?”
Lavoratore: “Certo che ce l'ho e comunque lo sanno tutti i colleghi”
Avvocato: “Che cosa è successo a seguito di questa denuncia?”
Lavoratore: “E' successo un macello. Il capo è venuto subito da me e mi ha minacciato di mandarmi via, mi ha detto che sono un disgraziato e che così rovinavo lui e tutti noi, che non capivo niente”
Avvocato: “Questo dialogo è avvenuto alla presenza di testimoni?”
Lavoratore: “No, eravamo soli”.
Avvocato: “Vada avanti”
Lavoratore: “Niente, si è incazzato con me quella volta lì e poi basta, tutto è continuato più o meno come prima per un paio di mesi, poi è arrivata questa lettera ed eccomi qui. Avvocato, ma si può far qualcosa o no?”.
Avvocato: “Che vuole che le dica... lei da me vuole una risposta secca ed è giusto che la pretenda ma io in tutta onestà una risposta secca alla sua domanda non gliela posso dare e non per cattiva volontà ma perché una risposta alla sua domanda non c'è più”.
Lavoratore: “che vuol dire, mi scusi?”
Avvocato: “vuol dire che prima della riforma dell'art. 18 le avrei detto cose completamente diverse da quelle che lo ho appena detto. Anzi, prima della riforma dell'art. 18 io e lei non ci saremmo neanche incontrati perché il suo capo, che è ben informato e a quanto pare·sa muoversi, non l'avrebbe licenziata”.
Lavoratore: “Avvocato io non ci capisco niente di articoli e sono qui apposta da lei per avere un aiuto. Io so solo che quel bastardo mi ha mandato via perché io ho detto all'USL che io e i miei compagni dormivamo sui camion, guidavamo 13 ore al giorno e nell'ultimo anno gli incidenti stradali erano raddoppiati e gli ho detto anche che ci faceva taroccare i dischi cronotachigrafi per non farci beccare dalla stradale”
Avvocato: “Questo a me è evidente ma ora mi ascolti con attenzione perché le devo spiegare cosa sarebbe accaduto se questo licenziamento fosse avvenuto prima della riforma dell'art. 18 e quello che, invece, accade a seguito di quella stessa riforma. Prima in Italia si poteva licenziare solo in presenza di una giusta causa o di un giustificato motivo. Se questi motivi non erano veri e si era in grado di dimostrarlo, si poteva andare davanti ad un Giudice a chiedere la reintegra nel posto di lavoro. Il Giudice, se accertava che quel licenziamento era infondato e cioè era stato posto in essere senza una giusta causa o un giustificato motivo, doveva reintegrare il lavoratore nel suo posto di lavoro, condannare il datore a corrispondere tutte le mensilità non percepite dalla data del licenziamento a quella della effettiva reintegra oltre ad un eventuale ulteriore risarcimento del danno. Quindi nel suo caso, tanto per capirci, se lei mi avesse fatto quella domanda che mi ha fatto prima e cioè “si può fare qualcosa?” io le avrei risposto “si”.”
Lavoratore: “E invece ora?”
Avvocato: “E invece ora le devo rispondere “non lo so” e non perché non abbia studiato a fondo la riforma ma proprio perché l'ho studiata a fondo. Le spiego: dopo la riforma la reintegra obbligatoria è prevista solo per i licenziamenti discriminatori. Per quelli disciplinari e per quelli per motivi economici il giudice, se accerta che il licenziamento è illegittimo non è automaticamente obbligato a reintegrare il lavoratore ma può scegliere tra la reintegra e un risarcimento del danno da 12 a 24 mensilità. Le leggo la norma “Il giudice, nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza dei fatti contestati ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni della legge, dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro di cui al primo comma e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione”. Quindi se il giudice decide che i fatti contestati sono insussistenti c'è la reintegra. La norma dopo la riforma però poi dice anche: “Il giudice, nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all’anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo.”. Quindi se il giudice decide che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo o della giusta causa il giudice non reintegra ma stabilisce un risarcimento del danno.”
Lavoratore: “E quindi?”
Avvocato: “E quindi che differenza c'è tra dire che i fatti posti a fondamento del licenziamento non sussistono e dire che non ricorrono gli estremi del licenziamento?”
Lavoratore: “Non lo so”
Avvocato: “Ecco, non lo so nemmeno io e senza troppa modestia le posso dire che non lo sa nemmeno quello che ha scritto questa schifezza”.
Lavoratore: “Ma scusi e allora io cosa devo fare?”
Avvocato: “Lei può impugnare il licenziamento prima con una lettera che deve inviare entro 60 giorni al datore di lavoro e poi, nel caso in cui, come sempre avviene, questa lettera non sortisca alcun effetto, entro 180 giorni, con un ricorso al giudice del lavoro nel quale deve dimostrare che il licenziamento è illegittimo. Se ci riesce, se ci riusciamo, il giudice dovrà spiegarci cosa significa secondo lui quella frase e decidere se ci troviamo in un caso in cui non ricorrono gli estremi del licenziamento o in un caso in cui i fatti posti a fondamento del licenziamento non sussistono sempre che questa differenza abbia un senso. Nel primo caso le riconoscerà una somma a titolo di risarcimento del danno e nel secondo la reintegrerà nel posto di lavoro”.
Lavoratore: “E secondo lei?”
Avvocato: “Guardi quello che penso io non conta niente. Conta quello che penserà il Giudice ed io non lo so e non lo posso sapere quello che penserà, non so neanche se tutti i giudici la penseranno allo stesso modo, se interverrà la Cassazione, la Corte Costituzionale, il Papa o qualcun altro a farci capire questa cosa incomprensibile”
Lavoratore: “Ma scusi ma il mio non è un licenziamento discriminatorio? Lui mi ha discriminato perché l'ho denunciato o un licenziamento disciplinare? Non si può dire questo?
Avvocato: “In teoria lei ha ragione ma nella lettera di licenziamento il datore di lavoro ha qualificato il licenziamento come “economico” e cioè dipendente da motivazione di ordine produttivo, organizzativo, tecnico, etc. e quindi noi, se impugniamo un licenziamento economico ed il giudice lo ritiene illegittimo comunque non c'è la certezza della reintegra. Mi pare ovvio che se uno è in crisi e ha trenta dipendenti licenziandone solo uno non migliora le cose e quindi il licenziamento è clamorosamente nullo senza bisogno di dare tante spiegazioni.”
Lavoratore: “Insomma, io non ho fatto niente di male, non è vero che l'azienda va male e il motivo per cui sono stato cacciato è perché non volevo morire su un camion o far morire qualcun altro e rivoglio il mio posto di lavoro cosa devo fare?”
Avvocato: “Deve fare quello che lo ho detto ma anche se dovesse vincere la causa, se emergesse, cioè, dall'istruttoria che il suo licenziamento è illegittimo, non le posso assicurare che alla fine verrà reintegrato nel posto di lavoro. Questo è il paese in cui viviamo, mi dispiace”.
Lavoratore: “Mi scusi avvocato io non sono uno che fa piagnistei o fa scene o cose del genere ma a mio figlio che gli devo dire? A mio figlio che cosa devo insegnare dopo questa storia? Che si deve stare sempre zitti altrimenti si finisce male e oltretutto non c'è neanche una giustizia che rimette le cose a posto? Me lo dica lei.”
Avvocato: “Il mio lavoro è prima di tutto quello di dirle la verità e la verità è che la giustizia ora le cose a posto non ce le mette più”.
Lavoratore: “Senta avvocato la ringrazio, ci devo pensare, devo pensare a un sacco di cose, poi le faccio sapere”.
Avvocato: “La capisco, solo si ricordi che ha 60 giorni per impugnare il licenziamento altrimenti perde il diritto”.
Lavoratore: “Mi sa che il diritto l'ho già perso, lo abbiamo perso tutti.”
Avvocato: “Mi sa di si”.
Lavoratore: “Arrivederci”
Avvocato: “Arrivederci”
Ogni riferimento a fatti o a persone è assolutamente voluto e tragicamente reale.
Marco Guercio
tratto da· http://marcoguercio.blogspot.it/
6 aprile 2012
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