giovedì 22 giugno 2017

LE ENNESIME CONDANNE DI STRASBURGO PER IL REATO DI TORTURA


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L'Italia,quasi sempre nel male che nel bene,deve sempre differenziarsi da quello che si fa nel resto dell'Europa,e la discussione sul reato di tortura è sempre stato motivo di richiamo da parte di Strasburgo e della Corte europea dei diritti umani.
Abbozzando una legge su questo infame reato(madn una-legge-che-ha-perso-il-suo significato originario )arrivando addirittura all'astensione dall'approvazione del suo primo firmatario in quanto ci sono stati tagli ed omissioni nel proseguo della stesura del testo,l'Europa nuovamente ci tira le orecchie in quanto le leggi italiane sono inadeguate a punire e prevenire gli atti di tortura delle forze dell'ordine e condannato il belpaese per non avere punito in modo adeguato i responsabili degli atti compiuti ai danni di diverse persone.
Ogni riferimento alla Diaz è ovvio in quanto al contrario c'è stata gentaglia che per quella macelleria messicana è stata promossa di grado(De Gennaro,Scajola,Mortola solo per citare qualche nome,vedi anche:madn la-nomina-della-vergogna )e ancora in Italia non esistono accertamenti per l'uso di droghe da parte dei poliziotti e non esistono numeri identificativi sulle divise(madn identificazione-e-test-antidroga.obbligatori per gli sbirri )anche se si dovrebbe fare una selezione mentale innanzitutto.
Della prima parte dell'articolo la fonte è Repubblica(news/reato_tortura )mentre la seconda parte strettamente collegata alla questione della tortura e dell'abuso in divisa(contropiano chi ci-difende-dalla-polizia? )ci racconta dell'uso sempre più sistematico della violenza e della repressione da parte delle forze del disordine dopo i decreti Minniti.
Prendendo ad esempio gli ultimi fatti di Roma(intimidazioni ad un avvocato e a tutta la gente attorno a lui durante la giornata internazionale del migrante),di Aulla e della Lunigiana(madn piccoli-sceriffi-torturatori-di.provincia )e Torino(madn la-politica-del-manganello-dopo-i disastri di piazza san carlo ).

Reato di tortura, da Strasburgo un'altra condanna all'Italia per la Diaz.

La Corte europea dei diritti umani definisce "inadeguate" le leggi italiane in relazione alle violenze nella scuola Diaz durante il G8 di Genova del 2001. Ma la riforma che prevede l'istituzione del reato oggi ha avuto il via libera il Commissione giustizia e lunedì il testo torna in Aula a Montecitorio.

Strasburgo-Le leggi italiane sono inadeguate a punire e quindi prevenire gli atti di tortura commessi dalle forze dell'ordine. L'ha stabilito la Corte europea dei diritti umani che ha condannato ancora una volta l'Italia per gli atti di tortura perpetrati dalle forze dell'ordine nella notte tra il 20 e 21 luglio 2001 nella scuola Diaz, ai margini del G8 di Genova, ai danni di diverse persone. La Corte ha anche condannato l'Italia per non aver punito in modo adeguato i responsabili.

La condanna emessa oggi dalla Corte di Strasburgo ricalca, in sostanza, quella che i giudici avevano pronunciato due anni fa sul caso di Arnaldo Cestaro, in cui domandavano all'Italia di introdurre il reato di tortura nell' ordinamento nazionale. E segue di un giorno la lettera inviata alle autorità italiane dal commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa, Nils Muiznieks, in cui sono espresse preoccupazioni per il testo ora all'esame del Parlamento italiano.

A presentare ricorso contro l'Italia per le torture subite alla Diaz, nonché per la mancata identificazione e quindi condanna, dei responsabili e l'assenza di un reato di tortura nella legislazione italiana, sono state 42 persone di varie nazionalità che all'epoca dei fatti avevano tra i 20 e i 64 anni. Il ricorso è stato inviato alla Corte di Strasburgo all' inizio del 2013 e comunicato al governo affinché potesse difendersi il 10 novembre 2015, 4 mesi dopo che la Corte di Strasburgo aveva condannato per la prima volta l'Italia, nel caso Cestaro, esattamente per gli stessi motivi.

La sentenza di oggi stabilisce che i ricorrenti sono stati torturati, i responsabili non sono stati puniti come avrebbero dovuto e l'Italia non ha una legge che criminalizzi adeguatamente e quindi prevenga la tortura. La Corte, che ha radiato dal ruolo 13 dei ricorrenti, ha riconosciuto agli altri 29 indennizzi che variano tra i 45 e 55 mila euro per danni morali.

LE SEI RIFORME DA NON TRADIRE PRIMA DEL VOTO

Davanti ai giudici di Strasburgo sono ancora pendenti diversi ricorsi, sempre incentrati sul reato di tortura, relativi ai fatti del G8 di Genova, in particolare a quanto accaduto nella caserma di Bolzaneto. Si tratta in particolare dei ricorrenti che non aderito al patteggiamento raggiunto con alcune delle vittime del Bolzaneto dal governo italiano lo scorso aprile sulle cause intentate presso la Corte.

Il riconoscimento del reato di tortura è una delle sei riforme indifferibili che il governo dovrebbe, per civiltà, riuscire a chiudere prima della sua scadenza.

In questo senso, oggi un piccolo passo avanti è stato fatto: la commissione Giustizia della Camera ha dato il suo via libera all'istituzione del nuovo reato di tortura. L'organo parlamentare, guidato da Donatella Ferrante (Pd), ha votato il mandato al relatore Franco Vazio (Pd), di riferire sul provvedimento lunedì 26 giugno, giorno il cui il provvedimento va alla Camera.  Il testo, che è stato approvato senza modifiche così come licenziato dal Senato, arriverà a Montecitorio alla sua quarta lettura: dopo l'approvazione del Senato nel marzo 2014, il provvedimento era stato approvato dalla Camera con modifiche il 9 aprile 2015. Il Senato lo ha poi approvato con ulteriori modifiche il 17 maggio 2017.

La commissione giustizia della Camera ha respinto tutti gli emendamenti dunque il testo che approda in aula è identico a quello trasmesso dal Senato e fortemente contestato da chi ne fu il primo relatore, Luigi Manconi, diverse associazioni tra cui Amnesty international e Antigone e anche da Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, morto nel 2009 mentre si trovava in arresto per
detenzione di sostanze stupefacenti: lascerebbe aperte molte ambiguità ed è lontano dagli standard internazionali del diritti umani. Lunedì in aula si svolge la discussione generale ma l'esame del testo potrebbe slittare alla settimana successiva.

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Chi ci difende dalla polizia?

Torino, Roma, Aulla. Tre punti segnano un cerchio. E in questo paese i “punti critici” che si vanno accumulando sono così tanti che ormai ci si potrebbero tracciare molti cerchi concentrici. Insomma, un bersaglio da poligono…
Mettiamo in fila solo i fatti degli ultimi giorni, con al centro le varie polizie operanti sul territorio e tralasciando tutti i casi in cui ad essere coinvolti sono stati gli attivisti sociali o sindacali.
In Lunigiana, territorio da decenni privo di qualsiasi serio problema di criminalità o conflitto sociale, due intere stazioni dei carabinieri sono state messe sotto inchiesta – con arresti, sospensioni dal servizio, avvisi di garanzie e intercettazioni – perché da anni angariavano chiunque capitasse loro a tiro: piccoli spacciatori, immigrati, tossicodipendenti e persino una sarta “rea” di aver chiesto troppo per un lavoro. Un caso, un bel cesto di “mele marcite”, ma non confondete la parte con il tutto, le forze di polizia sono sane…
A Roma, martedi, per la giornata internazionale del migrante – iniziativa dell’Onu, tramite l’Unhcr (presieduta a lungo da Laura Boldrini…) – si teneva al Pantheon una tranquillissima chiacchierata pubblica sul tema, con ovvie critiche all’”Europa dei muri e dei respingimenti”, in linea con quanto andava dicendo in quei minuti Papa Bergoglio. Un giovane avvocato che ha seguito diversi casi giudiziari è intervenuto criticando – sul piano tecnico-giuridico – l’impianto del famigerato “decreto Minniti” in materia di immigrazione (ora diventato legge grazie anche ai voti dei bersanian-dalemiani…). La polizia è allora scattata in modo molto minaccioso, forzando l’avvocato a mostrare i documenti per l’identificazione. Alle proteste degli astanti, il folto plotone di poliziotti li ha circondati e identificati tutti (compreso forse qualche turista di passaggio).
A Torino ieri sera, una folle carica contro tutti i cittadini che in piazza Santa Giulia stavano passando una normale serata d’estate. Pretesto: alcuni agenti, poco prima, era stati allontanati dalla folla dopo una lunga serie di “accertamenti” condotti in modo decisamente invadente. Il “pattuglione” (diversi blindati pieni di uomini in assetto da battaglia) che sembrava essersi allontanato è ricomparso a quel punto all’improvviso scatenandosi in un pestaggio di massa che ha lasciato di stucco anche La Stampa (mentre trovava l’infame plauso di Repubblica).
Che cosa scateni la piazza e la violenza è un mistero. Davanti ad un locale volano i primi spintoni, e i poliziotti vengono allontanati. Cade a terra un oggetto. I filmati lo mostrano. Sembra una radio. Gli agenti in borghese tornano indietro per riprenderselo. Chi li insegue cerca di appropriarsene. Ed è il delirio. Volano calci, pugni, spintoni. I 100 o forse più che protestano si scatenano. È un attimo e la scena cambia ancora. In piazza ripiombano gli agenti del reparto anti-sommossa. Entrano in massa da via Giulia di Barolo e travolgono tutto. Vanno a dare la caccia a chi ha aggredito i colleghi in borghese. Manganelli e gente in fuga. Tavolini e sedie travolti. Botte davanti ai bar e bottiglie che volano, la tranquilla movida di Vanchiglia diventa battaglia, e non è un’esagerazione. Volano sedie e si schiantano piatti, bicchieri caraffe e bottiglie. Chi cena fugge terrorizzato. Ancora botte davanti ai locali. Urla, pianti, e sirene e altri agenti.
Nel bar dove fanno l’aperitivo, dove ci sono mamme con i piccoli in braccio, papà che giocano e scherzano, la gente si rifugia nel locale. Manganellate anche lì. E la gente scappa. Sono dieci minuti di delirio. Che lasciano un tappeto di rottami.
E che questa sia una reazione isterica della piazza lo si è visto qualche attimo prima che gli agenti in borghese e la dottoressa che dirigeva il servizio fossero assaliti. Lo si è visto quando dei ragazzi «normali» si sono messi ad urlare insulti e minacce in faccia ad una incolpevole poliziotta senza divisa: «Vai via p…! Devi andare via da qui. Vai via».
Ci scuserete la lunghissima citazione da La Stampa, ma bisognava lasciar parlare un cronista che certo non è accusabile di pregiudizi nei confronti degli agenti. Solo così, infatti, emerge la logica spietata della rappresaglia messa in pratica dal “pattuglione”. Che a sua volta era una invenzione di quel Mario Scelba, negli anni ‘50-’60, eredità diretta delle squadracce fasciste inquadrate nella Milizia.
E’ una logica che inquadra la popolazione – tutta la popolazione – come potenziale nemico, oppure come mandria da guidare e disciplinare a colpi di frusta, contando sul banale principio militare per cui uno squadrone sottoposto a un comando centralizzato, addestrato a tecniche e tattiche militari anche elementari (da coorte romana, per capirci), è comunque più forte di una massa di persone prese a caso, davanti al pericolo costretta ad agire istintivamente come un branco.
Due sono gli elementi politici che ci sembra emergano da questi e ormai molti, troppi, altri episodi.
Nel governo centrale e ai vertici delle varie polizie si è preso atto di non avere più molti margini di mediazione sociale. I tagli alla spesa pubblica, imposti dall’Unione Europea e dalla Troika, impediscono di affrontare il conflitto (o anche solo il malessere) sociale con i classici strumenti del soft power riformista (compra, rassicura, sopisci, elargisci). Il decreto Minniti sull’ordine pubblico – gemello di quello contro i migranti, firmato anche dal ministro Orlando – formalizza nero su bianco l’impossibilità di usare altri strumenti al di fuori della forza della repressione. E dunque affida alle varie polizie poteri e margini d’azione prima impensabili, sottraendoli – nella misura del possibile (Aulla è troppo oltre…) – al vaglio della magistratura.
Non è una novità. Esattamente come il Jobs Act ha legalizzato forme di sfruttamento del lavoro prima illegali (ma non perseguite), così i “decreti Minniti” legalizzano comportamenti delle cosiddette “forze dell’ordine” prima perennemente a rischio di inchiesta penale.
Una decisione politica che prova ad anticipare il momento in cui il prevedibile conflitto sociale prossimo venturo potrebbe andare “fuori controllo” (se non c’è più mediazione possibile, sono incerti solo tempi e modalità).
Il secondo elemento è derivato, e pericolosissimo. Dalla massa degli uomini in arme e divisa, questo “legalizzazione” è stata capita come autorizzazione ad annullare i residui freni inibitori. Le scene di Torino raccontano di un apparato legalizzato che agisce largamente con motivazioni proprie e non istituzionali. Lo stesso precedente invocato a scusante (http://www.lastampa.it/2017/06/18/cronaca/carabinieri-aggrediti-ai-murazzi-durante-un-controllo-sui-venditori-abusivi-di-bibite-HWy9AHKqIgOZ9O8J75nP7I/pagina.html) è in realtà è una conferma piena di questa deriva in stile posse combattente.
E’ uno squarcio aperto sul futuro prossimo più infame. Quello in cui i “corpi intermedi” (partiti, sindacati, associazioni, ecc) vengono sostituiti dalle guardie dello sceriffo di Nottingham.
Un “mondo nuovo”, come si intuisce dalle immagini di Torino, che troppo somigliano a quelle viste a Genova nel luglio 2001. 

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