venerdì 2 giugno 2017

LA GUERRA TRA ALFANO E RENZI


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Per la serie"c'eravamo tanto amati"ecco che Alfano,dopo il divorzio con Berlusconi,senza poterci fare più di tanto annuncia la separazione quasi consensuale da Renzi,da un pagliaccio ad un altro la vita politica dell'attuale Ministro degli esterni,il servo per eccellenza ora Presidente di Alternativa Popolare che alle prossime elezioni(se dovesse rimanere il modello"tedesco"sul quale quasi tutti sembrano aver trovato la quadra)se ne starebbe a casa.
Perché la soglia del 5%(ma nel suo caso anche molto meno)è troppo alta per potergli permettere l'ingresso nella nuova legislatura a meno di clamorosi ritorni oppure di fantasiose alleanze con che è fuori dalla destra e dalla pseudo sinistra che alternativamente si sono divisi l'Italia negli ultimi vent'anni.
L'articolo di Huffington Post(angelino-alfano-renzi )parla dello scorso febbraio e dei sotterfugi tra Renzi e Ap che volevano far cadere il governo Gentiloni con il giullare fiorentino(in quel periodo a casa)pronto a far scrivere agli alfaniani la nuova legge elettorale,una faida all'interno del Pd e un tentativo di rovesciare il governo già illegittimo con una manovra ancor più destabilizzante.
Che ha già fatto molto clamore in tutto il mondo politico al di fuori del Pd che ovviamente parla di ignobili accuse che se dovessero essere approfondite ed appurate costituirebbero un grave reato per i protagonisti implicati,o almeno dovrebbe essere così.

Anche gli alfaniani, nel loro piccolo, si arrabbiano: "Renzi vuole far cadere Gentiloni per la sua bramosia di rivincita".

Progetto di un'alleanza con Casini, Fitto e Parisi. Il segretario Pd: "Mi dispiace, resteranno fuori dal Parlamento".

"Non potevamo dirlo a febbraio, perché avrebbe creato la crisi allora". Anche gli alfaniani, nel loro piccolo, si arrabbiano. L'accelerazione impressa da Renzi alla legge elettorale ha fatto suonare la campana per Alleanza Popolare. È la fine di un amore politico: "Tra noi e il Pd la collaborazione è finita", sentenzia Angelino Alfano dopo la direzione di partito. Sono le note finali su quattro anni di Governo insieme. Volano stracci: "A me dispiace per il partito di Alfano, perché se sarà approvata la legge elettorale i piccoli partiti non andranno in Parlamento. Quindi è comprensibile il nervosismo, non sono abituati a lasciare le poltrone. Io ho fatto cadere il mio di governo", ribatte Renzi al Tg1.

Sergio Pizzolante, il deputato di Ap che ha rivelato le pressioni del segretario dem sugli alfaniani per far cadere il governo Gentiloni già a febbraio, usa parole meno edulcorate: "Renzi è un bugiardo, a lui non interessa nulla della legge elettorale, vuole solo appagare la sua bramosia di rivincita". Rivincita post-referendum costituzionale, spartiacque della legislatura. "Viene da pensare che le sue dimissioni fossero finte, come anche la sua commozione nel discorso che ha fatto la sera del 4 dicembre". I principali alleati di Renzi ne diventano i suoi più perfidi accusatori, lo accusano di aver brigato per far cadere il Governo, di voler pugnalare Gentiloni, dopo Enrico Letta. E solo per ritornare nel Palazzo. "Ha barattato, era disposto a farla con chiunque pur di andare al voto. Prima voleva la legge del "sindaco d'Italia", poi è passato a un sistema ipermaggioritario, ora gli sta bene il proporzionale puro".
L'atmosfera è da fine impero. E, al netto dell'ottimismo ostentato in pubblico, la "partita del 5%" è ben lontana dall'essere vinta . Il proporzionale del "Tedesco", però, si accompagna con la suggestione di un ritorno alla prima Repubblica, quando i partiti minori facevano il bello e il cattivo tempo nelle maggioranze di governo. È la battaglia della vita per un partito nato dal nulla e che finora non si è mai misurata con le urne nelle competizioni che contano. L'idea è questa: mettere insieme un nuovo partito, senza pregiudizi, con chi è rimasto fuori dai "grandi". L'invito è rivolto Lorenzo Cesa, Pier Ferdinando Casini, Raffaele Fitto, Flavio Tosi e Stefano Parisi. Intanto l'occhio degli alfaniani sono puntati sul Movimento 5 Stelle: i grillini non si sono ritirati dall'accordo ma l'intesa è in bilico.
Durante una riunione congiunta di deputati e senatori si sono spaccati. Diversi parlamentari hanno espresso il loro malumore per una legge elettorale che di fatto rischia di produrre l'ennesimo Parlamento di nominati. È chiaro che uno stop dei pentastellati potrebbe riaprire le danze. Perché se i grillini si chiamassero fuori, il Pd si ritroverebbe da solo con Forza Italia, più qualche voto raccattato tra i gruppi minori al Senato, nell'approvazione della legge elettorale. Verrebbe letto come un primo assaggio dell'inciucio che già si intravede nella prossima legislatura. Il ritorno del Nazareno che già tanto è costato al Partito Democratico: il malumore degli orlandiani potrebbe tradursi in vera rottura con la maggioranza renziana.
"'Fate cadere il governo perché io non posso, in cambio vi prometto qualcosa di assolutamente valido'. Vi pare un leader serio? Noi abbiamo rispedito l'offerta al mittente. Ma a Renzi dico che ci rivedremo in Parlamento", dice Roberto Formigoni. Accuse che vengono subito riprese dal fronte dell'opposizione: "Renzi, per una volta, dica la verità", chiede il leghista Calderoli, "la deve ai cittadini e al suo partito". Luigi Di Maio non usa i guanti: "Siamo davanti ad un rischio enorme per la democrazia, quel rischio si chiama Matteo Renzi. Il ricatto al suo successore a Palazzo Chigi è inaccettabile, usa il Parlamento come il tabellone del risiko". Dalla denuncia di Pizzolante emerge "uno scenario eversivo", afferma il vicepresidente della Camera.

Musica per le orecchie degli alfaniani che assicurano il loro sostegno a Gentiloni: "Noi continueremo a sostenere il governo e non faremo ostruzionismo sulla legge elettorale. Accettiamo la sfida del 5% e non presenteremo emendamenti per abbassarla". Il 5%, però, è ancora lontano.

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