lunedì 31 ottobre 2016

CONTINUANO LE PROTESTE DEI SIOUX LAKOTA

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Già nello scorso mese di maggio avevo dedicato un post alla lotta dei sioux Lakota che stanno difendendo strenuamente il loro territorio nello Stato del Nord Dakota dalle mani di affaristi che vogliono far passare nel sottosuolo una conduttura per idrocarburi mettendo in minaccia certa le falde che danno l'acqua a tutta la zona(vedi:madn la-protesta-dei-nativi-americani ).
Un'opera enorme che attraversa più Stati e che vede nella terra di questi indigeni gruppi solidali in difesa dell'acqua e che ha visto già scontri con la polizia che hanno arrestato decine di manifestanti in più risprese.
Forme di protesta simili a quelle dei No Tav italiani con blocchi di strade e di cantieri e azioni di sabotaggio con gli stessi risultati repressivi,articolo preso da Earth Riot(earthriot ).

North Dakota, scontri a Standing Rock: violenze su protettori dell’acqua (AGGIORNATO).

Da mesi, ormai, in North Dakota si sta tenendo una battaglia per la difesa della Terra Sioux Lakota e per proteggere l’acqua, risorsa vitale per eccellenza, dalla realizzazione del Dakota Access Pipeline.
Si tratta di una conduttura per il trasporto di petrolio e greggio che, se attivata, attraverserà la Terra sacra dei Sioux, passando attraverso l’Iowa per giungere sino in Canada, minacciando le risorse idriche sotterranee.
La resistenza nata a Standing Rock attraverso le prime manifestazioni e blocchi dei macchinari, si è quindi estesa per tutto il Mississippi.
Sabato 22 ottobre le operazioni repressive condotte dalle forze di polizia contro i resistenti (componenti del popolo Sioux ai quali in questi mesi si sono riunite molte altre tribù indigene e solidali dei paesi limitrofi) si sono fatte più violente, portando all’arresto di circa 127 persone.
La polizia, in assetto anti-sommossa, ha caricato una manifestazione organizzata dai protettori dell’acqua per onorare i luoghi sacri che sono già stati occupati dai cantieri e dai macchinari.
I manifestanti hanno dichiarato d’esser stati caricati senza una ragione apparente e rincorsi dalla polizia anche mentre abbandonavano il luogo dove si era svolto il corteo.
Le persone sono state attaccate con i manganelli e gettate per terra dalle forze dell’ordine che, in seguito, hanno dichiarato di aver recluso 80 manifestanti, ma le associazioni solidali hanno denunciato 127 arresti.
Questo però non ha fermato i resistenti che domenica 23 ottobre sono tornati in strada dando vita a diversi blocchi sulla Highway 1806, bloccando il traffico per diverse ore.
Gli/le appartenenti al popolo dei Sioux Lakota e i/le solidali che si sono riuniti/e a loro, hanno recentemente lanciato un appello affinché i fatti che si stanno verificando nel North Dakota non restino taciuti, chiamando alla solidarietà internazionale per la difesa e liberazione della Terra.
Una lotta che riguarda tutti e tutte, che non può e non deve lasciarci indifferenti, perché la resistenza espressa da questi popoli, oltre a dover essere d’esempio, rappresenta l’opposizione diretta a quel sistema votato all’esaurimento di ogni risorsa della Terra, attraverso il land grabbing e l’oppressione dei popoli colpiti.
AGGIORNAMENTO AL 27/10
Giovedì 27 ottobre i/le Water Protector sono tornati a bloccare la Highway 1806 per impedire l’avanzamento delle forze dell’ordine e lo sfratto forzato dei/delle Sioux Lakota dalla terra sacra.
Cariche, lancio di fumogeni, uso dello spray al peperoncino, manifestanti trascinati a terra e altre 107 persone arrestate, in aggiunta alle 127 di sabato 22/10, tra cui un capo indiano per aver dedicato un canto ai/alle protettori dell’acqua e alla Terra. (video)
I/le resistenti non indietreggiano, la lotta per la liberazione della Terra continua!
Fonte: Earth First

sabato 29 ottobre 2016

QUANDO I NEURONI LATITANO


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Ebbene dopo i proclami delle sentinelle in piedi e quelli del family day oltre ai neonazi di Militia Christi che il terremoto(quello di agosto scorso)si era verificato per via dell'approvazione delle unioni civili ecco che un altro personaggio dalle capacità cerebrali di un'ameba(senza offenderle naturalmente)afferma che quello di due giorni fa avvenuto sempre nelle stesse zone è frutto della decisione italiana di astenersi di una risoluzione dell'Unesco(madn due-di-fila-proprio-no )che per verità nell'articolo di Ipazia preso da Contropiano(contropiano internazionale )assume argomentazioni differenti.
Per il vice ministro israeliano della cooperazione regionale Ayoub Kara,in quelle tragiche ore in Vaticano,infatti,e cito"passare attraverso un terremoto non è stata la più piacevole delle esperienze,ma abbiamo avuto fiducia che la Santa Sede ci avrebbe tenuto al riparo.Sono certo che il terremoto sia avvenuto a causa della decisione Unesco",quindi per i mentecatti come lui si arretra ai tempi medievali e ci fa credere che le calamità naturali siano in realtà delle punizioni divine.
Visto che nel suo Stato il sangue versato è quotidiano è certificato che i rappresentanti del suo partito di destra(Likud)siano fermi a cinquecento anni fa e così si possa capire che il loro Dio vendicativo possa richiedere sete di sacrifici umani da quasi settant'anni.

Il dio dei pazzi provoca i terremoti.

di Ipazia
Una nota dell'ambasciata israeliana in Italia, ieri, spiegava che : «Ci sarà un controllo sulla vicenda. Israele ha massima considerazione delle sue importanti e amichevoli relazioni con l’Italia ed è vicino al governo e al popolo italiano per i tragici terremoti».
Incuriositi, siamo andati a cercare quale fosse quella “vicenda”, perché se l'ambasciata è stata costretta a prendere carta e penna – invece di affidarsi alle telefonate semi.minatorie ai giornali, come accade di solito – deve trattarsi di una cosa seria.
Abbiamo scoperto che in realtà era a metà strada tra la cosa seria (da ricovero urgente) e la scemenza che ti aspetteresti da un salviniano di quinto livello.
Il vice ministro israeliano della Cooperazione regionale Ayoub Kara (Likud), mentre era in visita a Roma, ha scoperto che esistono i terremoti. Una delle due scosse che hanno semidistrutto Ussita, Santangelo sul Nera, Visso e altri paesini dell'appennino umbro-marchigiano, lo ha soprpreso mentre era in Vaticano. Inevitabile dunque che anche lui dicesse la sua sulla terra che trema, anche se – lo diciamo da testimoni diretti – quella a scossa a Roma ha al massimo fatto tremolare la sedia davanti alla scrivania.
«Passare attraverso un terremoto non è stata la più piacevole delle esperienze, ma – ha detto Kara – abbiamo avuto fiducia che la Santa Sede ci avrebbe tenuto al riparo. Sono certo che il terremoto sia avvenuto a causa della decisione Unesco».
L'Unesco, nei giorni scorsi, ha approvato a maggioranza una risoluzione in cui si definisce la Palestina “terra occupata” e di conseguenza Israele come potenza occupante. Oppressore, insomma. Una realtà incontrovertibile che viene però osteggiata solo dagli Stati Uniti e dalla stessa Israele, com'è scontato che sia. Nella votazione, come su tutti i temi scabrosi, l'Italia si è astenuta (come se fosse complicatissimo capire chi occua e chi è occupato, anche solo mettendo a confronto le carte gegrafiche nell'arco di 70 anni).
Il governo israeliano ha interpretato l'astensione come una scortesia gravissima, pretendendo ovviamente il voto contrario che legittimerebbe l'occupazione.
Perciò, nella testa del povero signor Ayoub Kara, l'Italia avrebbe meritato uan dura punizione. Fosse stato nelle sue possibilità, insomma, un bel terremoto non ce lo avrebbe tolto nessuno.E siccome è un vero laico, è anche convinto che il suo dio ragioni esattamente come i suoi pochi neuroni, anche se dispone naturalmente di un potere devastante infinitamente più grande.
E dunque che il terremoto colpisca questi vigliacconi di italiani incapaci di sostenere Israele nella sua politica criminale.
Inutile far notare al signor Kara che, così pensando, il suo dio dimostrerebbe anche una mira decisamente scarsa (avrebbe insomma avuto senso scagliare la collera contro le dimore del ministro degli esteri Gentiloni e degli alti funzionari della Farnesina, non certo sui poveri abitanti delle colline marchigiane che che nulla sapevano del voto all'Unesco).
Nella testa di chi crede di essere un fortunatissimo membro di un “popolo eletto”, ben piantato nel cuore di un dio ostile al resto del genere umano, lo spazio per il dubbio è stato cancellato all'origine. E si sa: dio confonde coloro che vuol perdere…
Noi, che non abbiamo dei da venerare o che siano costretti a proteggerci, preferiamo usare il cervello. E dunque non confonderemo mai "gli ebrei" con il misero viceministro del Likud…

venerdì 28 ottobre 2016

ARRESTATI I CO-SINDACI DI DIYARBAKIR

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L'altro giorno nella"capitale"curda di Diyarbakir è successo qualcosa di intollerabile e di pericoloso nel silenzio più assoluto e in un modo fascista così come è il regime di Erdogan:infatti i co-sindaci della città turca Gültan Kisanak e Firat Anli sono stati arrestati perché sospettati di essere iscritti al Pkk.
L'Europa ha sì mostrato la propria preoccupazione per l'accaduto ma anche sottolineando il fatto che il Pkk sia una minaccia per la democrazia turca,dimenticandosi che tutt'ora sono 17 i sindaci arrestati e 24 quelli destituiti senza nessun processo o indagine ma solo perché filo curdi.
L'articolo preso da Infoaut(conflitti-globali )parla di questa situazione ponendo attenzione al fatto che l'esercito turco sta militarizzand il paese e soprattutto la zona curda bombardando e facendo vere e proprie esecuzioni nel silenzio più totale,visto anche che quando succedono questi eventi si tende a oscurare internet anche se migliaia di persone sono scese in piazza per protestare contro Erdogan(ilmanifesto )
Golpe a Diyarbakir.
Il governo turco fa arrestare i due co-sindaci della metropoli curda. Proteste contro la politica coloniale di Ankara -Dopo mesi di continui attacchi contro amministrazioni locali democraticamente elette nel sudest della Turchia, martedì sera Ankara ha fatto arrestare di due co-sindaci della città di Diyarbakir (curdo: Amed) di milioni di abitanti. Gültan Kisanak e Firat Anli secondo le autorità turche sarebbero iscritti del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) vietato.
Soprattutto l’arresto di Kisanak ha un alto valore simbolico. Lei è la prima donna e la prima appartenente alla minoranza degli aleviti discriminata in Turchia a ricoprire l’incarico di sindaco. Kisanak già in precedenza era diventata vittima della repressione dello Stato. Dato che si rifiutava di rinnegare la sua identità come curda, negli anni ‘80 è stata incarcerata nel famigerato carcere delle torture a Diyarbakir.
Contro gli arresti politici dei due politici dell’opposizione che fanno parte del partito di sinistra HDP apparentato a livello regionale, già mercoledì ad Amed sono scese in strada migliaia di persone. Per impedire proteste coordinate, il governo turco in numerose città ha bloccato l’accesso a Internet. Le manifestazioni sono state attaccate dalla polizia con idranti, deputati dell’HDP come Feleknas Uca sono stati arrestati in modo violento.
Dalla fine dell’estate del 2015 il governo turco ha assediato militarmente dozzine di città curde, bombardato zone residenziali e ucciso centinaia di civili. Circa un milione di persone sono diventate profughi interni.
All‘escalation della guerra è seguita un’ondata di arresti nei confronti di politici a livello locale. “Attualmente sono in carcere 17 sindaci, 24 sono stati destituiti e sostituiti da un’amministrazione coatta, ce ne sono otto con la condizionale e dieci con ordini di arresto«, questo il bilancio di Songül Karabulut, Presidente del Congresso Nazionale Curdo, la federazione di numerose organizzazioni curde in esilio, per junge Welt. “Gli arresti dei due co-sindaci di Diyarbakir sono una nuova prova della politica ostile e coloniale di Ankara nei confronti dei curdi.” Secondo Karabulut si nota che “l‘AKP sopprime tutti gli ambiti di formazione democratica della volontà. Il parlamento non funziona più, i deputati dell’opposizione vengono criminalizzati, i sindaci eletti sono sotto tiro”. La Turchia, dice, si trasforma “sempre di più in uno stato fascista”.
Numerose organizzazioni politiche e della società civile in Turchia e all’estero hanno condannato con forza l’operato del governo dell’AKP. Critiche arrivano anche dalla Germania. »Con accuse labili si impedisce a parlamentari democraticamente eletti di svolgere il loro lavoro e vengono dichiarati criminali senza tante storie«, recita una dichiarazione del Presidente della Linke Bernd Riexinger.
Anche l’incaricata per l’estero dell’Unione Europea, Federica Mogherini, e il Commissario UE per il vicinato Johannes Hahn in comunicato stampa hanno parato di “rapporti molto preoccupanti”, aggiungendo tuttavia subito che ritengono che il PKK sia una “grave minaccia”. Paesi dell’Unione Europea da mesi sostengono militarmente, a livello di servizi segreti e diplomaticamente la crociata del regime dell’AKP nei territori curdi, caratterizzata da crimini di guerra e crimini contro l‘umanità.
27 ottobre
Von Peter Schaber
 Junge Welt

da: retekurdistan.it

giovedì 27 ottobre 2016

ENNESIMI ARRESTI PER LE GRANDI OPERE


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Mentre le prime pagine dei giornali e le principali news dei notiziari sono costellate dalle notizie dell'ennesimo terremoto che ha colpito il centro Italia fortunatamente senza l'ecatombe di due mesi fa,rischiano di passare in silenzio gli arresti,anche questi ennesimi,di personaggi legati alle grandi opere in corso.
E ci sono proprio tutte tra la Tav e l'eterna autostrada Salerno-Reggio Calabria passando per la monorotaia che collegherà l'aeroporto di Pisa alla stazione centrale(la semisconosciuta People Mover) ed i nomi sono quelli di imprenditori,responsabili qualità e sicurezza,ispettori di cantiere,ingegneri e figli di politici infiltrati da mafiosi in questi lavori che fanno girare milioni di Euro.
Le accuse vanno dalla corruzione all'estorsione con la'ndrangheta attivissima ad accaparrarsi appalti milionari tramite tecnici e politici compiacenti in barba alle norme di sicurezza e di qualità dei materiali(vedi:grandi-opere-le-intercettazioni ).
L'articolo preso da Contropiano(la-tav-mano-alle-mafie )parla anche del consorzio Cociv(tra i nomi di questo figura la Salini-Impregilo tanto decantata da Renzi-ci-risiamo-con-il-ponte-sullo-stretto)e delle magagne create ad arte di chi doveva vigilare proprio sulla trasparenza e che invece è stato preso con le mani nel sacco.
Inutile ribadire che le grandi opere(madn la-corruzione-incalza-nte )siano un ricettacolo di tutte le mafie e di tutti i poteri forti dell'industria,dell'edilizia e dell'imprenditoria italiana,nonostante il governo attuale e quelli precedenti dicano che senza queste il paese rischi l'arretramento:fatto sta che dove c'è da mangiare sopra(Tav,Expo,Olimpiadi)tutti i vampiri tirino le zanne fuori.
Una soluzione ci sarebbe,fare come in Cina o in Corea del Nord dove questi parassiti vengono presi e condannati a morte se corrotti soprattutto per quanto riguardi le opere pubbliche.

La Tav in mano alle mafie: 21 arresti, per oggi.

di Redazione Contropiano
Ma che strano… La Tav produce crimine e dissipazione di denaro pubblico, anziché sviluppo… Chi l'avrebbe mai detto!
A voler esser seri l'avevano detto in molti a cominciare dal movimento No Tav in Val susa, in cui a lungo ha campeggiato la scritta “Tav=Mafia” sul fianco di una montagna. Difficile non vederlo, per procuratori impegnati soltanto a perseguire il movimento anziché il sottobosco politico-mafioso che cresce intorno alle “grandi opere”.
A poche ore dalla scoperta – anche la magistratura milanese aveva sancito una sorta di tregua, nell'anno di Expo – di interessi 'ndranghetisti sui padiglioni della mega-fiera amministrata dal neo sindaco Sala, un'altra inchiesta azzera qualsiasi argomentazione a favore delle grandi opere. E spiazza notevolmente la stessa autorità anticorruzione, guidata da quel Raffaele Cantone che dovrebbe sorvegliare tutto ma che appare solo in qualche intervista e nel viaggio per andare a cena da Obama.
Carabinieri e Guardia di Finanza sono stati mobilitati nella notte per procedere ad una lunga serie di arresti "condotte corruttive per ottenere contratti di subappalto" nei lavori di una tratta della Tav Milano-Genova, del 6° Macrolotto dell'A3 Salerno-Reggio Calabria e della People Mover di Pisa, l'impianto a fune che mette in collegamento l'aeroporto Galileo Galilei con la stazione centrale della città. Tutte opere di notevole portata e costo (per l'A3 sono addirittura incalcolabili, visto che la si costruisce dagli anni '70, la Tav Milano-Genova parte da una previsione di spesa da 6,2 miliardi), che dovrebbero essere dunque sorvegliatissime dalla varie autorità.
Al momento a finire dietro le sbarre sono state 21 persone in tutta Italia, con accuse che vanno dalla corruzione all'estorsione.
Al centro dell'inchiesta c'è il direttore dei lavori di ben tre di queste grandi opere, che non trovava nulla di strano nel fare società con un imprenditore calabrese che si aggiudicava una sostanziosa fetta degli appalti. Alla guida aziendale dei lavori c'è una superpotenza del settore, come il consorzio Cociv, che tiene insieme nomi notissimi della cementificazione come Salini Impregilo, Civ e Condotte. E proprio alcuni funzionari di questo consorzio sono finiti in manette insieme a personaggi di collegamento con la 'ndrangheta.
Il meccanismo di storno degli appalti era infatti gestito dal centro, ossia dallo stesso general contractor che avrebbe dovuto garantire la trasparenza delle procedure di assegnazione dei lotti di lavori.
Solo per ricordarlo ai distratti: "La funzione dell'Autorità Nazionale Anticorruzione è la prevenzione della corruzione nell'ambito delle pubblica amministrazione italiana, nelle società partecipate e controllate[5] dalla pubblica amministrazione, anche mediante l'attuazione della trasparenza in tutti gli aspetti gestionali, nonché mediante l'attività di vigilanza nell'ambito dei contratti pubblici, degli incarichi e comunque in ogni settore della pubblica amministrazione che potenzialmente possa sviluppare fenomeni corruttivi, evitando nel contempo di aggravare i procedimenti con ricadute negative sui cittadini e sulle imprese, orientando i comportamenti e le attività degli impiegati pubblici, con interventi in sede consultiva e di regolazione".
Come si vede, l'autorità "funziona" benissimo…

mercoledì 26 ottobre 2016

DECISIONI (NON)PRESE E RISULTATI ATTUALI

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La notizia è datata di ormai due anni ma fa sempre bene ripercorrere con la memoria certi passi che fanno capire meglio la situazione attuale che vive l'Italia ed il suo sempre più manifestato odio verso profughi e migranti alla luce degli ultimi episodi come quello dell'altra notte in provincia di Ferrara(madn giungle-e-bestie ).
Nel novembre del 2014 già in pieno regime renziano imposto dal Presidente Napolitano il nostro paese si era astenuto su di una mozione contro la glorificazione del nazifascismo presentata dalla Russia,assieme a molti altri Stati europei ed in quell'occasione ci furono addirittura tre voti contrari(Usa,Canada e Ucraina).
Votò invece a favore Israele assieme ad altri 114 nazioni durante la votazione avvenuta durante l'assemblea generale Onu:è inutile dire come i voti contrari e i 55 delegati che non si espressero per nessuna parte siano una vergognosa ed infame comportamento.
Così come risulta il non aver preso una linea ufficiale per l'Italia i suggerimenti di un governo che si riempie tanto la bocca di parole come accoglienza ed integrazione a che con i fatti non è per niente coerente con questi intenti con i risultati che si vedono e che si sono visti.
Articolo denuncia dell'Anpi della provincia di Alessandria riportata da Contropiano(mozione Onu Russia ).

L’Italia renziana si astiene sulla risoluzione ONU contro la glorificazione del nazi-fascismo.

L'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato lo scorso 22 novembre una mozione presentata dalla Russia che condanna i tentativi di glorificazione dell'ideologia del nazismo e la conseguente negazione dei crimini di guerra commessi dalla Germania nazista.
La Risoluzione esprime "profonda preoccupazione per la glorificazione in qualsiasi forma del movimento nazista, neo-nazista e degli ex membri dell'organizzazione "Waffen SS", anche attraverso la costruzione di monumenti e memoriali e l'organizzazione di manifestazioni pubbliche".
Il documento rileva anche l'aumento del numero di attacchi razzisti in tutto il mondo.
Una iniziativa giusta, si dirà, visti i continui rigurgiti fascisti e nazisti ai quali si assiste sempre più spesso in diversi quadranti del mondo.

E invece no. Perché solo 115 dei Paesi rappresentati alle Nazioni Unite hanno votato a favore della mozione, mentre in passato il numero dei sì era stato assai più consistente, ad esempio 130 due anni fa. Incredibilmente ben 55 delegati, tra i quali il Governo italiano, si sono astenuti e 3 rappresentanti – quelli degli Stati Uniti, Canada e Ucraina – hanno addirittura votato contro.
La Vicepresidente nazionale dell'ANPI, Carla Nespolo ha inviato il seguente comunicato stampa, condiviso dall'ANPI Provinciale di Alessandria.
" L'astensione del Governo Italiano sulla risoluzione dell' ONU, approvata a maggioranza, che sancisce il rifiuto del neonazismo nel mondo e respinge "ogni forma di negazione dei crimini nazisti", è un atto grave e inaccettabile.
L'Italia è il Paese in cui la Resistenza al fascismo e al nazismo è stata tra le più forti ed estese d'Europa.
La Costituzione Italiana è, per specifica decisione dei Padri Costituenti, una Costituzione Antifascista.
Tanti partigiani, tanti giovani e tante donne, hanno lottato, sofferto e in molti casi hanno lasciato la vita, per sconfiggere nazismo e fascismo.
Vergognosa è l'astensione dell'Italia!
Il fatto che tanti altri Paesi Europei si siano astenuti, rappresenta una svolta pericolosa e regressiva nella stessa politica estera europea, ma non giustifica in alcun modo la scelta del Governo Italiano che ancora una volta ha rinunciato ad un ruolo di protagonista in Europa.
La decisione degli Stati Uniti d'America, del Canada e dell'Ucraina, di votare contro tale risoluzione, se mai, dimostra un'inaccettabile subalternità europea ed italiana, alla volontà americana.
Nè vale a giustificare tale scelta, il fatto che tale risoluzione sia stata proposta dalla Russia.
Tra l'altro si tratta di un documento molto simile ad altri, presentati nel 2011e nel 2012, e sempre votati all'unanimità o quasi, dall'Assemblea dell'ONU.
Persino Israele, Paese notoriamente amico degli Stati Uniti, ha votato a favore del rifiuto dell'ideologia fascista e nazista.
L'Italia si è astenuta! E questo è inaccettabile e deplorevole.
L'ANPI eleva alta e forte la propria voce, contro tale voto, che umilia la nostra storia democratica e offende la Resistenza, i suoi protagonisti e i suoi valori."

martedì 25 ottobre 2016

GIUNGLE E BESTIE


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Si sa che la differenza tra uomo ed animale a volte è molto labile con i secondi talvolta molto più indulgenti dei primi,e la parola bestia che indica nel regno animale la crudezza e l'indole più selvaggia e naturale è spesso più appropriata per contraddistinguere gruppi di uomini piuttosto che di animali.
Qui sopra nella foto alcune bestie che ieri notte hanno organizzato dei blocchi per la strada a Gorino,una frazione di Goro nel ferrarese dove sia gente del posto che immigrati salviniani e fascisti prestati dalle zone limitrofe hanno impedito l'arrivo di una ventina in totale di profughi donne e bambini presso un ostello locale come deciso dal prefetto.
Ebbene queste persone bisognose d'aiuto(i profughi)sono state disperse in altri posti facendo così vincere la loro meschina e piccola battaglia alle bestie che ne hanno impedito l'arrivo:anche in zone vicine a Crema alcuni indigeni,aizzati da personaggi non abitanti quei paesi e che infatti non si sono fatti più vedere se non per incitare all'odio,erano scesi in piazza per protestare contro l'orda d'invasione.
Tutto questo mentre si sta sgomberando la famigerata"giungla"di Calais in Francia dove da mesi erano accampati migliaia di profughi,migranti e clandestini che erano pronti per andare verso il Regno Unito e che ora saranno ricollocati come oggetti o lasciati a loro stessi.
I due articoli presi da Contropiano(politica-news )e Il fatto quotidiano(francia-al-via-lo-sgombero )parlano dei fatti di cronaca ma anche dell'incapacità di gestire il flusso migratorio dall'Africa e dalle zone mediorientali di guerra che vengono trattate sempre con superficialità e con un menefreghismo tra uno Stato e l'altro dell'Ue,in un'emergenza di fatti che ne costituisce una normalità d'intenti.

Profughi rifiutati in Emilia, ben accolti a Napoli.

di Redazione Contropiano
Chissà dove sono finiti i beoti che a ogni problema rispondono con ruspe e manette. A Gorino, in provincia di Ferrara, paese di pescatori sul delta del Po, famoso per la produzione di vongole, la Lega Nord ha aizzato un  pezzo di popolazione contro l'arrivo di "ben" 12 donne con i loro bambini.
Barricate con pancali di legno (niente mobili, per carità…), qualche neofascista bene in vista, mamme "italiane" con i loro figli in braccio. Il tutto in opposizione alla decisione del Prefetto – lo Stato, l'ordine, la polizia… – di requisire temporaneamente un ostello per ospitare le madri in fuga da guerra e carestie.
Diciamolo subito: senza l'ammorbante protagonismo dei salviniani e dei fascisti, in stretto collegamento, ben difficilmente si mobiliterebbe qualcuno per questi motivi. Mugugni tanto, certo, frasi buttate lì a casaccio, ma solo l'idea di una "barricata" contro le forze dell'ordine che accompagnano una decina di madri è cosa così infame da non meritare né commento, né – tanto meno – una "promozione spontanea". Serve qualche stronzo con alle spalle un briciolo di organizzazione e copertura politica. Salvini, Forza Nuova e casapound, spesso, stanno lì per questo.
In questo caso non è infatti nemmeno invocabile il prestesto dell'"uomo nero che dà fastidio alle nostre donne", visto che il gruppo dei profughi non ha presenze maschili (a meno di non vler considerare pericolosi i bambini solo perché maschietti…).
A Napoli, nella notte, con invidiabile tempismo (la politicia sociale si fa in tempo reale, non quando siamo perfettamente pronti…), sono apparsi striscioni di solidarietà con i profughi, come questo.

Non si tratta però di una banale e controproducente contrapposizione tra "buonisti" e razzisti (senza virgolette, ovvio). Il problema dei flussi migratori dal sud del mondo verso le metropoli del capitalismo avanzato è fenomeno epocale che richiede politiche di grande respiro, articolazione, visione di lungo periodo, e altrettanto impegno. Non si affronta con le ruspe, ma neanche soltanto con la "buona volontà" dei singoli (sussidiarietà stile Caritas, insomma) o di alcune comunità lungimiranti (che valgono in ogni caso come esempio positivo).
Il problema è lo Stato e i suoi declinanti poteri a favore dell'Unione Europea, anche in questo caso. Perché da un lato – quello nazionale – abbiamo una struttura ormai dedita soltanto al contenimento repressivo (anche nel campo dell'immigrazione), senza alcuna capacità di programmazione né strutturazione di procedure e strutture per accoglienza e soprattutto integrazione (si rifiuta di fare politiche di sviluppo occupazionale per i giovani, figuriamoci se riesce a pensare ancora più in grande…). Dall'altra c'è una tecnostruttura burocratica capace di strangolare economicamente anche più paesi alla volta, ma inadatta a formulare politiche in positivo. Sull'immigrazione, come su altri temi altrettanto epocali (l'occupazione, per esempio), si è già più volte rivelata indifferente, impotente, idiota.

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Lo sgombero della più grande bidonville d’Europa è iniziato, come annunciato, alle 8 di mattina, dopo gli scontri e le tensioni di ieri sera. I migranti – per lo più afghani, eritrei e sudanesi – ospitati nella giungla di Calais, tra le 6mila e le 8mila persone, si sono messi in coda con alla mano le valigie e i loro pochi beni, per essere trasferiti nei 450 centri che il governo francese ha aperto su tutto il territorio. Uno smantellamento che dovrebbe concludersi in sette giorni.

Il prefetto del Nord-Pas-de-Calais, Fabienne Buccio ha dichiarato: “Tutto si sta svolgendo normalmente, in modo organizzato e metodico. Per ora sono partiti 17 pullman con 711 migranti a bordo. Altri tre bus stanno per partire”. Sullo sgombero di Calais poi sono arrivate anche le parole del ministro dell’Interno Francese, Bernard Cazeneuve: “Lo smantellamento è un dovere umanitario per il nostro Paese. È il risultato di un impegno costante dello Stato per due anni a Calais, assieme ai funzionari locali e alle associazioni. Risponde a una situazione d’emergenza, ma anche alle attese di una città e dei suoi abitanti, che affrontano da più di cinque anni una crisi migratoria di grande entità. Avverrà in una sola volta, impiegheremo tutti i giorni necessari perché abbia successo”.
I disordini potrebbero verificarsi nei prossimi giorni. Per Pierre-Henry Brandet, portavoce del ministero dell’Interno di Parigi, “la cosa più difficile sarà convincere i migranti recalcitranti, nei prossimi giorni”. “Le operazioni di smantellamento vero e proprio comincerà domani con la distruzione delle tende e delle capanne” ha poi aggiunto. Intanto il centro di accoglienza e orientamento (Cao) di Loubeyrat, nel dipartimento francese del Puy-de-Dome, è stato colpito questa notte da un tentativo di incendio doloso. L’edificio era destinato ad accogliere una parte dei migranti evacuati oggi dalla tendopoli di Calais. Natacha Bouchart, sindaca della città francese, si è detta perplessa sullo smantellamento della giungla: “Non capisco perché una simile operazione sia stata organizzata senza il coinvolgimento e la collaborazione della città”. “Il governo si deve assumere – ha poi aggiunto – tutta la responsabilità delle operazioni di sgombero dal momento che lo stesso governo ha determinato questa situazione, facendo arrivare 10.000 migranti a Calais. Potete comprendere la mia perplessità che le operazioni si svolgano senza problemi e sul fatto che non abbiamo nessuna garanzia che si metta davvero fine a tutte le difficoltà che abbiamo affrontati negli ultimi tre anni” ha poi concluso.
In totale, le autorità francesi prevedono che circa 60 autobus partiranno oggi con a bordo 50 persone ciascuno, domani sono attesi 45 autobus e mercoledì altri 40. Tutti i bambini e le famiglie – minoritari nel campo – saranno oggetto di particolare attenzione e cura al momento della selezione della destinazione. Secondo il sito francese Le Figaro uno dei primi autobus sarebbe diretto nel Morbihan, distante circa 8 ore di strada. I migranti verranno distribuiti nei centri di accoglienza di undici regioni (escluse CorsicaIle-de-France). La scelta della destinazione, riportano i media locali, si effettua nell’hangar di 3mila metri quadrati situato a circa 300 metri dalla giungla in cui è stato allestito un punto di accoglienza. In questo edificio i migranti incontreranno i funzionari dell’Ufficio francese dell’immigrazione e integrazione che proporranno a ciascuno di loro la scelta tra due regioni di destinazione illustrandole sulla mappa della Francia.
Dopo aver scelto una destinazione, ai migranti verrà consegnato un braccialetto corrispondente al colore della regione scelta. La scelta del braccialetto, riferiscono i giornali locali, è stata fatta perché molti migranti non parlano né leggono il francese. Successivamente verranno divisi in gruppi e collocati in delle tende in attesa di partire. Quando una tenda da 50 posti sarà piena, i migranti verranno fatti salire su un autobus che partirà per quella destinazione. Secondo la stampa francese sono state date istruzioni perché le persone che si presentano assieme non vengano divise anche se non fanno parte dello stesso nucleo famigliare.
Secondo Loris De Filippi, presidente di Medici Senza Frontiere “lo smantellamento era inevitabile”. “Non era pensabile in un paese come la Francia che migliaia di persone, tra cui centinaia di minori non accompagnati, venissero lasciate per anni a vivere in condizioni così indegne e pericolose. Ma lo sgombero non risolverà la situazione delle persone, di cui molte in fuga da conflitti e regimi autoritari, che cercano disperatamente di raggiungere l’Inghilterra per riunirsi alle proprie famiglie e continueranno a tentare la traversata” ha commentato De Filippi.
Nelle ultime settimane, il personale dello Stato e le associazioni umanitarie hanno lanciato una campagna di informazione per i migranti, con lo scopo di convincerli a beneficiare di questo dispositivo di aiuto anziché ostinarsi a rimanere a Calais, il punto di raccolta più vicino al Regno Unito, destinazione desiderata dalla maggior parte di loro. La campagna informativa sembra aver dato i suoi frutti e questa mattina molti uomini e donne sono arrivati nel centro di smistamento da dove gli autobus li porteranno nelle loro nuove destinazioni.
Qualora qualcuno abbia famiglia nel Regno Unito, sarà trasferito oltre Manica. La questione più spinosa è costituita da coloro che non vorranno abbandonare il campo con il desiderio di attraversare il Canale della Manica. Il governo francese ha programmato un importante dispiegamento di polizia, con il rinforzo di duemila agenti, per evitare che chi rimane di installi in altri campi di fortuna. Alcuni migranti più radicali si sono opposti agli spostamenti anche con la forza: gli agenti hanno utilizzato in questi scontri – l’ultimo si è verificato questa mattina – i gas lacrimogeni. In Belgio intanto sono stati rafforzati i controlli tra la costa fiamminga e la Francia. La polizia belga ha mobilitato da sabato 120 agenti supplementari. Bruxelles teme che i rifugiati attualmente a Calais si spostino in direzione dei porti belgi.
Lo sgombero era già stato annunciato sul posto dal presidente francese François Hollande il 26 settembre e successivamente confermato – giovedì scorso – dal ministro dell’Interno Bernard Cazeneuve, che aveva parlato di un’operazione ‘imminente’: “A partire dal momento in cui tutte le condizioni sono riunite perché ciascuno venga messo al riparo, non c’è motivo di attendere e lasciare ulteriormente nel fango e nel freddo coloro che si trovano a Calais“, aveva detto.

lunedì 24 ottobre 2016

PP E PSOE TROVANO L'INCIUCIO


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Sembra proprio che la Spagna possa avere un governo guidato da Rajoy con l'appoggio degli eterni avversari del Psoe ed il termine ultimo sarà quello di fine mese quando scadrà il tempo per tentare di avere un nuovo esecutivo sennò ci saranno le terze elezioni di fila senza che il paese venga governato.
Dopo la fine del franchismo il Pp e il Psoe si sono alternate alla guida del paese e sempre le opposizioni sono state dure ma questo sarebbe il primo caso nel quale le due forze politiche principali della Spagna,con i socialisti però in netto calo,in cui possano dare vita ad un inciucio per un governo della nazione come in Italia con i nefasti risultati che questi accordi apportano.
L'articolo è di Contropiano(internazionale ).

Madrid: i baroni socialisti salvano Rajoy. L’Ue la spunta.

Come volevasi dimostrare… I socialisti spagnoli, che nei piani di Podemos – e di alcune aree interne ad Izquierda Unida – avrebbero dovuto costituire il perno di un ‘governo di cambiamento’ alternativo alla destra, hanno invece deciso di salvare il Pp di Mariano Rajoy permettendogli di governare nonostante non possa contare in parlamento su una maggioranza assoluta. Sarà grazie ai voti dei deputati socialisti che nei prossimi giorni, infatti, l’attuale capo del governo di Madrid potrà ottenere una maggioranza che non ha. Con sommo entusiasmo dei poteri forti interni ed internazionali – Unione Europea in testa – che da tempo operavano forti pressioni sullo stato maggiore del Partito Socialista Operaio (?!) Spagnolo affinché si prestasse ad un governo di ‘grande coalizione’ allo scopo di imporre quella stabilità politica in grado di permettere la rapida attuazione delle cosiddette ‘riforme’ politiche, economiche ed istituzionali di cui Bruxelles chiede l’implementazione.A mettersi di traverso era stato finora il segretario socialista, Pedro Sanchez, che ha tentato di resistere alle pressioni di Bruxelles e di Francoforte, così come della Confindustria e degli ambienti dominanti spagnoli. Sanchez non condivideva infatti il progetto di un governo di coalizione con un partito – il PP – che finora è sempre stato il principale antagonista del Psoe, anche se insieme le due formazioni hanno di fatto governato insieme lo Stato Spagnolo da quando, alla fine degli anni ’70, il i settori più ‘modernisti’ del franchismo decisero che era venuto il tempo di dismettere le forme dittatoriali di governo per permettere l’ingresso di Madrid nell’allora Comunità Economica Europea e nella Nato, e per conservare il potere economico e politico nonostante l’apparente cambio di regime. Negli ultimi tre decenni Psoe e Pp hanno di fatto condiviso la stragrande maggioranza delle scelte di politica interna ed internazionale, alternandosi al potere all’interno di un sistema costruito su misura attorno alle esigenze di una classe dirigente inamovibile e corrotta. Finora però il sistema si è retto, appunto, sull’alternanza, e i due partiti non hanno mai sostenuto lo stesso governo: quando il PP era al potere il Psoe era all’opposizione, e viceversa, legittimandosi l’un l’altro.
Per Sanchez e altri dirigenti del Psoe, il rischio di un sostegno ad un governo guidato da Rajoy è quello di un suicidio politico che potrebbe ridurre i socialisti al pubblico ludibrio – e quindi ai minimi termini – a vantaggio di Podemos e di altre formazioni di centrosinistra, oltre che dello stesso PP.
Ma il giovane segretario in camicia bianca non ce l’ha fatta a tenere il Psoe fuori dall’abbraccio mortale, assediato com’era dai baroni socialisti che governano di fatto il partito nelle regioni e nelle città, sensibili ai richiami dell’Unione Europea e degli imprenditori. E così nel Comitato Federale del primo ottobre i ‘ribelli’, guidati dalla governatrice andalusa Susana Diez, hanno messo in minoranza Pedro Sanchez, costringendolo alle dimissioni. Oggi lo stesso organismo – con ben 139 voti a favore e 96 contrari – ha deciso che i deputati socialisti si astengano nel corso della sessione parlamentare di investitura di Mariano Rajoy come premier. Una decisione che rischia di mandare il partito in pezzi, con ciò che rimane dei socialisti catalani – già ridotti ai minimi termini dalla scissione delle correnti sovraniste – che minacciano di disobbedire alla direzione in polemica con la scelta di fare da stampella al capo della destra nazionalista spagnola. E qualcuno potrebbe anche ufficializzare il proprio addio.
La votazione che dovrebbe a questo punto permettere a Rajoy di ricevere la fiducia – quanti deputati socialisti obbediranno alla direzione del partito non è chiaro, ma la destra interna dispone di un largo seguito nel gruppo parlamentare del Psoe – dovrà tenersi entro massimo otto giorni, visto che a fine mese scade il termine oltre il quale il capo dello stato, cioè il re Filippo VI, sarà costretto a sciogliere le Cortes e a convocare le terze elezioni in poco più di un anno. Da capire anche cosa faranno i deputati di Ciudadanos, formazione di centrodestra, liberista e nazionalista, che negli ultimi dodici mesi era stata utilizzata dal sistema come ‘ruota di scorta’ per recuperare la maggior parte dei voti persi dal PP ma che ora che la formazione di Rajoy ha il vento in poppa sembra perdere appeal ed interesse tanto per gli elettori quanto per i poteri forti.
Da vedere anche quali saranno le ripercussioni su Podemos, che alle scorse elezioni ha fallito il sorpasso nei confronti dei socialisti nonostante la coalizione elettorale formata insieme a Izquierda Unida e a varie formazioni statali e locali ecologiste, sovraniste e di centro-sinistra. Il fallimento del 26 giugno ha avuto forti ripercussioni all’interno della formazione ‘morada’, in cui lo scontro tra correnti e dirigenti si è fatto ancora più forte che in passato. Podemos nei giorni scorsi aveva minacciato di ritirare il proprio appoggio ai sindaci e ai governatori regionali socialisti che sta sostenendo, ma non sembra essere servito a molto.
Ora che i socialisti vengono ‘commissariati’ dall’Unione Europea anche a costo di perderne qualche pezzo, la formazione di Pablo Iglesias vede sfumare la possibilità di creare un'alleanza con il Psoe, ritenuta l’unica mossa in grado di portare Podemos al governo. Il rischio per i podemisti, che negli ultimi due anni hanno fortemente moderato il proprio linguaggio, la propria piattaforma politica e le proprie rivendicazioni, è quello di diventare ininfluenti dal punto di vista della competizione politica ed istituzionale, anche se teoricamente la sterzata a destra dei socialisti potrebbe permettere al partito populista di occupare nuovi spazi politici lasciati scoperti dal Psoe. Ma la spinta a diventare attrattivi nei confronti dei settori del Psoe che non vedono di buon occhio il favore a Rajoy non farà altro che accelerare la virata socialdemocratica impressa a Podemos da Pablo Iglesias.
Un doppio risultato per Bruxelles e Francoforte: da un lato un governo stabile in grado di imporre nuovi sacrifici – tagli, privatizzazioni, 'riforme' – ai cittadini, dall'altro la sostanziale neutralizzazione di una forza politica moderata ma comunque ancorata, finora, a sinistra.
Non c’è che dire: l’Unione Europea gioca sporco, ma gioca davvero bene…

sabato 22 ottobre 2016

LA QUESTIONE CURDA SEMPRE PIU' DI STRETTA ATTUALITA'

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Anche se i confini dei territori tra la Siria,la Turchia e l'Iraq stanno avendo cambiamenti quasi quotidiani,la mappa qui sopra è abbastanza realistica e traccia anche la zona curda con uno Stato che non esiste ma con una zona non ufficiale turca e quella riconosciuta in Iraq dove ha sovranità regionale mentre nella zona iraniana gode di autonomia.
In quella siriana che si estende fono al confine nord iracheno invece i territori sono conquistati giorno dopo giorno e l'articolo ripreso da Senza Soste tramite l'intervista al comandante del Pkk Riza Altun di stanza nelle zone delle montagne di Qandil,traccia una visione dove la questione curda è la chiava di tutto quello che sta succedendo e che potrà accadere in queste settimane soprattutto se si guarda a Mosul(madn mosul-e-le-bandierine-da-piantare ).
Tra la visione da impero ottomano di Edogan per la sua Turchia che ha stretto alleanze col peggio del mondo mediorientale(Arabia Saudita e Qatar),i ricatti sui corridoi umanitari,i profughi verso l'Europa,i finanziamenti agli estremisti,l'onnipresente petrolio e l'esercito di Assad,questa intervista fornisce spunti per fare ragionamenti su questa guerra che vede sempre più coinvolti Usa e Russia e sempre meno l'Ue.

Nena News parla con Riza Altun, comandante del Partito Kurdo dei Lavoratori a Qandil. Una discussione a tutto tondo, dal ruolo della Turchia e di Israele fino agli interessi delle super potenze

di Thomas Rei - tratto da http://nena-news.it
Qandil (Iraq), 19 ottobre 2016, Nena News –A nord est dell’Iraq, nel Kurdistan Bashur e al confine con l’Iran, imponenti montagne delimitano due Stati da secoli profondamente differenti tra loro. Su quelle alture l’esercito Kurdo guidato dal Pkk difende e combatte quel territorio. Cuore di quelle montagne la municipalità di Qandil, composta da sessantuno villaggi e settemila persone, la cui maggior parte vive di agricoltura e allevamento. Alcuni abitanti, a fatica però continuano a lavorare nelle città vicine.
La politica applicata è quella del Confederalismo Democratico sostenuta dal leader Abdullah Ocalan ed è forse anche per questo che dal governo regionale non arriva nessun aiuto. Nell’agosto del 2011 e del 2015, alcuni villaggi sono stati bombardati dall’esercito turco uccidendo nelle loro case, inermi cittadini. Bombardamenti che continuano contro le postazioni dei guerriglieri kurdi dislocate su quelle alture.
Al sicuro dallo specchio del cielo, incontriamo il comandante guerrigliero Riza Altun membro del Kck (Consiglio Esecutivo dell’Unione delle Comunità del Kurdistan) per avere notizie di quanto sta avvenendo in Medio Oriente, ed in particolare della questione kurda.
Quale il ruolo della Turchia in questo conflitto?
Sino a quando non è scoppiato il conflitto, il governo turco di Erdogan, aveva una strategia sul Medio Oriente. Voleva creare un’unica cultura, come durante l’Impero Ottomano, attraverso la creazione di scontri tra i tanti gruppi religiosi presenti. Suoi alleati: Arabia Saudita, Qatar e i mercenari di Al Nustra e Daesh.Solo il nostro intervento e la nostra vittoria a Makhmur, Senjar e soprattutto a Kobane, è riuscita a fermare il loro obiettivo e ha costringere la Turchia e Daesh a lasciare la zona.
Le forze e la resistenza di Ypg e Pkk non ha solo rotto la forza di Daesh e impedito alla Turchia di utilizzare i mercenari per i suoi progetti politici ma li ha costretti a cambiare la loro politica e la loro strategia soprattutto nei confronti dell’occidente.
In particolare sul rapporto che ha tenuto sino ad oggi le forze estremiste islamiche presenti nel conflitto?
Non ha interrotto le alleanze con i gruppi estremisti ma non potendole più usare, è dovuto intervenire con il proprio esercito. Possiamo prendere ad esempio quello che è successo a Jarabolus e a Mimbich. Quando Ypg ha liberato Manbij sconfiggendo Daesh, la Turchia è stata costretta ad intervenire su Jarabolus per andare in loro soccorso e impedire l’unione dei tre cantoni kurdi.
Per fare questo, però aveva bisogno di un buon motivo e quello escogitato è stato di affermare che Daesh era pericoloso per la loro sicurezza e che era necessario liberare la zona e salvare le persone. In realtà a Jarabolus i turchi non hanno combattuto Daesh ma attaccato i kurdi per cacciarli da quella zona e proteggere così tutti gli uomini del “califfato”. Questo episodio mostra la vera strategia della Turchia che smette di utilizzare i salafiti e occupa, con la scusa di cacciarli, i paesi limitrofi con il suo esercito. Il suo obiettivo è intervenire per impedire che la Siria diventi uno Stato federale e acquisire così il diritto di partecipare alla decisione del nuovo regime da instaurare in quella terra. Per questo vuole proseguire verso Raqqa e Aleppo, per impedire il riconoscimento dello Stato kurdo e poter gestire questa parte importante del Medio Oriente.
Il tutto con l’assenso di Russia e Usa?
Sorprendente. Sappiamo solo che nessuno degli occidentali a parole lo voleva ma una notte, mentre erano a colloquio i ministri degli Esteri russo, iraniano e statunitense, per uno strano motivo, la Turchia è entrata a Jarabolus. Senza nessuna protesta, anche se questo è spiegabile. Erdogan, che era sull’orlo di essere messo ai margini, è, per così dire, ritornato sulla scena, giocando sul ricatto dei profughi siriani verso l’Europa e su un accordo tra Russia ed Usa sull’Ucraina. Il tutto sulla pelle dei kurdi. E’ come se all’improvviso, per l’Europa e per tutti gli altri paesi, la Turchia si fosse trasformato da paese che appoggia Daesh in paese democratico schierato contro il “califfato”.
Ma perché avrebbero acconsentito all’ingresso della Turchia?
Russia e Stati Uniti si sono accordati perché entrambi sperano di utilizzare la Turchia per i propri interessi in quell’area. L’America vuole utilizzare la Turchia per indebolire il regime siriano e rivendicare la sua supremazia in Medio Oriente, mentre la Russia, per indebolire il suo legame con gli USA. Credo però che gli ultimi avvenimenti abbiano fatto saltare anche quest’accordo e si presenti un nuovo scenario perché la Turchia si sta alleando con le forze contrarie al regime, la Russia si sta rafforzando e gli Stati Uniti sono di sostegno alla Turchia nella sua avanzata. Un gioco pericoloso per la Turchia perché, se proseguirà oltre Jarabolus, non potrà evitare uno scontro con la Russia e le forze fedeli ad Assad. Anche con le forze Usa c’è questo pericolo perché, come dichiarato da un portavoce dell’esercito, in questo momento non esiste nessun accordo con la Turchia né con la Russia sul territorio siriano. In questo momento si stanno evidenziando tutte le contraddizioni causate dal fallimento delle loro strategie e se l’America utilizzerà la Turchia come forza di distruzione e alleata della coalizione, la Russia sarà obbligata a difendersi e questo condurrà alla futura guerra tra gli Stati.
Un serio pericolo di guerra mondiale…
Per questo è molto pericoloso l’atteggiamento della Turchia, perché se fosse stato il vecchio Stato kemalista la sua politica sarebbe stata molto chiara e non si sarebbe mai spinta così avanti, ma la sua svolta islamista evidenzia il tentativo di creare un nuovo impero nel Medio Oriente. Uno Stato Islamico governato con la Sharia. Dicono che la Turchia combatte Daesh ma per esempio a Manbij abbiamo combattuto 100 giorni, con 150 compagni morti e oltre 1000 feriti ed erano presenti anche le forze armate della coalizione. Una battaglia difficile per liberare la città. Com’è possibile che con i turchi dopo settanta giorni di guerra siano morti solo due soldati e un solo blindato distrutto? Dov’è finita tutta la forza di Daesh scatenata contro di noi? Noi pensiamo che a Manbij, la Turchia sia arrivata per salvare Daesh dalla disfatta e che i suoi uomini siano passati con loro. Questo è pericoloso per tutti. Anche per voi europei perché significa un corridoio di terrorismo aperto dal Medio Oriente verso l’Europa.
In tutto questo, il governo centrale iracheno e quello federale kurdo di Barzani come reagiranno?
La Turchia ha creato un nuovo modo di pensare il Medio Oriente islamico ed è per questo che vuole partecipare all’attacco di Mosul. Perché così sarebbe in grado di poter decidere il destino di questa parte del Medio Oriente. Ma chi ha aiutando la Turchia per esempio ad arrivare sino nel Bashur? E’ il Partito democratico del Kurdistan (Kdp) di Barzani, suo grande amico, come il Qatar e l’Arabia Saudita. Guarda casa, tutti Stati di religione islamica salafita.
Il Kdp combatterà al fianco della Turchia e se questi quattro Stati arriveranno a Mosul, nulla cambierà, perché Daesh è il residuo delle tribù sunnite legate a Saddam e i paesi da noi liberati da Daesh, da Sinjar al Rojava, torneranno sotto il dominio sunnita. Significa di nuovo una maggioranza sunnita e gli sciiti che non avranno più il loro posto in questo paese. I problemi in questo senso ci sono già stati, infatti, il governo centrale iracheno, di fronte al rifiuto della Turchia di uscire dal Kurdistan iracheno, ha presentato una denuncia internazionale contro la sua invasione nel Rojava in direzione di Al-Bab. Se riusciranno a conquistarla, sarà più facile per loro aprire un corridoio con Aleppo.
Quindi un finto corridoio di sicurezza, come annunciato da Erdogan?
Mi spiego meglio. Se la Turchia arriva a Mosul e poi prosegue per Telafer e poi per Sinjar, arriverà a controllare tre zone sciite. Dall’altro lato di Snjar poi c’è Raqqa e da l^ il corridoio che arriva sino a Jarabolus dove ci siamo noi. Quest’azione creerà non un dominio diretto della Turchia ma una nuova enclave sunnita composta dai residui di Saddam, Daesh, Turchia e Kdp.
In questo gioco l’Europa e la comunità internazionale sono in pratica assenti.
La domanda giusta è chi ha permesso alla Turchia di arrivare sino a qui? Come mai hanno di nuovo aiutato la Turchia che era in difficoltà visto il suo fallimento politico? Perché l’Europa sostiene un paese che li insulta, porta avanti la sua identità islamica come l’unico “giusto” e non rispetta i principi di democrazia su cui si fondano gli stati dell’Unione? Noi siamo sbalorditi da questa passività dell’Europa e del fatto che li hanno ingabbiati con il fermo e controllo dei due milioni di possibili immigrati diretti verso di loro. I vostri politici sbagliano perché quello che sta facendo la Turchia, rischia di produrre oltre venti milioni d’immigrati diretti verso l’Europa.
Le forze internazionali presenti sul territorio hanno l’obiettivo principale di contenere i kurdi ed impedire che si estendano sul territorio. Un buon risultato per la Turchia potrebbe essere impedire che si riuniscano tre dei quattro cantoni kurdi. Per i russi proteggere Assad e riconquistare potere in quel territorio e per l’America indebolire il regime siriano utilizzando anche i turchi magari tradendo i kurdi. Questa politica è molto pericolosa perché dopo cinque anni di guerra bisognava creare dei gruppi democratici per consentirgli di gestirsi autonomamente ma al contrario hanno deciso di creare una guerra molto più lunga.
E il ruolo dell’Iran?
Russia, Siria ed Iran hanno creato una compagine che sta aumentando il suo potere e questo crea innalzamento della tensione nei confronti della coalizione guidata degli Stati Uniti. Anche perché questi stanno usando la Turchia per provocarli. La verità è che la politica dei potenti non risolverà la questione della guerra, perché tutti cercano di aumentare la propria egemonia. Questo non sarà per loro facile, perché restano comunque i popoli schierati contro il tentativo di imporre la loro egemonia.
In Siria rimane ancora in campo l’Esercito Libero Siriano?
La verità non è sempre quella detta. In realtà non esiste un Esercito Libero Siriano perché ognuno addestra degli uomini, li chiama così e agisce per attuare la propria politica. Io conosco almeno 100 di gruppi che agiscono con quella sigla. La maggior parte creata reclutando e pagando i profughi provenienti dai numerosi campi allestiti in questa regione. Mercenari disposti a sostenere una fazione o l’altra a seconda di chi paga meglio. Una politica “educa e addestra” attuata soprattutto dalla Turchia che addestra sunniti e li fa entrare pagati, come Daesh, nel paese.
Oggi ci sono oltre 2000 persone che sono arruolate con la Turchia, ma sono ragazzi pagati che non sanno combattere. In realtà, non esiste un movimento! Infatti, molti scappano e si uniscono ad altri gruppi legati al Daesh. Non neghiamo però, che ci sono anche alcuni membri dell’Esercito Libero Siriano che dialogano con noi del Pyd.
Quindi una rivolta contro Assad, senza delle fondamenta richiesta di libertà?
All’inizio della rivolta, alcuni scappati dal regime siriano hanno provato a sviluppare un Esercito Libero Siriano ma in realtà non sono riusciti a diventare un gruppo organizzato perché sono stati subito infiltrati e controllati dalle forze internazionali. La maggior parte di loro erano membri del servizio segreto che erano lì solo per controllare lo sviluppo delle vicende. Avevano già contatti con le forze internazionali. Un gruppo per esempio lavora con il servizio segreto egiziano e un altro con quelli degli Emirati Arabi. Attraverso poi al versamento di enormi somme di denaro, hanno creato anche altri gruppi con il solo obiettivo di difendere il proprio interesse. Questo denaro, però, ha provocato scontri al loro interno ed ora in Siria, è rimasto solo un marchio usato da molti.
Ma in Europa nessuno ha negato l’appoggio all’Els
Esercito Libero Siriano è un nome che piace molto all’Europa perché se deciderà d’intervenire in questo conflitto, prenderà 1000 membri di questi, li pagherà 1000 dollari il mese, li utilizzerà a proprio favore senza muovere le proprie truppe o ufficializzare la propria presenza.
Altro problema è che in questo conflitto, basta far credere al mondo di voler combattere contro Daesh, per essere liberi di commettere qualsiasi schifezza. Come sta facendo la Turchia.
Rimane la questione della vendita del petrolio e di chi lo acquista da Daesh…
Anche se è molto difficile crederlo, Daesh nei territori che occupa, continua a vendere il petrolio anche alle forze che lo combattono. Russia, Iran e Turchia. A tutti! Compreso Israele che non è estraneo a quanto sta avvenendo. Se pensiamo al fatto che Al Nusra e Daesh sono due gruppi radicali islamici e vorrebbero morti tutti i non credenti, non è strano che, pur essendo presenti nelle colline del Golan al confine tra Siria ed Israele, non abbiano sparato neanche un colpo contro i suoi territori? Ma se per Israele i gruppi islamici erano così pericolosi, non dovevano essere i primi ad essere bombardati? Anzi, è risaputo che i loro feriti sono stati curati negli ospedali d’Israele e ancora oggi sono molto più numerosi di quelli curati in Turchia. Tempo fa però, Hezbollah ha compiuto delle operazioni proprio su quelle colline e sono stati immediatamente bombardati da Israele.
Qual è il vostro rapporto con Hezbollah libanese?
In passato abbiamo collaborato con loro ma poiché hanno deciso di schierarsi con il regime iraniano per noi diventa difficile continuare.
In questo contesto/scontro tra Stati Uniti e Russia rimane il problema del destino dello Stato kurdo che ancora una volta nessuno sembra prendere in considerazione.
Noi abbiamo detto chiaramente che il Medio Oriente è diventato così perché dopo la fine della prima guerra mondiale non è stata riconosciuta ai kurdi la loro sovranità. Se succederà ancora, il mondo peggiorerà ancora. Prima in Medio Oriente c’era il problema dei kurdi e ora nel mondo c’è il problema del Medio Oriente. Le due cose si sono incrociate. Se questo conflitto continua cosi, credo non terminerà a breve ma tra parecchi anni. Nena News
18 ottobre 2016

venerdì 21 ottobre 2016

DUE DI FILA PROPRIO NO


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L'intervento di ieri al consiglio di Europa di Renzi contro i premier Holland e Merkel favorevoli ad ulteriori sanzioni alla Russia è stato un atto dovuto verso l'unica nazione che assieme al popolo curdo stanno tentando con buoni successi di sconfiggere Daesh.
Ma purtroppo a breve distanza ecco la leccata di culo tra le più clamorose verso Israele sul tema"dell'allucinante"scelta dell'Unesco su di un argomento di seconda importanza almeno a mio avviso e che ha avuto come obiettivo di contrassegnare con i nomi islamici i luoghi santi del Medio Oriente.
Per me molto rumore per nulla,non sono contro a indicare i luoghi con nomi di altre religioni e visto che Gerusalemme e le zone mediorientali sono state le culle delle tre religioni monoteiste,fatto sta che l'incazzatura mi è sembrata eccessiva.
Articoli presi da Il fatto quotidiano(www.ilfattoquotidiano )e Repubblica(www.repubblica ),dove anche oggi il premier italiano è andato contro l'Ue difendendo la manovra scontentando così sia Bruxelles che gli italiani.

Siria, vertice Ue: “No sanzioni alla Russia per i bombardamenti”. Renzi: “Ora non hanno senso”.

I leader dell’Unione Europea hanno concordato di non sanzionare per il momento gli attacchi che il governo di Putin sta portando avanti contro i civili, anche se hanno avvertito che tale ipotesi rimane sul tavolo qualora continuassero le azioni aeree di Mosca.

Bruxelles-No a sanzioni alla Russia per i bombardamenti in Siria, anche se “tutte le opzioni saranno contemplate se ci saranno ancora massacri”. I leader dell’Unione Europea hanno concordato di non prevedere per il momento sanzioni per gli attacchi che il governo di Putin sta portando avanti contro i civili, anche se hanno avvertito che tale ipotesi rimane sul tavolo qualora continuassero le azioni aeree russe. A dirlo è stato François Hollande, in una conferenza stampa dopo il primo giorno del vertice capi di Stato e di governo dell’Ue. Il presidente della Francia ha aggiunto che “ci potrebbe essere una risposta adeguata dell’Ue”, se Mosca dovesse continuare ad attaccare i civili. Matteo Renzi lasciando la sede del Consiglio Europeo nelle scorse ore aveva detto che “non ha senso parlare di punizioni” in un momento in cui “tutti concordiamo che bisogna fare tutte le pressioni possibili perché si possa arrivare ad un accordo”.
La cancelliera tedesca Angela Merkel ha aggiunto che tali iniziative sono possibili a condizione che via sia consenso tra i 28 dell’Unione: “Siamo tutti d’accordo che dobbiamo fornire una risposta comune per difendere o rappresentare al meglio i desideri della UE”, ha detto Merkel, aggiungendo che “un ampio consenso” sulle opzioni strategiche in relazione alla Russia è necessaria.
La cancelliera tedesca ha aggiunto che l’UE è determinata a fare “tutto il possibile per contribuire a risolvere la situazione umanitaria”, perché “non si può accettare questa situazione”. Il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, ha sottolineato che “la strategia della Russia è quello di indebolire l’Unione europea”, ma ha spiegato che una “crescente tensione” non è l’obiettivo dell’Unione. La decisione non appare una sorpresa: già il Presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, aveva anticipato prima del vertice che sarebbe stato difficile imporre sanzioni alla Russia per la mancanza di “unanimità” tra i 28 dell’Ue. Dalla riunione dei leader a Bruxelles passa dunque una posizione che chiede la tregua ad Aleppo, la fine dei bombardamenti e la possibilità che l’accesso di altri aiuti umanitari sia prolungata.

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Renzi: "Allucinante la decisione Unesco su Israele". E convoca Gentiloni. Tel Aviv ringrazia.

Il premier pronto a "rompere con l'Ue" sulle risoluzioni che penalizzano Gerusalemme, l'Italia si era astenuta: "Siamo andati in automatico, un errore".


Roma-Il presidente del Consiglio si schiera contro la risoluzione dell'Unesco sui luoghi santi del Medio Oriente che penalizza Israele. Una presa di distanza netta, risoluta, senza precedenti. E la protesta italiana sarà formalizzata già nelle prossime ore, come annuncia lo stesso Matteo Renzi. Anche se la posizione del governo era stata più morbida, nei giorni scorsi in occasione della risoluzione il nostro esecutivo, attraverso la Farnesina, si era astenuto. "Una vicenda allucinante, ho chiesto al ministro Esteri di vederci subito al mio ritorno a Roma - spiega il primo ministro in collegamento telefonico con Rtl - E' incomprensibile, inaccettabile e sbagliato. Ho chiesto espressamente ieri ai nostri di smetterla con queste posizioni. Non si può continuare con queste mozioni finalizzate ad attaccare Israele. Se c'è da rompere su questo l'unità europea che si rompa". La risoluzione era passata con l'astensione dell'Italia, ma la linea adesso sarà ulterirmente irrigidita. Si vedrà con quali ricadute.

Intanto, si registra l'immediato riconoscimento e apprezzamento da parte del governo di Tel Aviv. "Ringraziamo e ci felicitiamo con il governo italiano per questa importante dichiarazione", dice il portavoce del ministero degli Esteri israeliano Emmanuel Nahshon. Si conclude il Consiglio europeo da lì a qualche ora e in conferenza stampa da Bruxelles il presidente del Consiglio torna sul caso. E precisa. "Non ho convocato il ministro, si convocano gli ambasciatori degli altri paesi, ho detto solo di aver parlato con il ministro degli Esteri". Quella italiana è stata una "posizione tradizionale nel senso che tutti gli anni va in automatico un voto di questo genere, non è la prima volta. Ecco, siamo andati in automatico, ce ne siamo accorti tardi. Ma questo non vuol dire che la posizione non vada cambiata, io almeno la penso così - ha continuato - Penso si debba ridiscutere e riflettere: non è certo colpa dell'ambasciatore", ma di linea politica "e su questo è stato fatto un errore". Perché "non si può negare quel che è l'origine, la storia di quella meraviglia, quello scrigno che è la città di Gerusalemme".

In Italia il caso accende subito una polemica politica, col centrodestra che accusa Palazzo Chigi. Giovedì, assai duro era stato il rabbino capo di Venezia, Scialom Bahbout: "I Paesi che si sono astenuti" dal voto sulla risoluzione Unesco "che nega la stretta relazione del popolo ebraico con Gerusalemme e il Monte del Tempio hanno collaborato a un atto terroristico che si propone di cancellare migliaia di anni di storia", ha tuonato. Il presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane, Noemi Di Segni, usa toni più moderati ma non rinuncia a manifestare il disagio: "Gli ebrei italiani sono sconcertati e feriti dal comportamento tenuto dalla rappresentanza diplomatica italiana all'Unesco" scrive in una lettera aperta al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, pubblicata sulla Stampa. Poi il centrodestra, dalla Lega a Fi e non solo. "Dov'era Renzi quando per due volte l'Italia si è astenuta in sede Unesco a distanza di giorni?" attacca Daniele Capezzone, deputato vicino a Fitto. E Maurizio Gasparri: "Renzi pagliaccio, non controlla nulla".

In cima all'agenda di Renzi resta tuttavia il referendum costituzionale del 4 dicembre. C'è il sostegno al Sì del Pse, ricorda. Subito dopo il Consiglio europeo il premier si sposta in Sicilia per una serie di comizi in favore del Sì. Mentre i sondaggi iniziano a segnare una prima inversione di tendenza proprio in favore della riforma. "I grandi professori hanno fatto ricorso e hanno perso anche al Tar del Lazio - ironizza a proposito della bocciatura del ricorso sul quesito - adesso per favore parliamo di merito". Perché la consultazione, torna a ripetere, "non è su di me, né sul governo". L'inquilino di Palazzo Chigi nega anche che ci sia stata una sua sovraesposizione mediatica in tv.

"Trovo più facilmente rappresentate le ragioni del No - aveva detto in radio in mattinata - Vado da Semprini e la settimana dopo a Politics è andato un deputato M5s, domenica sarò dalla Annunziata perchè la settimana prima c'era D'Alema e le trasmissioni sono iniziate con Di Maio e Di Battista. Facciamo una lista e vediamo chi partecipa a cosa". C'è un blocco "che dice sempre no" rimarca, e da Bruxelles elenca tutti gli ex premier che si sono iscritti appunto a quel fronte: "Berlusconi e D'Alema, Monti e De Mita fino a Dini". Oltre a "illustri personalità quali Gianfranco Fini e Cirino Pomicino". Come dire, il passato. Glissa sorridendo invece in radio sul sostegno dei Masai, a proposito della notizia dei giorni scorsi sulla quale tanto si era ironizzato sui social: "Non me la sento nemmeno io, che pure ho la faccia tosta, di dire che i Masai voteranno sì. A questo non arrivo. Mi autocontengo".

giovedì 20 ottobre 2016

MISTERI D'ITALIA IN SOMALIA


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Si sa che in Italia le morti avvenute in circostanze misteriose e dove ci siano responsabilità dirette dello Stato,non parliamo delle stragi,sono per antonomasia destinate a non avere dei nomi come responsabilità e tanto meno si arrivi a sentenze e condanne definitive.
Non esula da questa triste casistica l'uccisione avvenuta a Mogadiscio dei giornalisti Ilaria Alpi e Miran Hrovatin nel marzo 1994 in quanto stavano facendo del giornalismo d'inchiesta sul traffico d'armi e di rifiuti tossici che vedevano l'esercito italiano coinvolto in prima linea assieme ai signori della guerra somali e ai nostri servizi segreti e quelli statunitensi(tanto per cambiare).
Risaputo che erano giunti alla verità su questi fatti sono stati eliminati da un commando e fino all'altro giorno era rimasto in carcere il capro espiatorio Hashi Omar Hassan che dopo ben sedici anni di carcere prossimamente e giustamente verrà scarcerato e cui sarà d'obbligo un risarcimento adeguato che non cancellerà sicuramente tutti questi anni passati in galera da innocente.
Tant'è che fin da subito le famiglie Hrovatin e Alpi assieme alla Rai hanno sempre ritenuto non colpevole e incastrato nel giro vergognoso degli insabbiamenti dello Stato e l'altro giorno la madre di Ilaria ha atteso la sentenza di assoluzione assieme ad Hassan ribadendo senza speranze che i due giornalisti siano morti di caldo così come ultimamente il caso Cucchi ci ha insegnato che se un caso viene fin dall'inizio distorto poco c'è da desiderare per avere dei responsabili.
Articolo preso da Contropiano(politica-news )cui suggerisco questo sulla produzione ed il traffico d'armi che riguarda l'Italia(madn chi-traffica-le-armi-oltre-i-nostri ).

Alpi e Hrovatin, uccisi dallo Stato.

di Redazione Contropiano
Con l'assoluzione di Hashi Omar Hassan si chiudono i primi 22 anni dall'omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, l'inviata e il cameraman della Rai uccisi in Somalia mentre seguivano una pista giornalistica che portava evidentemente ad interesse rimasti ignoti ma fortemente difesi e rappresentati da tutti i governi italiani. Da allora ad oggi. Che si tratti di commercio di armi o di rifiuti pericolosi, sembra di business stiamo parlando…
La sentenza del Corte d'Apppello di Perugia non giunge affatto inattesa – il processo è stato riaperto perché uno degli accusatori di Hassan ha ritrattato tutto, spiegando anche perchè aveva mentito – ed è stata voluta anche dalla famiglia Alpi, convinta da sempre che fosse stato loro fornito un caproespiatorio, non un colpevole.
A questo punto, dopo 22 anni e una guerra civile somala che dura da ancora prima di quella data, è illusorio pensare di poter trovare – vivi – gli autori materiali del duplice omicidio. Sarebbe necessario invece indagare davvero sulla copertura data da governi e inquirenti italiani a chi ha fatto di tutto per depistare eventuali indagini o accertamenti, di modo che non fosse mai rintracciabile una responsabilità qualsiasi.
Ci sembra infatti evidente che l'unico processo ancora possibile è allo Stato italiano – in specifico ai comandi militari che controllavano allora la Somalia e ai relativi servizi di intelligence – che ha fatto uccidere due cittadini di questo paese (per di più giornalisti del servizio pubblico!) e poi ha nascosto le prove.
Diciamo questo perché il primo processo è stato un depistaggio organizzato, stando alle parole usate dal magistrato rappresentante l'accusa nell'appello di Perugia, Dario Razzi: analizzando le prove emerse nei confronti di Omar Hassan "ne deriva un quadro bianco senza immagini, senza niente". "E quindi la mia conclusione non può che essere una richiesta di assoluzione per non aver commesso il fatto".
Non è raro che un imputato sia condannato senza prove, ovviamente. È rarissimo che ciò avvenga in un processo che ha vissuto sotto i riflettori della stampa in ogni sua fase, dall'inizio alla fine. Segno che la forza di chi ha tenuto tutto nascosto deve essere immensa, almeno rispetto alla capacità di indagine del giornalista medio italico (bassina, diciamo così). Una prassi che abbiamo visto all'opera molte altre volte. Almeno quante sono state le stragi di Stato in Italia.
Ripercorrendo le tappe di questa infame vicenda, si può ricordare che persino le perizie di routine – come l'autopsia – vennero svolte solo dopo lunga e decisa insistenza da parte della famiglia Alpi. La domanda è quasi banale: chi erano quei funzionari che facevano il muro di gomma davanti alla richiesta di un atto dovuto per qualsiasi morte violenta? A quali “uffici” facevano capo? E soprattutto: qualcuno ha provveduto ad interrogarli?
Da queste prime risposte – pretese ovviamente da chi dispone del potere giudiziario di farsi prendere sul serio – potrebbero dipanarsi i cento fili di una ricostruzione realistica di quanto avvenuto nei dintorni di Mogadiscio.
Servirebbe una magistratura davvero “terza”, capace di mettere il naso anche là dove il segreto è un abito mentale e una garanzia di impunità perenne.
C'è ancora un magistrato del genere, in questo paese?

mercoledì 19 ottobre 2016

MOSUL E LE BANDIERINE DA PIANTARE


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L'assedio a Mosul,la capitale costituita del fantomatico Califfato islamico che è in continuo arretramento di posizioni ma che come una bestia ferita sa essere ancor più pericolosa,potrebbe durare un periodo mediamente lungo ed essere importante nella lotta contro l'Isis quanto la liberazione d Kobane(madn ankara-ed-i-curdi-buoni-e-cattivi ).
E a questa grande abbuffata vogliono partecipare proprio tutti togliendo gran parte dei meriti per primo ai curdi che da anni stanno combattendo le milizie prima di Al Qaeda e poi quelle Daesh,e poi all'esercito iracheno che tenta di liberarsi da questi oppressori nati dagli errori del mondo occidentale.
Che con in prima linea gli Stati Uniti ma anche con la Gran Bretagna e la Francia(l'Italia è relegata a nord a presidiare la diga di Mosul)e poi Erdogan e la Turchia che visti i risultati sempre peggiori dell'Isis foraggiate dal suo governo ora vogliono anche loro piantare la bandierina sul territorio di una forse a breve Mosul liberata.
Ma a caro prezzo con una popolazione allo stremo,con una previsione di più di un milione di sfollati,migliaia di civili usati come scudi umani e il timore che centinaia di miliziani Isis si confondano con i futuri profughi in una terra che ancora non ha visto la parola fine in questa guerra nata per capriccio degli Usa.
Articolo preso da Contropiano(internazionale-news ).

Tutti contro tutti, per liberare Mosul.

di Marco Santopadre
Ad Aleppo e a Mosul è in gioco il futuro della Siria, dell’Iraq e di tutto il Medio Oriente. Due città controllate, da anni, dai jihadisti dello Stato Islamico o da quelli, concorrenti ma non dissimili, di al Qaeda e di altre organizzazioni che vogliono fondare un loro califfato. Due città assediate, all’interno delle quali centinaia di migliaia di civili sono ostaggio di una guerra che nella maggior parte dei casi non hanno scelto. Ma se, nel caso di Aleppo, i civili vengono descritti dai media e dalla cosiddetta comunità internazionale come ‘oggetto dei bombardamenti indiscriminati dell’aviazione russa e siriana’, nel caso di Mosul, dove a bombardare sono i caccia a stelle e strisce e di vari paesi europei, i civili sono invece ‘usati come scudi umani dai terroristi dell’Isis’. Due pesi e due misure, la palese e inaccettabile strumentalizzazione di una sofferenza che coinvolge milioni di persone e le cui cause vanno ricercate negli irresponsabili interventi di quelle potenze occidentali che continuano a vantare il carattere ‘chirurgico’ e ‘mirato’ dei propri bombardamenti contro quello ‘indiscriminato’ dei caccia delle potenze concorrenti. Ma i bombardamenti sono bombardamenti, e la guerra su vasta scala mira sempre a distruggere non sono gli avversari in divisa, ma a terrorizzare la popolazione che li sostiene o che semplicemente li circonda e fornisce un riparo ai combattenti, che lo voglia o no.
Le popolazioni di Aleppo e Mosul cercano in questi giorni di sopravvivere alla liberazione di ciò che rimane dei loro quartieri. Se ad Aleppo è in corso una sorta di tregua dichiarata dalla coalizione guidata da Mosca, a Mosul l’offensiva è entrata nel vivo da pochi giorni.
“Il momento della grande vittoria è vicino”: ha un che di epico il modo in cui il premier iracheno al Abadi lunedì mattina ha annunciato l’inizio della più volte rimandata offensiva contro la seconda città del paese, conquistata dai miliziani del Califfato circa due anni e mezzo fa senza grande sforzo e grazie alla resa o alla fuga precipitosa dei militari di Baghdad. All’epoca gran parte della popolazione sunnita di Mosul era convinta che i tagliagole di Daesh rappresentassero in fondo il male minore, utili a riportare un po’ di ordine e di stabilità in un paese devastato da decenni di guerre, invasioni ed embarghi e a proteggere la città sunnita da un governo centrale dominato dagli sciiti.
Ed oggi, ammesso che la liberazione di Mosul vada a buon fine, la domanda da porsi è: chi governerà quello spicchio di Iraq nei prossimi anni? La liberazione spegnerà gli odi e i settarismi etnici, alimentati ad arte da alcune delle potenze che si contendono spregiudicatamente il controllo del Medio Oriente, oppure li acuirà?
Quello che appare un fronte più o meno compatto contro Daesh, impegnato a cacciarne i miliziani da una città chiave dell’Iraq, è in realtà un’accozzaglia assai composita, contraddittoria e litigiosa di potenze grandi e piccole, di soggetti di diverso tipo, di interessi concorrenti.

Da una parte c’è l’esercito iracheno, supportato dai combattenti delle ‘Unità di mobilitazione popolare’ al cui interno operano consistenti milizie formate da volontari sciiti. L’Iran e i suoi alleati hanno dato un contributo fondamentale in questi ultimi anni al contrasto nei confronti di Daesh e non vogliono certo abbandonare il campo ora che la battaglia è giunta ad una svolta. Il governo di al Abadi, per evitare di impaurire eccessivamente la popolazione di Mosul ed evitare di fornire argomentazioni eccessive a chi soffia sul settarismo per incitare i sunniti ad identificarsi con i correligionari di Daesh, ha stabilito che solo le forze regolari entrino all’interno del centro abitato una volta conquistato. Ma se le componenti sciite del fronte anti Califfato rispetteranno fino in fondo l’indicazione è tutto da vedere.
Lo stesso dicasi per i peshmerga agli ordini del governo di Erbil, capoluogo/capitale di quella regione autonoma curda dell’Iraq del Nord che non solo opera da sempre in completa autonomia rispetto a Baghdad ma che ha stabilito proprie alleanze ‘eccentriche’ con gli Stati Uniti, con Israele e con la Turchia. I curdi di Erbil avrebbero concordato di partecipare solo alla prima fase dell’offensiva accettando di non entrare all’interno di Mosul. Accanto ai peshmerga combattono inoltre alcune centinaia, forse migliaia di guerriglieri del PKK, quelli che nell’estate del 2014 intervennero, peraltro senza essere invitati, per salvare decine di migliaia di curdi e di membri delle altre minoranze – gli Yazidi, ad esempio – che la fuga precipitosa dei peshmerga aveva esposto al massacro di fronte all’offensiva dei miliziani di Daesh.
Ovviamente alla battaglia partecipano l’aviazione di Washington e di altre potenze della Nato, mentre sul terreno centinaia di miliari dei corpi speciali e dei servizi di intelligence di Stati Uniti, Canada, Francia e Gran Bretagna danno manforte – od ostacolano, in certi casi – all’avanzata delle truppe regolari e delle milizie irachene e curde. In Iraq ci sono anche alcune centinaia di soldati italiani, mandati da Renzi a proteggere – così si disse – i lavori di messa in sicurezza della diga di Mosul affidati all’impresa italiana Trevi Spa. Che ruolo avrà il battaglione italiano nella battaglia di Mosul? “Nessuno”, stando ad alcuni media e al governo, “di prima linea” a dar retta a certe indiscrezioni e al Corriere della Sera.
I russi, che in una certa fase avevano puntato molto sull’Iraq riuscendo addirittura a coinvolgere Baghdad in un centro di comando unificato che comprendeva anche Iran e Mosca sembrano in questo frangente abbastanza defilati, concentrati come sono nel contesto siriano. La novità delle ultime settimane è che, dopo la firma di un consistente e strategico patto di carattere energetico tra Mosca ed Ankara, la Russia sembra disposta a tollerare un certo ruolo di Erdogan nella regione che fino a qualche mese fa aveva risolutamente contrastato.
L’elemento maggiore di contraddizione nella cosiddetta ‘coalizione contro Daesh’ è rappresentato proprio dalla Turchia. Ankara ha mandato mesi fa circa 2000 soldati nel nord dell’Iraq, e nel frattempo ha addestrato ed armato circa 1500 peshmerga e altrettanti miliziani sunniti che stanno già partecipando all’offensiva contro l’Is a Mosul. Ma Ankara vuole partecipare direttamente, con le proprie truppe, alla battaglia. Per controbilanciare il ruolo delle forze del fronte sciita, per rafforzare la propria presenza egemonica nel nord dell’Iraq (come d’altronde nella Siria settentrionale), per poter infine partecipare all’eventuale ridisegno dei confini e delle aree di influenza dell’intero Medio Oriente. Ankara, dopo aver appoggiato e rifornito i jihadisti di varie correnti per anni (e forse continua a farlo, nonostante li stia anche combattendo), si propone ora come ‘protettrice’ dei sunniti in tanto in Siria quanto in Iraq, e la sua partecipazione alla ‘liberazione’ di Mosul è necessaria a puntellare questo ruolo.
Il problema è che il governo di Baghdad, e i suoi alleati del fronte sciita, sono tutt’altro che disponibili a permettere questa operazione egemonica che potrebbe avere pesanti ripercussioni sugli assetti mediorientali, imponendo un’egemonia turca in paesi nei quali Ankara non ha mai avuto un ruolo. Per accentuare il quale il regime turco intende utilizzare sia i curdi iracheni – che pure hanno siglato un patto con Baghdad anche se rifiutano di abbandonare i territori liberati da Daesh nella provincia di Ninive, al di fuori dei confini della regione curda – sia gli stessi miliziani jihadisti che per ora combattono strenuamente per sostenere il loro controllo di Mosul. La Turchia vuole evitare una disfatta di Daesh e potrebbe agire per proteggerne la ritirata in altre zone; d’altronde il ‘cessato pericoloso’ smonterebbe gli argomenti di Erdogan sull’importanza dello schieramento delle truppe turche in Iraq ed in Siria contro il fondamentalismo. Ma c’è di più: persa Mosul i combattenti del Califfato sarebbero più utili nella confinante Siria, a rafforzare le posizioni di Daesh nelle aree del paese in cui i jihadisti continuano a contrastare l’offensiva delle truppe lealiste e dei suoi alleati, e dei curdi. Meglio ancora, qualche migliaio di combattenti e ‘foreign fighters’ finora inquadrati nel Califfato potrebbero cambiare casacca ed essere improvvisamente riconvertiti in “ribelli moderati”, al servizio degli interessi (coincidenti ma concorrenti) di Ankara e Riad.

Una strategia alla quale si starebbe accodando anche Washington, che dopo il passo falso del maldestro golpe turco di luglio è ora costretta a rincorrere le spregiudicate mosse di Erdogan sperando che ciò sia sufficiente ad evitare la rottura tra Turchia e Nato e un’alleanza troppo stretta tra Ankara e Mosca.
Non a caso ieri il governo siriano ha accusato la Coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti di manovrare per permettere la fuga in Siria ai combattenti dello Stato Islamico finora asserragliati a Mosul. "Dall'inizio delle operazioni militari (…) per la liberazione di Mosul dalle bande terroristiche dell'Isis e con la fuga dei gruppi terroristici,,,, sembra emergere un perfido disegno dei sostenitori del terrorismo, con in testa gli Stati Uniti e l'Arabia Saudita per garantire strade e percorsi sicuri per permettere ai terroristi in fuga da Mosul di raggiungere la Siria", recita il testo di un comunicato diffuso dal Comando dell'esercito siriano. Un disegno che, secondo Damasco, "mira a rafforzare la presenza" dell'Isis nella parte orientale della Siria, in particolare a Deir el-Zor.

In realtà anche lo stesso governo iracheno preferirebbe la fuga in Siria dei jihadisti (5000 per la Cia, il doppio per l’intelligence di Baghdad) al bagno di sangue – già avvenuto a Ramadi, Falluja e Manbij – che si prospetta se Daesh deciderà di non ritirarsi e di sostenere fino in fondo lo scontro diretto con i circa 50 mila uomini che stanno conducendo l’offensiva lanciata per riprendere Mosul. Non è un caso che l'offensiva sia dispiegata su tre fronti – da nord, da sud e da est – lasciando sguarnito il lato occidentale verso la frontiera con la Siria.