sabato 30 agosto 2014

LA SITUAZIONE NEL DONBASS

Col passare del tempo la guerra civile che sta coinvolgendo l'Ucraina ed il Donbass sta assumendo caratteri sempre più gravi ed incerti sul futuro di questo conflitto anche se le forze dell'ultima parte in causa citata sembrerebbero avere la meglio in questi ultimi giorni.
Supportate da volontari provenienti dalla Federazione Russa infatti i"ribelli",i terroristi come vengono chiamati dal regime di Kiev i combattenti filorussi,stanno ottenendo vittorie al confine e anche oltre,liberando importanti città ed accerchiando un gran numero di soldati ucraini che stanno aspettando un corridoio da parte dei russi che ovviamente sono disposti a lasciarli passare solo consegnando loro le armi.
Kiev chiede l'aiuto alla Comunità Europea mentre le indagini sull'abbattimento dell'aereo malese sui cieli della zona di guerra stanno confermando che i colpevoli dell'accaduto siano stati proprio gli ucraini e non i filorussi da subito accusati da Obama(http://www.senzasoste.it/rete/la-cia-fu-kiev-ad-abbattere-il-boeing-malese e http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2014/07/i-misteri-del-volo-malese-abbattuto.html ).
In questo scenario un intervento europeo per ora sembra lontano ma le pressioni che Usa e gli oligarchi ucraini in combutta con i neonazi possono fare cambiare in un attimo l'ago della bilancia in favore di Kiev,che non aspetta altro,anche perché se la situazione per loro non cambia la sconfitta sembrerebbe inevitabile.


“Mosca ci invade”, Kiev chiede sostegno militare a Nato e Ue.


Sta diventando sempre più concreto il rischio che in Ucraina la guerra civile in corso ormai da mesi nell’est del paese faccia un salto di qualità e veda il coinvolgimento diretto delle potenze occidentali anche sul piano militare dopo che al regime nazionalista sia l’Ue che gli Stati Uniti hanno concesso armi, finanziamenti e sostegno politico.

A scatenare l’escalation potrebbe essere il maggiore impegno militare da parte di Mosca che nel giro di pochi giorni ha deciso di correre in soccorso delle Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk prima con l’invio di un convoglio di aiuti umanitari e poi con l’ingresso in territorio ucraino di migliaia di volontari del Donbass – e internazionali – che si sono addestrati e armati in territorio russo. Il maggiore protagonismo di Mosca – che fa seguito a mesi di sostegno ambiguo agli insorti dell’Ucraina russofona – ha permesso alle milizie popolari di aprire un secondo fronte nei pressi di Mariupol. Il che ha causato un allentamento della morsa e dell’assedio delle due grandi città ribelli da parte dell’esercito ucraino e dei battaglioni punitivi composti dai miliziani dell’estrema destra che affiancano le forze armate regolari.

Al di là delle diverse valutazioni possibili sull'entità del sostegno di Mosca, quella che doveva essere una operazione militare di breve durata si è rivelata assai più impegnativa per gli oligarchi alla guida del nuovo regime di Kiev. Nonostante i bombardamenti indiscriminati contro città e villaggi anche con missili Grad e armi proibite - ad esempio quelle al fosforo bianco - la resistenza delle popolazioni del Donbass non è stata piegata.
Negli ultimi giorni si è combattuto sul confine tra Ucraina e Russia sulla costa del Mare di Azov dove le milizie hanno preso il controllo di alcune importanti località e si apprestano a loro volta ad assediare Mariupol, importante città costiera a poche decine di chilometri dalla penisola di Crimea. Secondo il regime di Kiev la manovra mirerebbe a creare un ‘corridoio’ da Lugansk fino proprio alla penisola che mesi fa si è resa indipendente e con un referendum ha deciso l’annessione alla Federazione Russa.

Da tempo il regime di Kiev e i suoi sponsor occidentali insistono sul fatto che convogli militari russi abbiano sconfinato in Ucraina a volte partecipando agli scontri militari. Circostanza sempre negata da Mosca e anche da alcuni giornalisti occidentali, fino a quando all’inizio della settimana il governo russo ha ammesso uno sconfinamento di paracadutisti definito però un errore. Mentre ancora oggi i funzionari di Mosca smentivano l’ennesima accusa di Kiev – “un altro convoglio di carri armati russi anche se con le insegne delle Repubbliche Popolari ha sconfinato” – ci ha pensato il nuovo primo ministro della Repubblica Popolare di Donetsk, Alexander Zakharchenko, a dare in parte ragione al regime ucraino, affermando che circa 3-4 mila volontari russi hanno combattuto tra le fila delle milizie che tengono testa alla cosiddetta ‘operazione antiterrorismo’ di Kiev. "Molti di loro hanno lasciato la Repubblica, ma la maggior parte è rimasta", ha detto in una intervista del canale russo "Rossiya 24" Zakharchenko secondo il quale si tratterebbe in buona parte di militari dell’esercito russo intervenuti nella difesa del Donbass a titolo personale. "Oggi mi viene spesso chiesto come sia possibile che l'esercito della Novorossiya, composto da unità partigiane possa non solo resistere alle forze armate ucraine, ma anche sconfiggerle sul campo di battaglia", ha detto Zakharchenko, aggiungendo che "Kiev e l'Occidente hanno ripetutamente parlato di una invasione militare russa per giustificare in qualche modo le pesanti sconfitte che esercito ucraino subisce ormai da diversi mesi". "Non abbiamo mai nascosto il fatto che molti volontari russi stiano combattendo con noi e senza il cui aiuto saremmo in una situazione molto difficile". Oltre a ex militari in pensione Zakharchenko ha affermato che tra i volontari russi ci sono "anche militari di professione che combattono tra le nostre fila. Ma sono qui in congedo e invece che farsi le loro vacanze combattono insieme a noi per la nostra libertà”.

Ma Francia, Stati Uniti e Nato affermano che a partecipare alle operazioni militari in territorio ucraino sono battaglioni di soldati della Federazione Russa, dotati di armi d’avanguardia e agli ordini del governo di Mosca. Oggi un alto esponente dell’Alleanza Atlantica ha parlato di “1000 uomini” mandati dalla Russia a Donetsk, circostanza smentita dal governo russo.

Di fronte al capovolgimento di fronte dettato dalla controffensiva delle milizie popolari a Mariupol e alla loro strenua resistenza a Lugansk e Donetsk – dove l’artiglieria ucraina ha distrutto una scuola – il regime nazionalista filoccidentale ha chiesto ufficialmente il sostegno militare dei suoi sponsor internazionali ed ha mobilitato alcune istituzioni internazionali sperando che intervengano risolutamente nel conflitto. Accogliendo una richiesta avanzata dal governo della Lituania, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Uniti ha indetto una riunione di emergenza sull'Ucraina oggi alle 12 (ora di New York, le 18 in Italia). L’ambasciatore ucraino presso l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce), anch’essa convocata d’urgenza da Kiev, ha parlato non più di sconfinamenti ma di ‘invasione diretta’ ed ha chiesto l’internazionalizzazione di una crisi che, in realtà, è esattamente il risultato dell’intervento occidentale a fianco dei movimenti nazionalisti e degli oligarchi ucraini che portò al golpe di febbraio.

Ora il presidente Poroshenko, reduce da una stretta di mano con Vladimir Putin a Minsk che non ha risolto proprio nulla, vuole che i blocchi occidentali aumentino le già pesanti sanzioni comminate alla Russia, a partire dal congelamento di tutti i beni russi e il divieto di transazioni finanziarie per le banche di Mosca.

Non solo. Kiev insiste con i comandi della Nato – di cui il paese non fa ancora parte ma con cui ha stabilito forti legami militari – affinché l’Alleanza Atlantica si schieri apertamente e immediatamente contro la Russia, intenzione per altro già dichiarata esplicitamente ieri dal suo segretario generale che ha già annunciato di voler far maggiormente sentire la sua presenza nell'Est Europa. Si capirà nel vertice in programma il 4 e 5 settembre in Galles – al quale Mosca non è stata invitata – quanto la Nato è disposta a portare lo scontro con la Russia sul piano militare diretto. Nel dubbio, il presidente Poroshenko – che oggi ha annullato una visita in Turchia per partecipare a una riunione urgente del Consiglio di Sicurezza Nazionale ha comunque chiesto anche all’Unione Europea una ‘assistenza militare ampia’.
In attesa di capire fino a dove vuole spingersi il vasto fronte dei paesi occidentali che sostengono i golpisti ucraini, ora gli analisti si interrogano sulla strategia di Mosca: la Russia punta a provocare la caduta del regime di Kiev oppure ad annettere alcuni dei territori russofoni del paese oppure ancora a inasprire lo scontro militare estendendo i combattimenti ad altri territori così da poter avere più carte dal giocare in una eventuale trattativa con la controparte che comunque manterrebbe nell’orbita russa il Donbass pur all’interno di un quadro dell’Ucraina sostanzialmente unitario? Molto dipenderà da quanto Usa e Ue spingeranno l'acceleratore contro la Russia. Finora è stata infatti l'aggressiva iniziativa occidentale a determinare una reazione di Mosca che fino ad ora non sembrava affatto scontata.

venerdì 29 agosto 2014

LA CONFUSIONE DI OBAMA

Anche se l'articolo è datato di tre settimane e riguarda prevalentemente l'Iraq,quello che contano solo le dichiarazioni del presidente Usa Obama che minaccia qua e la il mondo intero,dalla Palestina alla Siria arrivando alla Nigeria e alla Russia,e ho citato solo una manciata di luoghi nel mirino del premio Nobel.
Nello specifico della situazione siriana,dopo aver foraggiato le truppe ribelli islamiche contro il leader Assad,ecco che ora ordina alle sue truppe dopo qualche mese di combattere contro gli stessi ribelli che si sono rivelati un tantino al di sopra delle righe in quanto ora fanno parte integrante dell'Isis che giorno dopo giorno allarga i propri confini.
Un po' come accadde contro i talebani afgani militarizzati ai tempi del conflitto con l'Urss e poi combattuti ai tempi di Bin Laden per citare solo un esempio dove il governo Usa e la Cia hanno addestrato e fornito di armi persone e stati per poi combatterli dopo un tot di tempo.
Propongo anche questo articolo(http://www.senzasoste.it/internazionale/il-patto-isil-usa-in-una-foto ),questo è preso da Repubblica,dove è chiara l'ingerenza Usa che crea e cerca di risolvere i conflitti in molte parti del mondo,ed in questo caso tutte concentrate nel giro di poche migliaia di chilometri.

Iraq, Obama autorizza raid contro lo Stato islamico: "C'è rischio di genocidio".


Tornano i bombardamenti degli Stati Uniti nel Paese invaso nel 2003: "Avanti a oltranza contro i jihadisti, ma non inviamo truppe". Lanci di aiuti alle popolazioni in fuga dalle milizie estremiste, che hanno rapito centinaia di donne yazide. Usa e British Airways sospendono i voli commerciali nella zona.


Bagdad.L'aviazione Usa ha avviato i primi raid mirati contro i miliziani dello Stato islamico (Is) nel nord dell'Iraq. Il presidente americano Barack Obama ha reso noto di aver autorizzato l'operazione, così come il lancio di aiuti umanitari alla popolazione in fuga dalle zone occupate dagli islamisti. "Oggi ho autorizzato bombardamenti aerei mirati in Iraq per colpire i terroristi, proteggere il personale americano e prevenire un potenziale genocidio. Ho autorizzato anche il lancio di aiuti umanitari a favore della popolazione irachena in difficoltà", ha affermato il capo della Casa Bianca in una dichiarazione in diretta tv. "Non potevamo chiudere gli occhi", ha proseguito, precisando che i caccia americani entreranno in azione "se necessario e i bombardamenti saranno mirati".  Per ora non c'è una data precisa per la fine dei raid: si continuerà a oltranza.
I jihadisti conquistano la diga più grande del Paese. Dopo quello del primo pomeriggio, i caccia-bombardieri Usa hanno effettuato in serata un'altra serie di bombardamenti aerei contro obiettivi degli jihadisti sunniti dello Stato Islamico (Is) nel nord dell'Iraq. Lo riferisce la rete Usa Cnbc. Il Pentagono ha chiarito che i bombardamenti sono stati due: il primo effettuato da un drone che ha neutralizzato una postazione di fuoco di mortai; il secondo da caccia-bombardieri contro un convoglio dello Is vicino a Erbil. Dallo staff del presidente della regione curda irachena è arrivata inoltre una brutta notizia: "I miliziani dello Stato Islamico hanno conquistato la più grande diga del Paese", nei pressi di Mosul. Una presa strategica, in quanto con la diga potrebbero aggirare blocchi alimentari ed energetici delle truppe ufficiali.

Centinaia di donne rapite dai jihadisti. Il portavoce del ministero dei diritti umani dell'Iraq Kamil Amin ha riferito che centinaia di donne della minoranza religiosa yazidi sono state prese come prigioniere dal gruppo dello Stato islamico. Kamil Amin ha detto che le donne hanno meno di 35 anni e che alcune vengono trattenute in scuole di Mosul. Il ministero, ha riferito il portavoce, è venuto a conoscenza delle prigioniere dalle loro famiglie. Decine di migliaia di yazidi sono fuggiti quando il gruppo dello Stato islamico ha catturato la città settentrionale di Sinjar, vicino al confine con la Siria. I commenti di Amin sono la prima conferma del governo iracheno che alcune donne sono in mano ai militanti.

SCHEDA - Che cos'è lo Stato Islamico, il gruppo jihadista che minaccia l'Iraq e il mondo

Obama: "Ma non invieremo truppe". Obama, che del ritiro delle truppe Usa dall'Iraq ha fatto un caposaldo della sua presidenza, ha ammesso che la prospettiva di un nuovo impegno militare sarebbe motivo di preoccupazione per l'opinione pubblica. E per questo ha assicurato che nessun soldato americano sarà inviato sul territorio iracheno e che la crisi non sarà risolta militarmente da Washington: oggi l'America interviene per aiutare le minoranze, ma "come comandante in capo non permetterò che gli Stati Uniti siano trascinati in un'altra guerra in Iraq", ha detto. Obama ha precisato che i lanci di viveri e acqua sono stati richiesti dal governo di Bagdad. Gli aiuti umanitari sono destinati alle decine di migliaia di Yazidi costretti alla fuga quando i miliziani dell'ex Isis hanno dato loro un ultimatum: si sarebbero dovuti convertire all'Islam o sarebbero stati uccisi. Due aerei C-130 e un C-17, scortati da due caccia F-18, hanno sorvolato l'area a bassa quota lanciando ottomila pasti pronti e ventimila litri di acqua potabile.
Bagdad: "Riconquisteremo le aree perdute". Dopo il bombardamento americano, afferma il generale dell'esercito iracheno Babaker Zebari, "ci saranno enormi cambiamenti sul terreno nelle prossime ore", e i militari e i peshmerga curdi riconquisteranno terreno nei confronti degli jihadisti. "Le forze aeree americane stanno prendendo di mira le basi dello Stato islamico a Makhmur e nella zona di Sinjar. Ufficiali dell'esercito iracheno, i peshmerga ed esperti americani stano lavorando insieme per selezionare gli obiettivi", ha aggiunto il generale. La Federal Aviation Administration, l'ente che supervisiona l'aviazione civile statunitense ha bloccato tutti i voli commerciali americani sopra l'Iraq: "situazione potenzialmente pericolosa". La stessa decisione è stata presa anche dalla British Airways. Ma la battaglia è molto ardua: i peshmerga, i combattenti curdi, hanno perso almeno centocinquanta uomini in circa due mesi di scontri armati con le milizie sunnite dello Stato islamico nel nord dell'Iraq, mentre altri cinquecento sono rimasti feriti: lo ha riferito in conferenza stampa il portavoce del governo della regione autonoma del Kurdistan, Fwad Hussein, precisando che si tratta di un bilancio non comprendente le perdite più recenti.

La diplomazia internazionale. Della crisi irachena è tornato a occuparsi anche il Consiglio di sicurezza dell'Onu: in una dichiarazione approvata all'unanimità ha lanciato un appello alla comunità internazionale affinché sostenga il governo iracheno, condannando le violenze dello Stato Islamico e quella che viene definita una vera e propria "persecuzione" nei confronti delle minoranze religiose. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, si è detto sconvolto dalle notizie che arrivano dall'Iraq e ha invitato tutti a intervenire per aiutare Bagdad. Papa Francesco ha nominato il cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli, suo inviato personale in Iraq "per esprimere la sua vicinanza spirituale alle popolazioni che soffrono e portare loro la solidarietà della Chiesa". Filoni ha poco dopo commentato così la nomina: "È un gesto che manifesta la sollecitudine del Papa verso la situazione di questi cristiani, che in questo momento sono in sofferenza: quella di aver lasciato la casa e di vedere tutte le loro radici tagliate, di essere stati anche umiliati, lasciando le loro case così come erano e cercando rifugio altrove".
Ieri il Pontefice aveva chiesto alla comunità internazionale di proteggere i cristiani in Iraq.
La reazione del governo italiano è affidata al sottosegretario agli Esteri Mario Giro: "Sosteniamo l'iniziativa di Obama in Iraq, ma ci vuole  molto di più. E' una situazione molto grave di cui il governo italiano si sta occupando. Il viceministro Pistelli è a Erbil dove sta portando gli aiuti ai cristiani che sono scappati da Karakosh e dalla piana di Ninive, e a tutte le minoranze. Il governo è preoccupato. Occorre un'azione forte per proteggere le minoranze".
Come si è arrivati al caos di oggi in Iraq. Da diversi mesi, in Iraq è tornato il caos. Dopo l'invasione statunitense nel 2003, che ha provocato la caduta del dittatore Saddam Hussein, nel Paese si sono accentuate notevolmente le già nette divisioni tra le tre principali etnie locali: gli sciiti, i sunniti e i curdi. Nel frattempo, l'influenza dei gruppi estremisti, anche a causa della fragilità del governo centrale e delle politiche per molti esclusive del premier sciita Al Maliki, è cresciuta sempre più nel tempo. Tra questi, lo Stato Islamico, ex Isis, è il gruppo jihadista sunnita che mette più paura a Bagdad e all'Occidente, anche grazie al supporto di parte della comunità sunnita, appunto. A nord, invece, sono presenti i curdi, una comunità che da moltissimo tempo invoca l'indipendenza ma che, sinora, paradossalmente ha rappresentato un collante per lo Stato iracheno: i suoi miliziani peshmerga, infatti, sono stati quelli che hanno contrastato più efficacemente l'avanzata degli estremisti. Almeno fino a ora. 

sabato 9 agosto 2014

ASTE NAGUSIA...E NON SOLO!

Il blog andrà in ferie per qualche settimana causa un viaggio nella terra basca dove si seguiranno le tappe dell'Aste Nagusia,la Semana Grande che per gli abitanti di Euskal Herria è più di una festa,è l'occasione migliore per loro di far vedere ai numerosi turisti stranieri ciò per cui lottano,per la libertà e per l'autodeterminazione di una terra e di un popolo.
Potrò vedere dal vivo Abordatzera!(http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2014/06/abordatzera.html )che è una festa nella festa dall'alto valore politico a Donostia,le interminabili notti a Bilbo e una rimpatriata ad Iruña e visitare paesi già visti o ancora da visitare,incontrare vecchi amici e pronto a farne di nuovi.
Si parte in due in auto,sarà una massacrata ma si è pronti a divertirsi come non mai in una terra che affascina e si lascia amare,con gente generosa ed orgogliosa pronta a fare tutto per renderti a tuo agio,insomma una seconda casa!
Jo ta ke irabazi arte!

venerdì 8 agosto 2014

FUGA DALL'IRAQ

L'articolo odierno evidenzia il fatto che la polveriera mediorientale non è solo una prerogativa attuale riguardante la Striscia di Gaza che dev'essere intesa più come un conflitto prettamente locale,mentre la costituzione autoproclamata del califfato dell'Isis assume connotati internazionali con gli intenti di questa organizzazione estremista islamica che mira ad allargare sempre di più i propri confini.
L'articolo preso da Infoaut parla della situazione di queste ore che si sta vivendo nel nord dell'Iraq nella zona curda presso l'incrocio tra gli stati dell'Iran e della Turchia dove la resistenza del popolo del Kurdistan sta soccombendo agli attacchi sempre più decisivi delle milizie islamiche che cercano di occupare militarmente quella regione.
Non solo,le continue incursioni dell'Isis che ormai occupano buona parte dell'Iraq(ormai sono alle porte di Baghdad)e delle Siria stanno causando l'esodo di migliaia di yazidi e di ben più cristiani che vedono nella fuga dalle loro abitazioni la scelta più sicura per sopravvivere alle violenze delle forze dell'islam più estremo e radicale.
Voci insistenti di un attacco Usa per fermare l'avanzata delle truppe del califfo Abu Bakr al-Baghdadi sono sempre più forti in un susseguirsi di informazioni che giungono dalle zone di guerra,con un esercito iracheno allo sbando e con le milizie siriane fedeli a re Assad che combattono gli jihadisti e che sul loro suolo ipocritamente sono attaccate dagli stessi Stati Uniti.
L'esempio libico che adesso vede lo stato nordafricano in balia di fazioni fondamentaliste islamiche ovviamente non ha insegnato nulla al mondo occidentale su come operare in politica estera.

Iraq: disintegrazione inevitabile?
Solo i combattenti kurdi sembrano in grado di fermare l’avanzata islamista. Gli USA e l’Occidente tra un Iraq dominato dall’estremismo jihadista e un rafforzamento dell’”asse del male” Iran-Siria preferiranno la balcanizzazione dell’Iraq
Il 10 giugno scorso i guerriglieri dell’ISIS (Stato islamico in Iraq e Siria) hanno conquistato Mossul, la seconda città dell’Iraq, e puntano su Tikrit, città natale di Saddam Hussein, ad appena 100 chilometri da Baghdad.
500mila persone sono in fuga da Mossul: temono il regime di terrore conseguente all’instaurazione della sharia -la legge islamica- ma anche i bombardamenti indiscriminati delle zone occupate (gli USA stanno valutando l’impiego di droni).
Durante il vecchio regime Mossul era un centro nevralgico fondamentale per il governo di Baghdad. Da qui venivano molti funzionari e militari di alto rango del partido Baath di Saddam. È anche una regione ricca di petrolio, di cui fa parte anche la città di Kirkuk che ha le seconde riserve di idrocarburi del Paese. Inoltre la città è vicina a Siria e Turchia, ed è quindi in una posizione strategica.
L’ISIS, il più potente gruppo armato jihadista della regione, da tempo in attrito con la direzione di Al Qaeda, è formato da poche migliaia di miliziani (5-7.000), ma si sono uniti a loro i “nostalgici” del partito Baath e altri estremisti sunniti.
Il discusso primo ministro sciita Al Maliki, al potere dal 2006 e fresco vincitore delle prime elezioni post-occupazione (30 aprile), ha fomentato l’odio con la sua politica ultra-settaria verso le minoranze sunnite e kurde e la brutalità con cui risponde ad ogni opposizione.
I miliziani dell’ISIS entrano ed escono dal confine tra Siria e Iraq, nella prospettiva dell’eliminazione delle frontiere, dell’epurazione degli sciiti e dell’instaurazione di un califfato islamico che comprenda parti del territorio iracheno, siriano e iraniano.
Come scrive Il Manifesto, i jihadisti “gra­zie agli otto anni di occu­pa­zione mili­tare USA si sono for­mati nelle tat­ti­che della guer­ri­glia urbana, hanno indi­vi­duato stra­te­gie mili­tari effi­caci su larga scala, hanno goduto di finan­zia­menti sta­bili e di una rete di comu­ni­ca­zione rami­fi­cata”.
Armi e soldi sono arrivati nel quadro della guerra civile siriana soprattutto dalle petromonarchie sunnite del Golfo (Arabia Saudita e Qatar in primis), ma anche dai servizi occidentali che li hanno foraggiati in funzione anti-Assad.
L’esercito regolare iracheno è allo sbando: il grosso delle truppe governative dislocate nelle zone attaccate è fuggito o si è arreso, e girano voci (e video) di massacri dei prigionieri.
Di fronte a questa emergenza Al Maliki, anche se potrebbe costargli varie concessioni politiche e territoriali, ha deciso di chiedere aiuto al governo autonomo del Kurdistan, che dispone dei combattenti peshmerga, migliaia di veterani dotati di armamento pesante, appoggiati anche delle milizie kurde della Siria (YPG).
Mossul è a meno di 100 kilometri da Erbil, la capitale del Kurdistan. I peshmerga sono già partiti per difendere il loro confini e si sono schierati anche oltre la frontiera, occupando luoghi abbandonati dall’esercito regolare iracheno, come Kirkuk che i kurdi rivendicano da anni.
Anche l’Iran ha promesso aiuto al suo alleato Al Maliki. Teheran si è molto avvicinata a Baghdad con l’arrivo al potere degli sciiti dopo la caduta del nemico mortale Saddam (si ricordi la terribile guerra degli anni ’80 con milioni di morti).
Lo stesso naturalmente vale per la Siria, altro vertice -con i libanesi Hezbollah- del triangolo sciita e da anni teatro della guerra civile tra sostenitori di Assad e milizie islamiche.
Per gli USA paradossalmente l’asse del male Siria-Iran sarebbe l’alleato naturale contro i jihadisti, ma di fronte a prospettive così nebulose l’amministrazione Obama e il Pentagono cominciano a vedere come il minore dei mali la balcanizzazione dell’Iraq, con la frammentazione del Paese in tre zone indipendenti controllate rispettivamente da sciiti, sunniti e kurdi. Secondo alcuni analisti, anzi, questo sarebbe il vero obiettivo di USA e Israele al di là delle preoccupazioni di facciata per la minaccia di Al Qaeda. Del resto è lo stesso “format” che si sta concretizzando in Libia e in Siria, come risultato di un’evidente strategia di tribalizzazione dell’intero mondo arabo.
di Nello Gradirà
tratto da Senza Soste n.94 (giugno-luglio 2014)
vedi anche

giovedì 7 agosto 2014

AZIONI LEGITTIME DA ATTUARE CONTRO ISRAELE

Dopo l'articolo di ieri che parlava di un riassunto dei motivi per cui c'è il genocidio dei palestinesi nella Striscia di Gaza e l'occupazione di Israele dei territori arabi,ecco preso da Senza Soste un contributo di BDS Italia(la campagna per il boicottaggio,il disinvestimento e le sanzioni)che organizza in otto punti le azioni per sostenere la Palestina in questo senso.
Ci sono un elenco di tutte la marche da non comprare,soprattutto prodotti agricoli ma pure utensili vari e cosmetici(da integrare con questi altri prodotti,vedi:http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2009/01/boicottare-israele.html e http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2010/05/stop-ai-beni-prodotti-nei-territori.html )e poi questioni riguardanti l'embargo militare e rapporti di lavoro tra aziende israeliane ed italiane.
Inoltre si parla di boicottaggio sportivo e culturale senza dimenticare che Israele sarà ospite d'onore all'Expo 2015 di Milano non tralasciando tutti i presidi e le manifestazioni ed eventi che in queste settimane stanno proliferando in tutto il paese per esternare il disappunto verso la politica italiana ed europea(oltre che quella Usa e di Israele naturalmente)che cercano di confondere gli aggressori con le vittime.

8 modi per sostenere la Palestina attraverso il boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro Israele
A cura di BDS Italia - tratto da http://www.bdsitalia.org

Lanciata dalla stragrande maggioranza delle organizzazioni della società civile palestinese nel 2005 e ispirata dal movimento contro l’apartheid in Sudafrica, la campagna per il boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS) è ormai un diffuso movimento internazionale.
La campagna BDS si sta dimostrando capace di ottenere un sostegno di massa e di convincere aziende, istituzioni culturali, artisti e governi ad aderire o osservare il boicottaggio di Israele. Unisciti alla campagna per contribuire a costruire il movimento internazionale BDS contro il regime israeliano di occupazione, colonialismo e apartheid.
1. Prodotti delle società israeliane o aziende internazionali complici dell’occupazioneCercare di boicottare ogni singola azienda complice dell’apartheid israeliana è un compito arduo che ha poche possibilità di avere un impatto concreto. Ha più senso concentrarsi su società o prodotti oggetti di campagne nazionali o internazionali. Di seguito alcuni prodotti che si trovano in Italia:
Sodastream: Ditta israeliana che si spaccia per “ambientalista”, mentre la sua principale fabbrica di produzione è sita in una delle centinaia di colonie costruite illegalmente nei Territori palestinesi occupati. In Italia, Sodastream vende gasatori per l’acqua frizzante dal rubinetto. Inoltre, nel 2011 ha acquistato la ditta romagnola CEM Industries, ora Sodastream Professional, che fa macchine industriali per bar e ristoranti e tecnologia per le case dell'acqua comunali.
» Consegna la lettera agli esercenti ai bar e ristoranti nella tua città. Proponi di esporre gli adesivi della campagna.
» Assicurati che le case dell’acqua del tuo comune non contengono tecnologia Sodastream
» Firma la petizione e consegna la lettera ai negozianti e ai rivenditori.
» Fai conoscere la campagna: Volantini, loghi, grafici e video.
- Prodotti agricoli: Le imprese israeliane che esportano prodotti agricoli sono tra i principali beneficiari della distruzione dell'agricoltura palestinese; operano nelle colonie israeliane all'interno dei territori occupati ed esportano i loro prodotti fuori da esse sfruttando terre e risorse idriche palestinesi rubate, beneficiando inoltre dell'assedio di Gaza. Alcuni dei prodotti e marche che si trovano in Italia, che variano in base alla stagione, sono: agrumi, pompelmi, (Mehadrin, Jaffa), datteri medjool (Mehadrin, Haidaklaim, King Solomon, Jordan River), frutta esotica, avocado, mango, melograni (Mehadrin, Kedem, Frutital, Sigeti, McGarlet), frutta secca.
» Coinvolgi i tuoi amici e la tua famiglia nel boicottaggio
» Parla col tuo fruttivendolo, con il tuo GAS o con la direzione del supermercato.
» Fai conoscere la campagna: Volantino prodotti agricoli, Volantino datteri.
Hewlett Packard: Multinazionali che fornisce sistemi informatici al Ministero della Difesa israeliano e tecnologie per il controllo del movimento ai checkpoint a Gaza e in Cisgiordania. L’attrezzatura HP è usata dal sistema carcerario e dall’esercito israeliano, e l’azienda ha anche investito nello sviluppo tecnologico degli insediamenti illegali, prendendo parte al progetto Smart City ad Ariel. È inoltre diffusissima anche in Italia in luoghi ed aziende pubbliche e private.
» Firma la petizione all’amministratore delegato della HP» Invia una lettera alle direzioni aziendali che conosci
Ahava: Ditta israeliana di cosmetici con fanghi del Mar Morto. La sua fabbrica principale, col suo lussuoso centro per i visitatori, si trova a Mitzpe Shalem, una colonia nella Cisgiordania occupata. In Italia si vende in alcune farmacie, erboristerie, profumerie e grandi magazzini come la Rinascente.
» Chiedi ai rivenditori di non commercializzare i prodotti Ahava
» Segui la campagna sul sito Stolen Beauty
- Teva: Industria farmaceutica israeliana che sta monopolizzando il mercato degli equivalenti.
» Con la ricetta del tuo medico, che non è vincolante, chiedi farmaci generici di altre ditte.
» Rifiuta anche quelli Dorom e Ratiopharm, marchi acquisiti dalla Teva.
» Spiega a chi vende la Teva perché non la si compra.
Con l’ultimo massacro di civili a Gaza, aumentano gli appelli per un embargo militare ad Israele. In Italia abbiamo il dovere di impegnarci strenuamente in questo ambito, dato che il nostro paese è il primo fornitore europeo di armi ad Israele. 
» Firma la petizione internazionale per un embargo militare su Israele. Le firme verranno consegnate a settembre all’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani
» Promuovi una mozione che chiede l’embargo militare e la revoca dell'accordo del 2005 di Cooperazione Militare Italia-Israele presso il tuo consiglio comunale
» Chiudi il tuo conto presso Unicredit che finanza la vendita degli M-346 caccia addestratori dell’Alenia Aermacchi ad Israele.
» Impegnati nella campagna Nessun M-346 ad Israele» Segui la campagna boicottaggio armamenti per gli aggiornamenti, in particolare sulle iniziative contro le esercitazioni militari in Sardegna con la partecipazione di Israele a settembre. 
Il 2 dicembre 2013, durante il vertice Italia-Israele, l’Acea, principale operatore italiano nel settore idrico, e la Mekorot, società idrica nazionale di Israele, hanno sottoscritto un Memorandum d'intesa. La Mekorot, oggetto di una campagna internazionale di boicottaggio, non solo sottrae illegalmente l’acqua alle falde palestinesi ma fornisce l’acqua rubata alle colonie israeliane in Cisgiordania e a Gerusalemme est occupate. 
» Firma la petizione che chiede all’Acea e al Comune di Roma di annullare l’accordo con la Mekorot
» Chiede agli enti locali il cui servizio idrico è affidato a società partecipate da Acea che si attivino affinché venga ritirato l’accordo. Vedi l’esempio di Pomarance» Fai conoscere la campagna: Volantini, video, loghi e grafici
Expo 2015 non solo rappresenta uno scempio a 360 gradi, in termini di devastazione e speculazione, così come nell’appropriazione ipocrita di termini come "sviluppo sostenibile", ma funzionerà anche come vetrina per le "eccellenze" israeliane in agricoltura e gestione delle risorse idriche, mentre ruba acqua e terra ai palestinesi.
» Partecipa all’assemblea nazionale il 19 ottobre a Milano» Segui la campagna No Expo No Israele, anche sul sito noexpo.org 
La Pizzarotti SpA di Parma sta costruendo una TAV israeliana che attraversa la Cisgiordania occupata, ed ha causato la confisca, lungo il suo percorso, di altre e ulteriori terre palestinesi. 
» Fai approvare una delibera dal tuo comune per sanzionare la Pizzarotti ed escluderla dalle gare per gli appalti pubblici. Sono già 6 i consigli che lo hanno fatto, compreso uno in Val Susa
» Fai conoscere la campagna: Volantino Stop That Train
Le istituzioni accademiche e culturali israeliane (la maggior parte controllate dallo Stato) hanno contribuito direttamente a mantenere, difendere o giustificare le forme di oppressione contro il popolo palestinese, oppure si sono rese complici con il loro silenzio.
» Scrivi una lettera agli artisti italiani che si esibiscono in Israele. Vedi alcuni esempi» Organizza una campagna contro eventi culturali sponsorizzati dall’ambasciata israeliana nella tua città
» Organizza una campagna per interrompere i legami tra la tua università e Israele.
» Promuovi una risoluzione in sostegno al boicottaggio accademico presso la tua università o associazione accademica.
» Firma la petizione internazionale per escludere Israele dalla FIFA
» Coinvolgi calciatori, squadre o organizzazioni sportive nella campagna
» Fai conoscere la campagna: Dossier, canzoni e grafici
8. Altre azioni
» Chiedi alle reti, organizzazioni ed ai gruppi ai quali appartieni di aderire all’appello palestinese per il BDS.  Compila il modulo al link “Clicca per aderire”
» Chiedi dichiarazioni o risoluzioni a sostegno al BDS ad associazioni, sindacati o consigli comunali.
» Fai conoscere la campagna: Disegni di Carlos Latuff» Segui BDS Italia via Facebook e Twitter

mercoledì 6 agosto 2014

DOMANDE E RISPOSTE SULLE ORIGINI DEL GENOCIDIO PALESTINESE


Complice la bella serata di ieri svoltasi presso l'Arci di Santa Maria a Crema dove si sono profilate le idee ed i contenuti della prossima iniziativa prevista contro il massacro dei palestinesi in programma per questo sabato alle 16 in Piazza Duomo a Crema,ecco un contributo preso da Infoaut che può aiutare gettando le basi sulla conoscenza del conflitto soprattutto stabilendone le origini attraverso domande e risposte in dieci punti salienti.
Questo lavoro,seppur limitato storicamente in quanto in poche righe non si possono racchiudere secoli di guerre,occupazioni,periodi di pace e schematizzazioni di flussi di persone e religioni,fornisce comunque uno strumento per poter capire meglio cosa stia alla base di questa situazione che in questi ultimi decenni sembra non avere una risposta ed una fine.

10 cose da sapere per comprendere la guerra in Palestina. 
In questi giorni di tanto inchiostro versato sulla guerra in Palestina, quella che manca è spesso una visione delle cose basata sui fatti e sulle vicende storiche che hanno segnato oltre 65 anni di conflitti in terra santa. Per questo ci siamo posti dieci domande sulla questione palestinese ed abbiamo cercato dieci risposte, per provare a fornire una base che possa servire a comprendere un conflitto che ancora non vede fine, a partire dai fatti e non dalle opinioni.
1. GLI EBREI HANNO SEMPRE VOLUTO UN PROPRIO STATO IN PALESTINA?
La risposta è No. Ad affermare la volontà di costruire uno stato ebraico in terra santa è inizialmente una minoranza esigua di ebrei europei, raccolti nel “movimento sionista”, che nasce a fine ’800. Per dare un’idea di come questa ideologia non fosse comune a tutto il popolo ebraico basti pensare che erano proprio gli ebrei più ortodossi a rigettare l’idea come blasfema, in quanto sostenevano che il regno di dio non poteva essere costruito in terra, ma sarebbe arrivato come dono divino dopo il giudizio universale. Il Sionismo diventa maggioritario dopo le tragedie della II guerra mondiale, quando anche gli stati europei e gli Usa si convincono (un po’ per senso di colpa, e soprattutto perché nessuno voleva accogliere i profughi ebrei all’interno del proprio stato) ad accettare l’idea dell’Inghilterra, che è quella di creare una stato ebraico in Palestina, al fianco di uno stato palestinese con Gerusalemme città dallo status internazionale, a mandato Onu.

2. DA CHI ERA ABITATA STORICAMENTE LA PALESTINA?
Secondo l’opinione dei sionisti israeliani il territorio della Palestina era pressoché disabitato fino all’inizio dell’immigrazione ebraica di inizio ’900, per questo affermano spesso che gli ebrei sono un “popolo senza terra che è andato ad abitare una terra senza popolo”, ma è vero questo? La risposta è No. Secondo i dati dell’Impero Ottomano ad inizio ’900 la Palestina era abitata da circa 800mila persone: oltre 700mila arabi-musulmani, circa 80mila cristiani e non più di 20mila ebrei. La popolazione ebraica crebbe nei primi decenni del ’900 ma ancora nel 1914 non superava le 59mila unità. Altra affermazione piuttosto in voga e non vera è quella secondo cui i palestinesi non avessero alcuna identità nazionale e fossero “beduini arretrati che vivevano nelle tende ignorando la civiltà”. Per relegare questo altro cavallo di battaglia sionista tra le bufale della storia può bastare dare un’occhiata ad un archivio di vecchie foto (vi consigliamo questo), le quali testimoniano senza dubbio come già a fine ’800 la Palestina fosse una realtà urbanizzata, con una propria economia (ferveva la produzione e il commercio di agrumi) e alcune proprie istituzioni, come la scuola superiore di Stato.
3. PERCHE’ ANCORA NON ESISTE LO STATO PALESTINESE ANCHE SE ERA GIA’ PREVISTO NEL 1948?
Questo è un problema complesso. Inizialmente sono gli stati arabi confinanti a rifiutare la soluzione dei due stati in quanto questo avrebbe significato accettare anche lo stato di Israele ed una divisione territoriale che riservava allo stato ebraico la maggioranza del territorio palestinese, mentre a livello di popolazione gli ebrei in Palestina rappresentavano all’epoca un’esigua minoranza. Per questo già nel 1948 Egitto, Siria, Libano, Iraq e Giordania dichiarano guerra ad Israele che però, forte dei migliori equipaggiamenti militari, vinse la guerra. Un nuovo conflitto si verifica nel 1967 (la “guerra dei sei giorni”) e vede ancora Israele vincere ed occupare nuove terre. Un accordo tra le parti viene firmato nel 1993 (“accordo di Oslo”) tra il leder dell’Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina) Yasser Arafat e il primo ministro israeliano Rabin. L’accordo avrebbe dovuto sancire la nascita dello stato di Palestina entro cinque anni, ma l’assassinio di Rabin da parte di estremisti ebrei contrari all’accordo e l’opinione diversa dei sui successori hanno fatto sì che l’accordo non sia mai stato messo in atto.
4. COME NASCE LA LOTTA ARMATA PALESTINESE?
Nel 1964 viene fondata l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) che già dal 1974 è accettata dalla Lega Araba come unico rappresentante del popolo Palestinese. L’Olp ha come obiettivo nel proprio statuto “la liberazione della Palestina attraverso la lotta armata”, alla quale rinuncia solo nel 1993 dopo gli accordi di Oslo. Sono sempre esistite anche altre sigle che attuavano la lotta armata ed anche attentati suicidi, come ad esempio “Settembre Nero”, che nel 1972 si rese protagonista dell’assassinio di 11 atleti israeliani durante le Olimpiadi di Monaco di Baviera.
5. LA LOTTA ARMATA PALESTINESE E’ UNA FORMA DI TERRORISMO ISLAMICO?
Islamico sicuramente no, o comunque non solo. L’Olp nasce come struttura laica con al suo interno correnti islamiche, cristiane, socialiste e comuniste. La radicalizzazione islamica delle organizzazioni palestinesi è una evoluzione recente e comunque maggioritaria solo a Gaza. Sulla questione del terrorismo, invece, a livello formale vi sono diverse interpretazioni. Mentre alcuni stati, seguendo le indicazioni degli Usa hanno sempre considerato l’Olp (ed ora Hamas) come organizzazioni terroristiche, l’Onu ha attuato invece delle risoluzioni che affermano principi diversi. In particolare l’Olp è stata riconosciuta dall’Onu nel 1975 come rappresentante del popolo palestinese, mentre nel 1977 venne approvata una modifica alla convenzione di Ginevra la quale riconosceva che, in linea generale “la lotta armata poteva essere usata, come ultima risorsa, come mezzo per esercitare il diritto all’autodeterminazione”. Per molti anni diversi stati europei hanno riconosciuto il diritto alla lotta armata dei palestinesi e tra questi anche l’Italia. A questo proposito vi consigliamo di guardare il video dell’intervento dell’allora presidente del Consiglio Bettino Craxi nel 1985, quando afferma che “i palestinesi hanno il diritto di usare le armi per liberarsi dall’occupazione della loro terra”.
6. QUELLA DI HAMAS A GAZA E’ UNA DITTATURA?
Anche qui la risposta è: dipende. Più no che sì in realtà. Hamas arriva al potere nel 2006 vincendo le elezioni. A queste ottiene più voti del partito di Abu Mazen (Al Fatah) e la maggioranza dei seggi. Tuttavia a questi risultati segue uno sconto tra Al Fatah (maggioritario in Cisgiordania) e Hamas (maggioritario nella striscia di Gaza), che si conclude con l’eliminazione, anche fisica, dei rivali politici da parte di entrambe le fazioni in lotta ed un governo palestinese di fatto diviso in due: la Cisgiordania ad Al Fatah e Gaza ad Hamas. Negli anni successivi ci sono stati diversi tentativi per formare un governo di unità nazionale tra le due fazioni, l’ultimo accordo è di poche settimane fa ma la nuova offensiva militare lo ha bloccato.
7. I BOMBARDAMENTI ISRAELIANI AVVENGONO PER LEGITTIMA DIFESA?
Questo è da sempre l’argomento più controverso: secondo gli israeliani gli attacchi a Gaza sono sempre una risposta al lancio di razzi verso Israele, mentre secondo i Palestinesi sono i lanci di razzi ad essere di risposta alle aggressioni israeliane. In questo caso specifico, l’offensiva israeliana cominciata l’8 luglio è stata giustificata con l’assassinio di tre coloni israeliani da parte di Hamas. Tuttavia le prove che Israele dice di avere riguardo alla responsabilità del governo di Gaza non sono ancora state mostrate. In linea generale, secondo le statistiche pubblicate da un’inchiesta dell’Huffington Post la realtà è la seguente: il 79% di tutte le pause nel conflitto sono terminate quando Israele ha ucciso un Palestinese, mentre solo l’8% sono state interrotte da un attacco palestinese. Il rimanente 13% consiste di interruzioni provocate da uccisioni da ambedue le parti nel medesimo giorno. Nei 25 periodi di assenza di violenza di durata superiore alla settimana invece Israele ne ha unilateralmente interrotti 24, pari al 96%. Nei 14 periodi di tregua superiori ai 9 giorni le interruzioni unilaterali da parte di Israele arrivano al 100%
8. QUANTI SONO GLI ISRAELIANI E I PALESTINESI UCCISI NEL CONFLITTO?
Tra il 2000 ed il 2010 le vittime totali del conflitto sono state 6404 palestinesi e 1080 israeliani, calcolando sia i militari che i civili. Negli ultimi anni va però annotata una sempre più evidente sproporzione del conflitto, dettata dalla netta superiorità militare dello stato israeliano, che può vantare i più moderni armamenti (sempre più frequente l’utilizzo di droni). Dal 7 luglio ad oggi sono già stati uccisi 150 palestinesi, a fronte di nessun israeliano. Secondo le stime delle organizzazioni umanitarie oltre 1/3 delle vittime sono donne e bambini.
9. QUALI DOVREBBERO ESSERE I CONFINI DELLA PALESTINA?
Il piano degli inglesi del 1948 prevedeva una suddivisione in parti quasi uguali tra stato palestinese (45%) ed Israeliano (55%), con Gerusalemme posta sotto mandato Onu come città internazionale. Dopo i due conflitti del 1948 e 1967 Israele ha ampliato sensibilmente i propri confini, giunti fino al 78% del territorio totale. Questa dovrebbe essere la base per stabilire l’accordo sui confini secondo gli Accordi di Oslo. Tuttavia ad oggi una soluzione del genere è assolutamente impensabile, a causa della continua espansione illegale del territorio sotto il controllo israeliano perpetuata attraverso l’istituzione delle colonie.
10. ESISTE UN’ALTERNATIVA POSSIBILE?
Tutti i tentati tavoli di dialogo avvenuti in questi anni si sono basati sul principio di “due stati per due popoli” e si sono costantemente arenati appena giungevano al punto in cui si doveva iniziare a parlare dei confini di questi due stati. Per questo vi è una corrente che, pur fortemente minoritaria, esiste sia tra i palestinesi che tra gli israeliani (principalmente tra pacifisti, anarchici e socialisti), che propone non più due stati differenti, ma un unico stato multinazionale e laico con pari diritti per tutti i suoi abitanti. Probabilmente è un’utopia, ma allo stato attuale, secondo i sostenitori di questa soluzione, “niente pare più utopico di un accordo di pace basato sui due stati”, e forse non hanno tutti i torti.

martedì 5 agosto 2014

I SOLDATI UCRAINI ABBANDONATI DA KIEV



"Kiev ci ha abbandonati". Comandante ucraino racconta la fuga in Russia
La notizia presa da Contropiano(http://contropiano.org/internazionale/item/25619-kiev-ci-ha-abbandonati-comandante-ucraino-racconta-la-fuga-in-russia )parla della vicenda di un battaglione di soldati ucraini che in seria difficoltà di vita dovuta dall'abbandono da parte di Kiev ha dovuto consegnarsi ai soldati nemici della Russia per evitare la morte dovuta alla mancanza di viveri.
Il racconto del comandante che con circa quattrocento soldati hanno varcato il confine per venir fatti prigionieri dai militari del Donbass è riportato qui sotto e parla del trattamento umano ricevuto e della voglia di tutti di smettere questa guerra civile che sta insanguinando il territorio tra il confine dell'Ucraina con quello della Novorossiya.

"Kiev ci ha abbandonati". Comandante ucraino racconta la fuga in Russia.

Il comando di Kiev ha clamorosamente abbandonato un gruppo di oltre 400 soldati circondati dalle forze di autodifesa della Novorossiya. La mancanza di munizioni, di cibo, di carburante e di chiari ordini dal comando su come poter uscire dall'accerchiamento, ha determinato la decisione di far rifugiare l'intero battaglione in territorio russo. E' la testimonianza di un alto ufficiale ucraino, Il Maggiore Vitaly Dubinyak, che si è rifugiato in Russia insieme ai suoi uomini.
"Per due settimane abbiamo combattuto senza munizioni e senza carburante. Per due settimane non avevo quasi niente per dar da mangiare ai miei uomini. Abbiamo anche finito le razioni di viveri. Le truppe erano più fiaccate dalla disperazione che non dai bombardamenti" - ha detto Dubinyak.
"A parte ordinarci di 'resistere', da Kiev non ci è stato mandato alcun tipo di aiuto. La scorsa settimana hanno interrotto tutte le comunicazioni. Ci hanno semplicemente abbandonati" - ha aggiunto.
Un totale di 438 soldati, tra cui 164 guardie di frontiera ucraine, sono stati autorizzati ad entrare in Russia durante la notte di Domenica.
Le truppe sono state alloggiate in una tendopoli situata vicino al checkpoint attraverso il quale sono entrate in territorio russo.
"Al fine di salvare i soldati, i comandanti dell'unità hanno preso la decisione di attraversare il confine con la Russia. Tutte le attrezzature e le armi sono state lasciate sulla parte ucraina. La cosa più importante era salvare queste persone" - ha sottolineato il comandante.
Dubinyak ha detto che è rimasto sorpreso dal trattamento "quasi fraterno" che i suoi uomini hanno ricevuto dai loro colleghi russi.
"Coloro che ci danno gli ordini mentono quando dicono che siamo in guerra con la Russia. Nessun russo si è permesso di farci nemmeno uno sguardo ironico. Capiscono benissimo che siamo ostaggi di questo caos" - ha detto.
«Qui per noi è stato organizzato un check-up medico. I feriti hanno ricevuto assistenza. Siamo stati nutriti. Ci siamo potuti fare una doccia per la prima volta in un mese. Ci hanno dato dei vestiti puliti. Ci è stato offerto tutto ciò di cui avevamo bisogno per poterci riprendere" - ha aggiunto il comandante.
Secondo Dubinyak, i suoi uomini hanno attraversato "un tritacarne" e non torneranno a combattere di nuovo.
Ha inoltre esortato i "capi" che stanno a Kiev di "andare loro a combattere e a mandare i loro figli a morire."
Il comandante ha ammesso inoltre che i combattimenti nel sud-est dell'Ucraina si sono trasformati in una guerra civile su vasta scala.
"Non so come farò a guardare negli occhi delle madri di quei miei ragazzi che sono morti. Ma so per certo che questa guerra civile deve essere fermata. Ho visto abbastanza lacrime dalla gente locale e abbastanza sofferenza dai miei uomini. Sono stanco di questo. La cosa più importante è che siamo vivi. Ci occuperemo di tutto il resto dopo, quando torneremo a casa" - ha concluso Dubinyak.

lunedì 4 agosto 2014

ROJAVA:LA ZONA CURDA SIRIANA

Il Medio Oriente purtroppo non è nelle prime pagine dei giornali solo per la questione palestinese ma anche,magari in piccoli spazi di spalla nelle pagine più interne,per scontri in Libano e per la guerra in Siria,che va avanti lo stesso anche se ne si parla sempre di meno.
L'articolo preso da Infoaut parla della resistenza nel nord del paese della popolazione curda che con azioni di guerriglia hanno saputo respingere gli attacchi delle milizie islamiche estremiste dell'Isis,il califfato autoproclamato che comprende territori iracheni e siriani e che ha come personaggio di spicco Abu Bakr Al Baghdadi.
Il territorio al confine con la Turchia denominato Rojava è abitato prevalentemente da curdi così come il territorio vicino turco e parte di quelli in Iraq ed Iran:l'esperienza secolare di queste popolazioni che da sempre sono contro l'islamismo estremo,sono dichiaratamente ed orgogliosamente di sinistra,e tutt'ora stanno gestendo questa zona rifacendosi all'esempio zapatista.

Kobane, il Curdistan autonomo respinge l'offensiva jihadista.


74 morti tra civili e militanti curdi delle formazioni di autodifesa YPG e YPJ (battaglione interamente femminile) e 685 tra le bande dello Stato Islamico dell'Iraq e Sham (ISIS) che cingono d'assedio il cantone autonomo di Kobane, nel nord della Siria - e che qui subiscono la loro prima vera battuta d'arresto.
Questo il bilancio dell'ultimo mese di scontri tra i combattenti di Rojava ("Ovest", il termine con cui i curdi definiscono il Curdistan siriano) e la formazione jihadista - volta ad intensificare l'espansione in Siria del califfato, proclamato a luglio in una moschea di Mosul dal leader Abu Bakr Al Baghdadi.

Un'avanzata resa possibile dall'abbandono della regione da parte dell'esercito baathista di Assad, delle milizie qaediste di Al-Nusra e del filo-occidentale Esercito Libero Siriano. Ma anche dal sostegno dello stato turco; il quale non solo permette il passaggio di armi, munizioni e proseliti dell'ISIS dai propri confini, ma ne tollera la presenza anche nei propri grandi centri urbani come Istanbul - secondo quanto riportato nei giorni scorsi dall'agenzia Firat.

Dal confine settentrionale siriano, tuttavia, non arrivano solamente presenze ostili per i curdi. Non senza grandi rischi (le truppe turche chiudono un occhio sugli islamisti, ma sparano a vista su altri frontalieri illegali) centinaia di miliziani del PKK, ma anche volontari giovani e meno giovani desiderosi di sostenere la causa della Rojava, sono accorsi a difendere Kobane.

In accordo con i principi del Confederalismo Democratico, una piattaforma di organizzazione autonoma promossa dallo storico leader del PKK Abdullah Ocalan, da 15 anni rinchiuso nella prigione turca di Imrali. Impostazione che distingue la traiettoria politica in Rojava da quella del Curdistan iracheno, dove i partiti dinastici e clientelari del KDP e del PUK, e le lobbies che li sostengono, cercano di approfittare della debolezza del morente governo centrale per istituire una forma classica di stato nazionale.

Continueremo a documentare gli eventi in Rojava ed il processo di costruzione di autonomia che vi sta avendo luogo: per un quadro introduttivo consultate "La Rivoluzione in Rojava: costruire autonomia in Medio Oriente" su questo stesso sito.

sabato 2 agosto 2014

LA SFERA DI CRISTALLO DI OBAMA

Obama Ukraine Gaza

Il breve articolo preso da"Il corriere della sera"parla del Presidente Usa Obama,premio Nobel per la pace nel 2009(http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2009/10/un-nobel-acerbo.html )in veste di difensore massimo dello Stato invasore ed assassino di Israele molto più degli israeliani stessi.
Si vede che i compromessi dovuti alle sue due elezioni a massima carica negli Stati Uniti stanno prendendo il sopravvento scavalcando i minimi principi di solidarietà e di difesa verso un popolo oppresso e messo sotto assedio,anzi c'è il vergognoso ribaltamento della storia passando a paladino degli usurpatori.
Parlando solo della giornata di ieri secondo lui fa più notizia il rapimento di un soldato israeliano che l'uccisione di più di cento palestinesi,e come già nel caso dell'aereo abbattuto nel Donbass sa già che i colpevoli della violazione della tregua sono i combattenti di Hamas così come nella questione Ucraina i colpevoli erano stati i russi.
Questa ingerenza in campo mondiale di Obama e degli Usa deve finire assolutamente nel più breve tempo possibile,e mi chiedo a che cosa serva l'Onu creata apposta per difendere le vittime e non i carnefici.

Obama a Hamas: «Liberare subito il soldato israeliano rapito».
Il presidente Usa ribadisce il diritto di Israele di difendersi, ma chiede che si eviti la «morte di civili innocenti a Gaza». Nuovo appello per un cessate il fuoco.

«Hamas deve liberare subito e senza condizioni il soldato israeliano rapito». Barack Obama condanna il sequestro, avvenuto giovedì, di un militare dell’esercito israeliano. «La mia condanna sull’uccisione di due soldati ed il rapimento di un altro soldato è inequivocabile. Hamas deve liberarlo il prima possibile e senza condizioni» ha detto il presidente statunitense. Obama, durante una conferenza stampa a Washington, ha ribadito il diritto di Israele a difendersi, ma ha chiesto che «si faccia tutto il possibile per evitare la morte di civili palestinesi a Gaza».
«Difficile arrivare a un’altra tregua»
Il presidente Usa ha poi accusato di Hamas di essere «responsabile per la fine della tregua» di 72 ore, violata giovedì dopo poche ore. «Sarà molto difficile mettere in atto un nuovo cessate il fuoco - ha quindi proseguito Obama - se Israele e la comunità internazionale non saranno sicuri che Hamas possa rispettarlo. Ci vorrà del tempo, ma dobbiamo continuare a provarci».