Alfredo Cospito: il supplizio invisibile della tecnocrazia carceraria.
di Vincenzo Morvillo
Alfredo Cospito, in sciopero della fame oramai da mesi, è giunto ad un punto quasi irreversibile per le sue condizioni di salute.
Una morte lenta ed autoinflitta per inedia, che si sta consumando nel silenzio e nell’indifferenza pressoché totale della maggior parte della comunità e dei media.
Una morte assurda, direi addirittura quasi grottesca – come quella descritta nel finale de Il Processo da Kafka – causata da una legislazione spietata, tenuta in piedi, per ignobili principi di ragion politica, da un Parlamento e una Magistratura, trasversalmente di destra e di sedicente sinistra, assetati di sangue e vendetta.
E assurdo, grottesco, cinico – ancor più improntato al godimento sadico che caratterizza, da sempre, la microfisica del potere liberale, con il suo disciplinamento biopolitico – appare il trasferimento di Alfredo, dal Bancali di Sassari all’Istituto detentivo milanese di Opera, predisposto ieri dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria.
Una decisione maturata a seguito dell’allarme, lanciato dalla dottoressa di fiducia di Cospito, Angelica Milia, la quale aveva sostenuto che il detenuto «è a forte rischio fibrillazione», e che ha il solo scopo di monitorarne le condizioni di salute, per poi rispedirlo, sano, al carcere duro.
Dietro le mura di quella cella nella quale consumarsi. Solo, senza relazioni, senza umanità!
Lo hanno ribadito, tronfi ed orgogliosi della loro spietatezza, il Ministro degli esteri Antonio Tajani, il quale si augura «che venga confermato il carcere duro a Cospito» e il sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro Delle Vedove, il quale rigetta l’ipotesi di clemenza per l’anarchico detenuto in regime 41 bis nel carcere di Sassari.
«Per quanto riguarda l’aspetto politico – ha detto Delle Vedove – non si arretra sul 41 bis e sull’ergastolo ostativo. Sono strumenti speciali per affrontare mafia e terrorismo anarchico L’applicazione attiene alla magistratura, ma noi non la priveremo mai di questo strumento».
Una riedizione aggiornata, ma ben più meschina e surreale – considerate le forze in campo – di quel fronte della fermezza, andato in scena quarant’anni or sono, e che condannò a morte il Presidente della Dc, Aldo Moro, per mano delle Brigate Rosse.
Le parole sono le stesse: “Senza condizioni”, “Lo Stato non tratta”. Salvo poi averli fatti per tutto il ‘900 e oltre, le trattative e i patti, quando tornava comodo. Con la criminalità organizzata o coi fascisti.
Cospito insomma, rappresenta – che muoia o meno – l‘ennesima barbarie di uno Stato italiano di matrice ottocentesca che, ergendosi ad entità etica, concepisce sé stesso come un dio infallibile e implacabile, la cui mano belluina può decidere della vita e della morte di chiunque.
E, come qualunque squallida divinità, si ritiene in diritto di distribuire pene e assoluzioni, costrizioni e libertà, secondo codici che promanano dalla sua stessa empirea crudeltà.
Per di più, nell’ipocrita presunzione del “rispetto dei diritti umani”. Diritti divenuti sofismi linguistici vuoti e praticati solo secondo opportunismo e convenienza.
Astrusa cultura giudaico-cristiana, vindice e oscura, modella l’inconscio collettivo di questo Paese. Che parla di amore e compassione, ma si nutre di odio!
Cultura e codici definiti, ça va sans dire, per garantire e proteggere i soli sacerdoti di questo Stato. Ovverosia, le classi privilegiate e dominanti.
Un Leviatano hobbesiano che, abbandonate oramai le sue velleità liberali, s’impone come entità assoluta, il cui discorso assume, irrimediabilmente ad ogni pronuncia, incontrovertibile “forza di legge”.
Kantiana e imprescindibile legge moloch. Ma ciò che più conta, immutabile ed eterna.
E così, chiunque contesti questa presunta entità spirituale, finisce per essere assimilato, hic et nunc, ad un assassino di dio. Un eretico da punire secondo le più fanatiche norme dell’Inquisizione di Stato.
Norme scritte sulle tavole in pietra del Capitale, del Mercato, del Profitto. Norme dettate da autoproclamati padroni del cielo, di cui solo i servitori del consumo e il clero in camicia bianca, potranno godere.
Accolti così, nella luce accecante che emana oltre le Porte della Legge.
Gli altri, gli eretici, i contestatori, i marginali, gli inadeguati, gli scarti del sistema, gli ultimi, i proletari, sono destinati a rimanerne esclusi e a perire nell’anonimato di classe. O, qualora osassero alzare la voce e bestemmiare, ad essere rinchiusi nelle sacre prigioni del Castello.
Qui, tra le ombre oscure delle celle, neanche più la rieducazione, la riprogrammazione della coscienza è consentita.
Solo l’abbrutimento umano e la cancellazione di ogni dignità. Se va bene, naturalmente. Altrimenti, si viene murati vivi.
Come in un racconto di Edgar Allan Poe, infatti, lo Stato borghese, infallibile e implacabile, ama l’orrore. Dell’orrore fa la sua forza e il suo credo.
Non espone più, come ci raccontava Foucault in “Sorvegliare e Punire”, il corpo del condannato in pubblica piazza, per lasciare assistere la popolazione al supplizio, quale monito di pena possibile.
Oggi, “più civilmente”, la tecnocrazia carceraria nasconde agli occhi della comunità, dietro le sbarre di un penitenziario speciale, la carne e la psiche del condannato alla morte in vita.
Si preserva la società dall’orribile dolore del supplizio, inflitto con sadico piacere benpensante. Attribuendo a quest’orrore, un asettico simbolo matematico: 41Bis.
Vergogna di un dio raziocinante e scientifico, progredito e tecnologicamente avanzato. La cui bava fetida emana rancido odore di sangue antico. Rappreso sulle mura di ogni Panopticon, di ogni Bastiglia, di ogni Alcatraz, di ogni Asinara.
Monumenti alla Pena liberale, eretti nel democratico occidente da inquietanti architetti del supplizio, del tormento, dello strazio. Della Morte.
Alfredo Cospito lotta e lentamente muore oggi, nell’Italia del mantra “democraticista”, in ragione di un reato la cui veste giuridica i tecnici del diritto hanno cucito e confezionato per il suo solo corpo.
Strage contro lo Stato – e dunque contro dio – laddove strage non vi è stata.
Quel corpo che lui, in piena coscienza, sta lasciando morire. Tra gli spazi claustrofibici e inumani del 41bis.
Alfredo -eucarestia non voluta su un territorio culturale sospeso tra laicità mai realizzata e teologia imperante- è un corpo sacrificale che i farisei nazionali stanno immolando sull’altare di un efferato e iniquo senso di giustizia.
Alfredo s’immola come un “capro che canta” -τράγος ᾄδω- la sua tragedia. Una tragedia non solo personale, ma di tutti i condannati all’ergastolo ostativo e al carcere duro. Senza distinzione di sorta.
Perché anche Riina, Provenzano, Cutolo, Matteo Messina Denaro hanno diritto ad essere considerati esseri umani.
L’aver commesso dei reati, anche efferati, non può eliminare lo status di umanità. Uno status che vige a prescindere dal principio di legalità che informa un qualunque Stato.
Altrimenti, a seconda dei casi, ciascuno può disumanizzare a piacere il proprio presunto nemico. Un criterio di discrezionalità che ha un nome ben preciso. Nazismo.
Un nazismo tecnocratico, che oggi sembra permeare l’intera società occidentale.
Per questo, continuiamo ad invocare la libertà per Alfredo Cospito. E continuiamo ad opporci fieramente – marxisti, comunisti o anarchici che sia – al 41 bis. Senza distinguo di sorta!
Alfredo Cospito Libero. No al 41 bis. No all’ergastolo ostativo. No alle carceri
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