Commuovetevi ma da lontano.
di Giulio Cavalli
Il tempo della commozione è finito. «Nessuno ci venga a parlare di accogliere decine di migliaia di afghani», dice Matteo Salvini. E qui si torna al punto di partenza: le regole di quest'epoca impongono di empatizzare solo con quelli che non possono turbare il nostro quotidiano
Piaciuta la scenetta della commozione per gli afghani? Ognuno alla sua maniera, com’è nelle cose. Ci sono Salvini e Meloni che si sono subito schiantati contro i talebani “tagliagole” (con quella loro solita narrazione da favola raccontata sempre con personaggi improbabili perfino per una favola) ma si sono dimenticati che i “tagliagole” sono gli amici del loro amico Putin. Ma Salvini e Meloni, si sa, si sbriciolano già al secondo grado di separazione. Nel centrosinistra si sono dimenticati di avere sostenuto questa inutile guerra solo per 20 anni (ve lo ricordate Rutelli come la rivendicava?), Berlusconi si è perfino dimenticato di essere stato proprio lui a mettere la fiducia sulla guerra mentre era presidente del Consiglio. Comunque, piaciuta la scenetta della commozione per gli afghani? Tenetela bene a mente, salvatevi le foto perché è già finita.
Ieri il presidente Mario Draghi e Angela Merkel hanno deciso sulla protezione umanitaria di quanti hanno collaborato con le istituzioni italiane e tedesche in questi anni. «Proteggeremo chi ha lavorato con noi», ha detto Draghi, perché evidentemente non si riesce proprio a dismettere questo vizio di considerare i disperati mica per la loro disperazione ma sempre in base alle classiche domande del “chi ti manda? di chi sei amico? cosa hai fatto o cosa puoi fare per noi?”. Poi hanno corretto il tiro dicendo che si occuperanno anche «delle categorie più vulnerabili, a partire dalle donne afghane». Tutto bellissimo se non fosse che di donne afghane in Europa a cui è stato negato lo status di rifugiate (quindi tecnicamente che dovrebbero essere riportate su un vassoio nella bocca dei talebani) ce ne sono negli ultimi 12 anni 30mila donne adulte, 21mila bambine e 4mila ragazze tra i 14 e i 17 anni. Il 76% di loro è ancora in Europa (eh sì, perché il 24% è stato rimandato lì dove ora incombe l’orrore) e forse sarebbe il caso di cominciare pensando a loro, subito.
Ma quindi? L’accoglienza e l’aiuto di cui tutti parlavano fino a qualche ora fa? Dall’Anci fanno sapere che «i sindaci italiani sono pronti a fare la loro parte nell’accogliere le famiglie afghane». Matteo Biffoni, delegato Anci per l’immigrazione, spiega che «non c’è tempo da perdere, sappiamo bene come i civili che hanno collaborato con le nostre missioni in Afghanistan oggi siano in forte pericolo, soprattutto donne e minori. Il governo si sta muovendo per salvare vite umane, attraverso l’azione delle prefetture sul territorio e i sindaci mettono a disposizione la propria esperienza, per questo abbiamo scritto al ministro dell’Interno Lamorgese e abbiamo avvisato il ministero della Difesa». E specifica: «Dobbiamo essere molto concreti. Sarà la storia a dare un giudizio su questi ultimi vent’anni di presenza militare in Afghanistan, oggi siamo consapevoli che è il momento di aiutare il governo a mettere in salvo vite umane». E sapete chi ha risposto all’Anci? Naturalmente Matteo Salvini che tuona: «Accogliere in Italia alcune decine di persone che hanno collaborato con la nostra ambasciata mi sembra doveroso, ma che nessuno ci venga a parlare di accogliere decine di migliaia di afghani. In Italia abbiano già accolto 35mila clandestini, gli altri Paesi europei facciano il loro». Gli sciacalli hanno dismesso i panni dei piangenti e sono tornati nelle loro vesti. Facile, prevedibile, liscio.
Del resto è comodo lanciare appelli, poi c’è sempre il tempo per farli intiepidire. Commuovetevi ma solo da lontano: nel Mediterraneo friggono sotto il sole 488 persone a bordo delle navi ResQ People e Geo Barents. Sono qui, a poche miglia dalla costa. Qui e ora. E sono i disperati che vomiterà l’Afghanistan nei prossimi mesi, sono della stessa pasta, dello stesso dolore. E qui si torna al punto di partenza: le regole di quest’epoca impongono di commuoversi e empatizzare solo con quelli che non possono turbare il nostro quotidiano. Un distanziamento affettivo, oltre che sociale, come quello che abbiamo imparato con il virus. Così si rimane tutti disinfettati. Deve essere una nuova forma di sovranismo: il sovranismo della commozione. Ci si commuove solo per quelli che non hanno modo di suonare il nostro citofono. Se arrivano sotto casa sono colpevoli di non essere morti e quindi ci siamo commossi per niente.
Buon mercoledì.
Nessun commento:
Posta un commento