martedì 3 dicembre 2019

LA CONFERENZA DI MADRID UNA RIUNIONE INUTILE?


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Come la precedente conferenza internazionale per il clima di Parigi,quella che si sta svolgendo ora a Madrid(doveva essere Santiago del Cile prima e poi il Brasile ad essere le sedi deputate per questo convegno)rischia di essere un enorme buco nell'acqua in quanto si assiste a dei lavori cui la metà dei partecipanti sono"infiltrati"dei governi che intervengono per calmierare se non annullare le multe contro gli Stati che decidono di non aderire ai trattati(vedi gli Usa:madn trumpil-clima-e-lambiente ).
Il primo dei due articoli,entrambi di Left(cop25-e-green-new-deal-italia e cop25-chi-manovra-i-manovratori-del-clima )parla esclusivamente della situazione italiana e di quello che si è fatto,(pardon,non si è fatto)su direttive europee,fino ad oggi,ossia intervenire radicalmente contro una situazione che da noi,per mezzo del cambiamento climatico,vede una situazione sempre più disastrata dove bastano un paio di giorni di pioggia per mettere in ginocchio un intero paese.
Il secondo di focalizza su Madrid e sul rischio reale che le decine di nazioni e le migliaia di delegati presenti poco possano fare seduti attorno ad un tavolo dove mancano i principali responsabili di questa situazione che sta distruggendo la terra e che viene fin troppo strumentalizzata in entrambe gli schieramenti tra chi vuole continuare a lordare il pianeta e chi lo vuole(veramente?)difendere.

Cop25 e Green new deal: Italia all’avanguardia contro l’effetto serra e la povertà energetica?

di Guido Marinelli
Il presidente del Consiglio, la Confindustria, i partiti: tutti ci dicono che l’Italia è all’avanguardia nel Green new deal, nella riconversione ecologica per contrastare i cambiamenti climatici. Ma sarà vero? Cerchiamo di capirlo meglio partendo dal ‘PNIEC’: suona quasi come una parolaccia, sembra uno pneumatico che si sta sgonfiando. Invece no, vuol dire Piano Nazionale Integrato Energia e Clima. Oppure sì? È uno pneumatico sgonfio? Forse sì e forse no. Dipende da quello che succederà da qui al 31 dicembre. Pochi giorni per definire le azioni e gli obiettivi che l’Italia deve attuare dal 2020 al 2030 per ridurre l’impatto su clima.

Vi sembra poco? Secondo gli scienziati abbiamo 11 anni per intervenire e mitigare il riscaldamento climatico, la produzione di gas serra, per invertire il trend e portare il nostro pianeta e la nostra società a essere più giusta e sostenibile. Quindi proprio fino al 2030. Solo questa considerazione ci dovrebbe far capire quanto è strategico il PNIEC e quanto è importante che parta come uno pneumatico bello gonfio di interventi e strategie.

Eppure non ne parla nessuno. Siamo tutti concentrati sul “fondo salva stati” o sulla finanziaria per decidere qualche centesimo in più o in meno su qualche tassa. Ma che ce ne faremo di qualche centesimo se avremo fallito un piano così importante per il nostro futuro?

Cosa è il PNIEC e a cosa serve? A dicembre 2018 la Commissione europea ha definito il regolamento 2018/1999 “sulla governance dell’Unione dell’energia e dell’azione per il clima” che prevede la realizzazione dei “piani nazionali integrati per l’energia e il clima”. Tali piani per il primo periodo (2021-2030) devono dedicare particolare attenzione agli obiettivi 2030 relativi alla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, all’energia rinnovabile, all’efficienza energetica e all’interconnessione elettrica. Un altro aspetto da indicare nei piani è la percentuale di popolazione in povertà energetica e gli obiettivi per ridurla. In Italia il 16% della popolazione (dati 2016 dell’Osservatorio Europeo sulla povertà energetica) è in povertà energetica cioè in una situazione nella quale non è in grado di pagare i servizi energetici primari (riscaldamento, raffreddamento, illuminazione, trasporti e corrente) necessari per garantire un tenore di vita dignitoso, a causa di una combinazione di basso reddito, spesa per l’energia elevata e bassa efficienza energetica nelle proprie case. Un chiaro esempio della correlazione che esiste tra giustizia sociale e giustizia ambientale. Le politiche per l’energia rinnovabile devono necessariamente essere orientate anche alla riduzione delle povertà e delle diseguaglianze. Come, appunto, all’eliminazione della povertà energetica.

Inoltre l’Italia, per la sua collocazione, è uno dei Paesi europei più esposti alla crisi climatica: si prevede una perdita di alcuni punti percentuali di Pil già a metà secolo e fino al 10% del Pil nella seconda metà del secolo. Il Sud Italia sarà particolarmente colpito dalla crisi climatica, aggravando il già ampio divario delle condizioni economiche del Sud rispetto al resto del Paese. La crisi climatica rischia di aumentare le diseguaglianze non solo tra Sud e Nord ma anche tra ricchi e poveri.

Lo schema del PNIEC doveva essere presentato entro il 2018 e il piano definitivo entro il 31 dicembre di quest’anno. L’Italia ha in effetti presentato lo schema di piano a gennaio 2019. Ma a giugno 2019 la Commissione Europea ha rilevato che il piano dovrebbe porre maggiore attenzione al tema dell’efficienza energetica, rafforzando le misure nell’edilizia e nei trasporti e aumentando l’uso di energia rinnovabile per il riscaldamento e il raffrescamento. Devono inoltre essere specificate le misure per ridurre la dipendenza energetica e aumentare la diversificazione. Devono essere stabiliti obiettivi, traguardi e scadenze chiari per realizzare le riforme previste nei mercati dell’energia. Elencate le azioni intraprese per eliminare i sussidi per i combustibili fossili. Soprattutto devono essere precisati gli obiettivi e i finanziamenti per ricerca e innovazione, affrontati i problemi della povertà energetica e specificati anche come garantire una transizione equa, in particolare fornendo maggiori dettagli sugli impatti sociali, occupazionali, delle competenze e sulla distribuzione del reddito.

In sintesi un mezzo disastro. Che dobbiamo recuperare entro il 31 dicembre. Sono in corso audizioni presso le commissioni parlamentari. Riusciremo a migliorare il nostro piano? Ma soprattutto riusciremo a realizzare gli impegni che prenderemo? È auspicabile, ma un controllo dal basso e un’adeguata e costante informazione saranno essenziali per monitorare l’efficacia del processo di riconversione ecologica. Anche perché l’Italia considera il gas naturale una fonte rinnovabile. Ma il gas naturale è destinato a esaurirsi e, soprattutto, genera comunque effetto serra. Certo meno del carbone o del petrolio ma non è impatto zero come le vere rinnovabili. Lo stesso ministro Patuanelli nella recentissima audizione alla Camera del 27 novembre parlava di gas e della realizzazione del gasdotto TAP chiaramente destinato ad mantenere e aumentare l’importazione di gas in Italia.

Intanto tra il 2 e il 13 dicembre si tiene il COP25 a Madrid. Un evento importante che speriamo produca indicazioni e impegni concreti in coerenza con l’accordo sul clima di Parigi 2015.

Mancano 10 anni per evitare che i cambiamenti climatici siano irreversibili. Possiamo usare questi 10 anni per attuare una transizione ecologica che riduca le diseguaglianze, elimini la povertà energetica e migliori i diritti sociali, civili e ambientali che sono ormai chiaramente fortemente interconnessi. Oppure possiamo usare questo tempo per sviluppare un nuovo “capitalismo verde” che semplicemente trova un nuovo modo di produrre e consumare utilizzando la scusa dell’ecologia per integrare e cambiare l’offerta di prodotti e continuare ad aumentare i propri profitti. La COP25 è in corso, il PNIEC deve essere presentato nei prossimi giorni. In che direzione va, quale modello di transizione prefigura? Sarebbe giusto che, prima di mandarlo alla Commissione, fosse reso disponibile a tutti perché ne possano essere valutate le misure ambientali e i relativi effetti sociali e occupazionali. Il PNIEC varrà per i prossimi 10 anni. Potrebbe essere una grande occasione per dimostrare che è vero che l’Italia è all’avanguardia nel Green New Deal. Oppure no. Una cosa però è certa: non abbiamo più il tempo per perdere l’occasione di essere concreti.

Guido Marinelli, comitato nazionale èViva, cofondatore associazione PerIMolti.

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Cop25, chi manovra i manovratori del clima.

di Massimo Serafini.
Solo persone che fanno del sopruso verso i deboli una loro regola di vita, possono negare che il cambiamento climatico sia già una durissima realtà con cui bisogna fare i conti ogni giorno, una verità che dovrebbe funzionare più di qualsiasi appello del mondo scientifico.
Dovrebbero bastare le immagini di Venezia sott’acqua per raccontare la tragedia a cui va incontro l’umanità, soprattutto la sua parte più povera.
Fenomeni naturali… bla, bla, bla… scrivono e ripetono in televisione, prezzolati gazzettieri, gli stessi che chiamano taxi del mare i gommoni con cui i migranti cercano di sfuggire ai soprusi, alle guerre o più semplicemente alla desertificazione dei propri territori.
Eppure, se si guardano i risultati dei precedenti vertici sul clima, sembra proprio che le regole del gioco le decida questa gente. Dal 2 dicembre l’Onu ne ha convocato un altro, la COP25. Si svolge a Madrid, ma si sarebbe dovuto fare a Santiago del Cile o in alternativa in Brasile entrambe scartate, la prima perché travolta dalle manifestazioni di protesta del suo popolo e la seconda per manifesta ostilità del suo presidente, impegnato a dar fuoco alla foresta amazzonica.
Dicono che parteciperanno una cinquantina di capi di Stato, cioè di decisori politici, e quasi 30mila loro consulenti. Già questa sproporzione fra chi decide e chi consiglia cosa decidere, è sospetta.
Dei 30mila partecipanti annunciati una buona metà sono lobbisti o “facilitatori”, tutti inviati dalle multinazionali del fossile e del nucleare, per controllare e possibilmente determinare il solito vuoto di decisioni dei documenti finali. La regola non è impedire che si prendano impegni, anche solenni ed ambiziosi, ma che sia facoltativo applicarli nelle politiche dei vari governi. Quindi, in poche parole, che non siano previste sanzioni per chi deciderà di non rispettarli. Se questo sarà il compromesso a cui anche questo appuntamento di Madrid giungerà, suoneranno come vuote le parole del segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres che chiedono di agire in fretta, ammonendo che è già stata varcata la soglia da cui non si torna più indietro. Basta un dato, dei tanti diffusi dall’ultimo rapporto dell’Onu a dirci quanto grandi siano i ritardi accumulati: anche questo vertice di Madrid si apre con le emissioni climalteranti in aumento. Non solo. Se a ciò si aggiunge che fra la COP24 di Parigi, nel 2018, e questa di adesso a Madrid, uno dei paesi che più emette gas serra, gli Usa, si tira fuori da qualsiasi accordo possibile, non resta che prepararsi al peggio. Si tratta di un colpo quasi definitivo dato alla necessaria multilateralità con cui va affrontato il problema, aggravato dal fatto che tutti gli altri paesi, Europa in testa, saranno spinti dalla decisione americana a non fare nulla, in attesa che gli Stati uniti cambino presidente e opinione.
E così non solo non si previene, ma si fa poco anche per le necessarie politiche di adattamento. Tanto per incominciare va detto che possono adeguarsi al clima che cambia solo i paesi ricchi, cioè una piccola parte dell’umanità, mentre la parte povera, a cui non resta che scappare dalle proprie terre, viene abbandonata o agli eventi estremi o alla repressione se cerca di sfuggirvi.
Questi sono i crudi presupposti con cui confrontarsi e che indurranno tanti al pessimismo. Sarebbe augurabile non all’impotenza. Come non accorgersi che questa volta il loro rituale si svolge disturbato da un movimento collettivo, animato dalle nuove generazioni? E’ vero che tutti i vertici hanno avuto il loro contro vertice, ma questa volta c’è una grande novità. Da ormai un anno si susseguono manifestazioni e proteste in tutto il mondo, cresciute grazie all’esempio della giovane svedese Greta Thumberg.
È quindi augurabile che siano tante e tanti coloro che parteciperanno all’appuntamento alternativo, la COP sociale, che inizierà con una grande manifestazione il prossimo 6 dicembre, sempre a Madrid.
Conforta soprattutto che l’obiettivo degli organizzatori sia quello di proseguire la mobilitazione anche dopo la conclusione del vertice ufficiale. Sarà anche vero che quel movimento non ha ancora la forza sufficiente per orientare le decisioni, ma la sua consapevolezza e la sua diffusione stanno crescendo rapidamente e quindi è giusto sperare che oltre ad annunciare catastrofi, possa influire e faccia prendere le decisioni giuste per impedirle.

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