domenica 7 giugno 2015

LA COPPA DEL RE AFFARE CATALANO E BASCO

Un passo indietro parlando di una finale che riguarda il Barcellona fresco campione d'Europa ma per l'appunto non parlo di quella di ieri sera vinta contro la squadra più vergognosa d'Italia ma bensì della Coppa del Re in Spagna che come sempre quando ci sono le squadre catalane del Barcellona e quella basca dell'Athletic Bilbao ha connotazioni politiche e non solo calcistiche.
L'articolo sotto preso da Senza Soste parla di entrambe le componenti,passando dalla superiorità in campo dei blaugrana ai fischi all'inno spagnolo,dove stavolta la famiglia reale ha avuto la decenza di non presentarsi anche se la Coppa porta il nome del monarca complice negli anni della dittatura del franchismo e in quelli attuali della persecuzione delle minoranze prime tra tutte quella basca e quella catalana.
 
Athletic Bilbao-Barcellona: "Cosa resterà (di questa finale)".

Foto Athletic-club.eus.
 
Quando giochi e perdi contro i marziani, inutile recriminare o tentare di spiegare la sconfitta con argute analisi tecnico-tattiche. Il Barcellona è più forte, il Barcellona ha meritato, il Barcellona ha vinto. Personalmente credo che Valverde abbia sbagliato formazione e che la squadra avrebbe potuto fare qualcosa di più, se non altro sul piano della cattiveria agonistica (che si è vista solo negli ultimi 10 minuti). Ma sono discorsi che lasciano il tempo che trovano. Trovo molto più gratificante pensare a quello che abbiamo vissuto noi tifosi zurigorri in trasferta in Catalunya, anche se siamo tornati ancora una volta a casa a mani vuote. E allora, cosa resterà di questa finale di Copa del Rey 2014/2015?
Resteranno le facce. Tante facce. Facce piacevoli e facce spigolose, come solo quelle basche sanno essere; facce distrutte dalla fatica e provate dalle troppe cañas; facce allegre prima del calcio d’inizio e tristi dopo il triplice fischio finale; facce euskaldunak, italiane, catalane, straniere, bianche, nere, gialle, di ogni luogo e ogni ambiente. Facce della mejor afición del mundo.
Resteranno i fischi. Fischi che hanno coperto totalmente l’inno spagnolo. Fischi che hanno generato polemiche feroci: sull’indipendentismo, sull’eredità del regime franchista, sui limiti della libertà d’espressione. Fischi che ognuno ha interpretato a modo suo: illegittimi, indelicati, sacrosanti, inopportuni, perfettamente legali, meritati, liberatori. Fischi che, piaccio o meno, ci sono stati e ci saranno sempre quando scenderanno in campo quelle due squadre.
Resteranno i gol, bellissimi. La prodezza maradoniana di Messi, chiuso in un angolo da quattro avversari e capace di saltarli tutti come se praticasse uno sport diverso; i sei tocchi di fila prima dell’appoggio facile facile di Neymar; Messi, ancora lui, che prende 3 metri con un solo scatto a Bustinza; e il colpo di nuca di Williams, un segno del destino, la promessa di un nuovo campione sbocciato all’ombra di Lezama.
Resteranno gli antisportivi. I tifosi culé che, pur ospiti nell’Athletic Hiria, si sono messi a sfottere i loro “fratelli” baschi, consapevoli che lì non avrebbero rischiato nulla. E Neymar, uno che si commenta da solo con la sua espressione da bimbominkia perenne; Neymar che, sul 3-0, si permette di irridere l’avversario più in difficoltà, Bustinza, con un giochetto buono solo per le spiagge di Copacabana; Neymar che viene metaforicamente bastonato da Luis Enrique e Piqué, loro sì persone di notevole spessore sportivo; Neymar che deve ringraziare perché non sono più i tempi di Goiko e “Rocky” Liceranzu; Neymar che spero ci riprovi sabato a Berlino, magari con Bonucci davanti.
Resteranno le lacrime. Di vittoria per qualcuno (ma non molti, ché la vera finale per loro è quella del 6 giugno), di sconfitta per tanti, troppi altri. Lacrime disperate color biancorosso, lacrime che versiamo per la quarta volta consecutiva tra Copa del Rey e Europa League. Lacrime amare che, ne sono sicuro, prima o poi diventeranno lacrime di gioia.
Resterà la consapevolezza. La consapevolezza di far parte di una tifoseria stupenda, che a volte si bea anche troppo della propria unicità in detrimento di una sana incazzatura, ma alla quale vogliamo un bene dell’anima proprio per questo. La consapevolezza di poter contare su una curva, una grada popular, estremamente viva e vitale, una grada che merita di più di uno spicchio del nuovo stadio; la coreografia e lo striscione iniziale riempiono il cuore di orgoglio e spingono a dire solo e soltanto grazie a quei ragazzi fantastici. La consapevolezza, infine, di avere una squadra giovane e piena di elementi di talento; una squadra che, in prospettiva, può togliersi quella soddisfazione che manca dal 1984: sollevare un trofeo.
Resterà un video che rappresenta meglio di tanti discorsi cos’è l’Athletic. Aldilà di ogni retorica spiccia, la finale l’abbiamo davvero giocata tutti. Continueremo a farlo ogni volta, finché il dio del calcio si ricorderà di noi, un giorno, e ci farà alzare quella benedetta Coppa. Ma anche se non dovesse succedere, anche se dovessero passare altri 50 anni senza vincere nulla, l’Athletic resterà sempre com’è, fedele a sé stesso e alla sua tradizione. Perché solo a Bilbao, come ha detto Muniain, è meglio arrivare secondi che vincere.
5 giugno 2015

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