mercoledì 29 giugno 2022

PUTTA*NATO

La due giorni di Madrid,città che ospita il vertice Nato che si presenta come uno di quelli più vergognosi della sua storia,presenta un piano bellico d'indirizzo da qui al 2030 con un ulteriore invasione di militari Usa in Europa e,tralasciando le note vicissitudini ucraine,mette nel mirino la Cina.
L'articolo di Contropiano(vertice-della-nato-a-madrid )ci spiega come la guerra totale contro la Russia sia ormai un punto fermo che va oltre le restrizioni e l'allargamento del Patto Atlantico verso nazioni che se ne sono state alla larga per decenni ma che ora pressate da una campagna menzognera dell'occidente hanno deciso di aderirvi.
Il caso eclatante della Svezia e della Finlandia è di per se un fatto gravissimo in quanto la Turchia ha posto il veto per l'ingresso dei due paesi scandinavi in ottica Nato in quanto come da buon mercenario Erdogan ha ottenuto il via libera all'estradizione di appartenenti al Pkk residenti lì.
Il comportamento da puttana della Nato è ormai un proseguire di azioni che alla luce del sole stanno destabilizzando il mondo,altro che mettere fine ai conflitti,in una successione di eventi che relegano la pace sempre più nell'angolo.

Vertice della Nato a Madrid. Velleità strategiche e “sacrificio” dei kurdi in nome dell’allargamento.

di Sergio Cararo

Accolto sabato scorso da una poderosa manifestazione di protesta contro la guerra, a Madrid oggi si apre il vertice della Nato che durerà fino a domani.

Secondo l’Ispi, il vertice dell’organizzazione che si tiene a Madrid va considerato un punto di svolta: i paesi membri tracceranno gli orientamenti del prossimo decennio e, con essi, le nuove dinamiche di sicurezza del continente europeo.

Per saperne le coordinate principali occorrerrà attenderne le conclusioni, ma qualcosa viene già delineato. In primis la Nato punta “al più importante rafforzamento delle proprie capacità dalla fine della Guerra Fredda” e porterà le forze di intervento immediato “oltre la soglia delle 300 mila unità” ha già fatto sapere il segretario Stoltemberg molto preso nel suo ruolo di “falco” nell’escalation della guerra contro la Russia in Ucraina.

L’Alleanza sarà “rafforzata in tutte le direzioni in ogni ambito: terra, aria e mare”, ha affermato Biden al vertice di  Madrid. “Dispiegheremo capacità aeree aggiuntive e altre capacità in Germania e Italia”, ha già fatto sapere il presidente Usa. Forse non gli bastano le 113 basi militari già presenti in Italia.

Inoltre il nuovo Strategic Concept – il documento di indirizzo strategico verso il 2030 – citerà la Cina come una delle sfide future da affrontare. In realtà lo Strategic Concept della Nato è già in elaborazione dal 2021 ma è inevitabile che dovrà fare i conti con il brusco mutamento delle relazioni internazionali, sia in Europa che nel mondo, a seguito dell’intervento militare russo in Ucraina e della guerra che si trascina da più di quattro mesi.

Secondo Affari Internazionali, tra gli obiettivi della Nato c’è indubbiamente un aumento delle ambizioni di intervento, ben oltre quelle dell’area europea o propriamente atlantiche. L’Alleanza potrebbe e dovrebbe sostenere gli sforzi militari per stabilizzare Nord Africa e Medio Oriente, fornendo supporto in termini politico-militare, di intelligence, e di capacità specifiche che solo la Nato possiede.

Ma l’ipotesi di nuove operazioni militari paragonabili a quelle in Afghanistan o in Libia non sembrano incontrare entusiasmi (visti anche i clamorosi fallimenti di entrambe, ndr), si tratta di una velleità che per la Nato si è tragicamente chiusa tra la ritirata da Kabul il 31 agosto 2021 e le prime bombe russe su Kiev il 24 febbraio 2022.

Ma è evidente, sia come causa e che come conseguenza della guerra in Ucraina, il focus principale della Nato sarà quello a Est. Nel 2022 si è già passati al rafforzamento dei contingenti militari Nato in Bulgaria, Romania, Ungheria e Slovacchia (con responsabilità ben precise della Francia in Romania e dell’Italia in Bulgaria).

Ma se l’attenzione e il rafforzamento militare della Nato è prevalente sulla frontiera Est, qualcuno sottolinea però che questo potrebbe provocare una minore attenzione al fianco sud: quello Mediterraneo.

E’ evidente che in questo quadrante sia cresciuto in modo pesante il ruolo di una potenza Nato come la Turchia.

E questo peso è leggibile anche nel ricatto che Ankara ha posto sul via libera all’adesione alla Nato di Svezia e Finlandia: l’espulsione  e la consegna alla Turchia dei dirigenti e dei militanti del Pkk curdo rifugiatisi in quei paesi e la cessazione di ogni azione diplomatica a supporto della causa kurda. “Non usateci per negoziare con la Turchia” ha affermato Zubeyr Aidar,  dirigente kurdo rifugiato in Svezia. Ma martedì è venuto meno il veto di Ankara al via libera della Turchia a Svezia e Finlandia nell’alleanza. E’ stato sottoscritto un memorandum che accoglie le richieste turche sulla lotta contro il Pkk e la fine dell’embargo alle forniture militari svedesi e finlandesi ad Ankara. I kurdi usati dalle potenze occidentali come carne da cannone contro l’Isis adesso vengono di nuovo sacrificati, ma questa volta in nome dell’allargamento della Nato.

Tra i punti da dirimere nel vertice Nato di Madrid c’è anche quello dei partenariati con i paesi che chiedono di aderirvi. L’azione militare della Russia ha rimosso l’ambizione dell’Ucraina ad entrare nella Nato, restano le domande di Georgia e Moldavia. La prima già nel 2008 rischiò di scatenare un conflitto tra Russia e Nato simile a quello in corso in Ucraina, la seconda sta subendo pesantemente le onde lunghe della guerra in corso.

Infine, ma non certo per importanza, nel nuovo Strategic Concept della Nato ci sarà un capitolo anche sulla competizione frontale con la Cina. Non si tratterebbe di impegnare apertamente la Nato in operazioni militari nel Indo-Pacifico, ma di rafforzare il vantaggio militare sulla Cina da parte dell’Anzus, in pratica la gemella della Nato nel Pacifico. Non a caso è prevista la presenza al vertice di Madrid dei Primi ministri di Giappone, Corea, Australia e Nuova Zelanda.

martedì 14 giugno 2022

ELEZIONI LEGISLATIVE FRANCESI

Le votazioni legislative avvenute domenica scorsa in Francia,oltre ad avere l'importante risultato di un'astensione al pari con quella italiana,ha visto un testa a testa tra le formazioni del Presidente Macron e del leader di una sinistra unita ed ecologista Mélenchon,con la rappresentativa dell'estrema destra Le Pen al terzo posto ma staccata.
Al contrario del caso italiano la sinistra francese(non le varie coalizioni piddine di casa nostra)guadagna sempre qualcosa e lo fa in una maniera coesa con forze che rappresentano come dice il nome stesso,la Nuova Unione Popolare Ecologica e Sociale(NUPES),improponibile oggi come oggi in Italia dove ognuno ha il suo tornaconto e l'opportunismo regna sovrano tra i partiti che si dicono "progressisti".
L'analisi fatta e presa nell'articolo di Contropiano(il-significato-delle-elezioni-politiche-in-francia )non fa comunque troppi parallelismo con l'Italia a parte il dato dell'astensione,e fa vedere che i giovani sono propensi a votare Mélenchon mentre purtroppo la classe operaia succube anche oltralpe della disinformazione e accecata dall'odio del povero contro povero,vede Rassemblement National come partito di riferimento.
Renaissance,il nome del partito En Marche del Presidente Macron,è il classico partito centrista che strizza l'occhio alla destra e alla borghesia per la maggioranza dei casi salvo rivolgersi alla sinistra in poche occasione come capitò poco tempo fa per il voto per l'Eliseo vinto per poco appunto dal leader di Amiens.
Nel secondo turno i repubblicani(LR),neogollisti e figliocci di Sarkozy,potrebbereo essere l'ago della bilancia in molti casi visto che i sovra citati partiti(NUPES,Renaissance,Rassemblement National)si affronteranno in scontri collegiali gli uni contro gli altri in una sorta di balletto elettorale dove per l'appunto LR ma soprattutto la metà dei francesi che non hanno votato potrebbero cambiare drasticamente le sorti delle legislative 2022.

Il significato delle elezioni politiche in Francia

di Giacomo Marchetti

Domenica 12 giugno si è tenuto il primo turno delle elezioni legislative in Francia.

Le urne hanno sancito la crisi di consensi della formazione dell’attuale presidente Emanuel Macron che potrebbe perdere la maggioranza assoluta, e non è detto che ottenga nemmeno quella relativa. I suoi candidati hanno ottenuto meno voti della NUPES, la coalizione della sinistra radicale guidata da Jean-Luc Mélenchon, che raggruppa gli insoumise.es, il “polo ecologista”, il PS e il PCF.

Il Rassemblent National di Marine Le Pen, si conferma il “terzo polo” ancorandosi nel paesaggio politico francese.

Il primo partito si conferma quello del “non-voto”, il cui orientamento potrà essere decisivo per la sconfitta o meno del “Presidente dei Ricchi”.

Astensione record

Alle urne si è recato solo un francese su due.

Questa tendenza all’astensione, più spiccata tra le classi popolari ed i giovani, ha cominciato ad essere un dato significativo con cui fare i conti circa 30 anni fa e sottolinea una disaffezione alla partecipazione democratica che si è progressivamente ampliata, nonostante la ridefinizione complessiva del quadro della rappresentanza politica.

L’astensione, domenica, è stata del 52,6%, più del doppio di quella registrata al primo turno delle elezioni presidenziali.

Un dato che progredisce inesorabilmente almeno da un ventennio, considerando che nel 2002 – quando è stato cambiato il calendario elettorale “sincronizzando” presidenziali e legislative, “solo” un francese su tre non si recava alle urne.

Secondo le indagini condotte da IPSOS Sopra-Steria, il 69% della fascia d’età compresa tra i 18 ed i 24 anni non sono andati a votare, dato in aumento nella fascia d’età tra i 25 ed i 34 anni, in cui solo una persona su tre ha partecipato al voto.

Se si analizza la professione, coloro che si sono meno recati alle urne sono stati “gli impiegati” – 65% di astenuti – e “gli operai”, per il 62%.

É interessante notare che la NUPES è la più votata tra le fasce giovanili, in particolare quella tra 18-24 anni che si è espressa in suo favore per il 42%.

In generale, più un elettore è anziano meno vota per la NUPES.

L’alta astensione ha condizionato le sorti dei candidati al secondo turno, tenendo conto che solo chi ha ottenuto le preferenze di almeno il 12,5% degli aventi diritto al voto – cioè, in media, più del 25% dei suffragi nei 577 collegi elettorali – andrà al secondo turno. Mentre per essere vincitori al primo turno bisognava avere superato il 50% delle preferenze e con con un numero di voti superiori al 25% degli iscritti alle liste elettorali.

Nonostante questo doppio sbarramento, la NUPES – che ha ottenuto il più alto numero dei voti in assoluto nel primo turno – ha potuto già eleggere quattro deputati che siederanno all’Assemblea nazionale: Alexis Corbière a Seine-Saint-Denis – con il quasi il 63% – , Sarah Legrain, Danièle Obono e Sophia Chikirou.

Adrian Quatemans, candidato della NUPES di LFI, nonostante abbia ottenuto il 52,05%, dovrà aspettare il secondo turno, così come Manuel Bompard – a cui Jean-Luc Mélenchon ha “ceduto” il seggio – che ha ottenuto il 56,04%.

Dati “truccati” dal Ministero dell’Interno?

Nonostante i tentativi abbastanza “farseschi” del ministero degli Interni francese di ritoccare i dati, la NUPES è risultata la formazione più votata, sebbene la coalizione che sostiene Macron sia data avanti – nelle cifre ufficiali – per una manciata di voti, circa 20 mila.

E qui bisogna fare alcune precisazioni, perché il ministero ha “escluso” dal conteggio dei voti quelli andati a candidati sostenuti dalla coalizione della sinistra radicale nei Territori d’OltreMare – dove la LFI aveva “sbancato” al primo turno delle presidenziali – e in Corsica, dove il 40% delle preferenze su tutte le circoscrizioni dell’isola è andato a candidati “autonomisti” o ad altri.

In realtà, lo stesso errore sembra si stato commesso nei confronti di alcuni candidati di Ensemble! – la coalizione che raggruppa l’ex LREM di Macron, MoDem e Horizon – ma il conteggio risulta comunque falsato.

Le Monde, il principale quotidiano francese, ha calcolato che, anche senza contemplare i voti dei candidati in Corsica, alla la coalizione della sinistra radicale sono andati 5.836.202 voti. Meno dei poco più di sei milioni e centomila che NUPES si attribuisce, ma più dei 5 milioni e 400 mila voti che gli attribuisce il Ministero dell’Interno.

Il dato politico non cambia, ma è chiaro che dare la NUPES come “seconda” formazione più votata – invece che prima – influisce non poco sulla percezione, “relativizzando” la sconfitta della coalizione marconista che ha puntato tutto nel de-politicizzare queste elezioni, mentre Mélenchon ha parlato sin dall’inizio di “terzo turno”, riferendosi a quelli per le presidenziali.

Il Rassemblement National nel panorama politico francese

L’estrema destra di Marie Le Pen, nonostante abbia condotto una campagna elettorale decisamente sotto tono, è risultata terza con il 19% delle preferenze, confermando la sua progressione, dopo l’exploit al ballottaggio delle presidenziali, con uno storico 42%.

Con il 19%, l’ex FN ottiene un 6% in più delle scorse elezioni politiche, e sarà presente al secondo turno in più di 200 circoscrizioni, circa il doppio rispetto al 2017. La formazione sembra proiettata verso la concreta possibilità di formare un gruppo parlamentare, mentre prima poteva contare solo su 8 deputati (meno del numero minimo).

Le Pen, che ha ottenuto il 55% dei suffragi nell’11esima circoscrizione di Pas-de-Calais – non ha dato alcuna indicazione di voto là dove sarà esclusa al secondo turno e i seggi saranno contesi tra la formazione guidata da Macron e quella capeggiata da Mélenchon.

Insieme a lei Bruno Bilde, Sébastian Chenu, Caroline Parmentier, Jean-Philippe Tanguy, Philippe Ballard, oltre ad una altra decina, i candidati di RN più votati al primo turno che dovranno andare al ballottaggio.

RN sembra avere consolidato ed ampliato uno zoccolo duro di elettori ed ha un solido ancoraggio in alcuni territori, oltre ed avere catalizzato i voti “alla sua destra”, senza neanche fare accordi con Zemmour, che ad un certo punto della campagna per le presidenziali sembrava poterle “rubare” la leadership a destra.

La NUPES è la formazione più votata tra gli impiegati (il 31%) ed i “quadri” (il 28%), mentre è il RN che fa purtroppo incetta di voti “operai”: il 45% in media contro il 18% della NUPES.

Reconquê di Éric Zemmour esce con le ossa rotte dalle urne. Nessuno dei suoi candidati andrà al secondo turno, nemmeno il suo leader.

Come ha detto a Mediapart Ugo Palheta, ricercatore specializzato sull’estrema destra: “due mesi fa si poteva immaginare che il RN avrebbe avuto più deputati, e la ragione principale di questo fallimento, è che c’è una sinistra unita, egemonizzata da una sinistra di rottura in grado di affrontare il RN sul piano della radicalità e dell’opposizione politica”.

Un punto importante, considerato che il “fronte repubblicano” di cui ha beneficiato Macron per fare barrage contro Le Pen sembra vacillare.

Tutto questo in continuità con le esternazioni piuttosto risibili contro gli “estremismi”, che nelle loro molteplici variazioni sul tema, uscite dalle bocche di importanti esponenti della formazione.

Infatti nel caso dei duelli tra RN e NUPES in varie circoscrizioni, i macroniani non hanno dato una indicazione di voto chiara, manifestando un cerchiobottismo che si rimangia di fatto la retorica del “voto utile”, sfruttata per il secondo turno delle presidenziali contro lo spauracchio Le Pen.

I gollisti: futura sponda di Macron?

I Républicains (LR),riguadagnano terreno rispetto alla pessima prestazione del primo turno delle presidenziali, e conquistano il 12% degli elettori contro il 5% scarso ottenuto da Valérie Pecresse alcuni mesi fa, ma molto meno del 18,7% del 2017.

Sono destinati a perdere lo status di prima forza d’opposizione all’Assemblea nazionale, ma potrebbero giocare un ruolo fondamentale in caso in cui l’Ensemble di Macron non ottenesse la maggioranza assoluta (289 seggi) e fosse costretta a guardare ai gollisti come possibile sostegno all’opera dell’Esecutivo, facendoli diventare di fatto l’ago della bilancia della prossima legislatura.

Per i seggi in cui al ballottaggio non sarà presente un candidato di LR, il presidente della formazione ha affermato che non si pronuncerà per “gli estremi”,  sostenendo implicitamente Ensemble dove sfiderà il RN o la NUPES. Il possibile appoggio a Macron li toglierebbe dalla marginalità politica, e restituirebbe loro la natura di forza abituata a governare. Ma ne minerebbe in prospettiva il peso politico.

Le sfide del secondo turno

Ma guardiamo più nel dettaglio. Ensemble è in testa in 203 delle 577 circoscrizioni, la NUPES in 194.

La coalizione capeggiata da Mélenchon sarà presente al secondo turno in ben 404 circoscrizioni.

Le due coalizioni si affronteranno in un duello elettorale o in “triangolari” in più di 250 circoscrizioni.

La sfida tra Ensemble e RN si giocherà in più di un centinaio di circoscrizioni, e sarà il secondo più frequente tipo di sfida elettorale.

LR contro NUPES, LR contro RN, LR contro Ensemble ci saranno in una settantina di collegi in tutto, mentre saranno appena una manciata gli scontri tra i dissidenti delle formazioni socialista e comunista contro i rappresentanti della NUPES.

Conclusioni

É chiaro che i due fattori chiave saranno la capacità di mobilitare gli astenuti da parte della NUPES e il concretizzarsi di una sorta di “tutti contro Mélenchon”, che potrebbe unire macroniani, gollisti ed estrema destra, Ma va tenuto anche conto che il 60% dei francesi, secondo i sondaggi, non desidera avere un esecutivo capeggiato dalla formazione del presidente.

La NUPES infatti ha già attinto al bacino di voto della sinistra, riuscendo a sommare i consensi precedenti – tranne per la parte dei socialisti più legati agli “elefanti” ed alla parte più “centrista” dei verdi – ed ora deve mobilitare il suo blocco sociale di riferimento su un programma di rottura anti-liberista: giovani, abitanti dei quartieri popolari, cittadini dei territori d’OltreMare e della parte meno conservatrice della Francia “peri-urbana” e rurale.

lunedì 13 giugno 2022

DISASTRO QUORUM PER I REFERENDUM

L'annunciato fiasco dei quesiti referendari sulla giustizia è frutto di un sistema che da bravi italiani almeno il triplo del risicato 20% ottenuto alle urne sa già come risolvere andando da un maggiore numero di firme necessarie per il consulto popolare alla decisione finale senza quorum.
L'articolo di Contropiano(lastensionismo-affonda-i-referendum )parla dell'alta percentuale degli astenuti oltra la fatto che l'appeal dei quesiti sia stato uno dei più mortiferi e difficilmente relegabili ad una mera consultazione che dovrebbe essere discussa in Parlamento,mentre non è che le amministrative comunali abbiano avuto uno slancio di entusiasmo da parte dell'elettorato con una persona su due che è rimasta a casa(a Crema il 55% ha votato).
Di certo l'interesse verso i referendum è scemato dopo che la Consulta guidata da Amato ha reso inammissibili le richieste sul fine vita e l'uso della cannabis,ma difficilmente anche con quelle schede in più il quorum sarebbe stato raggiunto.

L’astensionismo affonda i referendum. Alle comunali vota la metà degli elettori. Oggi i risultati.

di Redazione

L’affluenza per i 5 referendum sulla giustizia si è fermata al 20,95 per cento ben lontano dal quorum richiesto (50 per cento + 1). Secondo il sito del Viminale questi sono i dati definitivi sull’affluenza (7.903 Comuni su 7.903) riferiti alle 23 di ieri sera.

L’ultimo referendum abrogativo, quello contro le trivellazioni, era stato ad  aprile 2016 ed ebbe una affluenza del 23,54% alle 19, e si era poi attestato al 33% alla chiusura delle urne.

Completamente diversi invece i risultati del referendum costituzionale voluto da Renzi a dicembre 2016. Lì, nonostante non fosse necessario il raggiungimento del quorum,  l’affluenza era stata alta (68,48 per cento) dimostrando che la chiamata ai seggi è stata fin dall’inizio un referendum di fatto pro o contro l’esecutivo, era stato capace di mobilitare tutta la popolazione. Il No alla riforma controcostituzionale di Renzi vinse con il 59,5 per cento dei voti contro il 40,4%.

Il silenzio elettorale ieri era stato rotto da Berlusconi (sostenitore del Si al referendum) che era tornato ad attaccare i magistrati e la “giustizia politicizzata” con toni duri, parlando fuori dal seggio dove ha votato nel centro di Milano. Oggetto della rabbia del leader di Forza Italia sul tema della giustizia sono i fatti di Palermo dove, a pochi giorni dal voto, sono stati arrestati due candidati, uno di Fratelli d’Italia e uno di Forza Italia, con l’accusa di scambio elettorale politico mafioso. “Questi arresti di candidati un giorno o due prima delle elezioni, potevano anche aspettare due giorni dopo – ha osservato Berlusconi -. Questa è sempre la storia della giustizia politicizzata che non è morta”.  Insomma il Cavaliere è tornato a insistere sui suoi soliti cavalli di battaglia dando la cifra del significato con cui la destra ha cercato di strumentalizzare i referendum sulla giustizia promossi da nove consigli regionali di centro-destra e non una raccolta di firme nelle strade.

Il “garantismo di scopo” della destra era fin troppo evidente, così come la velleità di sottoporre a referendum quesiti su una materia complessa come la giustizia in cui convivevano questioni serie e richieste strumentali.

Elezioni comunali

Più alta è stata invece l’affluenza nelle città dove c’erano in contemporanea le elezioni comunali che è stata del 54,72%, ma anche qui si registra un calo rispetto a quelle precedenti. Una conferma che l’astensionismo si va ormando consolidando anche nel caso di quelle “elezioni di prossimità” che storicamente vedevano una partecipazione più alta.

Oggi alle 14 inizia lo spoglio delle schede per le elezioni comunali. Gli exit poll danno Genova, Palermo e L’Aquila al centrodestra. Al ballottaggio vanno invece Parma, Verona e Catanzaro con il centrosinistra in testa nelle prime due città. Sulle assenze di un centinaio di presidenti di seggio a Palermo, la Procura sta valutando i reati di interruzione di pubblico servizio e rifiuto di atti d’ufficio.

Sempre a Palermo l’attacco di gruppo hacker al sito del Comune, ha riversato decine e decine di file contenenti dati sensibili. “E’ stata pubblicata la prima parte delle informazioni gentilmente condivise con voi dai rappresentanti di questa società. Ce ne saranno altre domani”, ha scritto il gruppo hacker Vice Society nella giornata di ieri, annunciando la pubblicazione di altre informazioni.

Secondo l’Ansa  nella lunga lista rilasciata dagli hacker c’è un po’ di tutto: relazioni su riscossioni di imposte e tasse, lavorazioni degli stipendi, accrediti al servizio di tesoreria del Comune di multe pagate dai cittadini con nomi e cognomi, ingiunzioni di pagamento, anche in questo caso, con i riferimenti anagrafici dei coinvolti, documenti d’identità di dipendenti Sispi, elenchi del personale coi numeri di telefono segnati accanto. Ma ci sono ancora note interne del comando della polizia municipale, verbali su riunioni di servizio, schede di valutazione di ausiliari dell’Amat e anche l’elenco telefonico del comando della polizia municipale. Su Twitter c’è chi ha pubblicato alcuni screenshot coi nomi dei file sottratti dalla rete di Palazzo delle Aquile.

mercoledì 8 giugno 2022

CULTURA RUSSA

Mentre la pericolosa caccia alle streghe contro il popolo russo continua imperterrita nella maggior parte del mainstream occidentale,anche se si notano alcune defezioni che man mano che il conflitto si dilata nel tempo hanno più voce(o forse è solo una mia sensazione),la disinformazione o se si vuole l'informazione a senso unico non controllata continua a fluire indisturbata nelle case di milioni di italiani ed europei.
E non si toccano solamente Putin e i maggiori pezzi da novanta del governo russo,ma pure personaggi che sono già sotto terra da decine di anni o anche più come i vari protagonisti della splendida letteratura russa degli scorsi secoli,dei musicisti e dei compositori per finire con l'essere presi di mira pure monumenti storici come quelli che compongono il Cremlino.
Lo si evince nell'articolo di Contropiano(no-allembargo-culturale )che parla di questa fastidiosa e vergognosa deriva della guerra che infanga milioni di persone che di questo conflitto ormai non possono più dire nulla,e dello fregio che si fa a tutta la cultura russa con tutte le mille sfaccettature che ciò comporta.
Associando questa guerra mediatica,che però perde colpi giorno dopo giorno,alla capacità mentale e di comprensione di una popolazione come quella italiana,ormai in fondo a tutte le classifiche europee per quanto riguarda la comprensione di una semplice frase,la propaganda antirussa fa breccia proprio verso quelle persone che un minimo di cultura proprio non ce l'hanno.

No all’embargo culturale.

di  Potere al Popolo   

In tre mesi dall’inasprimento del conflitto fra la Russia e l’Ucraina, culminato con l’invasione di quest’ultima da parte della prima, l’Occidente in generale e l’Italia in particolare hanno adottato una politica non volta a cercare a tutti i costi una soluzione diplomatica per arrivare il prima possibile ad un accordo di pace ma, al contrario, una politica belligerante. 

In questo clima di guerra si è cercato in tutti i modi di tracciare una linea fra buoni e cattivi, secondo la quale tutti i russi sono i cattivi. Si dice che le colpe dei padri non debbano ricadere sui figli, però, a quanto pare, quelli dei governanti possono ricadere sulla popolazione e sulla sua cultura.

Stiamo assistendo infatti ad una inesorabile cancellazione della cultura russa, sia quella contemporanea che quella passata. Non risulta chiaro di quali colpe si possano essere macchiati in questa circostanza i vari Puskin, Cechov, Cajkovskij, Dostoevskij, Tolstoj. 

Semplicemente nessuna e infatti le motivazioni addotte sono delle più fantasiose, come per la cancellazione del corso su Dostoevskij alla Bicocca, poi rettificata, poiché mancava il contraddittorio! Sarebbe interessante sapere chi sarebbe dovuto essere mandato a sostenere tale contraddittorio.

Alcuni teatri hanno cancellato le rappresentazioni del Lago dei Cigni che dovevano essere messe in scena da ballerine e ballerini ucraini, adducendo come motivazione quella di voler “tutelare” gli/le artisti/e che avrebbero avuto non pochi problemi al rientro in Patria avendo il governo di Kiev imposto il divieto di interpretare autori russi.

Ma gli stessi problemi non li avrebbero le artiste e gli artisti russi a cui si chiede di prendere parola sulla guerra, pena l’esclusione dalle varie kermesse?

Poco importa: ormai, che siano filo-Putin o oppositori, pro-guerra o contrari ad essa, sono stati messi aprioristicamente dalla parte del torto.

Ecco quindi che il Dublin International Piano Competition ha annullato la partecipazione dei musicisti russi; che nessun film russo potrà gareggiare alla prossima edizione degli Europen Film Award; che Netflix ha cancellato Anna Karenina; che la Philharmonie Haarlem ha cancellato le opere di Ciajkovskij e Stravinsky; che la Biennale di Venezia ha messo al bando le e gli artisti russi, salvo che non siano apertamente oppositori politici; che la Fiera del Libro di Torino ha deciso di boicottare scrittori e scrittrici russe; che la Siae non verserà alla consorella della Federazione Russa il pagamento dei diritti d’autore delle associate e associati russi; dal comitato del Premio Strega è stato escluso, sotto indicazione della Farnesina, Solonovich (esclusione poi rientrata, anche se la vergogna rimane).

E questi sono solo alcuni dei casi più famosi e più eclatanti perché poi esiste tutta la galassia delle piccole etichette discografiche, piccole case di produzione, piccole case editrici che non possono più operare.

Questo non vuol dire che non si possa contestare un artista, cosa che abbiamo anche fatto quando all’Arena di Verona si esibì Polunin (in un evento di ballo extra Arena, nonostante fosse stato dismesso il corpo stabile di ballo proseguendo così nella linea della privatizzazione e precarizzazione del lavoro culturale), lui – sì – così talmente filoputiniano da avere tatuato sul petto la faccia del Presidente della Federazione Russa, oltre che essere omofobo e sessista. Ma allora questi problemi non vi erano.

Questa deriva di totale cancellazione e censura della cultura russa non è un atto volto alla pace, bensì destinato a incrementare una russofobia che nulla gioverà né alla fine del conflitto né alla popolazione ucraina che vive lo scontro armato sul proprio territorio, nelle proprie case.

Se avessimo dovuto seguire questo modus operandi sarebbero innumerevoli le opere. ,le autrici e gli autori di cui non avremmo potuto fruire in questi anni: quelle provenienti dagli Stati Uniti che hanno fatto innumerevoli guerre invadendo paesi sovrani, quelle di Israele che occupa i territori palestinesi massacrandone la popolazione, quelle della Turchia che perseguita i curdi…

Così facendo non avremmo più cultura di cui godere.

Ci sarebbe poi da chiedersi a chi appartiene la cultura. La cultura è universale, e la cultura russa, oltretutto, è parte integrante della cosiddetta cultura europea.

Se veramente si volesse favorire la pace non si escluderebbero le artiste e gli artisti russi, poiché lo scambio culturale è uno strumento fondamentale per prevenire “guerre di civiltà” di cui fanno le spese solamente le classi popolari. La cultura è l’unica arma che andrebbe finanziata.

Pertanto ci opponiamo a questa censura e all’embargo culturale nei confronti di un intero popolo, di una intera storia.

“Fatti non foste a viver come bruti ma per seguire virtute e canoscenza”

NOI NON CI ARRUOLIAMO! NOI NON CENSURIAMO!