Sono passati giorni dal forum che si è tenuto in Svizzera a Davos tra i ministri dell'economia e della finanza di tutto il mondo con comparsate politiche e soprattutto presenze di milionari di tutto il mondo in una riunione che ha fatto capire all'umanità,se ce n'era il bisogno,di quanto la diseguaglianza economica che poi va a riflettersi sul sociale,sia una bestia da combattere.
E anche in fretta perché questo divario sta aumentando anno dopo anno e questo in tutte le nazioni e non solo in determinati contesti:la storia si ripete e si fa sempre più tragica essendo consapevoli che l'1% della popolazione detiene ad oggi quasi il 50% della ricchezza modiale,come espresso nell'articolo di Senza Soste.
Perché questo si va poi a riversare sulla vita quotidiana,sulle piccole aziende che chiudono a favore delle multinazionali,alla pochezza della politica soprattutto europea e statunitense che vedono nel capitalismo e nel dio denaro sempre l'aspirazione massima.
Cos'è il capitalismo, in sostanza.
Ricerche e dati sulla diseguaglianza inondano l'opinione pubblica, fino al rischio di renderla completamente assuefatta all'esistente. Della diseguaglianza ha trattato recentemente l'ormai celebre libro dell'economista francese Thomas Piketty (Il Capitale del XXI secolo), diventato un fortunato caso editoriale, che si può trovare persino negli autogrill autostradali. Ogni tanto, però, i dati colpiscono ancora. Nei giorni che hanno preceduto il raduno di Davos, è uscita una ricerca di Oxfam, un ente che raggruppa Ong impegnate sul fronte della povertà, che fornisce dati strabilianti che consentono di trarre qualche conclusione sui rapporti socio-economici esistenti a fronte della crisi. Una bozza di bilancio di cosa fa la crisi nel mondo.
Intanto il rapporto ci dice che dal 2009 al 2014 l'1% più ricco del pianeta è passato dal possedere il 44 al 48% della ricchezza mondiale. Inoltre viene stimato che nel 2016 questo dato supererà il 50%, finendo per concedere all'1% oltre la metà della ricchezza del pianeta. Sempre in quest'arco di tempo il patrimonio finanziario degli 80 più ricchi è pressoché raddoppiato. Insomma si potrebbe affermare che la crisi c'è, ma per alcuni non si vede, o non si avverte. Ma tengo a sottolineare che c'è. Nel senso che l'attuale produzione di ricchezza non avviene spontaneamente come in passato, non avviene sull'onda di un'economia reale in poderosa crescita, e che i bei ritmi di crescita che furono non si riescono più a replicare.
Tale contraddizione non è di poco conto. Da qui la finanziarizzazione per sopperire all'imballaggio dell'economia reale, per far tornare a crescere la ricchezza dei più ricchi e rendere più sopportabile l'impoverimento dei più poveri, almeno nei paesi occidentali, ma oramai non solo. La finanziarizzazione è anche lo strumento che si agita per uscire dall'attuale crisi, dunque, facendo crescere la ricchezza finanziaria, ma riducendo quella prodotta nell'economia reale, quella che si redistribuisce di più, poiché tanti soggetti sociali concorrono a produrla. Un cambiamento che sempre più favorisce grandi aziende e multinazionali, ma fa soccombere persino tanta parte degli attori industriali del capitalismo novecentesco. Si sono ribaltati i connotati della valorizzazione e accumulazione di capitali nel capitalismo contemporaneo. É un bene per chi produce profitti, soprattutto se finanziari, ma rischia di essere difficilmente sostenibile. Da qui gli artifici dello stampar moneta, del dopping monetario, del rilancio infinito di un'economia a debito. Certamente è l'egemonia politica che consente la stabilità di un sistema così iniquo, è il dominio materiale combinato con quello culturale che favorisce l'aumento della diseguaglianza. Ad esso si aggiunga la forza militare e delle frontiere. A tal proposito sempre la ricerca di Oxfam parla di come sia distribuito il restante 52% di ricchezza mondiale. Esso va per 46 punti al 20% più ricco sottostante al famigerato 1%, mentre quel misero 5.5% di ricchezza che resta va al 79% della popolazione mondiale. Una povertà straripante, che vive nelle periferie occidentali, ma soprattutto in quelle del resto del mondo. Difficile pensare che le fortezze occidentali possano resistere a lungo. Non ci può essere Salvini che tenga se prosegue questo modello...
Qualcuno però vede il bicchiere mezzo pieno e sostiene che è vero che le differenze aumentano, ma sono relative, se invece si considera il quadro in termini assoluti la povertà diminuisce, la globalizzazione porta benessere in tante parti del mondo. Il tema è complesso, ma non può essere eluso, mi riprometto di tornarci a breve. Intanto riflettiamo sui dati sulla diseguaglianza che possono essere forieri di sole disgrazie, soprusi e ingiustizie. Per definire il capitalismo ce ne è già abbastanza.
23 gennaio 2015
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