venerdì 30 dicembre 2016
SIAMO TUTTI LICENZIABILI
La notizia della Cassazione di inizio mese che prevede il licenziamento di un dipendente giustificandosi solo col fatto che agendo così si possa trarre più profitto,è una triste ed allarmante notizia che però non trova impreparati la maggior parte di chi si ha voluto scavare nemmeno troppo a fondo sulle inqualificabili conseguenze del job act(madn dove-sta-l'inganno ).
Non c'è molto da aggiungere all'articolo di Milano & Finanza(cassazione-il-profitto )dove il licenziamento per giusta causa non solo può venire attuato per gravi crisi economiche oppure a perdite di fatturato e buchi di bilancio.
Ormai un'azienda può mettere come voce in quest'ultimo una sorta di accantonamento economico relativo alla riduzione del numero dei dipendenti,una sorta di salvadanaio se i bilanci dovessero perdere e addirittura già una scusa nel caso di previsioni di guadagni al di sotto delle aspettative già preventivamente gonfiati.
L'ennesima prova che la tanto propagandata e sventolata politica dei job acts sia stata solo fumo negli occhi dei lavoratori,non una buona politica nel settore del lavoro come tanto decantata dal maiale Poletti e dal governo del conta balle fiorentino ma una riforma cucita addosso ai padroni come nessun altro governo di destra abbia mai osato proporre ed attuare.
Cassazione, il profitto giustifica il licenziamento.
Secondo i giudici della Corte di Cassazione, come riportato da Italia Oggi, il licenziamento di un dipendente potrà essere giustificato anche solo in vista della migliore e della più efficiente organizzazione produttiva dell'impresa o dalla ricerca della maggiore redditività della stessa, ovvero del maggior profitto.
Il profitto giustifica il licenziamento. È questa la nuova e rivoluzionaria fattispecie di licenziamento riconosciuta per la prima volta nel nostro ordinamento da una recente sentenza della Corte di cassazione (sentenza n. 25201 del 7 dicembre 2016). Si tratta, scrive Italia Oggi, di un ampliamento di campo del licenziamento per giustificato motivo oggettivo che potrà ricorrere, adesso, non solo nei casi «straordinari» come le situazioni economiche sfavorevoli, ma anche in quelli «ordinari» in cui l’azienda decide di sopprimere una funzione per aumentare la redditività e quindi, in ultima istanza, il profitto.
Con la sentenza in esame i giudici di legittimità compiono una vera e propria rivoluzione copernicana affermando per la prima volta e chiaramente che un licenziamento non sarà più giustificato solo se necessario a fronte di una crisi economica o una perdita di bilancio o un calo di fatturato che metta a dura prova se non addirittura a rischio l’andamento dell’azienda. Il licenziamento di un dipendente, secondo i giudici della Corte di cassazione, potrà essere giustificato anche solo in vista della migliore e più efficiente organizzazione produttiva dell’impresa o dalla ricerca della maggiore redditività della stessa: alias maggior profitto.
In altri termini, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo per essere legittimo d’ora in avanti non dovrà più essere considerato la extrema ratio ma uno dei possibili sbocchi dell’autonomia organizzativa e decisionale dell’imprenditore sottratta al vaglio del giudice del lavoro (a cui spetterà unicamente di verificare in concreto l’esistenza della ragione dedotta dell’azienda e il nesso di causalità tra la ragione dedotta e il licenziamento di quel particolare dipendente).
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