Nel poco tempo in cui l'ex ministro Gentiloni ha ricevuto l'incarico dal Presidente Mattarella ed è stato pronto a presentare la lista del"nuovo"esecutivo c'era d'attendersi la quasi totale riconferma di tutti i ministri e così è stato.
Nell'articolo preso da Infoaut(brancolando-nel-buio )e suggerisco pure questo(contropiano gentiloni-strettamente-sorvegliati )vi sono le reazioni a questo che è un Renzi bis alla faccia del risultato del referendum ed alle dichiarazioni post voto che volevano un cambiamento serio che invece non è avvenuto.
Un Mattarella sempre più simile al suo predecessore Napolitano,la Boschi che aumenta il proprio potere distruttivo verso gli italiani,un Alfano messo alla cazzo nell'importante ministero degli esteri fanno capire in che ginepraio siamo finiti,proprio come saltare dalla padella alla brace.
Sperando che questo obbrobrio dove c'è ancora il fancazzista Poletti,Delrio,la Lorenzin e la Madia, cessi di esistere quanto prima con la consapevolezza che il male che il Pd sta facendo alla nazione sia l'ultimo in quanto dopo questo governo fotocopia la percentuale di consenso crollerà nettamente.
Purtroppo a favore della destra che nonostante le polemiche e le reazioni avverse sotto sotto si sfrega le mani e come un avvoltoio è pronto a calare sulle nostre teste,ivi compreso Verdini che da subito ha affermato che non sosterrà il governo Gentiloni perché non ha avuto nessuna poltrona!
Brancolando nel buio.
È stato nominato ieri il governo Gentiloni, la figura di garanzia che dovrebbe
assicurare la felice transizione tra Renzi e Renzi-bis. Rito della campanella e
poi via con le nomine di ministri per lo meno “di grande continuità”.
Confermati, tra gli altri, il mastro coop e spacciatore di voucher Giuliano
Poletti, il divino moltiplicatore di mance elettorali Pier Carlo Padoan, l’amico
delle grandi opere Graziano Delrio e la brillante Marianna Madia, fresca di
bocciatura del suo decreto sulla PA da parte della Consulta. Se ne va soltanto
Stefania Giannini, che lascia il dicastero dell’istruzione a Valeria Fideli,
ex-sindacalista della CGIL ai tessili. Una nomina, questa, che ci dice molto
sull’importanza delle prove neo-corporative a cui abbiamo assistito
all’avvicinarsi delle scadenza referendaria, quando la CGIL ha accettato con
perfetta tempistica un modesto rinnovo del contratto dei metalmeccanici e degli
statali. Maria Elena Boschi addirittura promossa dopo l’exploit referendario
finisce Sottosegretario alla presidenza del consiglio prendendo il posto di Luca
Lotti, all’ex-premier semper fidelis, per cui è stato tagliato su
misura un ministero dello sport con delega all’editoria. Un compito leggero che
conferma la centralità, per il partito trasversale degli affari, di questi due
settori strategici. Infatti, più che the show must go on sarà un
governo business as usal, Gentiloni non è una fotocopia: è un
fermacarte. È stato piazzato alla presidenza del consiglio perché si possa stare
tranquilli sul fatto che i contratti del partito trasversale degli affari e le
bozze delle riforme non svolazzassero troppo in giro in attesa del ritorno del
buffone di Rignano. La declinazione renziana del gattopardisimo è chiara: non
deve cambiare nulla perché nulla cambi.
Una rigidità inaudita che ha quasi fatto venire
una crisi di nervi ad Alessandro Di Battista che ai microfoni di Mentana
chiedeva ieri ai cittadini di non cedere “alle provocazioni” (cit.) e attendere
composti il momento catartico del voto. È vero che, dopo la sbornia
dimissionaria, questo governo suona come una bella pernacchia a chi ha votato
NO, la protesta è come il voto di protesta: non pervenuta. “Ma non è che,
niente niente, questi vogliono la rivoluzione?” si chiedeva stamattina ,
preoccupato, Marco Travaglio dalle pagine del Fatto quotidiano davanti
all’inesorabile spuntarsi di ogni strumento “democratico”. Beppe Grillo ha
chiamato Il Movimento 5 stelle a scendere in piazza a gennaio in una
manifestazione già annunciata nella sola forma di adunata che rientra nelle
corde del populismo senza popolo, quella del comizio. I parlamentari
pentastellati dovrebbero “apparire in una piazza d’Italia” ad immagine plastica
del potere che scende dal monte e si avvicina ai cittadini (ma non erano i
cittadini che dovevano entrare in parlamento?).
In ogni caso, la rigidità del governo, in tutte
le sue dimensioni, sembra ormai consolidarsi sempre di più. La vediamo ormai
all’opera contro ogni forma di imprevisto che turbi l’avanzata dell’Italia sul
cammino del rinnovamento e delle riforme, dalla brutale repressione delle pur
modeste occupazioni studentesche all’intolleranza per ogni forma di
contestazione al Partito democratico, dalle misure cautelari distribuite a piene
mani a chi lotta per il diritto all’abitare alle intimidazioni militari contro
chi si batte per la fine delle grandi opere.
Ieri nella colonna destra del quotidiano on-line
La Repubblica, tra jingle bells, video che “che fanno impazzire il web” e
sfiziose ricette, campeggiava una
clip di contorno alla nomina del governo Gentiloni, uno di quei deliziosi
imprevisti che risollevano la giornata dei freelance parlamentari assonnacchiati
davanti ai palazzi del potere. Angelino Alfano, ministro degli Esteri in
pectore, arriva al Quirinale per l’ennesimo mandato e un black-out fa saltare le
luci della piazza. “…Fare cose concrete” dice il “junior partner” del governo
Gentiloni mentre i lampioni si spengono. Angelino se ne accorge, un piccolo
spasmo gli attraversa il viso ma continua la dichiarazione come se niente fosse.
Le luci delle telecamere coprono il buio, i sorrisi dei giornalisti sono sempre
al loro posto e le vuote domande sugli equilibri di maggioranza continuano come
prima.
Dopo il trauma referendario, più che di
resilienza trattasi di rimozione. La questione, di sempre più stringente
attualità, resta sempre la stessa: ciò che non si piega si spezza?
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