giovedì 22 dicembre 2016

POLETTI:LA STORIA DI UN PARACULO E DEL SUO CERVELLO IN FUGA


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Credo che la storia politica italiana,e parlo dal 1861 e quindi di un ampio lasso temporale,abbia mai avuto personaggi così biechi,incapaci ed arroganti come Giuliano Poletti,un paraculo come pochi visti in Italia,e solo da noi possiamo avere come attuale ministro del lavoro uno che non abbia mai lavorato in vita sua,un culo per tutte le poltrone che da buon parassita ha sempre saputo occupare(vedi:madn giuliano-poletti )
La foto di cui sopra è apparsa sui muri di Legacoop,l'unione delle cooperative di cui è stato il presidente e che è stato il suo trampolino di lancio per diventare ministro,in una successione amorale e sbafatrice propria della successione tra la Democrazia Cristiana ed il Partito Democratico.
Gente che sappiamo chi sia,la vediamo ogni giorno alla televisione o in strada,magari lavorano assieme a noi ma non per noi,mangiano a tradimento e fanno carriera non guardando in faccia a nessuno solo perché presenti in politica,solo perché fanno comodo ai politicanti avere uomini e donne di rappresentanza al posto ed al momento giusto.
Lo vedo tutti i giorni al lavoro,e lo vedono i miei colleghi,le cose si sanno e a loro non gliene frega un cazzo di parassitare sulle nostre teste:l'ennesima esternazione starnazzata da un Poletti sempre più tronfio e laido sui giovani che vanno a cercare lavoro all'estero è una cosa indecente in una Repubblica,farebbe schifo anche in una dittatura ma almeno qui lo si può dire apertamente che questo stronzo deve tornarsene a casa e cominciare a lavorare.
Gli articoli presi da Infoaut(prima-pagina e blog/varie/ )parlano del ministro che non vuole tra i piedi questi molti cervelli in fuga,e della risposta di una ragazza costretta come migliaia di altri giovani a compiere questi sacrifici per poter riuscire a portarsi a casa qualcosa.
Anche in Spagna l'omologo all'esecutivo di Poletti sta facendo figure di merda,mai raggiungendo nemmeno lontanamente l'apice di degrado del romagnolo(contropiano )che ora si vede attaccato anche dall'ormai inconcludente minoranza Pd,da quasi tutto il resto della politica del bel paese e che vede sotto la lente d'ingrandimento un suo figlio foraggiato dai soldi pubblici(corsera poletti-bufera-figlio-lui-non-emigra-perche-prende-soldi-pubblici-c06 )mentre al padre è arrivata la mozione di sfiducia.

L'unico cervello in fuga è quello di Poletti.

no a qualche giorno prima del referendum erano l'oggetto del desiderio del Partito del Sì, alla caccia disperata dei loro voti ritenuti decisivi per la vittoria finale. Alcuni esponenti del Pd avevano addirittura usato la retorica della "fuga dei cervelli" per spiegare il fatto che all'estero avesse stravinto l'ok alle riforme, in controtendenza a quanto avvenuto nei nostri confini. Ora, una volta tornati inutili, gli italiani all'estero diventano oggetto degli strali di un ministro Poletti sempre più incline alla gaffe che profuma di odio di classe.
Tra gli italiani all'estero Poletti conosce tante persone "che è meglio non avere tra i piedi". Sono probabilmente quelle stesse persone che, soprattutto dal Sud, hanno deciso di lasciare il nostro paese per effetto delle politiche sul lavoro e sul reddito realizzate negli ultimi trent'anni. Una scelta tutt'altro che facile, tutt'altro che presa a cuor leggero, che comporta l'abbandono di molto di ciò che si ha di caro; una scelta che non merita di essere umiliata come fatto dall'ex Presidente di Legacoop, che sul disprezzo per i lavoratori ha costruito l'intera sua carriera politica.
Politiche non hanno lasciato spazio ad alternative diverse dal languire nella iper-precarietà, nella disoccupazione, nel lavoro nero, quando non in attività ai confini della legalità. Politiche arrivate al punto di spacciare lo sfruttamento da McDonald's o Zara come attività formativa presente all'interno dei piani di alternanza scuola-lavoro. Politiche che hanno prodotto un processo di migrazione al di fuori dei confini del nostro paese che ha carattere strutturale, riproducendosi ogni giorno tra stage non pagati, voucher a manetta, contratti che sono solo pezzi di carta straccia.
Sacrifici, turni massacranti, stage pagati zero euro da cogliere come opportunità. Chi non ci sta è ostile all'interesse generale, che poi è sempre coincidente con quello di chi sfrutta e mai con quello di chi è sfruttato: è un debole, un privilegiato da attaccare e stigmatizzare.
Una volta erano i "bamboccioni" di Brunetta: quelli che si ostinavano a rimanere in casa coi genitori invece di uscire fuori a farsi ricattare nel meraviglioso mondo del lavoro odierno. Poi diventarono i "choosy" della Fornero, quelli con la puzza sotto il naso quando provavano a dire qualcosa contro l'effettiva schiavitù in cui consiste l'attualità dello sfruttamento.
Poletti, aggiungendosi al parterre de roi dei fini suoi predecessori citati sopra, si scaglia contro generazioni e generazioni di uomini e donne che andandosene hanno espresso un rifiuto, cosciente o meno, proprio al modello incarnato dal ministro del lavoro: quello dei giovani che d'estate "devono scaricare cassette di frutta", quello dell'Expo del "lavoro gratuito che è un'opportunità" che ora profuma - che sorpresa! - di inchieste giudiziarie, quello che si godeva gran cene con i protagonisti di Mafia Capitale.
Il problema è che il modello di Poletti e è molto materiale oltre che teorico: i dati dell'Inps di ieri, che testimoniano l'ennesimo boom nell'utilizzo dei voucher ( più 32% in un anno, 12 1,5 milioni venduti in totale), raccontano alla perfezione l'Italia del JobsAct. Quel paese dove finiti gli incentivi per le assunzioni a tempo indeterminato quei tipi di contratti crollano mentre - anche qui, che sorpresa! - crescono i licenziamenti disciplinari che tutti a parte chi fingeva di non vedere sapeva benissimo fossero la vera ragione del provvedimento emanato dal governo. Del resto il governo si è vantato pubblicamente del livello basso degli stipendi italiani e soprattutto della loro scarsa crescita nel tempo..
Lo stesso Poletti nei giorni scorsi aveva svelato il segreto di Pulcinella, ovvero che una delle principali ragioni per votare a giugno sarebbe stata far saltare i tre referendum abrogativi delle principali funzioni del JobsAct: mostrando così come quel provvedimento fosse l'indiscutibile architrave del progetto di governo, il pilastro su cui si regge la legittimità di Renzi agli occhi di industriali e grande finanza. E in pochi possono farsi fregare dalla parole di Poletti su possibili modifiche alla disciplina dei voucher: del resto, quando lo stesso Ministro dice che il JobsAct fa bene al paese evidentemente non lascia spazio a molti dubbi.
Poletti è lo specchio di un Renzi e di un PD che se ne sono ampiamente fregati dell'esito referendario, mentre tirano dritti come un treno nel loro distaccarsi il più possibile dagli umori reali della popolazione. Se, dopo che l'81% dei giovani ti ha votato contro, la tua reazione è attaccarli invece di cercare di recuperarne anche un minimo il consenso, vuol dire che quella espressa da Poletti è una vera e propria strategia di isolamento dalla realtà. Una costruzione davvero lungimirante di sè stessi come Casta, non c'è che dire...
Se non altro, vista l'aria che tira nel Pd dopo lo scorso 4 dicembre, il ministro del Lavoro con le sue dichiarazioni ha un merito: quello di aver ulteriormente reso esplicito di cosa si parla quando ragioniamo dei due anni che ci siamo - speriamo per sempre - lasciati alle spalle.

Poletti, suo malgrado, ci mette di fronte al pensiero profondo del renzismo nei confronti dei giovani. E' odio di classe puro, purissimo, espresso dalla sua posizione di zombie che cammina, residuato di un'accozzaglia di governo duramente sconfessata il 4 dicembre e rimasta attaccata strenuamente alla poltrona in attesa di venti migliori. Ma di una cosa Poletti può essere certo..quell'odio è ampiamente ricambiato!

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Caro Ministro , noi quelli tra i piedi siamo gli stessi che faranno di tutto per vincere i referendum abrogativi contro il Jobs Act, dall’articolo 18 ai voucher. Costi quel che scosti noi questa partita ce la giochiamo fino all’ultimo respiro.
La mia lettera al Ministro del Lavoro ( per le imprese )
Caro Poletti, avete fatto di noi i camerieri d’Europa
Caro Ministro Poletti, le sue scuse mi imbarazzano tanto quanto le sue parole mi disgustano.
Siamo quelli per cui il Novecento è anche un patrimonio cinematografico invidiabile, che non inseguiva necessariamente i botteghini della distribuzione di massa, e lì imparammo che le parole sono importanti, e lei non parla bene.
Non da oggi.
A mia memoria da quando il 29 novembre 2014 iniziò a dare i numeri sul mercato del lavoro, dimenticandosi tutti quei licenziamenti che i lavoratori italiani, giovani e non, portavano a casa la sera.
Continuò a parlare male quando in un dibattito in cui ci trovammo allo stesso tavolo dichiarò di essere “il ministro del lavoro per le imprese”, era il 18 aprile del 2016.
Noi, quei centomila che negli ultimi anni siamo andati via, ma in realtà molti di più, non siamo i migliori, siamo solo un po’ più fortunati di molti altri che non sono potuti partire e che tra i piedi si ritrovano soltanto dei pezzi di carta da scambiare con un gratta e vinci.
Parlo dei voucher, Ministro.
Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti sommerso dalle proteste sui social per la frase sui cervelli in fuga pronunciata a Fano. “Se 100mila giovani se ne sono andati dall’Italia, non è che qui sono rimasti 60 milioni di ‘pistola’”, ha detto Poletti. “Conosco gente che è andata via e che è bene che stia dove è andata, perché sicuramente questo Paese non soffrirà a non averli più fra i piedì”. Poi, le scuse: “Mi sono espresso male. Penso semplicemente che non è giusto affermare che ad andarsene siano i migliori e che, di conseguenza, tutti gli altri che rimangono hanno meno competenze e qualità degli altri”video Occhio alla notizia/ Fano tv
E poi, sa, anche tra di noi che ce ne siamo andati, qualcuno meno fortunato esiste. Si chiamava Giulio Regeni, e lui era uno dei migliori. L’hanno ammazzato in Egitto perché studiava la repressione contro i sindacalisti e il movimento operaio. L’ha ammazzato quel regime con cui il governo di cui lei fa parte stringe accordi commerciali, lo stesso governo che sulla morte di Giulio Regeni non ha mai battuto i pugni sul tavolo, perché Giulio in fin dei conti cos’era di fronte ai contratti miliardari?
Intanto, proprio ieri l’Inps ha reso noto che nei dieci mesi del 2016 sono stati venduti 121 milioni e mezzo di voucher. Da quando lei è ministro, ne sono stati venduti 265.255.222.
Non erano pistole, è sfruttamento.
Sa, qualcuno ci ha rimesso quattro dita a lavorare a voucher davanti a una pressa. È un ragazzo di ventuno anni, non ha diritto alla malattia, a niente, perché faceva il saldatore a voucher. Oggi, senza quattro dita, lei gli offrirà un assegno di ricollocazione da corrispondere a un’agenzia di lavoro privata. Magari di quelle che offrono contratti rumeni, perché tanto dobbiamo essere competitivi.
Quelli che sono rimasti sono coloro che per colpa delle politiche del suo governo e di quelli precedenti si sono trovati in pochi anni da generazione 1000 euro al mese a generazione a 5000 euro l’anno.
Lo stesso vale per chi se n’è andato e forse prima o poi vi verrà il dubbio che molti se ne sono andati proprio per questo.
Quelli che sono rimasti sono gli stessi che lavorano nei centri commerciali con orari lunghissimi e salari da fame.
Quelli che fanno i facchini per la logistica e vedono i proprio fratelli morire ammazzati sotto un tir perché chiedevano diritti contro lo sfruttamento. Sono quelli che un lavoro non l’hanno mai trovato, quelli che a volte hanno pure pensato “meglio lavorare in nero e va tutto bene perché almeno le sigarette posso comprarle”.
Sono gli stessi che non possono permettersi di andare via da casa, o sempre più spesso ci ritornano, perché il suo governo come altri che lo hanno preceduto, invece di fare pagare più tasse ai ricchi e redistribuire le condizioni materiali per il soddisfacimento di un bisogno di base e universale come l’abitare, ha pensato bene di togliere le tasse sulla casa anche ai più ricchi e prima ancora di approvare il piano casa.
È lo stesso governo che spende lo zero percento del Pil per il diritto all’abitare.
È lo stesso governo che si rifiuta di ammettere la necessità di un reddito che garantisca a tutti dignità.
Ma badi bene, non sono una “redditista”, solo che a fronte di 17 milioni di italiani a rischio povertà, quattro milioni in condizione di povertà assoluta, mi pare sia evidente che questo passaggio storico per l’Italia non sia oggi un punto d’arrivo politico quanto un segno di civiltà.
Ma vorrei essere chiara, il diritto al reddito non è sostituibile al diritto alla casa, sono diritti imprescindibili entrambi.
E le vorrei sottolineare che non è colpa dei nostri genitori se stiamo messi così, è colpa vostra che credete che siano le imprese a dover decidere tutto e a cui dobbiamo inchinarci e sacrificarci.
I colpevoli siete voi che pensate si possano spostare quasi 20 miliardi dai salari ai profitti d’impresa senza chiedere nulla in cambio- tanto ci sono i voucher- e poi un anno dopo approvate anche la riduzione delle tasse sui profitti. Così potrete sempre venirci a dire che c’è il deficit, che si crea il debito e che insomma la coperta è corta e dobbiamo anche smetterla di lamentarci perché, mal che vada, avremo un tirocinio con Garanzia Giovani.
I colpevoli siete voi che non credete nell’istruzione e nella cultura, che avete tagliato i fondi a scuola e università, che avete approvato la buona scuola e ora imponete agli studenti di andare a lavorare da McDonald e Zara.
Sa, molti di quei centomila che sono emigrati lavorano da McDonald o Zara, anche loro hanno un diploma o una laurea e se li dovesse mai incontrare per strada chieda loro com’è la loro vita e se sono felici. Le risponderanno che questa vita fa schifo. Però ecco: a differenza di quel che ha decretato il suo governo, questi giovani all’estero sono pagati.
Ma il problema non è neppure questo, o quanto meno non il principale.
Il problema, ministro Poletti, è che lei e il suo governo state decretando che la nostra generazione, quella precedente e le future siano i camerieri d’Europa, i babysitter dei turisti stranieri, quelli che dovranno un giorno farsi la guerra con gli immigrati che oggi fate lavorare a gratis.
A me pare chiaro che lei abbia voluto insultare chi è rimasto piuttosto che noi che siamo partiti. E lo fa nel preciso istante in cui lei dichiara che dovreste “offrire loro l’opportunità di esprimere qui capacità, competenza, saper fare”.
La cosa assurda è che non è chiaro cosa significhi per lei capacità, competenze e saper fare.
Perché io vedo milioni di giovani che ogni mattina si svegliano, si mettono sul un bus, un tram, una macchina e provano ad esprimere capacità, competenze, saper fare. Molti altri fanno la stessa cosa ma esprimono una gran voglia di fare pure se sono imbranati. Fin qui però io non ho capito che cosa voi offrite loro se non la possibilità di essere sfruttati, di esser derisi, di essere presi in giro con 80 euro che magari l’anno prossimo dovranno restituire perché troppo poveri.
Non è chiaro, Ministro Poletti, cosa sia per lei un’opportunità se non questa cosa qui che rasenta l’ignobile tentativo di rendere ognuno di noi sempre più ricattabile, senza diritti, senza voce, senza rappresentanza. Eppure la cosa che mi indigna di più è il pensiero che l’opportunità va data solo a chi ha le competenze e il saper fare.
Lei, ma direi il governo di cui fa parte tutto, non fate altro che innescare e sostenere diseguaglianze su tutti i fronti: dalla scuola al lavoro, dalla casa alla cultura, e sì perché questo succede quando si mette davanti il merito che è un concetto classista e si denigra la giustizia sociale.
Perché forse non glielo hanno mai spiegato o non ha letto abbastanza i rapporti sulla condizione sociale del paese, ma in Italia studia chi ha genitori che possono pagare e sostenere le spese di un’istruzione sempre più cara. E sono sempre di più, Ministro Poletti.
Lei non ha insultato soltanto noi, ha insultato anche i nostri genitori che per decenni hanno lavorato e pagato le tasse, ci hanno pagato gli asili privati quando non c’erano i nonni, ci hanno pagato l’affitto all’università finché hanno potuto.
Molti di questi genitori poi con la crisi sono stati licenziati e finita la disoccupazione potevano soltanto dirci che sarebbe andata meglio, che ce l’avremmo fatta, in un modo o nell’altro. In Italia o all’estero. Chieda scusa a loro perché noi delle sue scuse non abbiamo bisogno.
Noi la sua arroganza, ma anche evidente ignoranza, gliel’abbiamo restituita il 4 dicembre, in cui abbiamo votato No per la Costituzione, la democrazia, contro l’accentramento dei poteri negli esecutivi e abbiamo votato No contro un sistema istituzionale che avrebbe normalizzato la supremazia del mercato e degli interessi dei pochi a discapito di noi molti.
Era anche un voto contro il Jobs Act, contro la buona scuola, il piano casa, l’ipotesi dello stretto di Messina, contro la compressione di qualsiasi spazio di partecipazione.
E siamo gli stessi che faranno di tutto per vincere i referendum abrogativi contro il Jobs Act, dall’articolo 18 ai voucher, la battaglia è la stessa.
Costi quel che scosti noi questa partita ce la giochiamo fino all’ultimo respiro.
E seppure proverete a far saltare i referendum con qualche operazioncina di maquillage, state pur certi che sugli stessi temi ci presenteremo alle elezioni dall’estero e dall’Italia.
Se nel frattempo vuole sapere quali sono le nostre proposte per il mondo del lavoro, ci chiami pure. Se vi interessasse, chissà mai, ascoltare.
Marta Fana *Ricercatrice italiana a Parigi

da: radiondadurto.org

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