Come si dice oggi due piccioni con una fava,poiché i due articoli presi da Senza Soste contribuiscono e si supportao l'un l'altro in quanto parlano di due elementi concatenati che sono le firme dei contratti di libero scambio del commercio chiamati Tpp e Ttip.
Dell'ultimo citato se n'era già parlato nei mesi scorsi(vedi:http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2014/11/verso-la-disoccupazione-globale.html )e la stesura di questo tipo di contratto transatlantico con gli Usa che vogliono avere il dominio economico sull'Europa con quest'ultima che fa la gnorri ma tutto è calcolato:del resto ci sono voluti anni per arrivare ad un accordo,ancora da ratificare in ogni paese membro,per arrivare ad una quadra per quanto riguarda il Tpp.
Quest'ultimo è l'accordo di partenariato tra le nazioni che si affacciano sull'oceano Pacifico,quindi con paesi americani,oceanici ed asiatici(con l'inclusione del Vietnam ma l'esclusione della Corea del Sud tra i nomi più rilevanti).
Ed è quello spiegato nella prima parte del contributo mentre nel secondo viene dato rilievo a settimana prossima dove tra il 10 ed il 17 ottobre ci saranno manifestazioni(forti di tre milioni di firme raccolte)a livello globale contro la riuscita del Ttip,che secondo molti metterà in ginocchio le economie prima europee e poi statunitensi,con l'agricoltura che farà da apripista al collasso dei vari settori economici.
Perché dietro alla parola "libero" associata a scambio e commercio non ci sta il significato di libertà cui tutti bramiamo e tifiamo,ma dietro v'è celato il vantaggio solo per i più forti(Usa)e per le multinazionali.
Firmato il Tpp. Mezzo Pacifico in mano agli Usa.
Claudio Conti - tratto da http://contropiano.org.
Finita l'epoca del Wto e della globalizzazione, è l'ora dei trattati transoceanici che tentano di cementificare blocchi economico-commerciali. Inevitabilmente, da subito o in prospettiva, in “competizione” feroce con tutti gli altri.
La firma apposta ieri ad Atlanta, in Georgia, al trattato Trans Pacific Partnership (Tpp) è un atto di guerra. Commerciale, per ora. Così come lo sarà, se verrà concluso un negoziato ancora più difficile, il Tras-Atlantic Trade and Investment Partnership (Ttip) tra Stati Uniti ed Unione Europea.
Solo dodici i paesi aderenti: gli stessi Usa, Australia, Cile, Canada, Messico, Giappone, Nuova Zelanda, Malaysia, Vietnam, Brunei, Perù e Singapore. In pratica, Vietnam a parte, solo paesi anglofoni o “colonie” storiche degli Stati Uniti.
Inutile dire – lo scrivono tutti i giornali mainstream – che il “nemico” è esplicitamente la Cina.
Tra i grandi assenti si deve sottolineare l'assenza di un'altra storica “base” americana come la Corea del Sud, di cui stranamente non parla nessuno, pur vantando multinazionali di prima grandezza (Samsung. Hyundai, Lg, Ssanyong, Daewoo, ecc).
I contenuti dettagliati dell'accordo, circa 30 capitoli, saranno pubblicati solo tra qualche mese, dopo l'approvazione dei parlamenti dei paesi aderenti. E non sarà un processo scontato, a partire proprio dagli Stati Uniti, a causa non solo dell'opposizione repubblicana e di qualche parlamentare democratico (quelli più legati ai sindacati, timorosi della caduta dei salari derivante dalla libera circolazione di merci prodotte a costi inferiori), ma anche delle multinazionali statunitensi dell'automobile.
La prima a invitare esplicitamente il Congresso a respinere il trattato è stata la Ford. E non a caso proprio il settore auto (oltre al farmaceutico, e in generale la regolamentazione dei diritti sui brevetti) è stato tra i punti più ostici del negoziato, protrattosi al di là della scadenza prevista (domenica) a causa del braccio di ferro con il Giappone.
Le ragioni dell'ostilità di Ford (e più discretamente di general Motors e Fiat-Chrysler) riguardano ufficialmente la “manipolazione delle valute”, che non viene affrontata in nessun capitolo del Tpp. Fosse solo questo, non sarebbe in fondo un gran problema; le “svalutazioni competitive” possono agevolmente essere affrontate da un sistema produttivo che ha alle sue spalle la Federal reserve.
Ma il punto vero del contendere, in questo solo comparto, riguarda la “percentuale minima di valore” contenuto in un prodotto creata nel paese esportatore. Sembra complicato e in effetti un po' lo è, perché è questione che investe la dimensione e l'estensione delle filiere produttive globali. In pratica, si trattava di stabilire la soglia al di sotto della quale un prodotto giapponese (o di qualunque altro paese aderente al Tpp) non può esser più considerato made in Japan (o altrove) perché contenente troppi componenti fabbricati in altri paesi, a più basso costo. E quindi da sottoporre a tariffe di importazione più o meno alte.
Nel trattato Nafta, cui aderiscono Usa, Canada e Messico, questa soglia minima è fissata al 62,5%, mentre nel Tpp il Giappone (unico tra gli aderenti a fare concorrenza alle auto Usa) ha strappato un molto più comodo 45%. Le auto nipponiche, che incorporano un alto numero di componenti fabbricati in Cina o in altri paesi asiatici, potranno perciò essere importate negli Usa, Canada e Australia (i principali mercati del Tpp per le quattro ruote) senza dover più esser caricate di tariffe doganali pesanti: solo il 2,5% per le auto propriamente dette, ma ben il 25% per i segmenti ad alto guadagno e alto gradimento su quei mercati, come suv, pickup e monovolume.
L'altro ostacolo rilevante è stato rappresentato dalla durata dei brevetti, soprattutto sui farmaci. Gli Usa avrebbero voluto ovviamente almeno dodici anni di “divieto” prima di consentire la fabbricazione di farmaci generici o equivalenti, mentre tutti gli altri paesi hanno premuto – con successo, a quanto pare, per ridurre questo periodo di monopolio a un intervallo variabile tra i 5 e gli 8 anni.
Discussioni che possono sembrare esoteriche, ma che definiscono una volta per tutte la possibilità di sfruttare commercialmente le scoperte scientifiche e le loro applicazioni tecnologiche. Ovvero, in questo caso, il periodo di tempo durante il quale si può conservare il “vantaggio competitivo” sui concorrenti.
Perché questo è il segreto vero di qualsiasi trattato commerciale o di qualsiasi unione monetaria tra paesi che presentano un livello di sviluppo differente: il vantaggio è sempre per il più forte. Per questo la propaganda – o, come si dice adesso, “la comunicazione” - gonfia fino all'inverosimile la storiella dei “vantaggi per tutti”. Chiedetelo ai messicani, se è vero...
6 ottobre 2015
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Stop Ttip: raggiunti i 3 milioni di firme, l'Europa si mobilita contro i trattati di libero scambio.
Dal 10 al 17 ottobre dei 3 milioni di firme raccolte in tutto il continente, centinaia di migliaia di persone scenderanno in piazza per chiedere l’interruzione dei negoziati sul TTIP e gli altri accordi di libero scambio. L’obiettivo della mobilitazione internazionale è intrecciare le molteplici istanze promosse dalla società civile, costruendo un grande blocco di opinione pubblica contraria ad un sistema di commercio internazionale che mette i diritti umani e civili in secondo piano rispetto agli interessi delle grandi multinazionali e dei gruppi finanziari.
A cominciare da sabato 10 ottobre, le campagne internazionali Stop TTIP organizzeranno eventi, mobilitazioni, presidi in centinaia di città, tutti con un intento preciso: fermare il Trattato transatlantico fra USA e Ue, bloccare il negoziato TiSA sulla liberalizzazione di tutti i servizi e impedire la ratifica del CETA, l’accordo di libero scambio fra Ue e Canada.
«I movimenti tornano in piazza per affermare che serve una netta inversione di rotta – dichiara Marco Bersani, fra i portavoce della Campagna Stop TTIP Italia – Il TTIP dev’essere fermato subito per riaprire la strada ad un nuovo modello sociale, fatto di beni comuni, diritti e democrazia, in Italia e in Europa».
La più grande manifestazione è attesa a Berlino, e ad essa parteciperà anche una parte della campagna italiana. Nel nostro Paese sono previsti presidi in decine di centri urbani, dove loschi businessmen & women si riverseranno nelle strade per svendere ai cittadini acqua, sanità, cibo e diritti. Alla parte creativa verrà affiancata una massiva campagna di pressione istituzionale, con valanghe di tweet ed e-mail che affolleranno gli account dei parlamentari italiani troppo “distratti” in merito a un tema che riguarda da vicino la vita di ciascun cittadino.
Il 6 ottobre, nel frattempo, si è conclusa con un successo senza precedenti la prima fase della raccolta di firme dell’iniziativa autorganizzata dei cittadini europei contro il TTIP e il CETA. È stato superato anche il tetto dei 3 milioni di adesioni, a dimostrazione che esiste una opposizione vasta e trasversale agli accordi di libero scambio. Questo dissenso è in costante crescita e non può più essere trascurato dalle istituzioni: il processo di ratifica del CETA non deve avvenire ignorando le preoccupazioni della società civile, così come le trattative su TTIP, TiSA e TPP non godono del consenso necessario per proseguire. La continua mancanza di trasparenza da parte dei negoziatori è inaccettabile e le numerose mine per la democrazia contenute in questi accordi devono essere disinnescate. Ne è un esempio il TPP, Trans Pacific Partnership, “fratello” del TTIP sul fronte del Pacifico. Dopo un lungo negoziato segreto, gli Stati Uniti insieme ad altri 11 Paesi di America, Asia e Oceania sono giunti ad un accordo che ora passerà al vaglio dei governi nazionali.
«Oltre ad essere svincolato dal rispetto dei patti internazionali sul cambiamento climatico, il TPP presenta innumerevoli punti critici – descrive Elena Mazzoni, tra i coordinatori della Campagna Stop TTIP Italia – Porterà ad un aumento della deforestazione e dell’inquinamento, renderà più difficile l’accesso ai farmaci generici per le fasce più povere di popolazione e conterrà una clausola ISDS che permetterà di anteporre i profitti delle multinazionali ai diritti dei popoli».
«Le mobilitazioni delle prossime settimane, e l'obiettivo di tre milioni di firme raggiunto e superato, segnano la prima grande vittoria dei movimenti della società civile – dichiara Monica di Sisto, portavoce della Campagna Stop TTIP Italia – Ogni minimo tentativo da parte della Commissione europea e dei governi di tenere sotto silenzio un negoziato così importante è fallito miseramente, e più si scoprono le carte più risulta insostenibile la ricetta che le lobbies economiche vogliono propinarci. Ci sono milioni di cittadini che non sono disposti a mettere sul piatto standard di qualità, un tessuto economico fatto di piccola e media impresa, una pesante riorganizzazione del tessuto sociale europeo in cambio delle finte promesse fatte da chi, grazie a questo trattato, risulterà vincitore. Dalla crisi si esce in modo diverso: scommettendo sui territori, su un'agricoltura sostenibile e sempre più localizzata, sulla difesa dei diritti e non sul loro lento smantellamento. Questo sosteniamo come Campagna Stop TTIP Italia e questo verrà ribadito in centinaia di piazze di tutta Europa nei prossimi giorni».
Stop Ttip Italia
6 ottobre 2015
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