mercoledì 8 novembre 2017

GIUSEPPE BONFATTI E LA GIUSTIZIA AD OROLOGERIA


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Ne avevo parlato proprio pochi giorni fa dell'amnistia di Togliatti che di fatto ha lasciato agli sconfitti fascisti le redini di un paese mentre ai vincitori partigiani è toccata il più delle volte una storia più complicata e senza onori(madn la-giustizia-della-volante-rossa ).
La storia proposta da Infoaut(giuseppe-bonfatti-uccide-un-fascista-a-viadana )vede infatti un caso di giustizia avvenuta a distanza di decenni quando l'ex partigiano Giuseppe "Remo" Bonfatti tornò dopo una vita passata in Brasile perché nonostante vincitore fu deportato dopo un attentato fallito a un comandante delle camicie nere in un campo di concentramento mentre gli fu bruciata la stalla con gli animali dentro e sua madre e sorella picchiate dalle criminali brigate nere che in quei tempi imperversavano nella bassa Lombardia e in Emilia(il caso più famoso fu quello dei fratelli Cervi).
Ebbene nel 1990 tornò in Italia dopo una breve parentesi avuta una quindicina di anni prima e riconobbe uno degli elementi del rastrellamento e lo uccise a picconate in testa a Viadana nel mantovano,per poi consegnarsi ai carabinieri(qui la cronaca del tempo:repubblica/archivio l'ho-ucciso-era-un-fascista ).
Un esempio di giustizia ad orologeria per una persona che mai ha dimenticato i soprusi passati da lui e dalla sua famiglia,dai compagni costretti come lui ad emigrare o peggio ancora ammazzati dai collaborazionisti degli invasori tedeschi.
Altre informazione su di un libro pubblicato sulla sua storia qui:carmillaonline tempo-fuori-luogo-una-questione-di-tempi-e-di-classi .


8 Novembre 1990: Giuseppe Bonfatti uccide un fascista a Viadana.

Il partigiano “Remo”, nato nel 1924, ai primi di Ottobre del 1943 aveva formato con altri giovani la Libera Associazione Giovanile di Mantova.

La sua vita è costellata da avvenimenti: in primo luogo viene arrestato per il lancio di volantini antifascisti, rimanendo in carcere per tre mesi tra il ’43 ed il ’44.

Processato e condannato poi a cinque anni, viene trasferito nel campo di concentramento di Fossoli di Carpi, dal quale riesce a scappare nel Giugno dello stesso anno grazie all’aiuto di un amico.

Entrerà poi nella prima brigata partigiana “Giustizia e Libertà”.

Bonfatti e la brigata hanno il compito di tendere un’imboscata a Fertonani, un comandante delle camicie nere, che però non va a buon fine.

Per questo verrà fatto un rastrellamento, in cui verranno arrestati e inviati al campo di concentramento 35 partigiani.

Inoltre, alla scoperta dell’autore del tentato agguato, verrà fatta una rappresaglia a casa del suddetto.

Una squadra delle brigate nere entra e appicca il fuoco, mentre all’interno si trovavano la madre e le sorelle. Le donne verranno poi picchiate e il bestiame presente all’interno, ucciso.

L’8 Novembre, anni dopo, dopo una lunga permanenza in Brasile, Bonfatti riconosce in un bar del centro di Viadana uno dei volontari della rappresaglia.

Giuseppe Oppici viene invitato ad uscire dal bar, ed ucciso a colpi di piccone, mentre risuonano le parole “Sono tornato apposta per fartela pagare.”

Quando poco dopo Bonfatti viene fermato è calmo, una volta arrivato in caserma si dichiara prigioniero di guerra.

Quando gli viene chiesto perché ha ucciso Oppici, dichiara nuovamente di essere tornato appositamente per vendicarsi dell’oltraggio fatto verso i suoi parenti e verso di lui ed il suo ideale.

Dopo svariate sentenze verrà rimesso in libertà a causa di un cancro al cervello.

Nel periodo di permanenza in carcere continuerà a scrivere ai compagni di Brescia.

Non si dimostrerà mai pentito e con orgoglio continuerà a ritenersi comunista fino alla morte, che lo raggiungerà nel 1995.

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