lunedì 9 gennaio 2017

SI RITORNA AL 40%

Risultati immagini per disoccupazione giovanile italia 2016
I numeri resi noti oggi sulla disoccupazione giovanile che è tornata alla soglia del 40% non mentono e mettono in chiaro la difficile situazione che nonostante la propaganda dei nuovi posti di lavoro è sempre più grave.
A questo si aggiunge chi un lavoro ce l'ha ma è precario,non gode di tutti i diritti e che è sottopagato e che non viene conteggiato nel computo della percentuale riportata,che in certe zone italiane è addirittura superiore alla metà del 50%.
L'articolo preso è di Contropiano(loccupzione-giovanile )cui aggiungo due esempi di due lavoratrici non più giovani ma che come quelli che potrebbero essere i loro figli versano in situazioni di disagio e di precarietà(entrambi di Senza Soste ryanair-offre-lavoro-impossibile e lettera-lavoratrice-licenziata-almaviva ).

La disoccupazione giovanile torna al 40%.

Il referendum del 4 dicembre lo aveva in qualche modo detto: quelle del governo Renzi sull'occupazione, specie giovanile, erano chiacchiere, “bufale” in senso tecnico, propaganda. Che oltretutto veniva percepita immediatamente come tale dai diretti interessati, in primo luogo proprio i giovani.
I dati relativi all'occupazione nel mese di novembre, resi noti stamattina dall'Istat, confermano in pieno la “percezione sociale” e sbugiardano definitivamente il sia il passato governo che quello fotocopia oggi in carica.
Nel mese di novembre, infatti, la stima degli occupati risulta – sì – in lieve crescita rispetto a ottobre (+0,1%, pari a +19 mila unità), ma l'aumento riguarda quasi esclusivamente le donne e le persone ultracinquantenni. Aumentano, in questo mese, gli indipendenti e i dipendenti permanenti, calano i lavoratori a termine. Il tasso di occupazione è pari al 57,3%, in aumento di 0,1 punti percentuali rispetto a ottobre.
Messi così non sembrerebbero dati pessimi, se non confermassero una situazione più che paradossale: gli ultra cinquantenni (e ultrasessantenni) obbligati a restare al lavoro oltre i limiti della logica produttivistica, e tutto il mondo precarissimo del lavoro “a termine” (sottopagato e senza diritti esigibili) a subire le oscillazioni della domanda di lavoro. E infatti sono proprio questi ultimi a calare per primi quando la congiuntura economica segna un rallentamento o una contrazione.
Su base trimestrale, nel periodo settembre-novembre, si registra invece un lieve calo degli occupati rispetto al trimestre precedente (-0,1%, pari a -21 mila). Il calo interessa gli uomini, le persone tra 15 e 49 anni e i lavoratori dipendenti, mentre si rilevano segnali di crescita per le donne e gli over 50.
Concentrando l'attenzione sui disoccupati, invece, si vede che l'aumento è molto sensibile (+1,9%, pari a +57 mila), specie perché avvenuto in un solo mese e perché va a sommarsi al calo dello 0,6% registrato nel mese precedente. Anche qui si conferma la distorsione sistemica creata da cosiddetta “riforma Fornero”: l'aumento è attribuibile a entrambe le componenti di genere e si distribuisce tra le diverse classi di età ad eccezione degli ultracinquantenni. Di conseguenza il tasso di disoccupazione ufficiale (senza qui entrare nel merito dell'attendibilità dei criteri statistici adottati a livello europeo, per cui se lavori un'ora nella settimana in cui avviene la rilevazione sei “occupato”) è pari all'11,9%, in aumento di 0,2 punti percentuali su base mensile.
E questo nonostante il calo della stima degli inattivi tra i 15 e i 64 anni (-0,7%, pari a -93 mila), ovvero di quanti avevano smesso di cercare un lavoro. Il tasso di inattività scende infatti al 34,8%, in diminuzione di 0,2 punti percentuali. Ma bisogna dirselo chiaramente: gli “inattivi” sono disoccupati a tutti gli effetti, dunque il totale dei senza lavoro (pur essendo in età lavorativa) sfiora ormai il 47%.
Su base annua si conferma la tendenza all'aumento del numero di occupati (+0,9% su novembre 2015, pari a +201 mila). La crescita tendenziale è attribuibile quasi esclusivamente ai lavoratori dipendenti (+193 mila, di cui +135 mila i permanenti) e si manifesta sia per le donne sia per gli uomini, concentrandosi esclusivamente tra gli over 50 (+453 mila). Nello stesso periodo aumentano i disoccupati (+5,7%, pari a +165 mila) e calano gli inattivi (-3,4%, pari a -469 mila). In questo caso, però, il calo degli “inattivi” è una conseguenza demografica dell'invecchiamento della popolazione: si esce cioè dalle stime di inattività solo perché si superano il 64 anni.
Il dato che non emerge in questo tipo di rilevazione (concentrata esclusivamente sulla dicotomia occupati/non occupati, e relative forme legali) è quello salariale: la “sensazione sociale” è che quando pure si riesce a lavorare, lo stipendio sia molto basso. Dunque, a un'apparente “stabilità occupazionale”, con lievi oscillazioni in alto e in basso, corrisponde invece una massa salariale in diminuzione spalmata su un numero ampio di persone al lavoro.
Ma è soprattutto la condizione giovanile quella che annienta le retoriche governative. Dice l'Istat: A novembre il tasso di disoccupazione dei 15-24enni, cioè la quota di giovani disoccupati sul totale di quelli attivi (occupati e disoccupati), è pari al 39,4%, in aumento di 1,8 punti percentuali rispetto al mese precedente. Dal calcolo del tasso di disoccupazione sono per definizione esclusi i giovani inattivi, cioè coloro che non sono occupati e non cercano lavoro, nella maggior parte dei casi perché impegnati negli studi. L’incidenza dei giovani disoccupati tra 15 e 24 anni sul totale dei giovani della stessa classe di età è pari al 10,6% (cioè poco più di un giovane su 10 è disoccupato). Tale incidenza risulta in aumento di 0,7punti percentuali rispetto a ottobre. Il tasso di occupazione dei 15-24enni diminuisce di 0,1punti percentuali, mentre quello di inattività cala di 0,6 punti.
Quattro giovani su dieci non lavorano, cinque su dieci studia, solo uno è al lavoro. E grazie al Jobs Act probabilmente non viene neppure retribuito…
Il rapporto completo dell'Istat: CS_Occupati-e-disoccupati_novembre_2016

---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Ryanair offre lavoro impossibile. Il racconto di una aspirante hostess

Il racconto di una 45enne aspirante hostess sulle condizioni di lavoro low cost.

La realtà va molto oltre la propaganda. Stiamo parlando di Ryanair, la compagnia di massimo successo nel low cost aereo internazionale, che è un esempio lampante di quella che viene chiamata “caduta del valore dei salari”. L’offerta di lavoro, sia nei rapporti che negli importi, è arrivata, in Italia come in Europa, al punto dove chi governa ha voluto portarla scientificamente, con normative ben precise e scandite nel tempo. Ucciso il lavoro come fattore di coesione sociale ed opportunità, si è intensificata la competizione per il posto di lavoro. Così quando l’offerta scarseggia, il disoccupato è disposto a lavorare per meno, molto meno e chi offre il lavoro lo sa. Specialmente se opera in uno Stato dove il Governo di turno pubblicizza il basso costo del lavoro per attirare investimenti internazionali, vale a dire quelli che desiderano tanta stabilità politica e bassa inflazione. Finita la propaganda sul paradiso realizzato con la crescita dell’occupazione, la ripresa del PIL ed il glorioso recupero verso un’inflazione al 2%, esiste la vita del comune essere umano che vive in questo mondo e che deve lavorare. E qui iniziano i drammi per chi vive del proprio lavoro e il giubilo di quei grandi e piccoli interessi che hanno lavorato alacremente per far cadere in basso il costo del lavoro e per far aumentare rendite e profitti. Dagli anni ’90, il trasferimento di ricchezza dal lavoro al capitale è stato imponente, guarda caso proprio dal decennio a partire dal quale la “competitività” è diventata un valore normativo ed ha iniziato ad ispirare il processo di trasformazione del mercato del lavoro. Partendo da questo contesto abbiamo parlato con una nostra concittadina che ci ha raccontato la sua esperienza come aspirante hostess per Ryanair.
Cosa ti ha spinto a partecipare alla selezione di Ryanair e cosa ti aspettavi?
L’estrema difficoltà nel trovare un’occupazione decente e con un minimo di stabilità all’età di 45 anni dove spesso, specialmente in ambito aeroportuale, sei spinta a partecipare a corsi specifici per la sicurezza relativa allo svolgimento del ruolo di hostess, senza nessun impegno all’assunzione una volta finito il corso anche dimostrando buone capacità. Ci sono molte compagnie che non assumono personale di 45 anni mentre ce ne sono altrettante che offrono corsi a pagamento senza limite di età. Avendo già lavorato per un periodo in Ryanair sapevo che non sarebbe stata un’offerta allettante ma la scarsità di lavoro mi ha portato a ritentare.
Pur essendo stata selezionata perché non hai accettato?
La selezione è andata bene per la padronanza della lingua inglese ma al momento di trattare l’offerta con l’Agenzia Interinale di turno ho capito che il lavoro sarebbe stato un COTTIMO dove l’effettivo impegno lavorativo pagato si limitava alle ore volate e non per le fasi preliminari prima del volo e durante gli eventuali scali o soste tecniche. La compagnia non dà più una certezza sullo scalo di partenza e sul rientro a fine turno a tal punto che uno può trovarsi a Londra o a Oslo dovendo affrontare gli alti costi di residenza rispetto a quanto possano essere quelli di Pisa o comunque dove uno generalmente vive. Gli stipendi da 1.000 a 1.400 € (40/32 ore settimanali alternate EFFETTIVAMENTE volate) non comprendono il corso che costa 4.000 € da fare a Francoforte (decurtabile in quota parte mensile di 360,00 € dallo stipendio), il nolo della divisa per 30 € mensili, una propria polizza assicurativa, senza copertura in caso di malattia, dovendoti portare il tuo cibo e la tua acqua. Il rapporto di lavoro è regolato dalla legislazione irlandese e la busta paga la percepisci direttamente attraverso la rete bancomat sul territorio europeo con obbligo di aprire un conto corrente presso la loro stessa banca. Queste condizioni sono impossibili da accettare se specialmente l’aeroporto assegnato è diverso da quello prossimo alla tua abitazione. Il rischio di andare in rimessa è altissimo e non esistono tutele.
Chi altro ha accettato?
Nessuno dei selezionati ha potuto accettare, a queste condizioni. Siamo considerati degli strumenti di business.
Jack RR
articolo tratto da Senza Soste cartaceo n.120 (novembre 2016)

---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Lettera di una lavoratrice licenziata Almaviva al governo

Due documenti scritti da lavoratori e lavoratrici Almaviva che spiegano le loro ragioni contro le falsificazioni di governo, giornali e Tv.

Egregia Viceministra Teresa Bellanova
Sono una LICENZIATA Almaviva, una dei 1666, a breve compirò cinquantun’anni. Non tema, non sono qui a rivolgerle la classica supplica, tra l’altro non è la madonna di Pompei che, a crederci, forse sarebbe riuscita a fare qualcosa di diverso per quelli come me. Le scrivo perché, in seguito alla fine della vertenza che ha prodotto 1666 lettere di licenziamento, sento la prepotente necessità di interpretare, decodificare e spiegare le ragioni di noi lavoratori ma anche, e soprattutto, farle delle domande, cercare di comprendere perché la politica abbia consentito tutto questo.
Del mio ex-datore di lavoro non vorrei parlare. In fondo l’imprenditore non è che un incrocio tra un istrione e un camaleonte, pronto a piangere miseria sia nei periodi buoni sia nei cattivi. È il Padrone, anche se nella forma parole del genere sono state abolite dal nostro vocabolario nella sostanza ci sono rimaste e con radici profondissime. Il profitto è il suo unico scopo e, per quanto vergognose, le sue richieste, destituite di etica, buonsenso e umanità, esprimono una volontà comprensibile considerandone la provenienza. È come pretendere dal lupo di diventare vegetariano, oltretutto da un lupo giovane e anche un po’ pigro che fino a oggi ha beneficiato di bocconi facili, in una sorta di riserva naturale in cui il “foraggio” gli è stato fornito a ogni ululato, a ogni ringhiosa minaccia. Ci sarebbe poi da riflettere sull’eventualità che questo lupo sia stato realmente nutrito per salvare le pecore o per salvare lui solo, in quanto componente di un “branco” non meglio identificato.
Altro velo pietoso ma direi più una densa, spessissima coltre, è quella che bisogna stendere sui sindacati confederali, che in barba alla loro stessa essenza di paladini dei lavoratori hanno creato le condizioni ideali perché questo scempio giungesse a compimento. Un lento lavorio che si compie da anni, un fenomeno carsico che sta erodendo pian piano ogni diritto e che anche lo scorso 22 dicembre è stato fedele a sé stesso. Per loro davvero non ci sono parole!
E IL GOVERNO?
Quest’ultima vertenza è nata male e ha partorito mostri della cui nocività sarà difficile stabilire la portata. Le ho già detto che ho cinquant’anni e un po’ di memoria storica. Nel paese in cui sono nata, nel lontano 1966, le richieste di un Marco Tripi sarebbero state considerate inaccettabili. Nel paese in cui sono nata e cresciuta non si sarebbe consentito a un’azienda di affamare i propri dipendenti come è successo a noi che dopo la stabilizzazione saremmo dovuti passare, tutti, a sei ore (accordo mai rispettato!). O crede che ci siano persone contente di fare settanta chilometri al giorno per poco più di 600 euro al mese? Nel paese in cui sono nata e cresciuta la richiesta di bloccare gli scatti di anzianità, di azzerare i livelli, di applicare il controllo individuale sarebbe stata irricevibile. E lei è la rappresentante di un governo di sinistra?! È stata sempre presente, sin dal primo giorno in questa vertenza ma con quale scopo, quale obiettivo?! A parte la proposta “ a scatola chiusa” sulla quale non mi soffermo, quali erano concretamente le sue intenzioni? Non sente di aver fallito? Non crede di doverne rispondere?
Lo sconforto è vedere che alla fine si sta realizzando il vaticinio di George Orwell, e allora visto che ci troviamo, legittimate il Grande Fratello nelle aziende, introducete l’ipnopedia negli asili nido, sottoponete tutti a test di valutazione del Q.I. e gli scemi metteteli tutti nei call-center! Le sembro eccessiva? Ci rifletta, è quello che sta succedendo e lei ne è complice. Nemmeno nel peggiore dei miei incubi avrei potuto vedere un governo scendere a patti così scellerati. Addirittura il nostro NO lo avete considerato da irresponsabili?! Secondo lei, allora, qual è il senso di responsabilità? Ha affermato che il nostro era un NO ideologico. Noi siamo stati ideologici? Lei di certo non ha avuto un comportamento ideale. Con quel termine ha voluto dire che la nostra chiusura è stata condizionata da idee preconcette. Cosa c’era di preconcetto nel nostro NO? Forse non sapevamo a che tipo di fine saremmo stati destinati, perciò ci ha definiti irresponsabili? Forse qualcuno, a partire da lei, ci aveva prospettato qualcosa di diverso dalla nostra totale riduzione in schiavitù? Avevamo tutti gli elementi per fare delle valutazioni e il NO è scaturito da un giudizio non da un pre-giudizio. I conti li abbiamo fatti e non tornavano e non stia a guardare quelli che poi hanno virato verso un sì tardivo quanto infamante, sono da comprendere e dovrebbero essere ancor più messi sotto l’egida di un garante che, ahimè, è mancato.
A cosa servirà per i colleghi di Napoli questa proroga fino a marzo? Lo sa che per molti (anche per coloro che hanno votato “sì” al referendum) questo procrastinare sottende la speranza di andare a casa con un ammortizzatore, con delle tutele maggiori rispetto al nulla che ci è stato riservato? O crede che ci siano tanti cretini disposti a finire nelle fauci dell’imprenditore di cui sopra, pronto a mettere le mani su una classe di lavoratori negletti e annichiliti?
In un mondo ideale ( E NON IDEOLOGICO!) questa storia avrebbe visto un governo che avrebbe innanzitutto ponderato la liceità delle posizioni dell’azienda e, dopo il “gran rifiuto” fatto per tutto tranne che per viltà (e Dante mi perdoni se lo porto in un inferno molto meno appassionante del suo), si sarebbe fatto carico dei lavoratori con degli ammortizzatori validi traghettandoli verso altre opportunità attraverso percorsi di formazione e riqualificazione professionale.
Anche la mente più ideologica, con tutti i pregiudizi del caso, non sarebbe stata in grado di prevedere quello che è accaduto. Milleseicentosessantasei persone buttate in strada con l’avallo del governo e dei sindacati nazionali. Lo scrivo perché devo leggerlo per crederci.
Avrebbe dovuto fargli chiudere i battenti, avrebbe dovuto mandare i nostri imprenditori a fare i negrieri in altri paesi, avrebbe dovuto agire come se l’Italia fosse un paese civile, anche lei avrebbe dovuto dire NO e si sarebbe dovuta occupare delle pecore, essere il nostro pastore e fare fuori il lupo. Invece non è andata così!
Come faccio a farle capire con quante altre voci potrebbero essere pronunciate le parole che ho scritto finora? Immagini un coro di 1666 persone, immagini che ognuno sia un solista, ci metta in un teatro…non si sente nulla, ci hanno fatto tacere e lei ha fatto buio in sala, rendendoci anche invisibili.
Anna Rosaria Forno, licenziata Almaviva
2 gennaio 2016
***

E’ veramente una vergogna il livello di falsificazione al quale si è giunti nei media con la vicenda Almaviva. Si fanno apparire i lavoratori che hanno lottato contro condizioni di lavoro indegne e contro un ricatto bello e buono come i responsabili dei licenziamenti. Come dire che i partigiani sono stati responsabili dell’occupazione nazista e dei suoi crimini. Diamogli allora voce!Questo il comunicato che hanno scritto come “Lavoratrici e lavoratori Almaviva contro lo sfruttamento”.
Siamo avviliti e schifati per il modo in cui giornali e telegiornali stanno vendendo la nostra storia all’opinione pubblica. Quasi non crediamo sia possibile che l’unica versione servita al popolo italiano sia quella dell’azienda, del Governo o al massimo delle dirigenze sindacali. 1666 lavoratori vanno a casa dopo anni di lavoro e mesi di battaglie e la loro voce non viene praticamente ascoltata.
Perché non sono i mesi di sacrifici, di contratti di solidarietà, di salario perso a forza di scioperi, gli anni di lavoro che vanno in fumo con una semplice lettera di licenziamento. Non è questo il nostro principale dolore in questo momento. Sono queste inaccettabili menzogne a ferirci davvero, quelle che vorrebbero tramutare la vittima in colpevole.
Quelle che vorrebbero far ricadere la colpa di questo licenziamento di massa sugli stessi che lo subiscono e non su un’azienda che l’ha sempre voluto, che da anni usa questa minaccia per intascare soldi e commesse pubbliche, che da anni vessa i propri dipendenti e li mette gli uni contro gli altri. Un’azienda che mentre chiude le sedi di Roma e Napoli dove i lavoratori sono più anziani e le costano di più perché hanno ancora dei diritti, non si fa scrupolo di delocalizzare in Romania e chiedere ore di straordinario nelle sedi di Milano e Rende.
Perché la vera notizia di oggi doveva essere quella per cui in questo paese pieno di ricatti, di paura, di un servilismo alimentato da piccole promesse e illusioni, qualcuno, nonostante il prezzo, ha provato a dire NO: no a un accordo che altro non era che l’ennesimo attacco alla nostra dignità di lavoratori ed ai nostri diritti conquistati in anni di lavoro. Questa la proposta “indecente” avanzata da azienda e Governo, proposta che prevedeva la rinuncia agli scatti di anzianità maturati, controllo individuale e cassa integrazione. Tutte condizioni che se accettate avrebbero decurtato stipendi già miseri, reso ancora più insopportabile la nostra vita lavorativa e reso noi lavoratori ancora più vessati ed umiliati.Tutte proposte, guarda caso, avanzate dall’associazione padronale di categoria (ASSTELL) per il rinnovo del contratto nazionale dei dipendenti delle telecomunicazioni.
La pezza che ha provato a metterci il Governo consisteva soltanto in una proroga della trattativa di altri tre mesi. Uno stillicidio pagato con le tasche dei contribuenti in forma di cassa integrazione, per imporre poi lo stesso taglio del costo del lavoro e il controllo individuale che avevamo dichiarato inaccettabile e quindi concludere il tutto comunque con i licenziamenti. E per far passare questa schifezza, che nei titoli dei giornali era già “salvataggio” ancor prima che la trattativa si concludesse, hanno fatto una forzatura inaccettabile: quella di separare le vertenze di Napoli e Roma, che finora avevano corso insieme, per metterle l’una contro l’altra.
E ora vorrebbero mascherarsi dietro i formalismi procedurali e con questi assolvere ancora una volta dalle sue responsabilità un’azienda da sempre arrogante e spietata!
La verità è che Almaviva voleva il plebiscito e non l’ha ottenuto. Perché è vero che la paura si è fatta strada, assecondata dalle dirigenze sindacali che, anziché rafforzare quelli che resistevano, l’hanno pure alimentata con raccolte firme e un referendum che non aveva nulla di democratico, che chiamava libero un voto svolto sotto ricatto. Per una volta però questo non è bastato. Perché nonostante questo, in quel referendum, il 44% dei lavoratori ha comunque detto NO. Noi capiamo i nostri colleghi del SI, quelli disposti alla fine ad accettare e non gli facciamo una colpa delle loro decisioni. I colpevoli dei ricatti non solo quelli che cedono, ma quelli che li architettano. Capiamo adesso la loro delusione, molto di più quanto non lo facciano quelli che li hanno provati a sfruttare contro di noi, che si sono gettati come sciacalli sulle incertezze e difficoltà di noi tutti, le difficoltà che chiunque proverebbe di fronte a una lettera di licenziamento. Perché nonostante le nostre scelte diverse noi siamo e ci sentiamo nella stessa condizione.
Però nonostante gli enormi sacrifici che questa comporta, rivendichiamo con orgoglio di aver messo un punto, un freno all’arroganza di chi chiama “responsabilità” accettare di essere servi pur di lavorare. Perché a tutto c’è un limite, ancora siamo uomini e non ancora schiavi, nonostante le politiche di questi governanti che ora voglio apparire salvatori ci stiano portano in questa condizione.
Per questo hanno provato a infamarci, perché abbiamo dimostrato che la loro arroganza non può tutto. E questo non lo riescono proprio a tollerare. Perché ci tengono ad apparire più forti di quanto siano e hanno il terrore che anziché farci la guerra tra noi per le briciole che ci concedono potremmo cominciare a unirci e lottare.
Per noi, infatti, la lotta non si conclude qui.
Lavoratori e lavoratrici Almaviva contro lo sfruttamento
30 dicembre 2016

Nessun commento: