L'altro giorno ho rivisto una puntata abbastanza recente del programma"L'eco della storia"su Rai 4 dove intervenne il sociologo e filosofo polacco Zygmunt Bauman che è deceduto lunedì scorso a Leeds dove era stato professore per parecchio tempo.
Non rischio di addentrarmi in temi che non conosco bene,e lo lascio fare all'articolo preso da Contropiano(la-modernita-liquida-bauman )che certamente è scritto con cognizione di causa,ma qualche pensiero credo d'averlo recepito e praticamente tutti i temi trattati da Bauman sono di stretta attualità.
I suoi studi sul mondo del lavoro e sulla divisioni in classi sono sempre presenti nelle lotte che man mano,almeno in Italia,si stanno purtroppo affievolendo lasciando poco spazio alla speranza di poter ottenere migliorie alla classe padronale che anzi sta riprendendosi poco a poco i diritti conquistati nel corsi dei decenni scorsi.
La ricerca in tutti i campi,e che soprattutto mi ha colpito in quello sociale,relazionale e sentimentale,di potere ricercare,anzi desiderare passionalmente e disperatamente l'amore ma avere il timore di stringere rapporti,è un fatto che molto veritiero almeno visto dalla mia esperienza.
Lo studio sul consumismo,sugli uomini diventati merce(e pure rifiuti),la tendenza a cercare sempre qualcosa di nuovo che non indichi necessariamente qualcosa di meglio,mi fa venire in mente le ultime tendenze che vogliono sempre più la ricerca per uno Stato come l'Italia ma anche altri,che il privato in campi come la sanità e l'istruzione sia più moderno,e quindi nuovo,buono e migliore,sta sotto gli occhi di tutti.
Finisco parlando dell'industria della paura,con questo fatto collegato strettamente con la globalizzazioni di merci e di persone,ed è aspetto che si vede tutti in giorni soprattutto nelle tv e nei giornali di destra che speculano su di un tema che è sempre stato presagio di sventure nella storia dell'umanita:la paura del diverso accompagnata da una grande dose d'ignoranza.
La modernità liquida di Bauman.
Si è spento lunedì a Leeds all'età di 91 anni Zygmunt Bauman, sociologo polacco di grande fama. Non intendiamo qui ripercorrere la sua vasta opera, ma ci concentreremo invece su uno dei suoi contributi di maggiore impatto.
Sotto il profilo teorico uno dei grandi contributi del sociologo polacco è la formulazione dell'idea di una società liquida, in cui le relazioni lavorative, umane, affettive e politiche perdono la lo sostanzialità per ridursi a relazioni effimere, volatili, in ultima istanza usa e getta cosi come le merci che questa società ha come obbiettivo di produrre. Questo è certamente un aspetto indubitabile di quella che David Harvey ha definito (contro il postfordismo) come l'era dell'accumulazione flessibile – ovvero quella trasformazione avvenuta tra fine anni settanta e primi anni ottanta caratterizzata dall'estendersi della globalizzazione, dall'ascesa della finanza e dei sistemi di produzione just-in-time. Il concetto rischia tuttavia di rimanere indeterminato e spesso utilizzato nella vulgata compatibilista dei media e della teoria sociale “debole” (basti pensare all'entusiasmo con cui “Repubblica” riproponeva gli editoriali di Bauman).
Occorre prendere atto che il capitalismo è caratterizzato da due tendenze: una all'accentramento e un'altra alla dispersione, a seconda degli assemblaggi più convenienti. Le forze sociali del lavoro e gli assetti storico sociali avevano trovato una convergenza in quel patto sociale fordista che ha garantito una certa stabilità a fasce di lavoratori irrigimentati nella grande fabbrica (esempio, per Bauman, della modernità “solida”) e iscritti a grandi sindacati e partiti, conoscendo un momento di parziale demercificazione della forza lavoro. Tuttavia questa è stata una parentesi nella storia, arrestata alla fine degli anni '70 dalla controrivoluzione neoliberale di Thatcher e Reagan. Si potrebbe quindi sostenere che nel capitalismo la liquidità e flessibilità sono elementi da sempre presenti e costituenti: ad esempio la forza lavoro è risultata fin dalla sua origine flessibile, essa tende ad inseguire gli andamenti del capitale e i suoi passaggi da vari rami industriali, mercificandosi a seconda delle esigenze della classe capitalista.
Uno dei rischi a cui la metafora della società liquida può portare è un quello di immaginare una mutazione antropologica, di stampo pasoliniano, per cui il mondo del lavoro è condannato all'atomizzazione e all'impotenza e i produttori si liquefarrebbero in consumatori asserviti. Una tentazione che può affiancarsi a quella dei teorici della fine del conflitto sociale e ad una forma di pessimismo antropologico che per nulla giova a chi quel conflitto sta provando ad agirlo invece che subirlo, tentando di rovesciare quella “lotta di classe dall'alto” condotta dal padronato in guerra di classe dal basso.
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