L'articolo odierno fa le pulci in tasca a uno dei proprietari di società calcistiche italiane di serie A che è stato anche il residente di Confindustria,il bergamasco Giorgio Squinzi,che poi con i soldi del "sindacato"degli imprenditori ha creato una squadra dal nulla,il Sassuolo,che gli ultimi anni è approdata per l'appunto nella massima serie(sassuolo-via-i-mercanti-dal-tempio ).
Un pezzo scritto l'indomani della prima storica gara di Europa League vinta 3-0 contro l'Athletic Bilbao e che è polemico e direi anche giusto e che attacca ferocemente il calcio moderno e le compagini nate a tavolino e che hanno rubato lo stadio ad altre società ree di non avere un patrimonio cospicuo alle spalle ma una storia calcistica di buon livello.
Infatti prima i modenesi e poi i reggiani e credo per molti anni hanno visto il proprio fortino,il Braglia e ora l'ex Giglio ora Mapei stadium-Città del tricolore sede delle partite interne del Sassuolo con proteste e manifestazioni delle squadre sovra citate e anche comunque dei tifosi del Sassuolo che hanno dovuto emigrare di trenta chilometri(vedi anche questo interessante link:iogiocopulito.ilfattoquotidiano.it ).
Da quest'ultimo risalta il fatto che il Sassuolo non è una favola del calcio italiano ma un giocattolo costruito ad hoc e che gioca in uno stadio quasi sempre deserto se non fosse per presenze cospicue di tifoserie in trasferta.
Al pari di altri presidenti e proprietari di serie A,anche se adesso si sta virando sempre più verso cordate o ingressi societari di stranieri,Squinzi è un imprenditore che non ha la passione del Sassuolo(è milanista)e credo nemmeno del calcio,infatti il proprietario della Mapei ha cominciato la sponsorizzazione sportiva col ciclismo:un altro caso riguarda il palazzinaro Percassi che alla guida dell'Atalanta continua a incassare plusvalenze dietro altre svendendo giocatori per poi non rimpiazzarli...anche se questo è ovviamente un racconto troppo di parte.
tratto da http://www.minutosettantotto.it
Temporeggia su Sabin per poi rientrare verso il centro del campo, nello scatto palla al piede si libera contemporaneamente dello stesso Sabin, che aveva provato a stargli dietro, e a un timido tentativo di Benat. Allungandosi il pallone e avanzando a lunghe falcate riesce a far fuori anche Laporte, che spettacolo.
Quella che doveva essere una ripartenza palla al piede che prima di vedere l’area di rigore avrebbe richiesta 5-6 passaggio grazie all’estro in fase di spinta di un diciannovenne spagnolo si è trasformata di un’azione di straordinaria bellezza. A questo punto se la porta sul sinistro e tanti saluti al povero Herrerin.
Sassuolo 1-0 Athletic Bilbao, il primo goal della squadra-rivelazione italiana degli ultimi anni in Europa è firmato dallo spagnolo Lirola.
Bello, bellissimo. Da rivedere mille volte su YouTube in quei filmati che promettono un HD inesistente con musichette da colossal americano anche per la traversa sullo 0-0 di Tizio in Scapoli-Ammogliati. E così ho fatto eh, me lo sono rivisto più e più volte perché, nonostante la difesa bilbaina ci abbia spiegato l’elementare motivo per il quale Messi e Ronaldo arrivano a 70 goal a testa a stagione, è proprio un goal meraviglioso.
Ma qualcosa dentro di me sapeva che quello che stavo facendo era sbagliato.
Perché quelli che vivono uguale
hanno un’idea della bellezza così volgare
pensano che sia
una cosa che serve per scopare.
Sapevo, dentro di me, che un atto di estrema bellezza come quello di Lirola si svuota di ogni significato se fatto in nome di qualcosa di profondamente sbagliato.
Come sacrificarlo sull’altare del debutto europeo del Sassuolo di Squinzi, ad esempio.
Una società praticamente invisibile ai riflettori del Grande Calcio prelevata dal Presidentissimo di Confindustria e amministratore unico di Mapei Giorgio Squinzi che acquista la società nella vecchia C2 e del giro di poco più di 10 anni la trascina fino al goal di Lirola contro l’Athletic Bilbao. Una favola, verrebbe da dire. Anche no.
Ad aspetti sicuramente positivi della gestione sassolese made in Squinzi – come un’indubbia encomiabile scalata calcistica e il voler puntare molto su giovani italiani (anche se è sempre valido quello che scriveva un anno fa Bauscia Cafè – “no, non farò presente che nei tre gironi del Campionato Primavera su 1163 giocatori ci sono 189 stranieri. Darebbe la dimensione della stronzata appena ascoltata, sì, ma non è questo il punto“) – se ne affiancano diversi che fanno cadere il castello della favoletta italiana con i soldi di Confindustria – anche se già questo dovrebbe far riflettere.
Il problema, ovviamente, non sono i soldi. Investimenti di un miliardario in una squadra di calcio sono fondamentali nell’Anno Domini 2016 e lamentarsene significherebbe avere una concezione anticapitalistica del mondo che vede la Terza Categoria come la Rivoluzione d’Ottobre. Ridicolo. È bene rendersi conto dove siamo e in che contesto storico, e i soldi non sono mai un problema. Il problema è l’uso che se ne fa di questa montagna di soldi.
Affrontiamo il problema dalla base. Alla base del gioco del pallone c’è l’appartenenza a quello che è il territorio, in primis. Una squadra senza il suo territorio è una squadra finta, costruita a tavolino. Come l’MK Dons.
O il Sassuolo, per esempio.
Sì, perché una delle prime decisioni di Squinzi è stata quella di strappare il Sassuolo da, appunto, Sassuolo, e iniziare un lungo pellegrinaggio tra Modena e Reggio Emilia, sempre con l’arroganza dei padroni e sempre osteggiati da chi in quello stadio ci gioca da sempre.
Ne è venuta fuori una delle società meglio allestite d’Italia (forse d’Europa) che però incarna perfettamente quello che è la peggior degenerazione del calcio moderno: business prima che passione.
Sulla favola-Sassuolo potremmo passare sopra a tante cose, davvero. Alla fede milanista di Squinzi, all’aver strappato il Sassuolo ai sassolesi per renderlo una marca nazionale, a degli strani collegamenti con la Juventus, all’aver letteralmente occupato stadi di altre società con la massima ostilità da parte dei tifosi che ti avrebbero dovuto ospitare in casa loro. Possiamo anche fare un respirone e convincerci che stiamo sbagliando. Che il mondo non è tutto bianco o nero, che il Sassuolo è una bellissima realtà che fa crescere giovani italiani e sta raccogliendo i frutti di un allenatore giovane e preparato migliorando l’immagine del calcio italiano in Europa.
Poi però arriva la partita più importante della tua storia, l’esordio in Europa contro l’Athletic Bilbao – non proprio l’ultima della classe – e ottieni una vittoria fantastica. Giochi da dio e ti imponi per 3-0.
Tutto questo però lo fai in uno stadio deserto – con i seggiolini colorati per non farlo notare troppo – e per di più a Reggio Emilia, 30 km da casa tua.
Allora capisci che un calcio così non è quello del quale ti sei innamorato. Che, se tu fossi uno dei fedelissimi sassolesi che c’erano anche in C2, questa non sarebbe più la tua squadra, che soffriresti a vederla segnare e vincere contro l’Athletic Bilbao. Che se tu fossi un tifoso della Reggiana ti sentiresti una vittima di un calcio che non guarda in faccia a nessuno. Perché questo non è calcio, diciamoci la verità. È il gioco del calcio, quello senza dubbio, ma non quello che intendiamo e vogliamo noi. È altro, è business, capitalismo, interessi, finzione, efficienza, progetto serio. Ma non è passione, e quindi non è roba per noi.
Gli interessi degli Squinzi li conosciamo fin troppo bene. Sono i vostri che mi sfuggono. Il Sassuolo dovrebbe essere osteggiato e boicottato ad ogni giornata, a grandi linee quello che succede in Germania con il RB Lipsia. L’eterno bisogno della ricerca della favola sta diventando una cancrena per il calcio italiano. La favola non ve la regalerà mai Confindustria, la favola la dovete costruire voi con le vostre mani.
Partecipando, tifando, vivendo la squadra.
18 settembre 2016
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