Si è tenuta sabato a Roma la grande manifestazione indetta ai primi di settembre in solidarietà del popolo curdo dopo che la Turchia ha invaso il confine siriano ed in accordo con Al Qaeda ed i "ribelli " siriani ha ceduto in mano alle milizie Isis la città di Jarablus,importante per la sua logistica nella guerra che i curdi combattono quasi da soli(sono supportati solo dalla Russia e combattenti internazionalisti)contro gli estremisti islamici.
Rivendicando la liberazione che sta proseguendo nel territorio del nord della Siria del Rojava e quella della città simbolo di questa zona di guerra Kobane,migliaia di persone da semplici cittadini ad associazioni di curdi,centri sociali e collettivi che sostengono la lotta per la liberazione dei loro territori,non ci sono stati scontri nonostante la massiccia presenza della polizia che ha impedito l'accesso nella zona dove è situata l'ambasciata turca.
Articolo preso da Senza Soste(politica ).
Alessandro Avvisato - tratto da http://contropiano.org
Migliaia di persone hanno sfilato in piazza oggi pomeriggio a Roma in solidarietà con la resistenza del popolo curdo, per la libertà di “Apo” Ocalan e contro la politica repressiva e genocida della Turchia. Il corteo è partito intorno alle 15.30 da Porta Pia. Nei pressi c’è l’ambasciata della Turchia intorno alla quale un ingente spiegamento di polizia aveva chiuso praticamente tutte le strade. La manifestazione è sfilata per Castro Pretorio, università, San Lorenzo per concludersi a Piazza Vittorio.
Il corteo era aperto dalle organizzazioni curde in Italia e via via tutte le reti e le organizzazioni politiche, sociali e sindacali solidali con la lotta dei curdi. Un corteo numeroso – e niente affatto scontato in tal senso – a conferma che quando un popolo lotta trova l’attenzione e la solidarietà che merita. Oggi il progetto nazionale curdo – attraverso l’ipotesi di una confederazione democratica, progetto ben diverso da quello clanistico realizzato nel kurdistan iracheno – cerca di farsi spazio dentro la violenta ridefinizione della mappa geopolitica in Medio Oriente. Una ridefinizione che sta rimettendo in discussioni i confini ereditati dal colonialismo e dal trattato Seys-Piquot ma che nasce da presupposti ben diversi da quelli del nazionalismo panarabo. Su questo progetto di destabilizzazione dell’esistente convergono da un lato gli Usa, l’Unione Europea e Israele, dall’altro le ambizioni di potenza della Turchia e del polo islamico/sunnita manifestatesi sia direttamente che indirettamente attraverso i finanziamenti e gli armamenti forniti per anni al progetto dello Stati Islamico. Vi si oppone la Siria e la sua alleanza con Iran, Russia, Iraq ed Hezbollah. In mezzo popolazioni come quella curda (sparpagliata in quattro stati) e quella palestinese. Per la prima il problema principale resta la Turchia, per i secondi l’occupazione coloniale e la pulizia etnica israeliana. Dentro questo quadro di instabilità e violente ridefinizione delle frontiere, i curdi stanno cercando di giocare la loro partita di uno stato nazionale. Che vi riescano è difficile a dirsi, Nel frattempo hanno dovuto dimostrare di esistere sul campo di battaglia respingendo e infliggendo la prima sconfitta militare alle milizie dell’Isis a Kobane.
La manifestazione di oggi è stata preceduta anche da distinguo e critiche, “molto italiane” per la verità. La congiunturale convergenza tra i combattenti curdi in Rojava e i bombardamenti statunitensi sulle postazioni dell’Isis è stata vista, erroneamente a nostro avviso, come un passaggio di campo del Pkk. In realtà le cose non stanno così. Le alleanze a geometria variabile e la logica del nemico del mio nemico come mio amico sta imperando ormai negli ultimi anni in tutto il Medio Oriente, con effetti disastrosi evidentemente, soprattutto per le popolazioni civili strette in mezzo ai conflitti. La destabilizzazione, i regime change e la disgregazione della mappa del Medio Oriente sono stati indubbiamente perseguiti dalle potenze imperialiste prima in Iraq, poi in Libia ed infine in Siria. Ma se il disordine diventa grande sotto il cielo, si aprono però opportunità prima inesistenti per chi, dopo decenni di oppressione, sta cercando di dare concretezza al proprio progetto nazionale e democratico. Forse solo una conferenza regionale come quella di Vestfalia alla fine della Guerra dei Trenta Anni in Europa potrebbe avere la forza di mettere mano alle soluzioni. Ma per fare questo deve liberarsi delle ingerenze statunitensi, europee ed israeliane. Per queste ragioni, così come per la resistenza palestinese, anche quella curda deve meritare la nostra attenzione critica e la nostra solidarietà.
25 settembre 2016
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