mercoledì 28 gennaio 2015

SENTENZA NO TAV VENDETTA DI STATO



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L'articolo di Angelo Miotto su Q Code Mag(http://www.qcodemag.it/2015/01/28/no-tav-140-la-resa-della-politica/ )è un pezzo di gande spessore che accomuna la cronaca del maxiprocesso No Tav di Torino con il commento cosciente di chi è solidale con tutta una valle e non solo.
L'esito quanto mai scontato ha visto la condanna di 47 imputati su 53 con una somma di anni di detenzione che arriva a 140,numeri da mafia,con una spesa in multe di parecchie decine di migliaia di Euro:il che ha fatto gridare allo scandalo e alla vergogna i presenti in tribunale al momento della sentenza.
E come non dargli torto,innumerevoli sono stati i tentativi di magistrati e politici di infangare ulteriormente gli imputati con aggiunte di accuse come terrorismo,tanti i proclami di personaggi di partiti come Pd o Forza Italia o Lega tesi a soffocare le proteste dei valsusini e allo stesso tempo caricare di anni e di denaro le condanne e le sanzioni.
Ebbene sanno che questa gente non si piegherà,gia ieri erano in strada a manifestare,già ieri ci sono stati nuovi scontri:gente con le palle,che non guarda solo a casa propria ma che è solidale con tanti movimenti simili in tutta Italia ed Europa,una bella rappresentanza c'era anche sabato a Cremona.
Perché gente così non guarda solo al proprio orticello ma lotta e combatte per tutte le giuste cause.

No Tav:140,la resa della politica.
Di Angelo Miotto.


140.
Il termomentro segna oltre 38 e la testa scoppia. Normalissima influenza di stagione, come in tanti che staranno dall’altra parte del monitor. Me ne andrei volentieri a dormire dopo una giornata difficile per le mie articolazioni e ahimé dove la chimica ha piantato il suo vessillo vittorioso nel mio povero stomaco. Ma non posso evitare l’ultimo sguardo, veloce, alle notizie della giornata. Prima di andare a crollare il corpaccione mi inchioda un numero: 140.
La notizia, dall’agenzia.
(ANSA). -Quarantasette condanne per un totale di circa 140 anni di carcere e sei assoluzioni. Si e’ chiuso così a Torino il maxi processo ai No Tav per gli scontri del 2011 in Valle di Susa. La sentenza è stata letta dal giudice Quinto Bosio nell’aula bunker delle Vallette. Il processo riguarda gli scontri con le forze dell’ordine al cantiere di Chiomonte avvenuti nell’estate il 27 giugno e il 3 luglio del 2011. La procura ha chiesto complessivamente 193 anni di carcere. Il processo ha richiesto quasi due anni di udienze. Le accuse nei confronti degli imputati vanno dalle lesioni, al danneggiamento, alla violenza a pubblico ufficiale.
Guardiamo i dati: quattro anni dopo i fatti, dopo due anni di udienze, merita di esser sottolineato come la somma degli anni di condanna sia vicino a quello chiesto dall’accusa (140 anni di carcere su 193), oltre a diverse decine di migliaia di euro di provvisionale che vengono citati in altre fonti, che andranno nelle casse di ministeri e di poliziotti o agenti che hanno subito lesioni.
Guardo quelle signore con i fazzoletti No Tav in mano nell’aula e la fotografia, un normale scatto di cronaca, ha un che di sinistro. Poi capisco perché: il processo si è svolto in un’aula bunker di un carcere. Gente pericolosa, evidentemente.
C’è un rapporto di forza diretto nei reati di violenza contro pubblico ufficiale. È come giocare contro il banco con l’assoluta certezza che il banco vince sempre. Sempre.
Dispositivo dell’art. 337 Codice Penale: “Chiunque usa violenza o minaccia (1) per opporsi a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, mentre compie un atto di ufficio o di servizio, o a coloro che, richiesti, gli prestano assistenza, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni [339]”
Quella parentesi quadra sono le aggravanti, che ovviamente comprendono l’uso di ‘armi’ piuttosto che di travisamenti.
Sono andato a rivedermi il film delle due date che sono finite a processo: ricordavo l’atmosfera, ma son passati quattro anni e i ricordi sbiadiscono in un continuo aggiornamento della memoria breve e il mio hard disk ha uno spazio limitato. Il 27 giugno e il 3 luglio del 2011 furono molti i mezzi di informazione che parlarono della reazione spropositata degli agenti antisommossa in Val Susa. Gli scontri ci furono, nessuno lo nega, come molte furono le anime che parteciparono a quella giornata sciagurata, ma continuo a rimanere impressionato dalla srpoporzione delle forze in campo.
Ci sono individui che adottano tecniche che sanno essere fuori legge e che si assumono quella responsabilità, mentre le forze di robocop schierate coperte dai codici e dalla divisa senza macchia, mai, si permettono di sparare i lacrimogeni contro le persone, di pestare appena possono, fino alle intercettazioni di un video mostrato in un’udienza al processo in cui i poliziotti si animano a vicenda a sparare i candelotti diritto contro tale o tal’altro manifestante in una esaltazione da scontro che ne fa più degli hooligans che dei servitori del cittadino.


Lasciare che tutto resti uno scontro impari sul campo è prioritario per la cattiva politica. Finché sei carne da sentenza posso additarti come un eversore (di eversione parlò Giorgio Napolitano il 3 luglio dopo gli scontri, mentre PierLuigi Bersani era scandalizzato che si attaccasse la polizia). In questo rapporto di forza, insomma, il dissenso e le azioni conseguenti nelle diverse gradazioni non riusciranno mai a incontrarsi sul piano del dibattito e della discussione rispetto alle istituzioni che parlano – attenzione, rappresentando i cittadini – un alfabeto di un altro pianeta.
Il ministro Lupi, per esempio,  si è affrettato a gongolare per la sentenza di ieri, tirando in ballo le complicità politiche e intellettuali. Un livello povero di una retorica disarmante, inetta. Buona per un tweet, che tanto piace ai politici nostrani.
Il 3 luglio del 2011 vennero sparati contro i manifestanti 4357 – quattromilatrecentocinquantasette – lacrimogeni, fra cui i famigerati Cs, che bene non fanno alla salute del cittadino, anche quello dissenziente, anche quello che ti tira un sasso.
Al di là del chiedersi come sia possibile usare 4357 lacrimogeni e che costo abbia significato, leggiamo su un file della polizia che non servirono proprio a un bel niente. Qui la lettera che si chiude con i salamelecchi fra dirigenti di PS in un linguaggio da cinegiornale degli anni che furono, d’altronde la cultura dell’op, dell’ordine pubblico, è quella.
Sembra un mantra, ma nella ripetizione c’è sempre la speranza che un concetto diventi familiare e possa passare: le radici politiche della protesta e resistenza No Tav non possono essere liquidate con 140 anni di carcere di condanna. Né con i teoremi di terrorismo, o di fiancheggiatori intellettuali.
La lotta No Tav prosegue da anni con una forza e una condivisione di obiettivi che l’ha fatta divenire un simbolo di ciò che può e deve essere il dissenso. Usare la magistratura per scavare le gallerie e sorridere felici a 300 all’ora dai finestrini di un treno che è sempre più residuale nell’idea e nella realizzazione è ammettere la debolezza della politica. Piace, ai politici, dimostrarsi fermi, come se stessimo parlando di un problema solo di ordine pubblico. Ed è molto più facile descriverlo così, che andare a ridiscutere l’impianto politico e fattuale di una grande opera che significa grandi commesse per imprese, in un legame mai spezzato fra politica e imprenditoria.
Gli avvocati, comunque, hanno annunciato tutti i ricorsi possibili, fino alla Corte dei diritti dell’Uomo. A loro, buon lavoro.
A me, a proposito di rapporti di forza, l’ennesima tachipirina.

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