Siamo verso la fine del giorno di sciopero generale indetto dai sindacati in tutta la Catalunya e che ha avuto una fortissima adesione da parte della popolazione,dall'operaio che lavora in fabbrica al calciatore multimilionario che gioca nel Barcellona.
Nell'articolo di Contropiano(lezioni-catalane-primi-appunti )non si parla molto dei seggi e degli scontri,della violenza madridista o del menefreghismo europeo,si da voce ad una singola persona che fa un commento accorato a tutta la sinistra,soprattutto italiana,di agire e di non stare a subire i cambiamenti politici e sociali imposti dall'alto proprio com'è stato fatto in Catalunya.
Un incitamento a non guardare al dito ma alla luna,un appello all'intelligentia che non deve tediare ma deve stupire parlando ad un mondo operaio che vira sempre più a destra nonostante la lapalissiana voglia di quei personaggi di distruggere questo mondo.
Perché se in fondo ce l'hanno fatta a Barcellona si può fare a Milano,Napoli,Torino e Roma,ma anche a Berlino e Dublino,in ogni dove non restando passivi a quello che ci accade ma essendo partecipi ed entusiasti nel creare dal basso la forza per sovvertire il potere borghese del capitale e della disumanità.
Lezioni catalane, primi appunti.
di Un militante dell'Ex OPG "Je so' pazzo" di Napoli.
Sono appena tornato da Barcellona, e se il lavoro salariato (ben poco salariato, peraltro) non mi stesse addosso, e se ne fossi intellettualmente in grado, mi piacerebbe scrivere un lungo pippotto dal titolo “Lezioni catalane”. Mi pare infatti che il processo di questi ultimi anni, che ha avuto un’accelerata negli ultimi mesi e che abbiamo potuto toccare con mano negli ultimi giorni, possa insegnare davvero tanto sulla politica, sulla società, sullo sviluppo della crisi, e possa essere straordinariamente utile a chi ha intenzione di cambiare l’esistente.
Purtroppo in Italia il livello del dibattito è basso: per l’ignoranza dei fatti e dei contesti; per l’ottusità nell’impiego delle categorie (es.: “popolo”, “indipendentismo”, che non vengono mai colti nel loro senso dinamico e stratificato); soprattutto per una posizione tipicamente intellettuale, che pensa di sapere già tutto, che guarda la storia dal di fuori, con un atteggiamento moralizzante che in verità è del tutto estraneo alla politica.
Questi tre principali difetti, tipici di un corpo sociale rassegnato, risentito, e soprattutto totalmente a digiuno del “fare” politico – che è costruzione, pazienza, entusiasmo, risultati, profonda consapevolezza dell’indeterminatezza della Storia -, sono purtroppo diffusi anche fra i compagni.
Così a sinistra si finisce per ripetere sempre le stesse cose: il movimento che sarebbe teleguidato dalla borghesia catalana, l’inconsistenza della sinistra anticapitalista nei rapporti di forza, il “quanto è brutto il nazionalismo” che ci porterà verso le “piccole patrie” – insomma, tutta la retorica che oscilla fra il riformismo devoto al numero (che evoca in continuazione il “piccolo” 8% della CUP, i “soli” 49% di votanti al referendum etc) e l’estremismo dello spirito utopistico che vorrebbe subito l’abolizione di tutti i confini, dello Stato e il socialismo realizzato.
(Oscillazione peraltro non nuova: all’indomani della Rivoluzione d’Ottobre erano proprio i menscevichi, che non erano stati in grado di compiere il minimo gesto con le masse e per le masse, a criticare “da sinistra” i bolscevichi perché a tre mesi dalla loro presa del potere nelle fabbriche c’erano ancora i capi e la sveglia suonava la mattina presto…).
Chiaramente, non è che non ci siano dati di verità in chi critica il movimento indipendentista. Quello che manca però è il progetto, il senso d’insieme, l’indicazione per l’azione.
Ecco, non ho modo di scrivere più di questo, ma se vogliamo assimilare e fare nostro – che non vuol dire esaltare, o ripetere allo stesso modo – l’insegnamento che ci viene dalla Catalogna, dobbiamo prima disporci a modificare il nostro approccio, il nostro metodo.
Questa d’altronde è proprio la prima delle lezioni catalane.
Nei giorni precedenti, quando provavamo a parlare dalla pagina facebook dell’Ex OPG della questione indipendentista, le critiche fioccavano subito. A nulla valeva spiegare con fatti e ricostruzioni storiche; a nulla valeva dire che andiamo lì da oltre dieci anni e conosciamo bene la materia… D’altronde le masse non imparano con le parole ma per esperienza diretta. I catalani, forzando i rapporti di forza stabiliti, hanno obbligato tutti i soggetti a uscire dall’equivoco, hanno permesso di vedere il vero volto della Spagna che qualcuno diceva “democratica e pluralista”, hanno mostrato i livelli di partecipazione popolare che male stanno sotto l’etichetta “manovrati dalla borghesia”.
Così il tono dei commenti è cominciato poco a poco a cambiare: “vuoi vedere che dietro la questione catalana c’è di più?”. Quello che alla spiegazione non riusciva, è riuscito alla potenza di un’immagine, di tante immagini di riscatto e di dignità. Il movimento delle masse non ha compiuto solo un’azione materiale – svolgere effettivamente il referendum -, ha determinato l’apertura di un nuovo spazio di pensabilità.
Innanzitutto di questo dobbiamo essere grati ai catalani: ci hanno ricordato che anche per pensare bisogna agire, che bisogna muoversi per conoscere davvero le proprie catene, che bisogna saggiarle, tirarle, per individuarne concretamente i punti deboli, che se ci consegniamo agli avvenimenti non è per ritrovarci quello che già sapevamo, ma per imparare qualcosa di nuovo: come si lavora con le masse, come si riempiono di contenuti quei significanti vuoti a cui si aggrappano le donne e gli uomini nei momenti di crisi, come si sta dentro a una realtà che non hai scelto e che non puoi fuggire, ma che hai il dovere – se non vuoi subire il destino – di mutare, indirizzandone le spinte anche più basse, elaborando il senso comune…
Non è dato sapere se la sfida dei compagni catalani che si sono fiondati in queste contraddizioni avrà buon esito. Quello che però possiamo sapere – già da ora – è che anche questa è una partita che non possiamo stare a guardare.
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