venerdì 27 ottobre 2017
I RISARCIMENTI PER BOLZANETO E LA DIAZ(E ASTI)LI PAGHERANNO TUTTI
L'ennesima bacchettata della Corte europea per i diritti umani contro la polizia per le vicende della scuola Diaz e della caserma di Bolzaneto(cui si è aggiunto il carcere di Asti)arriva con una parcella da pagare abbastanza cara come indennizzo per le persone torturate e massacrate,gran parte di essi stranieri,che ne abbiano fatto richiesta.
Nulla da eccepire sui risarcimenti che sono anche poca cosa rispetto a quello subito,ma il fatto che a dover pagare singoli compensazioni dai 10 agli 85 mila Euro a persona per un totale di circa tre milioni di Euro siano tutti i cittadini non mi va proprio.
Dovrebbero risarcire il danno fatto dal più misero agente o celerino delle forze del disordine fino ai ministri in carica in quei giorni invece che tutto uno Stato che prima li ha coperti,poi assolti ed infine glorificati e promossi.
L'accusa pesantissima già di per se alle forze del disordine che fecero di tutto e di più in barba alle norme scritte(madn la-sentenza-sulla-macelleria-messicana )è aggravata dal fatto che l'Italia non abbia mai indagato a fondo,facendolo con insufficienza disarmante con la politica o almeno una parte di essa che coprì facendogli fare addirittura carriera i carnefici di quei giorni a Genova nel lontano 2001.
Articolo di Popoff(tortura-in-carcere )che da molto risalto anche alla storia del carcere di Asti ed alle guardie penitenziarie riconosciute ora colpevoli di torture e vessazioni nei confronti di due detenuti.
Tortura in carcere, l’Europa ricondanna l’Italia per Asti e Bolzaneto
Bolzaneto e carcere di Asti, la Corte europea condanna l’Italia per due vecchie storie di tortura. Ora però c’è una nuova legge, bruttissima
di Checchino Antonini
Nella caserma della celere di Bolzaneto e nel carcere di Asti fu tortura. Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti umani che ha condannato l’Italia per le azioni dei membri delle forze dell’ordine, e perché lo Stato non ha condotto un’indagine efficace. I giudici hanno riconosciuto ai ricorrenti di Bolzaneto il diritto a ricevere tra 10mila e 85mila euro a testa per i danni morali.
«I ricorrenti, trattati come oggetti per mano del potere pubblico, hanno vissuto durante tutta la durata della loro detenzione in un luogo ‘di non dirittò dove le garanzie più elementari erano state sospese». Cosi i giudici di Strasburgo definiscono, nella sentenza di condanna dell’Italia, la situazione vissuta da 48 persone a Bolzaneto. I togati evidenziano inoltre che «l’insieme dei fatti emersi dimostra che i membri della polizia presenti, gli agenti semplici, e per estensione, la catena di comando, hanno gravemente contravvenuto al loro dovere deontologico primario di proteggere le persone poste sotto la loro sorveglianza». Nella sentenza è anche messo in risalto il fatto che «nessuno ha passato un solo giorno in carcere per quanto inflitto ai ricorrenti». E la Corte osserva che questo è stato causato principalmente da due elementi. Il primo, dicono i giudici, è stata l’impossibilità di identificare gli agenti coinvolti, sia perché a Bolzaneto non portavano segni distintivi sulle uniformi, che per la mancanza di cooperazione della polizia con la magistratura. Il secondo fattore invece «sono le lacune strutturali dell’ordine giuridico italiano» al tempo dei fatti. Nella sentenza la Corte afferma di «aver preso nota della nuova legge sulla tortura entrata in vigore il 18 luglio di questo anno, ma che le nuove disposizioni non possono essere applicate a questo caso».
Dell'applicazione della nuova legge sulla tortura si parlerà dopodomani all'assemblea dei Giuristi democrattici Dell’applicazione della nuova legge sulla tortura si parlerà dopodomani all’assemblea dei Giuristi democratici
Antigone, parte civile dal 2011 in un processo contro 5 agenti (la procura ne aveva coinvolti dodici), annuncia l’ennesima condanna dell’Italia per la violazione dell’art. 3 della Convenzione europea sui diritti umani, per le violenze e le torture subite da due detenuti nell’istituto di pena del capoluogo piemontese. Il caso oggetto della sentenza odierna risale a ben 13 anni fa. Nel dicembre 2004 i due detenuti vennero condotti nelle celle di isolamento prive di vetri nonostante il freddo intenso, senza materassi, lenzuola, coperte, lavandino, sedie, sgabello. Gli venne razionato il cibo, impedito di dormire, furono insultati e sottoposti nei giorni successivi a percosse quotidiane anche per più volte al giorno con calci, pugni, schiaffi in tutto il corpo e giungendo, nel caso di uno dei due, a schiacciargli la testa con i piedi.
La vicenda giudiziaria ebbe inizio a seguito di due intercettazioni nel febbraio del 2005 nei confronti di alcuni operatori di polizia penitenziaria sottoposti a indagine per altri fatti.
Il 27 Ottobre 2011 si aprì un processo che, il 30 gennaio 2012, arrivò alla sentenza di primo grado. Il giudice scrisse nelle motivazioni che i fatti avvenuti nel carcere erano vere e proprie torture, ma non essendoci in Italia una legge che le punisse si dovette procedere con la contestazione di reati di più lieve entità e quindi verso i colpevoli di queste violenze, per varie ragioni, non si potè procedere.
Nel frattempo uno dei due detenuti è deceduto.
“Per lunghi anni in Italia non c’è stato modo di avere giustizia – dichiara Patrizio Gonnella, presidente di Antigone. Ancora una volta abbiamo dovuto aspettare una decisione europea. Questo è un caso di tortura in prigione. Ci auguriamo che ci sia una presa di coscienza e che non ci sia impunità per i responsabili. Ricordiamo – prosegue Gonnella – che nei prossimi giorni l’Italia andrà sotto osservazione dinanzi al Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura. Al di là di questo caso singolo noi chiediamo: che sia adottato un codice di condotta per i comportamenti in servizio di tutti gli appartenente alle forze dell’ordine; che ci sia sempre l’identificabilità di tutti coloro che svolgono compiti nei settori della sicurezza e dell’ordine pubblico; che si interrompano le relazioni sindacali con quelle organizzazioni che difendono, anche in sede legale, i responsabili di questi comportamenti; che dinanzi a questi casi lo stato si costituisca parte civile”.
Antigone ha ricostruito il caso del carcere di Asti che ha visto i cinque agenti di polizia penitenziaria «in concorso tra loro e abusando dei poteri inerenti la loro funzione hanno maltrattato i detenuti Claudio Renne e Andrea Cirino nel carcere di Asti sottoponendoli – parole testuali del Pm – “a un tormentoso e vessatorio regime” di vita all’interno del carcere».
E’ il dicembre 2004 quando il detenuto Renne viene spogliato completamente, messo in cella di isolamento, priva di vetri alle finestre, di materasso, di lavandino, sedie e di sgabelli. Viene lasciato così per due mesi. Per due giorni viene lasciato completamente nudo. Gli viene razionato il cibo. Gli viene dato solo pane e acqua come nei film. Claudio Renne viene picchiato ripetutamente, anche più volte al giorno, con calci e pugni su tutto il corpo. Gli viene diagnosticata la frattura di una costola. Gli viene strappato con le mani il codino che aveva ai capelli.
Il detenuto Cirino viene anche lui isolato per 20 giorni, subisce analogo trattamento e viene lasciato senza acqua corrente in bagno. Gli viene impedito di dormire. Viene picchiato più volte al giorno, anche schiacciandogli la testa. Dalle intercettazioni e dalla relazione della polizia giudiziaria emerse, oltre ai dettagli raccapriccianti, il dato di una cultura diffusa di violenza da parte degli operatori e di indifferenza da parte di chi doveva coordinare e valutare il loro lavoro, la direzione del carcere e la componente medica. Ad Asti, come da tradizione di diversi istituti di pena, operava una “squadretta” di picchiatori.
Ecco un brano da un’intercettazione del 19 febbraio 2005. Dialogo tra gli agenti di polizia penitenziaria P. e B.
P …Invece da noi non è così…a parte il fatto che…da noi tutta la maggior parte che sono…è tutta gentaglia…è tutta gente che prima…e poi scappa…Poi vengono solo…quando sono in quattro cinque…così è facile picchiare le persone
B. E bello…
P. Ma che uomo sei…devi avere pure le palle…lo devi picchiare…lo becchi da solo e lo picchi…io la maggior parte che ho picchiato li ho picchiati da solo…
B Si..sì
P. Ma perché comunque non c’hai grattacapi…non c’hai niente…perché con sta gente di merda…hai capito…perché qua..oramai…sono tutti bastardi…oramai c’abbiamo il grande Puffo…che deve fare le indagini…hai capito?
B. Chi?
P. Eh P.!!!Ha rotto i coglioni…mo dice che ha mandato la cosa di S….in Procura…
B. Quale S?
P. S…dice che ha picchiato non so a chi…là ….ha mandato tutto in Procura…ha preso a testimoniare un detenuto…cioè noi dobbiamo stare attenti pure su……se c’è un… pure con le mani bisogna stare attenti Eh anche perché rovinarti per uno così a me l’altra volta che io e D. picchiammo ……..
E qui un estratto dalla relazione di polizia giudiziaria
“P. dichiara personalmente di aver percosso numerosi detenuti; racconta di un altro episodio, mai emerso nelle dichiarazioni delle persone che sono state escusse a verbale, in cui insieme a D. ha percosso il detenuto O. E’ da evidenziare che P. , per prevenire il fatto che il detenuto potesse dichiarare l’accaduto, si è fatto visitare provvedendo a farsi rilasciare un certificato medico, dopodichè ha relazionato che aveva avuto una colluttazione in quanto il detenuto non voleva entrare in cella….Emerge il forte disappunto da parte di P. per il fatto di dover lavorare con quelle che definisce ‘persone di merda e bastardi’, riferendosi all’Ispettore P,il quale ‘ha rotto i coglioni’ per aver inviato in Procura gli atti relativi al collega S. dopo che questi aveva picchiato un detenuto”
Ancora:
In data 23 febbraio 2006 vengono arrestati l’assistente di polizia penitenziaria F. e la di lui convivente P.S. che rilasciavano le seguenti dichiarazioni:
Ps: “F. mi riferì che era frequente dare lezioni ai detenuti anche negandogli pasti per più giorni. Mi parlò anche di pestaggi da parte di colleghi in particolare da parte di un collega che era solito picchiare duro gli extracomunitari.. C. andò nella cella di un detenuto marocchino il quale aveva cercato di suicidarsi e che aveva al collo una cintura; C. a quel punto prese la cintura e la strinse al collo del marocchino a tal punto da farlo diventare viola”.
F: “Io ho assistito personalmente al pestaggio del Renne da parte di B. e G….Per quanto ne so non vengono mai refertate le lesioni, in parte perché si cerca di evitare di lasciare segni mentre si picchia, in parte perché in ogni caso l’altro detenuto la cui cella viene lasciata aperta, viene utilizzato per testimoniare, se necessario, che l’agente aveva subito un’aggressione dalla persona che l’aveva invece subita.….Nel caso in cui i detenuti risultino avere segni esterni delle lesioni, spesso i medici di turno evitano di refertarli e mandano via il detenuto dicendogli che non si è fatto niente o comunque chissà come si è procurato le lesioni. Inoltre convincono a non fare la denuncia dicendogli che poi vengono portati in isolamento dove non ci sono le telecamere e poi picchiati nuovamente. So che B. prima di effettuare pestaggi verifica quale è il medico di turno”.
“…So che anche il collega S. è solito picchiare i detenuti. S. beve super alcolici sistematicamente anche in servizio; specialmente nel turno serale è quasi impossibile parlarci per quanto ha bevuto. Spesso picchia i detenuti quando è in questo stato. Oltre ai pestaggi punitivi, tra noi agenti che facevamo servizio in isolamento, ci passavamo la consegna di non dare da mangiare al detenuto ‘punito’. Quando un detenuto andava punito si faceva in modo che si facesse una relazione per farlo mandare in isolamento perché lì si poteva picchiare o togliere i pasti senza problemi”… In particolare Renne è “stato picchiato da B., S., D., D e il detenuto G.”
L’assistente prosegue:
“Posso dire che ultimamente vigeva un clima di menefreghismo da parte di tutti ossia sia da parte della Direzione che di noi agenti… tutti sapevano quello che era successo all’interno dell’isolamento”
In un ordine di servizio il direttore vietava l’ingresso in isolamento di quei poliziotti che non erano in servizio in quel reparto.
Testimonianza del detenuto T.
“… ho visto delle cose indescrivibili, ossia agenti che portavano all’interno droga per i detenuti avendone in cambio anche per loro, agenti che pestavano a sangue i detenuti solo per divertimento o per puro svago, dimostrando una cattiveria allo stato puro, anche perché la maggior parte di loro si trovavano sotto l’effetto di stupefacenti, in particolare cocaina e marijuana.….ho assistito a parecchi pestaggi…” ho sentito “due detenuti urlare in modo disumano per le botte che prendevano”, le botte “erano talmente forti che il rumore si sentiva dalla mia cella”…un’ora e mezza di botte continue…”arrivavano in mimetica e con gli anfibi…” le persone venivano “messe nude in due celle che erano in condizioni pietose…ai predetti non veniva dato né cibo né acqua per almeno una settimana e dopo tale settimana gli è stato dato un pezzo di pane duro ed un po’ d’acqua…”. il picchiato non riusciva più a respirare…
Le violenze a un detenuto instabile:
“..Non solo veniva picchiato…l’acqua che gli veniva data era quella del gabinetto. Veniva vietato di fare la doccia infatti puzzava molto.”
due psicologi, Zamperini e Menegatto, si occupano da tempo di traumi psicopolitico due psicologi, Zamperini e Menegatto, si occupano da tempo di traumi psicopolitico
La pessima legge sulla tortura
Nel frattempo, lo scorso luglio, l’Italia ha approvato una legge contro la tortura, attesa quanto meno dal 1984, anno della ratifica della Convenzione ONU contro la Tortura, e per di più unica fattispecie penale espressamente prevista in Costituzione << art. 13 co. 3 “E’ punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni della libertà”>>. Ma è una legge pessima. La nuova fattispecie non riconosce il reato di tortura come reato tipico del pubblico ufficiale in barba alla Convenzione firmata dall’Italia nel 1989. Inoltre la previsione della pluralità delle condotte violente, il riferimento alla verificabilità del trauma psichico e i tempi di prescrizione ordinari annacquano un testo quasi a consigliare, agli addetti ai lavori, le condizioni per abusare piuttosto che per rispettare i diritti delle persone in custodia dello Stato. Più di mille editoriali vale il commento di uno come Gasparri, postfascista impiantato in Forza Italia: «Chi canta vittoria ha in realtà fatto un buco nell’acqua. Mentre chi a sinistra dice che la legge non serve a nulla ha ragione. Il testo così com’è è carta straccia».
Basta qualche accorgimento, infatti, e anche l’ultimo tra i piantoni in divisa potrà abusare su un individuo in sua custodia senza incappare nelle nuove norme sfornate ieri dal parlamento (illegittimo, visto che è stato eletto con una legge incostituzionale) di questo Paese, dopo un iter che ha avuto cura di ascoltare con attenzione le raccomandazioni delle lobby di polizia e militari e non ha degnato di uno sguardo il tessuto associativo che si batte per la difesa dei diritti umani.
Così scrissero all’epoca i legali Acad, l’associazione contro gli abusi in divisa:
Da reato proprio del pubblico ufficiale (cioè quello che può essere compiuto SOLO PROPRIO da chi si trovi in quella particolare condizione di legge) si è passati ad un reato comune, dove la ampiezza dell’ individuazione del “Chiunque” possa compierlo è tanto flessibile da risultare evanescente.
La condizione di pubblico ufficiale (o esercente compiti di custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza) segue immediatamente come aggravante, ma non essendo stata sottratta esplicitamente al calcolo del bilanciamento con le altre circostanze, anche attenuanti, non garantirà pene proporzionate alla gravità dei fatti, non reggerà l’urto della prescrizione e soprattutto non contribuirà a rendere netti i confini dell’esercizio dell’uso della forza e dei pubblici poteri.
Il comportamento punito poi nel corpo del nuovo art. 613 bis del codice penale è tutto al plurale: violenze ripetute da più condotte, minacce esclusivamente gravi, sofferenze solo se acute o traumi psicologici verificabili (??); la punizione di un comportamento durevole piuttosto che di uno istantaneo, aggravato eventualmente dalla reiterazione, resta comunque ostaggio di una prova diabolica in assenza di qualsivoglia previsione sulla facilitazione nell’individuazione dei colpevoli, sulla competenza di indagine, sul dovere di collaborazione ai fini dell’accertamento da parte degli stessi organi di polizia.
La zona grigia dell’impunità delle Forze dell’Ordine con questa legge si allarga invece che restringersi e non sorprende che ad approvarla sia oggi il governo dei decreti Minniti, quello che all’indomani del frontale attacco ai migranti, alle povertà ed al dissenso sociale in nome del decoro urbano riequilibra l’intervento punitivo dello Stato con l’introduzione di una norma contenitore senza contenuto, priva cioè di efficacia deterrente e concretamente dissuasiva, sperando così di mettere a tacere non solo le critiche sulla democraticità dell’attuale intervento di Governo ma anche le numerose condanne provenienti dalle corti europee.
Qui la dichiarazione di Maurizio Acerbo, segretario nazionale di Rifondazione Comunista:
«Dalla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo arriva l’ennesima conferma, se ce ne fosse stato bisogno, che a Bolzaneto, nel luglio 2001, fu praticata la tortura. Noi lo diciamo dai giorni di quella mattanza, della macelleria messicana, quando scendemmo in piazza contro il G8 e il movimento altermondialista venne massacrato e Carlo Giuliani ucciso. Solo la politica italiana può far finta di non aver ancora capito cosa accadde a Genova. È inquietante che i responsabili delle violenze contro il movimento e delle violazioni dei diritti umani abbiano goduto della copertura da parte della politica e dei vertici dello Stato. Di fronte alla condanna europea, l’Italia dovrebbe almeno avere la decenza di istituire pienamente e subito il reato di tortura e il numero identificativo per gli agenti delle forze dell’ordine» .
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