lunedì 9 ottobre 2017
IL CHE SEMPRE D'ATTUALITA'
Nel cinquantesimo anniversario della morte terrena di Ernesto Che Guevara,infatti è ancora vivo negli ideali di molta gente di tanti popoli,si traccia un'analisi politica che va ad aggiungersi agli altri post dedicati alla figura del Che(madn saccheggiando-icone-e-simboli madn lideale-rivoluzionario-del-che-e-ancora.vivo madn hasta-la-victoria-siempre ).
Nell'articolo di Popoff(che-guevara-cinquantennale-della-morte )non ci sono le imprese che il Che compì in ogni dove,ma alcuni suoi pensieri,quasi delle premonizioni che si sono puntualmente avverate negli anni successivi la sua scomparsa.
Dei ragionamenti e dei modi di capire lo stato delle cose negli ambiti del socialismo,del comunismo e del capitalismo,errori e critiche che non sono state ascoltate se non addirittura divulgate,segreti che si è portato nella sua tomba e di tutti quelli che per motivi anagrafici erano testimoni del tempo in cui avvennero tali situazioni.
Che Guevara, perché parlarne ancora, cinquant’anni dopo
E’ ora di ragionare su Che Guevara fuori dal mito e dalla retorica del “guerrigliero eroico” ma sfortunato
di Antonio Moscato
Rallentata l’ondata di pubblicazioni che riempivano un vuoto dopo anni di oblio, è possibile e necessario ricollocare Guevara fuori dal mito e dalla retorica del “guerrigliero eroico” ma sfortunato. Dissolta la nuvola di pubblicazioni di terza mano, rimangono alcune grandi biografie frutto di un lavoro reale tra cui spicca per completezza quella di Paco Ignacio Taibo II, che ha potuto far fruttare i molti rapporti con stretti collaboratori del Che stabiliti nei suoi lavori precedenti su Santa Clara e sul Congo.
1 C’è poco da chiarire invece sulle circostanze della morte di Guevara: conta poco se l’ordine di ucciderlo a freddo è partito da Washington o da La Paz. Conveniva a molti impedire che in un processo pubblico potesse spiegare le ragioni della sua scelta. Invece rimangono da chiarire le ragioni della solitudine del Che negli ultimi sei mesi, senza medicine, senza radio, senza modesti walkie talkie per mantenere il contatto con la seconda colonna; senza che si tentasse, come fu fatto con altri nuclei di guerriglieri in quegli stessi anni, di far arrivare boliviani pratici della zona per aiutarlo ad uscire da quella regione ostile.
2 Era rimasto in ombra un altro elemento decisivo: perché il Che aveva lasciato Cuba, che egli amava e dove era amatissimo. Eppure si chiarisce facilmente se si riflette sul testo di bilancio della spedizione nel Congo, finalmente pubblicato nel 1994 in tutto il mondo (tranne che a Cuba, che ha dovuto aspettare altri cinque anni). Appare chiaro che a quell’impresa – già avviata da altri – Guevara si era dovuto aggiungere, dopo la critica ai “paesi socialisti” complici dell’imperialismo, divenuta inevitabilmente pubblica perché pronunciata ad Algeri. Era abbastanza esplicita da suscitare l’ira di Mosca, come ammise anche Raúl Castro nell’atto di accusa contro la “microfrazione” di Aníbal Escalante. Anche l’impresa di Bolivia non era una iniziativa personale del Che: con lui erano partiti diversi membri del CC del partito comunista cubano. Casomai resta da chiarire come mai in entrambi i casi le informazioni raccolte dai servizi cubani erano risultate poco fondate: per il Congo in ritardo di almeno sei mesi, per la Bolivia del tutto sbagliate.
3 Anche se Guevara non ha contribuito all’arricchimento del marxismo come Lenin, Rosa o Trotskij, è apparso giustamente un gigante rispetto alla maggior parte dei dirigenti comunisti o socialisti della sua epoca, perché ha “riscoperto” alcuni semplici pilastri del marxismo dimenticato o occultato: la necessità dell’indipendenza del partito comunista, il rifiuto della collaborazione interclassista, l’autorganizzazione del proletariato, l’internazionalismo. Era difficile farlo in un epoca in cui invece dei classici del marxismo in tutti i partiti comunisti si studiava sui “brevi corsi” tradotti dal russo, che assicuravano un indottrinamento fideistico. Per questo, senza troppe polemiche, il Che ha dovuto lasciare una Cuba che cominciava ad essere assimilata allo stile sovietico su molti terreni, compreso quello della “doppia verità”. Il gruppo dirigente cubano, per sopravvivere in un mondo ostile, e non solo per le pressioni sovietiche, stava imboccando una strada che in pochissimi anni l’avrebbe portata a tacere sugli errori e sui crimini di ogni governo “amico”, a partire da quello del Messico (il massacro di piazza Tlatelolco nel 1968, ignorato dalla stampa cubana, segue di appena un anno la morte del Che). Ma avrebbe taciuto anche sulle illusioni di Salvador Allende sulla evitabilità di un conflitto necessario per difendersi anche con le armi in caso di inasprimento del conflitto.
4 Grande merito del Che è la comprensione tempestiva della crisi strisciante dell’URSS e dei paesi che ne avevano dovuto seguirne il modello, e in particolare la Cecoslovacchia. Grazie all’apporto di molti consiglieri cechi e anche sovietici, Guevara aveva saputo passare dal primo entusiasmo ingenuo dopo il primo viaggio in quei paesi (quando si autodefinì egli stesso “Alice nel continente delle meraviglie”) a una critica puntuale della crisi sociale ed economica che li minacciava e che sarebbe venuta alla luce in Cecoslovacchia pochissimi anni dopo la sua morte, trascinando con sé gran parte dei militanti comunisti educati al culto dell’URSS e al fideismo.
5 Le Critiche al manuale di economia dell’Accademia delle scienze dell’URSS, ribattezzate da Borrego Quaderni di Praga perché completate in quella città, rimasero inedite per quaranta anni, nonostante il Che le avesse preparate minuziosamente per la pubblicazione. Da alcuni economisti cecoslovacchi come Valtr Komarek era stato aiutato a capire i punti deboli del “modello sovietico” imposto a tutti i paesi “socialisti”, ma in quella bellissima città non poté incontrare nessuno dei suoi amici e compagni locali, perché dovette vivere da clandestino, senza contatti. Secondo lo stesso Fidel la permanenza in quella città “aumentava i rischi” per i suoi progetti, e per questo lo convinse a tornare, di nuovo clandestinamente, a Cuba. Ma quelle riflessioni critiche sulle strozzature dell’economia sovietica sarebbero state preziose se pubblicate immediatamente, o almeno al momento del crollo dell’URSS; ora, rilette attentamente, servono quasi solo come testimonianza di un itinerario intellettuale. La fine dell’URSS è lontana, e chi aveva creduto nella sua eternità non vuole ammettere che era possibile prevederne il declino, come il Che fu capace di fare.
6 Il ritardo nel pubblicare altri scritti già preparati dal Che, come i Pasajes de la guerra revolucionaria, Congo, ha avuto conseguenze gravi già per le successive imprese cubane in Africa, celebrate ancor oggi sorvolando sulle caratteristiche dei regimi che hanno puntellato (Angola, Mozambico ed Etiopia, soprattutto) e su quelle dei dirigenti dei movimenti di liberazione che si erano formati giocando sulla concorrenza tra URSS e Cina, come Laurent Désiré Kabila, su cui il Che aveva espresso un giudizio severissimo non ascoltato, e che diventerà poi trent’anni dopo presidente della Repubblica Democratica del Congo.
7 La tardiva pubblicazione di gran parte degli inediti ha avuto una scarsa incidenza nel dibattito cubano di oggi. Pesa la inesorabile estinzione per ragioni anagrafiche di alcuni dei tenaci cultori del Che come Fernando Martinez Heredia, tollerati dopo gli anni di silenzio forzato ma a condizione di ricorrere a un linguaggio poco comprensibile ai non addetti ai lavori. Ma si deve anche al fatto che le ricette di Guevara, come quelle di Lenin nel cosiddetto “Testamento politico”, erano già in ritardo sulla trasformazione del paese, che era già in gran parte avvenuta. La sua sconfitta nel dibattito del 1963-64 non era casuale, era il riflesso del consolidamento di una burocrazia sempre più consapevole dei suoi interessi, ben diversi da quelli che pretendeva (e pretende) di rappresentare.
8 Pesa molto il nuovo isolamento di Cuba nel continente. Sono già stati sconfitti i governi progressisti in Argentina e soprattutto in Brasile, uno dei paesi chiave per il progetto bolivariano grazie alle sue dimensioni e le sue risorse, e non è facile che altri ne prendano il posto in questa fase. Cuba sostiene il governo del Venezuela, ma le sue difficoltà non sono un’invenzione dei media ostili: Caracas ha dovuto ridimensionare drasticamente le forniture di petrolio. L’isola quindi è sola di fronte agli Stati Uniti, per giunta guidati non più da un Obama (di cui era peraltro lecito dubitare all’inizio delle trattative per riprendere i rapporti diplomatici) ma da un bruto imprevedibile come Trump. Tanto più perché utilizzano largamente l’argomento del comportamento non ineccepibile del governo Maduro, principale anche se ormai insufficiente puntello esterno di Cuba. Lo stesso rapporto privilegiato instaurato tra Cuba e Venezuela (sul piano economico, ma anche politico e ideologico, e con un forte legame personale tra i due fratelli Castro e Chávez) era stato utile e prezioso soprattutto per l’isola, ma a Caracas evocava il rischio di un’assimilazione a Cuba, che spaventava per la sua rigidità ideologica e il permanere delle pesanti difficoltà economiche della popolazione, e forniva argomenti alle opposizioni ostili a una maggiore integrazione nell’ALBA. E di fatto era stata dimenticata e comunque poco ascoltata un’altra delle indicazioni di Guevara, che pensava già cinquant’anni fa a coordinare i movimenti, più che gli Stati di un presunto “campo progressista”…
9 Un’altra “riscoperta” di Guevara che allora sbalordì il mondo e fu alla base del suo fascino tra i giovani, è che la verità è rivoluzionaria, che bisogna dire quel che si pensa e fare quel che si dice. Era scontata in Lenin, Trotskij, Rosa, Gramsci, ma era stata dimenticata nei decenni in cui la maggior parte dei partiti comunisti abbellirono con frasi rivoluzionarie una collaborazione di classe non diversa da quella praticata dalle socialdemocrazie. Sembra poco ma è tantissimo, per la sinistra smarrita e afona in tutto il mondo. Basterebbe questo per rendercelo indispensabile.
Antonio Moscato
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