Domani ci sarà il quesito referendario in due tra le regioni più ricche e popolose dell'Italia,e dalle 7 alle 23 si potrà votare in Lombardia ed in Veneto per avere maggiore legittimazione per trattare con lo Stato in materia di autonomia e di trattenute fiscali in loco.
Essendo un referendum consultivo non ci sarà bisogno della maggioranza in Lombardia mentre per il Veneto è richiesto il 50% più uno dei votanti aventi diritto(a differenza della Lombardia l'iniziativa non è passata con una mozione votata a maggioranza qualificata dal Consiglio regionale).
Nei due articoli proposti due modi differenti di vedere ed interpretare questi quesiti:nel primo uno schieramento di sinistra del Veneto(Sanca)che è propenso per il si(popoff referendum )e nel secondo un invito più per l'astensione che per un no(contropiano limbroglio-del-referendum-lombardo-veneto ).
Partendo dal fatto che quando c'è una consultazione popolare votare è la scelta più giusta,che sia elezione,referendum o voto consultivo,la vittoria del si appare scontata mentre ci sarà curiosità sulla percentuale dei votanti.
Personalmente andrò al voto e probabilmente sarà un si anche se contro le indicazioni dei partiti a me più affini ma che non hanno ancora capito e colto l'occasione di espandere la propria politica oltre muri creatisi e momentaneamente invalicabili,non riuscendo a capire le migliori opportunità per gli abitanti di queste regioni che non necessariamente voglia dire di abbandonare le altre zone dell'intero Stato.
Referendum Veneto, Sanca: l’autonomia non è di destra.
Referendum Veneto. Intervista con gli indipendentisti di Sanca: «Siamo di sinistra e sostenere che chi vota il 22 stia con Zaia è nel migliore dei casi fuorviante»
da Vicenza, Enrico Baldin
Prendere in mano il processo di autonomia senza lasciare al solo Zaia la facoltà di dialogare col governo centrale. Pare essere questa la linea guida con cui Sanca (che in Veneto significa sinistra, ndr) sta facendo in queste settimane campagna per il SI al referendum del 22 ottobre. «Dobbiamo assicurarci che la voce di sinistra per l’autonomia sia rappresentata» dice ai microfoni di Popoff il vicepresidente di Sanca Veneta, il vicentino Stefano Zambon, che è anche membro del bureau (la segreteria) della EFAy, la giovanile della European Free Alliance. Con Zambon ci sono anche rappresentanti catalani, baschi, corsi, scozzesi ecc. Zambon si dice convinto che l’autonomia non sia affatto un tema di destra. Lo abbiamo intervistato.
Zambon, Sanca è di sinistra ma in questo caso sta con Zaia. Non avete le idee un po’ confuse?
Tutt’altro, abbiamo le idee chiarissime. Siamo di sinistra e abbiamo a cuore il futuro della nostra terra e comunità. Sostenere che chi vota il 22 stia con Zaia è nel migliore dei casi fuorviante. Esattamente come quando coloro che votarono No al referendum costituzionale del 4 dicembre vennero accusati di stare coi fascisti.
Siete perché il Veneto abbia maggiori forme di autonomia. In questo la vostra posizione è la stessa di Zaia?
Zaia vuole l’autonomia per mantenere le cose come stanno ora, per uno status quo. Noi vogliamo un’autonomia per rivoluzionare il Veneto. In queste settimane, col comitato VIVA (costituito da persone e soggetti di sinistra per il SI, ndr), abbiamo organizzato eventi in città venete per spiegare che solo con l’autonomia possiamo davvero mettere al centro della politica veneta gli interessi di chi lavora e vive in Veneto.
Sinistra è da sempre sinonimo di equità e solidarietà. Non pensa che una reale autonomia sottrarrebbe risorse destinate alle aree più povere del paese?
No perché lo stesso Stato italiano si è dimostrato incapace di garantire quell’equità e solidarietà, favorendo invece sprechi, clientelismo e malaffare. Il residuo fiscale veneto è una “rapina sociale” che ha dirottato risorse che potevano essere destinate a fronteggiare le tante situazioni di estrema povertà presenti in veneto. Responsabilizzare l’autogoverno delle Regioni può essere la soluzione a questo.
Ma anche in Veneto si sono visti sprechi, corruzione e malaffare. Credo non ci sia bisogno di elencarli.
Non vogliamo solo una maggiore responsabilizzazione della politica. Vogliamo una maggiore responsabilizzazione dei Veneti e dei cittadini. Accorciare la distanza tra politico e cittadino aiuta quest’ultimo a controllare maggiormente la gestione della cosa pubblica.
A proposito di sprechi. In molti polemizzano coi soldi usati per istituire questo referendum, quando invece si sarebbe potuto intavolare una trattativa col governo senza consultazioni. Che ne pensa?
La democrazia ha i suoi costi, che non possono essere barattati per efficienza economica. Sennò la nostra sarebbe una tecnocrazia autoritaria come quella di Singapore. E poi il referendum veneto costa 14 milioni, sarebbe costato meno se il governo non avesse più volte rifiutato di fare l’accorpamento in election day. Il miglior modo per non sprecare quel denaro è andare a votare. Astenersi è sprecare il denaro.
Ma se vincesse il Sì, dal 23 ottobre voi che cosa fareste al posto di Zaia?
Andremmo a chiedere che il Veneto si prenda la responsabilità di tutte le materie di legislazione concorrenti tra Stato e Regione.
E poi?
E poi ci aspettiamo che il sentimento a favore dell’autogoverno aumenti, portandoci a spingere perché le materie di competenza vadano oltre l’articolo 117 della Costituzione. Ci aspettiamo che anche i settori progressisti della società veneta portino i loro contenuti: rinvigorire la democrazia veneta decentralizzando, con una cessione di poteri ai municipi e alle città metropolitane. E investire in sanità, educazione, infrastrutture, garantendo equità e pari opportunità tra tutti i cittadini veneti.
Ma voi di Sanca vi sentite di dare il mandato a Zaia di condurre le trattative per aumentare il grado di autonomia del Veneto? Ritenete che Zaia sia la persona giusta per avviare il dialogo col governo centrale?
Ovviamente non riteniamo Zaia la persona giusta. Dobbiamo però renderci conto che se oggi il tema dell’autonomia e la negoziazione sono in mano a Zaia, questo è in larga parte a causa di una sinistra veneta asservita alle segreterie nazionali e incapace di trattare un tema tanto caro ai Veneti. La sinistra oggi deve prendere il timone della situazione, deve mettere la giusta pressione e portare i suoi contenuti.
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L’imbroglio del referendum lombardo-veneto.
di Giorgio Cremaschi
Le stesse forze politiche che, contrapposte, si candidano al governo del paese e che si scontrano sulla nuova legge elettorale, sostengono unanimi i referendum per l’autonomia che si terranno in Lombardia e Veneto il 22 ottobre.
Non è vero dunque che le due consultazioni siano un puro patrimonio leghista, anche se così vengono presentate. In Lombardia il referendum è stato approvato da tutto il centrodestra e dai cinque stelle. Il Partito democratico, inizialmente contrario, ha poi cambiato posizione: il sindaco Sala di Milano, il futuro candidato alla regione ora sindaco di Bergamo, Gori, insieme a tanti altri si sono pronunciati per il SI.
Nel Veneto il PD si è astenuto sul referendum, poi ha dato indicazione per il SI, tutte le altre formazioni politiche hanno la stessa posizione dei loro omologhi lombardi. In sintesi in Lombardia e Veneto Renzi, Berlusconi, Di Maio e persino Meloni, almeno tramite i loro referenti locali, sono d’accordo con il referendum di Salvini, Maroni e Zaia. È l’unità regionale totale. Che ora il PD vorrebbe estendere anche in Emilia Romagna ed in Puglia, con analoghe consultazioni.
In Lombardia e Veneto le sole voci fortemente contrarie vengono dalla sinistra non rappresentata nei parlamentini regionali, da movimenti sociali, da sindacati di base come USB, voci troppo flebili per rompere la monotonia di una campagna elettorale inquietante, dove è in campo solo il SI sostenuto con ingenti finanziamenti dalle istituzioni regionali.
Ma se sono tutti d’accordo i principali schieramenti politici delle due regioni, a che serve il referendum? La domanda ha una risposta scontata da parte dei presidenti regionali: il voto serve a far contare il popolo. É vero? Assolutamente no.
I due quesiti referendari non fanno domande precise, le uniche sulle quali il pronunciamento popolare potrebbe davvero decidere e contare. Avete presente il nostro referendum costituzionale, quello sulla Brexit, quello greco sul memorandum della Troika, quello sulla indipendenza della Catalogna? Ecco, quelle consultazioni con il voto del Lombardo-Veneto non c’entrano nulla. Quelli sono stati pronunciamenti con domande chiare che esigevano altrettante risposte chiare; e infatti la politica poi ha fatto molta fatica a reggere il responso popolare, anzi a volte lo ha rinnegato proprio.
Questo rischio, per i referendum sull’autonomia, non si corre: essi non chiedono nulla e quindi, quale che sia, la risposta popolare ad essi nulla conterà. Per quelle forze politiche italiane abituate a tradire i propri programmi un minuto dopo averli varati, questo voto è perfetto. Tutti impegnati senza veri impegni.
Il quesito veneto è semplicissimo: volete più autonomia? Quello lombardo, evidentemente frutto di qualche consulenza giuridica più meditata, accenna al rispetto dell’unità nazionale, della Costituzione e esplicita la richiesta di maggiori risorse.
Quali? Qui c’è l’ imbroglio.
L’Italia ha il fiscal compact, quello che Renzi e Salvini dicono di voler cambiare, direttamente inserito nella Costituzione. La modifica dell’articolo 81 è un atto devastante della nostra democrazia, compiuto quasi alla unanimità dal parlamento precedente a quello attuale. Assieme alla costituzionalizzazione dell’austerità ci sono poi il patto di stabilità che distrugge l’autonomia di spesa degli enti locali e il controllo diretto della UE sui bilanci pubblici.
Come si fa a chiedere più autonomia per le regioni, se tutto il meccanismo di governo imposto dalla austerità europea nega ogni libertà di spesa a tutte le istituzioni della Repubblica?
Maroni e Zaia sono al governo delle due regioni più ricche del paese, che assieme hanno un quarto della popolazione. Immaginate una loro iniziativa istituzionale per cancellare il fiscal compact e il patto di stabilità. Questa sì che avrebbe bisogno del consenso del popolo, proprio perché si tratterebbe di imporre allo Stato una diversa politica economica, anche in conflitto con i vincoli UE.
Ma la Lega nord e tutte le principali forze politiche italiane sono oggi “europeiste”. Meglio quindi chiedere una autonomia che in realtà non è permessa a nessuno, meglio fare domande che non vogliono dire nulla nel sistema economico governato dalla troika. Meglio un referendum finto che impegnarsi davvero in un conflitto col potere centrale. Questo si fa sui venti migranti ospitati a San Colombano, non sulle spese per lo stato sociale.
I referendum lombardo e veneto non propongono alcuna revisione reale delle spese dello Stato e delle regioni, alludono soltanto a più soldi al nord e meno al sud; ma anche in questo imbrogliano, perché con il vincolo europeo di bilancio – che Maroni e Zaia accettano – neanche una redistribuzione iniqua delle risorse potrebbe essere fatta. Si taglia dappertutto e basta.
Dunque il quesito sull’autonomia è fasullo, però dietro di esso se ne nasconde uno vero, che non a caso ha raccolto grande consenso nel mondo imprenditoriale. La domanda nascosta è: visto che l’austerità istituzionale vincola rigidamente il bilancio della regione, possiamo riconquistare autonomia privatizzando?
Trasporti, servizi sociali, istruzione e soprattutto la sanità nelle due regioni a guida leghista sono sempre più regalati al mercato. I milioni di malati cronici della Lombardia saranno affidati ad un gestore privato che avrà il compito di amministrare le loro cure, naturalmente trovando il modo di farci profitti. In Veneto l’appalto ai privati della costruzione e della gestione di uno dei più grandi ospedali della regione è diventato un bengodi senza precedenti per gli affari. La regione Lombardia è più sollecita della ministra Fedeli nell’offrire alle aziende il lavoro gratis degli studenti nell’alternanza scuola lavoro.
Il “Si” chiesto da Maroni e Zaia serve dunque prima di tutto a questo: ad approvare la connessione sempre più stretta tra politica ed affari e la privatizzazione dello stato sociale e dei servizi pubblici, ove Lombardia e Veneto sono all’avanguardia.
I due referendum autonomisti sono un imbroglio a diversi strati di inganni, il cui solo scopo è creare consenso al sistema di potere che governa le due regioni più ricche d’Italia. Che tutte le principali forze politiche delle due regioni siano d’accordo, è solo un ulteriore segno del degrado della nostra democrazia.
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