Senza soffermarmi molto su quello che è accaduto settant'anni fa ad Hiroshima e dopo tre giorni a Nagasaki in Giappone con lo scoppio delle bombe atomiche,chiunque abbia solo anche sfogliato a scuola un libro di storia dovrebbe ricordarsene,anche grazie all'articolo preso da Contropiano(http://contropiano.org/cultura/item/32236-tu-non-hai-visto-niente-a-hiroshima-la-tragedia-giapponese-secondo-resnais )vorrei soffermarmi sull'ipocrisia di quasi tutte le commemorazioni.
Guardando a casa nostra si è assistito ancora alla farsa delle eterne promesse rinnovate il due agosto di ogni anno dal 1980 durate il ricordo della strage di Bologna,ma senza rubare spazio ad uno tra i pochi veri eventi che hanno fatto la storia mondiale dello scorso secolo,qui sotto si è deciso di fare un parallelismo dell'evento del 6 agosto 1945 col film di Alain Resnais"Hiroshima mon amour".
Come narrato nel film il ricordo,soprattutto quello occidentale distaccato fisicamente e sentimentalmente,è solo concentrato in un giorno,in una data:sono parole nel vuoto del classico copia incolla dei messaggi di cordoglio dei capi di Stato o dei loro emissari,alcuni fatti con l'ipocrisia e la lancinante colpa di essere stati loro a far succedere tutto questo.
Perché nessuno di loro è mai morto o mai è stato amico o parente delle vittime e di tutte quelle morti atroci che ancora oggi devono reputarsi a quel giorno che ha cambiato la storia del mondo,nessuno è mai stato ad Hiroshima.
“Tu non hai visto niente a Hiroshima”. La tragedia giapponese secondo Resnais.
La mattina del 6 agosto 1945 l'aviazione statunitense liberava nei cieli di Hiroshima la prima bomba atomica che colpì il Giappone – tre giorni prima della seconda conflagrazione nucleare sulla città di Nagasaki. L'ordigno, chiamato in codice “Little boy”, annullò istantaneamente le esistenze di più di sessantamila persone, senza contare coloro che morirono in seguito, per l'effetto delle radiazioni nucleari, e coloro che vissero il resto della propria vita con gravissime malformazioni e mutilazioni. Cosa questo evento abbia rappresentato per la vita concreta di un'intera nazione e per l'immaginario di tutto il mondo è difficilmente concepibile.
Nel 1959, quattordici anni dopo l'immane strage, il regista Alain Resnais, già autore di un riuscito documentario sull'Olocausto, Notte e nebbia, porta nelle sale Hiroshima mon amour. La pellicola, divenuta opera di culto per più di una generazione, affronta la tragedia giapponese attraverso la vicenda di due amanti senza nome: un architetto nipponico e un'attrice francese in brevissimo soggiorno a Hiroshima per le riprese di un film pacifista. Trascorsa insieme una notte di passione, la relazione tra i due sembra destinata a finire a causa delle circostanze che obbligano la protagonista a ritornare in Francia.
Nonostante questa sia la trama centrale, Hiroshima mon amour non è semplicemente un film sentimentale che ha come sfondo la Storia. Si può dire, anzi, che la vicenda amorosa dei due personaggi serva quasi da pretesto per far sì che la Storia parli e dica la sua verità; una verità che l'Occidente ha sempre vissuto con il cordoglio formale delle commemorazioni ufficiali, o come toccato dall'empatia di chi è consapevole solo superficialmente, a migliaia di chilometri di distanza. In questo senso si comprende il racconto che la protagonista offre all'uomo riguardo agli ultimi mesi di guerra in Francia: la sua vicenda individuale serve da controcanto per il dramma collettivo vissuto contemporaneamente dagli abitanti giapponesi.
Nelle parole della donna si identificano gli spettatori occidentali, ed è a loro che parla il regista, quando fa dire all'uomo la battuta “tu non hai visto niente a Hiroshima”. L'intento di Resnais è quello di mostrare, da un lato, l'inermità degli individui di fronte alla tragedia bellica; dall'altro, di mettere di fronte agli occhi del pubblico occidentale le ferite causate dal bombardamento statunitense. Resnais mescola la crudele verità delle immagini di repertorio dei sopravvissuti, alla finzione del film; intreccia passato e presente, vita e ricordo. Tutto questo senza rinunciare alla coinvolgente poesia dei dialoghi, assicurata dall'insostituibile apporto alla sceneggiatura della scrittrice Marguerite Duras, e a una superba fotografia.
Senza alcun dubbio si tratta di un'opera complessa, che mira anche a descrivere le difficoltà esistenziali dell'elaborazione del lutto e la definitiva impossibilità di condividere il dolore con gli altri. Al tempo stesso si può dire che il film non ceda a un pacifismo ingenuo e autoassolutorio, e ciò lo dimostrano alcune parole pronunciate dalla donna nell'incipit del film, in una sorta di voce narrante per le immagini della distruzione che corrono sullo schermo:
Le donne rischiano di partorire figli malnati, dei mostri, ma ciò si ripeterà. Gli uomini rischiano di essere colpiti dalla sterilità, ma ciò accadrà di nuovo. La pioggia fa paura. Piove cenere sulle acque del Pacifico. Le acque del mare uccidono, dei pescatori nel Pacifico ne muoiono. Il cibo fa paura. Si getta via il cibo di intere città. Si sotterra il nutrimento di intere città. E una città si ribella, molte altre città si ribellano. Contro chi la rivolta delle genti? La collera di intere città, che esse lo sappiano o no, è contro l’ineguaglianza, decisa come inalterabile da certi popoli verso altri popoli. Contro l’ineguaglianza, ritenuta inviolabile da certe razze contro altre razze, contro l’ineguaglianza, indiscutibile come un dogma, di certe classi contro altre classi.
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