Come da buon democristiano il Presidente Mattarella con un linguaggio criptico che gente come Salvini gliel'hanno dovuto tradurre sicuramente,si è arrabbiato per le non decisioni dei partiti politici arroccati sui propri veti e le proprie alleanze,e come detto precedentemente questi comportamenti sono leciti visto che le due forze che hanno vinto le elezioni possono arrogarsi questo diritto.
E se non vogliono trovare una quadra su un governo politico è giusto che si torni ad un voto,perché un governo neutrale non esiste,sarebbe ancora una reggenza dell'Ue,dell'Fmi e della banca centrale europea che già ha fatto disastri manovrando gli ultimi governi sia tecnici che a guida Pd.
E proprio quest'ultimo e Berlusconi sono tra i principali fautori di una possibile adesione all'appello di Mattarella visto che sono quelli che hanno perso le ultime elezioni(si può dire tutto ma Forza Italia senza la Lega conta nulla e viceversa ma ha oggettivamente vinto Salvini a questo giro)mentre i pentastellati e i leghisti potranno avere bene o male lo stesso carico di votanti.
Per elezioni che si potrebbero tenere già a luglio oppure ad inizio ottobre,e qui che Mattarella,pardon la troika europea,pone il proprio di veto per non incappare in speculazioni e per non fare aumentare l'Iva,ma soprattutto perché non si arriverebbe ad un bilancio(che comprende tutti i diktat Ue)entro la fine dell'anno.
Negli articoli che si somigliano ma che hanno leggere sfaccettature(contropiano politica-news e il-metodo-mattarella )tutti gli scenari che sono usciti fuori dal discorso-appello del Presidente,parole che nascondevano significati più ampi,quasi velate minacce ai partiti che Mattarella reputa colpevoli di questo impasse che non sembra trovare fine,ma anche qui un nuovo percorso condiviso su di una nuova legge elettorale potrebbe aiutare.
Mattarella prepara un “governo neutrale”; vita breve, ma “decidano i partiti”.
di Alessandro Avvisato
Adelante, al voto! Con juicio…
Sergio Mattarella ha interpretato nel modo più notarile e formale possibile il suo ruolo costituzionale. Di fronte all’impossibilità di formare un governo “politico” per i veti incrociati di grillini, lega, Pd e Berlusconi, il presidente della Repubblica ha tirato fuori l’idea del “governo di garanzia”.
Un governo – ha precisato – con l’incarico specifico di traghettare il paese verso nuove elezioni, in modo “neutrale” e composto di personalità che giurino di non candidarsi alla fine del mandato. Questa, in effetti, è una novità. E anche il segno del punto di putrefazione della situazione politica.
Mattarella ha lasciato ai tre partiti la decisione riguardo alla durata di questo governo. Possono scegliere di andare a luglio (“ma sarebbe la prima volta nella storia della Repubblica e renderebbe complicato il libero esercizio del voto”); ma sarebbe una iattura anche perché in giugno l’Italia sarebbe pressoché inesistente nella discussione europea sulla Ue “a due velocità”, con decisioni che saranno poi vincolanti su redistribuzione dei migranti sul continente, moneta unica (e possibili forme di politiche ancora economiche più stringenti), bilancio europeo che varrà per i prossimi sette anni.
Possono certamente decidere di andare al voto “ad inizio autunno”, ma Mattarella segnala che in questo modo si andrebbe all’esercizio provvisorio, con annesso aumento dell’Iva (una delle principali “clausole di salvaguardia” messa a garanzia da possibili sforamenti del deficit pubblico, dagli effetti ampiamente “recessivi”) e altrettanto inevitabili assalti della “speculazione finanziaria sui mercati”.
Oppure – e questa è l’ipotesi largamente preferita e suggerita ai tre partiti – arrivare a fine dicembre, approvare la legge di stabilità e quindi far dimettere il “governo di garanzia” per andare a nuove elezioni.
Con la sagacia del vecchio democristiano, Mattarella ha presentato questa dilatazione dei tempi come un’occasione per le tre forze politiche di “raggiungere accordi per la formazione di un governo politico”. Della serie: due mesi non vi sono bastati, ma ve ne posso concedere altri sette. Unica condizione: lasciate governare un mio esecutivo, di cui garantisco io l’uscita di scena quando e se vi sarete messi d’accordo. Non serve neanche votare la fiducia, perché potrebbe andare avanti come governo dimissionario – come quello Gentiloni, che però rappresenta una maggioranza parlamentare che non esiste più.
Per Lega e M5S, in particolare, può essere la sirena per far loro digerire – se non un suicida voto di fiducia – la sopravvivenza tranquilla di questo “governo di garanzia”, una sorta di infermiere dal passo felpato che si toglierebbe dai piedi non appena il malato si sente in condizione di alzarsi dal letto e camminare.
Manca il nome del premier provvisorio, ma non è questo che angoscerà Berlusconi, Salvini, Di Maio e Renzi. Di certo, dal suo cappello uscirà fuori una figura sufficientemente incolore da non far sentire oscurato nessuno di loro.
La palla resta dunque – persino correttamente, dal punto di vista costituzionale – ai partiti. Che però non sono tali (tranne forse, in qualche misura, la Lega) e vivono tutta la crisi della “politica” da quando le decisioni fondamentali riguardanti la vita e il futuro del paese sono prese altrove. A Bruxelles, Francoforte, Washington, nelle borse o nelle sedi dei fondi speculativi. Dappertutto, insomma, meno che a Palazzo Chigi.
La portata della partita è questa. E fanno sinceramente ridere quei “sinistri” che ancora consultano gli aruspici per “combinare” un contenitore elettorale per salvaguardare, in fondo, soltanto se stessi. L’unica forza credibile per provare a rappresentare con la dovuta coerenza gli interessi di classe è Potere al Popolo. Qualsiasi altra “pensata” è una barzelletta scaduta, come quelle berlusconiane.
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Il metodo Mattarella nella follia dei “partiti”.
di Dante Barontini
Dato ai “partiti” ciò che va dato loro – il velato disprezzo che ha fatto capolino anche nelle parole felpate di Sergio Mattarella – bisogna concentrare meglio l’attenzione sulle conseguenze della “via d’uscita” offerta dal presidente della Repubblica: un “governo neutrale” fino a dicembre.
Una cosa va detta subito: i governi non sono mai neutrali. Tanto meno un governo “europeista” dopo un voto che, nei fatti, certificava la forza dell’euroscetticismo tra gli elettori.
Governare significa scegliere cosa un paese deve fare. Ossia se vanno tagliate le tasse o le spese (o entrambe le cose, come chiedono multinazionali e finanza), se vanno favorite determinate figure sociali o altre, se bisogna lasciare mano libera alle “forze del mercato” oppure se queste vanno come minimo imbrigliate.
Non può quindi essere per nulla neutrale un governo dalla vita breve ma intensa come quello che Mattarella sta preparando, impegnandosi in prima persona a garantire che i suoi ministri non sfrutteranno questa “finestra di visibilità” per candidarsi poi alle elezioni politiche. Il che significa che ha già pronta la lista dei ministri e la loro firma sotto questo inedito impegno a scomparire dalla scena politica.
Comunque la si rigiri, è una situazione abnorme. Eccezionale. Ed è nelle situazioni di eccezione che si fanno avanti i pretendenti al trono, gli aspiranti “sovrani” che intendono stabilire un nuovo regime.
Il governo di Mattarella non potrà essere neutrale neppure sul fronte internazionale. Deve infatti impostare in pochi giorni una “manovra correttiva” di oltre 20 miliardi (come minimo) per impedire che scatti l’aumento automatico dell’Iva, con effetti depressivi sui consumi e quindi sull’attività economica rivolta soprattutto al mercato interno.
Deve partecipare – in giugno – alla discussione sulla “riforma” dell’Unione Europea. Che non è e non sarà mai quello “spazio” vagheggiato dagli “europeisti di sinistra”, ma una più vincolante costrizione dei singoli paesi al rispetto di vecchi e nuovi trattati – dalla governance della moneta unica alla redistribuzione degli immigrati, dal riarmo al nuovo bilancio settennale europeo – tale da generare una “Unione Europea a due velocità”. Dentro il nucleo ristretto quelli che accettano in pieno tutto il nuovo ordinamento, nel cerchio più largo i reprobi (soprattutto dell’Est europeo e la Grecia massacrata dalla Troika) che fanno fatica a correre in questa direzione.
Deve infine preparare – sotto il pieno controllo della Commissione di Bruxelles, come previsti dai trattati chiamati Six Pack e Two Pack – una legge di stabilità per il 2019 che metta a regime il Fiscal Compact, ossia il trattato che impone il taglio progressivo del debito pubblico per riportarlo intorno al 60% da qui a venti anni. Per l’Italia, si tratta di un impegno a ridurlo del 5% annuo, praticamente per sempre.
Deve elaborare – in concerto col resto d’Europa, ma badando ai propri interessi economici e strategici – una risposta alla montante guerra dei dazi globali, scatenata dall’America di Trump e che ha già provocato risposte cinesi, russe, ecc.
Deve occuparsi, possibilmente con qualche visione che non sia il solito “signorsì”, della difesa o denuncia del trattato sul nucleare con l’Iran.
Infine, anche se Mattarella non l’ha detto, questo governo “neutrale” dovrebbe almeno provare a metter mano alla legge elettorale, in modo tale da garantire per via di regole che le prossime elezioni politiche non ripropongano lo stallo attuale.
Più varie ed eventuali…
“Vasto programma”, si usa dire. Niente a che vedere con “il disbrigo degli affari correnti” che costituisce da sempre l’ambito massimo di un governo che non ha più, o non conquista mai, la fiducia del Parlamento.
Mattarella sta confezionando l’ultima versione possibile – la più astratta e violenta – del “governo europeista”, che prenderà altri impegni ultradecennali o perenni firmando nuovi trattati che non possono essere modificati (occorre l’unanimità dei paesi firmatari…), né essere sottoposti a referendum popolare. Com’è noto, per porre in evidenza il problema, due campagne di raccolta firme sono attualmente in corso, promosse da Potere al Popolo ed Eurostop, per chiedere un referendum “di indirizzo” sull’eliminazione dell’obbligo al pareggio di bilancio, inserito a forza nell’art. 81 della Costituzione e uno per ottenere che anche i trattati europei siano sottoponibili alla consultazione popolare.
Un governo siffatto non deve neanche entrare a Palazzo Chigi. Nessun altro impegno può esser preso in nome di un paese che non vuole ma che, per sua disgrazia, ha affidato il suo crescente euroscetticismo a due forze farlocche, che hanno già accantonato ogni promessa elettorale (clamoroso il voltafaccia dei Cinque Stelle in versione Di Maio, convertito in pochi giorni al rispetto dei vincoli Nato, dell’euro e dell’Unione Europea).
L’impasse che sta azzerando la residua credibilità della “politica” ha molti attori e qualche regista. Renzi e Berlusconi, in campi solo teoricamente diversi, hanno scientemente impedito qualsiasi soluzione diversa, rispettando in questo gli impegni presi con Angela Merkel e Emmanuel Macron. Come preteso dai “mercati internazionali” e dal loro vero Stato: l’Unione Europea.
Per questo, non si può che pretendere di tornare immediatamente al voto.
Potere al Popolo vi sarà costretta prima ancora di aver iniziato a consolidare la propria struttura, raffinato il proprio programma, esteso il proprio radicamento sociale.
Ma è l’unica forza che, in tutti i suoi limiti, si sta guadagnando un po’ di credibilità tra “la nostra gente”, quella che sarà massacrata dagli “impegni internazionali” presi dall’ennesimo governo privo di legittimità democratica. E’ infatti l’unica forza, apertamente conflittuale e alternativa all’ordine esistente, che abbia messo la rottura con l’Unione Europea dei trattati in cima al proprio programma.
Sappiamo che ci sono difficoltà, nostalgie preistoriche, timori e un diffuso senso di inadeguatezza. E nessuno qui pensa che alla seconda prova elettorale in pochi mesi si possa rovesciare i rapporti di forza sociali, politici e anche elettorali.
Ma non si torna indietro. Non è fisicamente e politicamente possibile. Il vecchio terreno di battaglia, quello cui si era abituata certa “sinistra” e che l’ha portata alla sostanziale scomparsa, semplicemente non c’è più. Bisogna soltanto aprire gli occhi, rendersene conto e gettarsi con decisione nella mischia. Il “nemico” è chiarissimo, non va lasciato fare ciò che vuole.
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