Pedofilia:papa Francesco e i suoi(improbabili)uomini di fiducia.
E così,mentre tutta la stampa e i politici esaltano un capo di Stato straniero per aver puntato l’indice contro le “pensioni d’oro” che lo Stato italiano elargisce sulla base di leggi italiane – facendo finta di non sapere che lo stesso Stato italiano paga profumate pensioni, per dirne una, ai cappellani militari che rispondono agli ordini di quel capo di Stato straniero -, accade che il numero tre dello Stato straniero, guidato dal capo in questione e chiamato da costui a dirigere il superministero più importante: quello della Trasparenza economica e finanziaria, confermi di non essere la persona più adatta a ricoprire un ruolo tanto delicato finendo in grossi guai per questioni di pedofilia. Su Left lo avevamo anticipato oltre un anno fa (vedi il numero 10 del 5 marzo 2016) ma facciamo qualche nome, ché magari qualcuno un po’ distratto non ha capito di chi stiamo parlando.
Lo Stato straniero è il Vaticano, il capo è papa Francesco, il presunto pedofilo superministro dell’Economia della Santa sede è il cardinale australiano George Pell.
La notizia è arrivata in Italia questa notte: Pell è stato incriminato in patria per tre casi di violenza su minori. La notifica di reato – riferisce la radio nazionale Abc – è stata recapitata a Melbourne ai suoi rappresentanti legali dalla polizia dello Stato di Victoria mercoledì 28 mattina. L’alto prelato che fa parte dei cosiddetti C9, i Consiglio dei nove cardinali di fiducia di papa Bergoglio, è stato subito messo in aspettativa dal pontefice per potersi recare in Australia e difendersi personalmente dalle gravi accuse che si sommano a quelle di aver protetto dei preti pedofili e insabbiato decine di casi quando era arcivescovo di Melbourne.
A questo punto è doveroso tornare a marzo del 2016. Precisamente a quando l’esaltatissima – sempre dai politici e dalla stampa nostrana – Pontificia commissione per la protezione dei minori insediata da papa Francesco nel 2014, ha espulso uno dei due componenti laici, l’avvocato inglese Peter Saunders. Come raccontammo su Left, la defenestrazione di Saunders andava messa in relazione alle sue accuse contro il card. George Pell di avere ignorato e coperto per decenni abusi compiuti da oltre 280 sacerdoti. Affermazioni che il superministro dell’Economia di Bergoglio, già arcivescovo di Melbourne e di Sydney, ha sempre respinto senza però riuscire a evitare di deporre dal 28 febbraio 2016 di fronte alla commissione governativa australiana sui crimini pedofili. Tre mesi dopo il cardinalissimo è finito sotto inchiesta per violenze da lui stesso compiute. E ora la notifica di reato.
«Non sono qui per difendere l’indifendibile» aveva detto mons. Pell a Roma ammettendo che la Chiesa ha commesso «errori enormi» consentendo l’abuso di migliaia e migliaia di bambini: troppe denunce arrivate da fonti credibili sono state spesso respinte «in scandalose circostanze» ha osservato il cardinale tentando di smarcarsi. Una linea coerente con la posizione della Pontificia commissione schierata contro i vescovi (Conferenza episcopale italiana compresa) che nelle loro linee guida anti pedofilia non prevedono l’obbligo di denuncia laddove non è imposta dalle leggi “laiche”. «Abbiamo tutti la responsabilità morale ed etica di denunciare gli abusi presunti alle autorità civili» ha ricordato il cardinale O’Malley, capo della commissione. Una responsabilità che però di fatto non sfiora la Santa Sede e chi la guida (sempre quello che critica le pensioni d’oro).
Papa Francesco «non ha fatto nulla per mettere fine agli abusi di matrice clericale sui bambini» disse Peter Saunders alla Bbc poco dopo essere stato espulso dalla Commissione, definendo «oltraggiosa» la nomina dell’amico personale di Bergoglio, mons. Juan de la Cruz Barros Madrid a vescovo di Osorno in Cile sebbene fosse sospettato di aver protetto padre Karadima, un potentissimo sacerdote condannato per pedofilia nel 2011.
Ma non c’è solo questo a mettere in contraddizione la realtà dei fatti con le parole, i proclami, gli avvertimenti e gli annunci di “tolleranza zero” contro la pedofilia che papa Francesco lancia in continuazione appena si trova un microfono davanti.
Va ricordato infatti che tra il 2004 e il 2013 la Chiesa ha espulso 848 sacerdoti responsabili di abusi. Lo dissero con orgoglio nel 2014 i nunzi di papa Francesco a due commissioni Onu (quella per la tutela dell’infanzia e quella contro la tortura). Bene, anzi, male. Per alcuni di questi pedofili la dimissione dallo stato clericale è arrivata SOLO dopo una condanna penale “laica” (come per esempio è accaduto di recente a don Inzoli, alto esponente di Comunione e Liberazione e fondatore del Banco alimentare). Per altri invece si è espresso solo il tribunale ecclesiastico. Era il 2014, dove sono oggi questi pedofili ignoti alla giustizia “terrena”? Non si sa. Come si chiamano? Quanti sono? Non si sa. Gli emissari del papa si rifiutarono di fornire queste notizie agli investigatori dell’Onu che anche per questo hanno accusato la Santa Sede di aver «regolarmente messo al di sopra dell’interesse dei bambini la tutela della reputazione della Chiesa e la protezione dei responsabili». Il monito delle Nazioni Unite ha spinto per caso papa Bergoglio a imporre un cambio di rotta mediante la segnalazione obbligatoria alle autorità civili? La risposta è sempre no. A proposito di pedofilia, come nel caso di George Pell, il superministro della trasparenza, i fatti e la… trasparenza in Vaticano stanno sempre a zero. Mentre la tolleranza viaggia a vele spiegate, o meglio in business class verso Melbourne.
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"La Congregazione per la Dottrina della Fede mi ha comunicato la decisione, presa da Papa Francesco il 20 maggio scorso con sentenza definitiva, di dimettere don Mauro Inzoli dallo stato clericale”. Stamattina alle 10, nella sala Rossa dell’espicopio, il vescovo Daniele Gianotti ha spiegato ai sacerdoti riuniti di essere convinto che Papa Francesco “sia giunto a una decisione così grave” dopo aver valutato attentamente “davanti a Dio tutti gli elementi in gioco, per arrivare a una scelta che fosse per il bene della Chiesa e al tempo stesso per il bene di don Mauro: perché nessuna pena, nella Chiesa, può essere inflitta se non in vista della salvezza delle anime, che può passare anche attraverso una pena così grave, la più grave che possa essere inflitta a un sacerdote”.
Preghiera per le vittime
Monsignor Gianotti ha chiesto ai sacerdoti cremaschi di pregare “anzitutto i nostri fratelli che sono stati vittime dei comportamenti che hanno condotto il Papa a questa decisione. A loro, e alle loro famiglie, va ancora una volta tutta la solidarietà mia e della nostra Chiesa, che non può non provare un profondo dolore per il male compiuto da uno dei suoi preti”. Quindi un pensiero per don Mauro: “con lui e per lui ho pregato, perché anche di fronte a un’ora così ardua egli possa sentire su di sé la mano del «Dio che atterra e suscita, / Che affanna e che consola» e far esperienza della Sua misericordia. Don Mauro, in quanto dimesso dallo stato clericale, non potrà esercitare il ministero sacerdotale né presiedere le celebrazioni sacramentali, neppure in forma privata".
“Resta un membro della Chiesa”
“Tuttavia – è bene precisarlo – non è scomunicato: resta un membro della Chiesa, un fratello in Cristo; e nella Chiesa è invitato ad attingere, come ogni fedele, alla grazia della Parola e dei Sacramenti, che ci fanno partecipare dell’amore fedele e perdonante di Dio. Chiedo dunque a me e a tutti voi che egli trovi spazio nella nostra preghiera e nella nostra com-passione in Cristo, perché la pena che gli è stata inflitta sia per lui non solo punizione ma anche – e soprattutto – via di conversione, per una nuova comunione con Dio e con i fratelli. E tutti preghiamo perché Dio, nel suo amore fedele, possa ricavare dal dolore di questi anni e di questi giorni, per tutti coloro che hanno sofferto e soffrono per queste vicende, per la nostra Chiesa cremasca e per don Mauro, un frutto più abbondante di perdono, di unità e di pace”.
Il processo, la condanna e il ricorso
Processato dal tribunale di Cremona, il 29 giugno 2016 l’allora "don" Mauro Inzoli è stato condannato a “quattro anni e nove mesi di reclusione per abuso nei confronti di minori, a piede libero, con il divieto di avvicinarsi a luoghi frequentati da minori”. Tenendo conto dello sconto di un terzo della pena previsto per il rito abbreviato il procuratore Roberto di Martino aveva richiesto per il prete cremasco la condanna a 6 anni di reclusione per violenza sessuale. Inzoli aveva risarcito il danno, versando 25 mila euro a ciascuna delle 5 vittime per le quali era stato processato, all’epoca dei fatti minorenni, il più piccolo di 12 anni, il più grande di 16. Il pubblico ministero aveva parlato di un centinaio di casi di abuso, ma ne sono stati accertati una ventina, per la maggior parte prescritti. Contro la sentenza cremonese l’avvvocato di Inzoli è ricorso in appello. Avrebbe dovuto svolgersi una decina di giorni fa ma è stato rinviato al prossimo settembre, forse ottobre.
Nato a Torlino Vimercati nel 1950, è prete dal 26 giugno del 1976, anno in cui riceve il primo incarico come coadiutore a Monte Cremasco, dove rimane fino al 1981. Tra il 1978 ed il 1982 è insegnante presso il seminario vescovile di Crema, dal 1981 al 1988 è vicario parrocchiale di Casale Cremasco. Dal 1988 al 1992 è rettore dell'istituto Santa Dorotea di Napoli, nel 1991, per un anno, riceve l'incarico di cappellano di Ricengo e Bottaiano, prima di approdare come parroco a Crema, alla Santissima Trinità, che lascerà il 3 ottobre del 2010. Uomo del fare, laureato in filosofia con licenza in teologia, in questi anni ha allineato l’impegno diocesano, quello culturale come rettore del Liceo linguistico di Crema e quello sociale nazionale come presidente del Banco Alimentare e dell'associazione Fraternità.
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