sabato 8 aprile 2017

GLI USA ATTACCANO,DAESH RINGRAZIA


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In molti,politici e giornalisti,hanno considerato l'attacco unilaterale statunitense contro lo Stato sovrano della Siria e senza l'avvallo delle nazioni unite,un pretesto per difendere gli interessi Usa in medio oriente proprio come accadde nel 2003 in Iraq quando assieme ai britannici cominciarono la seconda guerra del golfo con le bugie sulle armi di distruzione di massa tenute da Saddam Hussein,fatto poi ufficialmente reso noto lo scorso anno con l'inchiesta detta rapporto Chilcot venuto fuori dopo una lunga inchiesta(vedi:madn blair-bliar ).
Nell'articolo di Contropiano(internazionale-news )oltre che il plauso convinto di Israele,Turchia ed Arabia Saudita(nazioni a delinquere)c'è lo sdegno e le accuse sempre più gravi di Russia e del governo siriano mentre l'Europa tentenna(a parte i pecoroni del governo italiano cui va bene tutto e ben rappresentati dall'inutile Gentiloni)in quanto non è stata avvisata di nulla.
Quel che è certo è la ripresa delle milizie Daesh che tirano il fiato e che già ieri hanno tentato incursioni nei territori vicino ad Homs per difendere meglio la roccaforte di Raqqa,cui vogliono arrivare a liberarla(un bel controsenso)prima gli Usa assieme ai ribelli siriani.

La Siria come l’Iraq nel 2003.

di Stefano Mauro
"L’attacco alla base aerea di Shayrat”- secondo il governatore di Homs, Talal Al Barazi – “ha causato 5 morti e 7 feriti”. Il governatore ha, inoltre, aggiunto che “questo bombardamento è utile solamente ai gruppi jihadisti come Daesh”. Dopo l’intervento missilistico americano, infatti, diversi miliziani dell’ISIS hanno tentato di attaccare postazioni dell’esercito lealista proprio nella regione di Homs, fondamentale per l’avanzata verso Deir Ez Zor e Raqqa.
Le reazioni all’attacco non si sono fatte attendere. Putin ha considerato il bombardamento come “un tentativo americano destinato a distrarre l’opinione pubblica dal massacro di civili commesso dagli USA in Iraq”. Il Cremlino ha etichettato l’episodio come una chiara violazione del diritto internazionale e lo considera come un grave avvenimento che minaccia di peggiorare le relazioni tra Russia e Stati Uniti ed impedirà la formazione di “una reale coalizione internazionale unita contro il terrorismo”.
“Damasco (forte delle recenti vittorie e dell’avanzamento delle sue truppe, ndr) avrebbe avuto solo da rimetterci per un’azione simile ad Idlib, visto che stiamo velocemente recuperando posizioni sui gruppi ribelli”, ha dichiarato ieri il ministro degli esteri siriano Muallem. La Russia ha confermato che “la Siria non possiede più nessun arsenale chimico e l’incidente di Idlib è il pretesto per giustificare l’intervento americano contro obiettivi siriani”.
Nelle stesse ore è emersa la preoccupazioni di alcuni paesi europei. Il rappresentante svedese all’ONU, Olof Skoog, ha classificato l’attacco “come un gesto unilaterale ed una possibile minaccia per la situazione in tutta l’area”. Il diplomatico svedese ha aggiunto di aver rivissuto le stesse apprensioni come nel 2003. La sua, infatti, era un’allusione alla menzogna che Washington e Londra confezionarono sul possesso, da parte di Saddam Hussein, di armi di distruzioni di massa. “Quell’accusa portò, secondo Skoog, “ad un intervento americano unilaterale senza l’egida dell’ONU simile al bombardamento di oggi”.
Un’accusa, “creata ad arte”, che determinò l’invasione dell’Iraq , la disintegrazione del paese e, in quelle condizioni, favorì la nascita del gruppo jihadista “Stato Islamico del Levante e dell’Iraq”, meglio conosciuto oggi come ISIS o Daesh.
L’intervento militare americano è stato accolto favorevolmente da Israele, Arabia Saudita e Turchia. Tel Aviv e Riyadh hanno espresso “pieno sostegno” nei confronti del presidente Trump e della sua azione “punitiva” contro Bashar Al Assad, definito un “vile assassino” dal presidente turco Erdogan. La soddisfazione dei principali alleati degli USA nella regione è doppia visto che sancisce “la ripresa della politica interventista americana”, dopo gli anni di immobilismo da parte del precedente presidente Barack Obama.
Secondo molti analisti, infatti, il neo presidente americano avrebbe cambiato totalmente tattica per affrontare la “questione siriana”, con un intervento diretto da parte delle forze americane e più “truppe sul terreno”. L’avanzata americana verso Raqqa, insieme alle FDS (Forze Democratiche Siriane), viene vista proprio in quest’ottica. Washington sta tentando, infatti, di accerchiare la città sia per far cadere la capitale del califfato di Al Baghdadi, ma, soprattutto, per ostacolare ed evitare che nella corsa alla liberazione di Raqqa arrivino prima le truppe lealiste di Damasco.
Un ultimo tentativo, quello dell’intervento americano, per far fronte alle sconfitte subite sul campo dai gruppi ribelli, manovrati e sostenuti da Arabia Saudita e Turchia. “Una sconfitta dei ribelli significherebbe”, secondo il ministro degli esteri iraniano Zarif, “una sconfitta per i piani americani nell’area e per la sua volontà di smembrare la nazione siriana”. Un segnale ed una minaccia diretta anche nei confronti di Teheran. Proprio in questi giorni, infatti, i media orientali parlavano della costruzione di una nuova base navale iraniana in territorio siriano, con la piena approvazione sia di Damasco che di Mosca. 

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