Come anticipato nel post di ieri sul risultato elettorale delle amministrative 2016 che hanno toccato diverse città italiane molto importanti(ballottaggio-con-sorpresa )ecco un'analisi approfondita sul vero sconfitto di questa votazione che è stato il premier Renzi prima ancora del Pd di cui è segretario grazie anche all'articolo preso da Infoaut(http://www.infoaut.org/index.php/blog/prima-pagina/item/17254-grazie-renzi-per-aver-sfasciato-il-pd ).
Si nota all'inizio della scottante sconfitta di Torino dove seppur partita in svantaggio la pentastellata Appendino ha ribaltato il risultato al ballottaggio contro il sindaco uscente Fassino in una città da sempre legata prima alla sinistra operaia e poi al Pd che ha aveva stretto amicizie ambigue con la Fca,Unicredit,banca Intesa e la Tav in quello che era l'esempio massimo del potere piddino nel nord Italia.
Napoli e Roma sono stati due casi in cui l'insuccesso renziano mai era stato messo in discussione con addirittura nella città partenopea l'assenza del proprio candidato al secondo turno e Milano è stata vinta ma come detto ieri anche Parisi sarebbe andato bene al premier.
Se la presa della città di Varese è un vanto dopo ventitré anni di lega questo è un misero risultato elettorale cui ha contribuito una campagna elettorale fatta con troppe promesse e tanti accordi alla luce del sole ed altri meno con personaggi legati ad ambienti poco raccomandabili.
Se Renzi stesso ha ammesso che questa è stata qualcosa come una catastrofe è già un'ammissione di colpa e responsabilità che un segretario di partito prima che ancora premier deve analizzare seriamente e correre a rimedi come per esempio rassegnando le sue dimissioni,che dovrebbero essere accompagnate da quelle da capo del governo,cosa che verosimilmente accadrà ad inizio autunno.
Perché è improbabile che questa sconfitta non veicoli direttamente la campagna sul quesito referendario dove tutti i suoi avversari,pur appartenendo a schieramenti politici differenti,stanno già dando battaglia per sconfiggere Renzi prima ancora che il Pd e la riforma costituzionale.
Perché lo stesso Renzi ha voluto combattere da solo contro tutti e questi ultimi hanno vinto ampiamente contro colui che non so se vuole farsi odiare in maniera consapevole,e che comunque ci riesce benissimo anche senza metterci qualcosa in più del suo modo di fare arrogante,presuntuoso e pretestuoso
Grazie Renzi... per aver sfasciato il PD!
Nella frenesia post-elettorale s’impone una premessa di metodo. Una riflessione
affliggente, ne conveniamo, per ripetere cose che sono la base di ragionamento
su cui si dovrebbe appoggiare ogni progetto politico che punti a un cambiamento
radicale dell’esistente.
Il voto non rappresenta uno spazio politico da riempire. Il voto è un’indicazione di tendenza. Un’indicazione tra le altre che ci aiutano a leggere le intenzioni di una grossa fetta della popolazione che ancora vede in questo strumento la fonte di un possibile cambiamento.
Un risultato inaspettato ha travolto Torino: dopo 23 anni la giunta della città operaia per eccellenza, antropologicamente di sinistra, laboratorio che ha provato a innestare il Partito della nazione sul vecchio apparato picista cambia oggi maggioranza.
Comincia, senz’altro una fase nuova, ricca di quelle ambivalenze che dovrebbero essere il pane di ogni compagno. Perché se la delega elettorale non è uno spazio politico che ci interessa, i termini con cui sempre ragioniamo dei cambiamenti che si danno su ogni livello del governo dei territori, sono quelli della possibilità che si aprono o si chiudono per il conflitto sociale.
Il voto non rappresenta uno spazio politico da riempire. Il voto è un’indicazione di tendenza. Un’indicazione tra le altre che ci aiutano a leggere le intenzioni di una grossa fetta della popolazione che ancora vede in questo strumento la fonte di un possibile cambiamento.
Un risultato inaspettato ha travolto Torino: dopo 23 anni la giunta della città operaia per eccellenza, antropologicamente di sinistra, laboratorio che ha provato a innestare il Partito della nazione sul vecchio apparato picista cambia oggi maggioranza.
Comincia, senz’altro una fase nuova, ricca di quelle ambivalenze che dovrebbero essere il pane di ogni compagno. Perché se la delega elettorale non è uno spazio politico che ci interessa, i termini con cui sempre ragioniamo dei cambiamenti che si danno su ogni livello del governo dei territori, sono quelli della possibilità che si aprono o si chiudono per il conflitto sociale.
Chiara Appendino si è
candidata con un programma che contiene tratti di riformismo molto avanzato
dalla casa alle politiche sociali. L'uscita dall'Osservatorio Torino-Lione – che
tutta la val Susa e un pezzo significativo di città ora si aspetta - sarà un
punto di conferma o smentita delle buone intenzioni pentastellate. Questo aprirà
nuove contraddizioni e attese crescenti che dobbiamo essere capaci di agire. Da
subito. Non certo facendo da pretoriani a dubbie convergenze tra istituzioni e
movimenti, non certo lasciando la nuova giunta “fare il suo lavoro”, ma facendo
avanzare le lotte sul terreno che la controparte ci lascia, inseguendo e
approfondendo le contraddizioni, praticando gli obiettivi agitati in campagna
elettorale per accumulare forza che oltrepassi le istituzioni.
Se lo stacco di Roma è
abissale, eguagliando i responsi partenopei per De Magistris, con un rapporto
netto di 2 a 1, il dato torinese è tanto più significativo perché questa città
rappresentava il fiore all'occhiello di un “buon governo” del territorio e delle
sue contraddizioni. Un coro di esperti sui media mainstream andava affermando
negli ultimi giorni che il “Sistema Torino” è stato ben gestito dal PD. Alla
luce del risultano elettorale ci viene spontaneo chiederci chi ne ha beneficiato
e chi no. Sicuramente si è avvantaggiata una élite politico-finanziaria raccolta
intorno a Intesa San Paolo, Unicredit, FCA e PD che ha distribuito le briciole
degli affari ai propri fedelissimi. Il Sistema Torino prevede tanti soldi
affidati a poche grandi imprese o per poche grandi opere. Con grandi profitti
poi ridistribuiti tra i soliti noti.
Segnali dell’insofferenza di
un tessuto produttivo e sociale che va disgregandosi e perdendo reddito si erano
già dati con innumerevoli proteste e lotte di molti settori sociali ma
soprattutto si era massificato con la protesta di tre giorni del movimento del 9
dicembre (“forconi”), non è quindi solo un problema di periferie ma di ceto
medio che è stato costretto a sobbarcarsi il costo della crisi. Tanto è vero che
anche altre realtà coinvolte da questo movimento hanno svoltato elettoralmente
verso l'M5S. Il risultato di Torino viene infatti doppiato dal responso di
Pinerolo, città satellite del capoluogo piemontese, alle bocche della val
Chisone, 35.000 abitanti, una città un tempo signorile, oggi, egualmente a
Torino, attraversata dagli effetti della crisi e della
de-industrializzazione.
La geografia del voto
ri-conferma tutti gli elementi già emersi al primo turno: il PD, a Roma come a
Torino, tiene solo nei quartieri “bene” della città, mentre nelle periferie i 5
Stelle spopolano (con tassi tra il 60 e il 70 % di adesione). Ha voglia Fassino
a dire che la Appendino vince grazie al voto della Destra, quando il suo partito
ha rappresentato in questi anni gli interessi delle banche, delle fondazioni,
dell'immobiliare e delle grandi opere, a dispetto di un impoverimento
generalizzato gestito con la privatizzazione del welfare e la Caritas.
Se i cori di “onestà, onestà”
che salutavano ieri il trionfo pentastellato ci fanno rabbrividire, nondimeno
abbiamo imparato a vedervi celato un segno di classe preciso, in cui oggi
(ahinoi) si riconoscono pezzi significativi dei ceti medi e delle classi
subalterne. Come andiamo segnalando da tempo, dietro il sentimento manettaro
contro la corruzione si esprime una tendenza ambigua in cui si trasfigura,
mistificato, l'odio per chi ha di più e vive sulle spalle degli altri (e c'è,
tra l'altro la possibilità rale che ora si scoperchino tresche affaristiche sia
a Torino che a Roma, con l’entrata dei cinque stelle nelle amministrazioni).
La realtà che viviamo è
quella di una maggioranza dei giovani totalmente esclusa e marginalizzata, che
non si riconosce in questo sistema; dove l'uso della repressione per prevenire i
conflitti sociali non cancella però una indisponibilità diffusa ad accettare il
sistema istituzionale proposto dal Partito della Nazione. Alla luce dei
risultati attuali, la retorica renziana su “innovazione e ottimismo” crolla
miseramente. Dopo i primi ruggenti mesi e l'acquisto della passività col bonus
di 80 euro, il frutto maturo della parentesi renziana si presenta come vettore
di accelerazione del processo di decomposizione del PD in quanto partito a base
popolare e territoriale. In meno di 24 mesi gli ultimi residui di appartenenza,
identità e difesa di interessi di chi sta in basso (quanto meno una mediazione e
gestione della loro erosione) sono venuti meno e il partito di sinistra ha
svelato quello che (da lungo tempo) era: una macchina-apparato di governo e
nulla più, totalmente sganciata dalle dinamiche sociali. Su questo, davvero,
grazie Renzi! Hai accelerato un processo... ora non ti resta altro che togliere
il disturbo!
Il referendum ad personam di
ottobre sarà l'occasione per chiudere la parentesi e siglare un NO di massa alle
misure di austerità e ultra-liberalismo imposte dall'Unione Europea. Oltre, e
già da subito, la palla deve tornare alle lotte e al protagonismo diretto,
approfittando del varco che si è aperto.
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