L'articolo preso da Infoaut(http://www.infoaut.org/index.php/blog/conflitti-globali/item/16783-tortura-nei-paesi-baschi-dopo-franco-nulla-è-cambiato )parla effettivamente di oltre 5 mila casi denunciati di abusi e torture fisiche e psicologiche dal dopo guerra e solo dopo il 2000 sono state 832:solo 62 hanno avuto un seguito giudiziario con le condanne degli aguzzini ma di questi 36 hanno beneficiato di indulti.
Elargiti da governi di destra e di sinistra(PP e Psoe)che riguardo alla lotta contro l'autodeterminazione di Euskal Herria hanno sempre fatto fronte comune con risultati di repressione e di ingiustizia che si possono vedere alla luce del sole.
Tortura nei Paesi Baschi, dopo Franco nulla è cambiato.
Nei commissariati e nelle carceri spagnole e basche si tortura. Non è una notizia, ma a ribadirlo ancora una volta è un dossier realizzato dall’associazione storica basca Euskal Memoria Fundazioa che ha focalizzato il suo studio sulla tortura ai danni di cittadini baschi.
Il dossier si riferisce sia a casi avvenuti in
epoca franchista, sia in epoca democratica e parla di 5022 cittadini baschi
torturati dal 1947 fino al 2014, anno in cui si ferma lo studio. Il dossier di
Euskal Memoria è ben circostanziato e nel sito internet dell’associazione è
facilmente reperibile l’elenco dei nomi degli oltre 5000 che sotto dichiarazione
giurata hanno denunciato di aver subito vessazioni, poi verificate una per
una.
I maltrattamenti sono sia fisici che psicologici.
Sacchetti di plastica in testa, detenuti tenuti in piedi a gambe divaricate per
venti ore consecutive, la costrizione a continui esercizi fisici, l’imposizione
della corrente elettrica alle mani e pure ai genitali. Oltre a botte, minacce,
prevaricazioni psicologiche di ogni tipo. E non mancano neppure le odiose
condotte tenute dai Guardia Civil o dalla Policia Nacional nei
confronti delle donne: obbligate a spogliarsi, palpeggiate, minacciate di
violenza. Ci sono anche dei casi di violenza sessuale tra le testimonianze
raccolte. Dei 5022 casi di tortura riportati dal report, ben 798 riguardano
donne.
«Si tratta di un numero parziale» – sottolineano
in un comunicato i ricercatori di Euskal Memoria – «Resta ancora molto lavoro da
fare». In effetti è intuibile esserci una quantità indefinita di persone che per
paura non hanno formulato alcuna accusa, ed inoltre per quanto riguarda il
periodo franchista vi è difficoltà a reperire testimonianze ormai molto indietro
nel tempo e spesso insabbiate dalle autorità. E’ certo anche che alcuni episodi
di torture e pestaggi sono culminati con la morte in carcere.
Negli anni del regime di Franco accadeva che la
gente sparisse nel nulla da un momento all’altro: alcune persone non sono mai
più state ritrovate. Un fenomeno, quello dei desaparecidos, che si
evidenzierà in maniera ben più sistematica nell’Argentina di Videla. Ma se si
pensa che nella civile e democratica Spagna entrata nel terzo millennio la
tortura sia un ricordo del passato ci si sbaglia di grosso. Dal 2000 le denunce
di tortura di cittadini baschi riportate da Euskal Memoria sono ben 823: in
buona parte si tratta di etarras, o di militanti della
cosiddetta izquierda abertzale. «C’è una zona grigia in cui i casi di
tortura sono più frequenti» racconta uno degli avvocati che assiste diverse
famiglie di prigionieri politici. «Nello spazio di tempo immediatamente
successivo all’arresto, accade che ai fermati venga impedito di comunicare con i
familiari e pure con il loro avvocato, e vengono sottoposti ad interrogatori
senza alcuna garanzia». E in quella zona grigia, in quei commissariati, si cerca
di estorcere informazioni con la tortura.
Quanto accade nelle carceri e nei commissariati
spagnoli – nonostante le minimizzazioni dei governi succedutisi a Madrid – è
cosa nota da tempo anche all’opinione pubblica. Pure a quella internazionale.
Nel 2004 il relatore speciale dell’ONU per i diritti umani affermò che non si
poteva ritenere sporadica la pratica della tortura in Spagna e disse che le
denunce presentate erano ben circostanziate e credibili. La stessa Amnesty
International ha condannato più volte la monarchia iberica per la sua politica
carceraria, e a fine 2013 la Corte Europea di Strasburgo condannò la Spagna per
la cosiddetta “dottrina Parot”, che prolungava arbitrariamente la durata della
detenzione oltre la condanna già emessa. Ma è anche la cosiddetta “politica
della dispersione” a far gridare alla vergogna, con detenuti reclusi a centinaia
e migliaia di km da casa per limitare i contatti coi familiari.
Lo studio di Euskal Memoria sottolinea anche il
carattere di impunità di cui paiono godere le autorità. In tanti anni infatti i
condannati sono solo 62, di questi 36 si sono avvalsi di indulti ed amnistie
promossi dai vari governi di PP e PSOE. Nessuno di loro oggi si trova in
carcere. Le cose, nella Spagna ancora in cerca di un governo dopo le elezioni di
dicembre, paiono ben lontane dal mutare. Del resto il primo passo per risolvere
un problema sarebbe quello di riconoscere di avere un problema. E la corona
spagnola pare ben lontana dal compiere questo primo passo.
da PopOff
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