sabato 24 marzo 2018

RENE' HOUSEMAN


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E' deceduto l'altro giorno l'ex ala destra argentina René Houseman,che come tanti personaggi leggendari del calcio era un misto tra genio e sregolatezza,un talento cristallino offuscato dall'abuso di alcol come è accaduto a molti calciatori.
Nell'articolo preso da Senza Soste(rene-houseman-splendori-miserie-un-artista-del-futbol)scritto a nemmeno un anno prima dalla sua dipartita le sue imprese dentro e fuori dal campo,le sue contraddizioni e le sue debolezze che hanno fatto da contraltare alla sua classe pura.
Nato in un contesto poverissimo fa strada grazie al piede tra i palloni,per le statistiche l'Huracan è stata la squadra con la quale ha avuto maggiori successi(108 reti in 266 incontri)giocando due mondiali con la nazionale albiceleste(13 reti in 55 incontri)compreso quello del 1978,per poi marciare trent'anni dopo(l'unico della selección)con le madri di Plaza de Majo.

René Houseman: splendori e miserie di un artista del fútbol.

Genio e sregolatezza dentro e fuori dal campo, l’argentino René Houseman può essere considerato a giusto titolo una delle ali destre che hanno fatto la storia del calcio

Era un’ala destra pura, non a caso sulla schiena portava il numero 7. Era genio e sregolatezza. In campo faceva impazzire tutti con i suoi dribbling secchi (da qui uno dei suoi tanti soprannomi, Gambeta) e la capacità di sfornare assist e segnare con grande regolarità. Fuori dal campo amava alzare il gomito e se l’alcool ne ha minato la salute, l’ossessione per la bella vita gli ha svuotato il conto in banca. Per molti, in patria, era il… migliore. Ma non stiamo parlando di George Best, bensì di colui che qualcuno ha definito il talento argentino più puro dopo il dio del calcio.

René Houseman, nome francese e cognome anglofono, nasce a La Banda, nella provincia interna di Santiago del Éstero. Con i genitori si trasferisce da bambino a Bajo Belgrano, una delle periferie più povere di Buenos Aires. Una vita subito in salita per lui che da piccolo era soprannominato Cerdo (maiale) perché non aveva acqua corrente per lavarsi. “Quando sembrava che potesse piovere portavo con me una saponetta”, raccontò in un’intervista”. Già da giovanissimo è costretto ad abbandonare la scuola per dare una mano alla famiglia ma l’evidente e smisurato talento che Houseman mostra col pallone tra i piedi sulle strade e sui campetti di periferia non passa inosservato. I primi ad accorgersene sono i dirigenti di una delle due squadre del barrio. Non quelli dell’Excursionistas, di cui è acceso tifoso, bensì degli acerrimi rivali del Defensores de Belgrano.

La carriera

In due anni brucia tutte le tappe: passa in pochi mesi dalle giovanili alla prima squadra, in seconda serie, e dopo 16 gol e altrettanti assist in 38 partite viene chiamato all’Huracán da un giovanissimo allenatore dall’occhio lungo che scriverà la storia del calcio argentino, César Luís Menotti. Che il giorno del suo debutto in Primera dirà di lui: “Questo ragazzino smilzo e allampanato che avete visto oggi, diventerà la stella del calcio argentino”.

Appena un anno più tardi sarà l’unico (insieme al suo compagno di club Carrascosa) a salvarsi nella deludente esperienza ai Mondiali tedeschi. 3 gol in 6 partite non saranno sufficienti alla Seleción albiceleste, partita tra le favoritissime, a superare la seconda fase del torneo. Quattro anni più tardi, al contrario, sebbene sulla panchina sedesse proprio El Flaco, nel vittorioso (e tristemente famoso) mondiale argentino Houseman fa solo da comprimario. È di fatto il dodicesimo uomo e viene mandato in campo a 15-20 minuti dalla fine per cambiare la gara o aprire in due le ormai stanche difese avversarie.

L’alcol

Ad una lettura più approfondita, il suo ruolo di comprimario di lusso ai Mondiali del ’78 è invece indicativo dell’assoluta grandezza del calciatore. Houseman era alcolizzato ormai da anni e la sua dipendenza lo aveva portato più volte a saltare allenamenti o arrivare ubriaco alla partita. È passata alla storia quella contro il River Plate del 22 giugno 1975 quando El Hueso Houseman si presentò negli spogliatoi del Huracán in condizioni pietose dopo le celebrazioni del primo compleanno di suo figlio. Dopo molte docce fredde e svariati caffè, Houseman scende in campo da titolare. Menotti preferisce un Houseman ubriaco piuttosto che un qualsiasi rincalzo sobrio. El Hueso corre poco e male ma al 40° segna un gol meraviglioso. Si lancia in profondità superando in velocità i due centrali del River, scarta il portiere della nazionale Fillol e insacca. Dopo di che si accascia a terra simulando un infortunio. “Non ne potevo più”, rivelò a carriera finita. “Bramavo solo di rientrare a casa e mettermi sotto le coperte”. I tifosi salutarono la sua uscita dal campo cantando un coro che lo avrebbe accompagnato per tutta la sua carriera: “Y chupe, chupe, chupe… no deje de chupar… el Loco es lo más grande del fútbol nacional!” (“Che beva, beva, beva, non smetta mai di bere, il Loco è il più grande del calcio nazionale”).

Il suo talento cristallino vedrà la luce del tramonto ben prima di quando sarebbe scoccata l’ora del suo naturale declino. Anche il suo portafogli cominciò presto a svuotarsi. L’ossessione per la bella vita porta i suoi amici e i tifosi dell’Huracán, per i quali resta un idolo assoluto, ad organizzare nell’anno 2000 una partita di beneficenza tra vecchie glorie del suo amato club e una selezione di stelle nazionali in cui gli vengono donati i proventi dell’intero incasso.

Fuori dal campo

Houseman non ha mai fatto mistero di considerarsi un uomo di sinistra seppur non sia mai stato attivista di movimenti, associazioni o partiti politici. Quando gli hanno chiesto perché avesse accettato la convocazione al Mondiale del ’78 ha risposto che se avesse saputo cosa stava accadendo nel Paese avrebbe rifiutato la convocazione. Jorge El Lobo Carrascosa, capitano della nazionale albiceleste e dell’Huracán, quindi suo compagno di squadra, la convocazione però la rifiutò proprio per motivi politici. Per l’anniversario dei trent’anni del Mundial fu però uno dei pochissimi calciatori di quell’Argentina a partecipare alla marcia organizzata da Las madres de Plaza de Mayo. Una breve camminata che dalla famigerata Esma arrivò fino allo stadio Monumental che intendeva riabilitare i giocatori e perdonarli per aver accettato la convocazione.

In un’intervista a El Gráfico del 2002, quando l’Argentina era in piena crisi economica, giustificò l’ondata di espropri proletari che colpirono le grandi catene commerciali. “Cosa volete, che la gente muoia di fame? Se non avessi sfondato col calcio e avessi avuto bisogno li avrei saccheggiati anch’io i grandi magazzini”. Ma non ha mai partecipato ad alcun cacerolazo. “Condivido – disse un giorno – ma mi vergogno a scendere in piazza con un mestolo e un tegame”.

Peronista convinto, El Hueso ha rivelato che quando Perón morì, durante il Mondiale di Germania ’74, pensò seriamente di abbandonare il ritiro per tornare in Argentina e presenziare ai funerali. “Fu il líder máximo di tutti gli argentini. Non come quel figlio di puttana di Videla”.

Bandiera e banderuola

Ma Houseman è anche un personaggio ambiguo e controverso, tanto che molti adesso lo chiamano “il voltagabbana”. Colpa dell’alcol, secondo alcuni. Fino a 15 anni fa non faceva mistero di idolatrare Maradona e odiare Passarella. “Maradona? Il più grande di sempre”, diceva. “Solo Messi si avvicina a lui ma a Leo gli manca qualcosa per arrivare al suo livello”. Poi bastò che Maradona parlasse male di Riquelme perché cambiasse diametralmente pensiero: “Maradona è un ciccione infame che odia tutti. Ama solo se stesso. Dice che ci sono dei codici di comportamento che devono essere rispettati? È peggio degli sbirri. Che torni in Arabia a rubare soldi e non metta più piede qua”. E poi: “Messi è molto meglio di Maradona, ma anche Cruyff e Pelé lo sono”.  Maradona gli rispose in un’intervista tv senza proferire parola ma facendo il segno della croce con l’indice e il medio della mano.

Di Daniel Passarella, capitano e leader incontrastato dell’Argentina ’78, ha collezionato le seguenti dichiarazioni: “Non capisce niente di calcio”, “È un coglione”, “Quando giocava era un personaggio disgustoso”, “Uno spacca-spogliatoio”, “Un bastardo”. “Quando ebbi bisogno mi voltò le spalle: gli chiesi un piccolo aiuto economico per seppellire mia madre e si rifiutò”. Solo pochi anni più tardi la riconciliazione: “Passarella? È il numero uno. Come persona e come un calciatore. Mi ero arrabbiato per quella storia del funerale di mia madre ma Daniel mi rispose così perché il suo River aveva appena perso in casa col Newell’s ed era comprensibilmente arrabbiato. Un giorno noi campioni del mondo del ’78 ci siamo ritrovati nel ristorante che Passarella aveva con Gallego. Mi si avvicinò per parlarmi e io nel dubbio avevo già afferrato il coltello. Ma si scusò subito”.

Ma facciamo un passo indietro, l’ultimo. Houseman conclude la sua carriera con la maglia dell’Excursionistas, la squadra che amava sin da bambino. In realtà la sua carriera El Hueso  l’aveva chiusa da tempo. Appesantito e già alcolizzato, con i Villeros gioca appena 24 minuti. Un omaggio per niente dovuto e scontato data la sua militanza nel Defensores de Belgrano. I cui tifosi, infatti, non la prendono benissimo definendolo, così come si fa con quelli importanti, “persona non grata”.

Insomma, un po’ Best, un po’ Garrincha, un po’ Corbatta. Ma non certo un esempio di coerenza e fedeltà. In due parole, René Houseman.

Tito Sommartino

tratto dall’edizione cartacea di Senza Soste n.126 (maggio 2017)

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