Tornando brevemente alle elezioni e anche alle minime possibilità di avere un governo di transito(anche gli eletti a questa tornata vorranno avere i vitalizi che competono loro anche se sederanno sugli scranni qualche settimana)ecco un articolo anche un poco irriverente preso da Popoff(sinistra-vuoto-perdere )che analizza alcuni punti incentrandosi sulla sconfitta della sinistra includendo anche il Pd che però c'entra poco o nulla.
Dal voto ormai nazionale della Lega che fa proseliti anche al centro e al sud(meridionali con scarsa memoria),dal numero di transfughi Pd che è andato ad ingrossare le fila dei grillini e del centrodestra arrivando al tracollo di Leu.
Un Pd che stando a sentire la maggior parte degli iscritti e dei politici deve stare dalla parte della minoranza,tenendo nome e tutto il resto,ma gli stessi sono sicuro che plaudiranno ad un nuovo progetto con nuovo simbolo e nome appena i vertici lo vorranno.
Sinistra, v(u)oto a perdere.
Considerazioni fuori dalle righe su perché la sinistra ha perso e i populisti vinto (ma non chiamiamoli così).
di Maurizio Zuccari
Mentre i rimasugli del PdR si leccano le ferite, i radicalscìc preparano le valige (solo a chiacchiere, purtroppo) per andarsene da un paese razzista, omofobo e via piagnisteggiando e gli altri a una stagione di lotte & botte a perdere, cerchiamo di capire cos’è successo a sinistra e altrove, e soprattutto cosa accadrà con il voto di domenica. Nell’immediato, niente. I tempi della farsa son questi, e prima di Pasqua non si vedrà luce per un governo qualesia. Potete aspettare le vacanze al mare in tutta tranquillità, prima di vedere uno straccio di governo balneare. Che durerà poco, anzi pochissimo. È su questo che conta l’abatino, il rottamatore rottamato, con le sue dimissioni annunciate e rinviate sine die, per dirigere ancora i giochi nel PdR a sua immagine e somiglianza, dove persino il pacato Zanda osa un borbottìo, fino a un tristo governo di salvezza nazionale, Leucemisti inclusi. Con a capo, magari, la tristissima Bonino miracolata dai trastulli di lista, seppur rimasta sotto la quota minima di galleggiamento, da eterna perdente qual è. Astruserie da sinistrati della politica, al pari di quelle contate al Corrierone da Steve Bannon, già consigliori di Trump e in Italia in veste d’osservatore politico, che vede il duce d’Arcore mettersi a capo dei populisti d’Italia per condurli alla moderazione e alla definitiva vittoria. Oh yeah, canterebbe Mingus. Leggetevi Internazionale, organo di propaganda dei radicalsciccosi, e vedrete che la realtà è come sempre più sfrenata della fantasia. Per ora, tre sono le novità di questa puntata della farsa democratica, alias tornata elettorale.
La prima è che gli elettori prima che promuovere gli estremisti razzisti, incompetenti eccetera, insomma i populisti antisistema, o con altra e più brillante ma non meno fuorviante chiave di lettura gli opposti centrismi, hanno bocciato l’ineleggibile Berlusconi e l’incorreggibile Renzi. E con loro l’inciucio che l’attuale cervellotica legge elettorale, partorita da loro al Nazareno, aveva apparecchiato. I numeri per il Gentiloni bis sono venuti meno, il progettato inciucio è fallito, salvo rinascere sotto diverse e opposte forme (vedi sopra). Aspettando che maturino e tempi e fidando nella memoria corta dell’italiota sai mai. Al buon Mattarella il busillis.
La seconda è che la Lega da partito del Nordest, cioè della parte un tempo ricca e produttiva del Belpaese, si è estesa fino al centrosud. Al limitare del regno un dì borbonico, oggi terreno di conquista dei 5S. L’Italia è oggi più che mai spaccata a metà: uno stivale gialloblù con rade macchie rosse (rosate) in quel che resta dei feudi di sinistra e nei possedimenti esteri dove s’è ritirata a svernare Madonna (Sua donna) Boschi. Non è poco per un partito morto e sepolto varie volte, risorto dalle ceneri del Trota e dal traffico di diamanti in bellezza.
La terza la crisi della sinistra, il suo v(u)oto a perdere. Il voto di domenica la consegna a una sconfitta storica, la precipita in un vuoto non colmabile in tempi brevi. Con chiara approssimazione semantica mettiamo a sinistra pur quel che sinistra non è (PdR e Leucemisti) e vediamo perché. La sinistra (diciamo così) di governo o meglio di sistema ha perso la partita a centrocampo, viziata da un difetto d’origine. Nessuno accatta a caro prezzo una brutta copia se ha sotto mano l’originale (il centrismo Diccì prima, il Cavaliere zoppo e la sua accolita liberaleggiante poi). La sua involuzione, di cui le furbate dell’abatino sono la goccia che trabocca dal pitale colmo, la rendono invisa agli stessi ceti medi che non sa né può rappresentare, in via di dissoluzione. Polverizzati dalla crisi prodotta dallo stesso sistema di cui è corifèa, come già la classe operaia di cui era portavoce, abbandonata al suo destino dagli acchiappapoltrone. Perse queste potrà sopravvivere grazie alle briciole che cadranno dal tavolo dove si serviranno piatti non più alla sua portata, senza alterità né progettualità. Impossibilita e incapace di rinascere dalle sue ceneri.
In volontario fuorigioco, prima ancora che fuori dai giochi, è la sinistra diversamente elitaria che a quella tradizione di lotte operaie si richiama, come al popolo senza capire il popolo qual è e dov’è, chiusa com’è nei suoi circoli. Salvo inveire contro i populisti e tacciare quello stesso popolo d’essere incolto e idiota, stupendosi ché li sputazza per votare altrove. Campioni d’idealità mai a bagno nell’umiltà, scrivono sui manifesti (che si richiamano al popolo) d’essere maggioranza e voler contare. Vedono lucciole al posto della lanterna del treno che li travolge. Ma il treno di Lenin non passa più, fa la ruzza in stazione. Meglio sognare, continuare a non vedere che la farsa umanitaria è il più grande business per governi globali, mafie locali e briganti di mezzo, come quel noto docente di scienza politica di Carminati ha messo a verbale. Meglio non capire che l’élite del capitale terminale non distingue né abbisogna di proletari e ceti medi da alienare e sfruttare. Meglio pensare che l’avanguardia della rivoluzione e dei diritti negati sia il movimento lesbogaytranseccetera. Meglio sposare le cause secessioniste altrui spacciandole per progresso. Il paese (la vita) reale è altro, e non si conquista con vane ciance e quattro schiaffi al fascista di comodo. Salvini, col suo becero qualunquismo, l’ha capito e giustamente irride a Frozen 2, la lesbovendetta. E acchiappa pure i voti dei migranti che lo trovano più affidabile degli acchiappafarfalle, di cui diffidano, loro che campano a pane e sale.
La sinistra arciminoritaria, sempre più divisa e invisa, ha fatto il suo tempo come l’altra, qui come altrove, in Europa e nel mondo. Trump e i Cinquestelle, quelli che con dileggio sono detti populisti dai sistemisti e non, sui fogli libertari di regime e dagli antagonisti conformisti, non vincono perché la gente (il popolo) è stupida e cattiva, ma perché ne capiscono e interpretano meglio i bisogni, le aspirazioni. Quanto a esaudirli, è un’altra faccenda. Ma se ne facciano una ragione le anime belle e vacue della sinistra. Non potendo cambiare popolo, cambino paese. Concetti e linguaggio, almeno. Ché quando i 5S vincono proclamandosi oltre la destra e la sinistra colgono nel segno e nelle contraddizioni della modernità. Sono un partito pigliatutto, non di sinistra, e tutto si pigliano. Cosa sapranno fare di tanto raccolto, si vedrà. Temo assai poco.
Buon ultimo, l’esito elettorale spacciato da tsunami dalla grancassa mediatica ma noto da mesi pure a un cronista di mezza tacca come il sottoscritto che l’ha scritto prima che si reificasse. Quali, dunque, le ragioni di tanto teatrino? Solo quelle della farsa democratica in sé? Chissà. Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, che nella tua filosofia, aforeggiava Shakespeare. Uno che scriveva (male) di negri, froci, ebrei senza paura delle parole, non era politicamente corretto e manco populista.
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