Qualche giorno fa si parlava dell'odissea dei migranti che ora non è più un affare principalmente del Mediterraneo,parlando della sola Europa,ma anche dei monti posti al confine tra l'Italia e le altre nazioni a corollario delle Alpi(madn tra-monti-e-mari-lodissea-dei-migranti ).
Il caso della migrante Destiny,incinta e malata di tumore e speranzosa di raggiungere la sorella in Francia,è stata bloccata presso il confine dalla gendarmeria e scaricata come un pacco alla stazione della vicina Bardonecchia assieme al marito.
Successivamente nonostante le cure a Torino è deceduta ma dando al mondo Israel,nato prematuro,ed ora gara di solidarietà postuma per dare un futuro decente a questo bambino:giorni prima un soccorritore francese è stato denunciato per avere salvato una famiglia nigeriana presso il Monginevro(riferimenti sempre al link sopra).
La disumanità della gendarmeria francese che ha avuto il coraggio di trattare come merce una donna malata ed incinta:chissà se anche il collega"eroe"(di sicuro con un coraggio enorme)morto per essersi voluto scambiare con un ostaggio avrebbe fatto lo stesso.
Questo è delegato al primo articolo(infoaut.org/migranti/morti-bianche )mentre nel secondo i rimanda alla nave Open arms della Ong spagnola Proactiva che è sotto sequestro per avere aiutato dei migranti in mare,mentre in Libia grazie soprattutto alle politiche di Gentiloni e Minniti si continua a morire in campi di concentramento(oltre a torture e stupri)e anche se in diminuzione i viaggi della disperazione continuano ancora.
Morti bianche.
Destiny era incinta e malata di tumore. E' morta dopo essere stata fermata sul colle della Scala mentre provava a valicare il confine per raggiungere la sorella in Francia. La Gendarmeria l'ha scaricata come un sacco davanti alla stazione di Bardonecchia.
Destiny è morta. È morta circa una settimana fa dopo aver partorito. Tutti la davano già per morta. Ma ha lottato. Non solo per lei. Incinta, aveva cercato di varcare il confine per arrivare in Francia dalla sorella, sapendo di essere molto malata. La gendarmeria francese l’aveva respinta indietro.
Sorpresa sul colle della Scala mentre provava a valicare il confine per raggiungere la sorella in Francia, l’hanno scaricata assieme a suo marito davanti alla stazione di Bardonecchia. Nemmeno una telefonata per avvertire della presenza di una donna in gravi condizioni di salute.
Una medica volontaria l’aveva poi portata in ospedale, al Sant’Anna di Torino dove è rimasta ricoverata più di un mese.
La davano già per morta, Destiny. Aveva un linfoma nel petto a causa di una precedente trasfusione infetta: non riusciva a stare seduta e ormai neanche a respirare. Le hanno fatto il taglio cesareo il più tardi possibile per non rischiare che non ce la facesse nemmeno il bambino.
È una tragedia dei nostri confini. Non quelli che si perdono nell’orizzonte sul mare, lontano, ma quelli delle nostre montagne, sui sentieri su cui possiamo camminare anche noi. Ma è una tragedia per noi, perché invece per le donne e gli uomini migranti è quello a cui sanno già che probabilmente andranno incontro.
Noi lo facciamo per sport, paghiamo per fare le passeggiate in montagna e affondare nella neve a 1900 metri. Loro lo fanno per sopravvivere. Non è per fare la morale ma per prendere la misura delle cose.
“I migranti per le autorità francesi valgono meno dei pacchi di merce”, sono le parole dei volontari italiani che operano al confine. È vero, ma un confine si sorveglia in due. A un pugno di metri dalla gendarmeria francese c’è la polizia italiana.
Cinque anni di carcere sono il prezzo che la magistratura francese ritiene di dover far pagare ad una guida alpina per aver portato all’ospedale di Briançon un’altra donna migrante incinta, facendole quindi passare il confine francese.
Questa donna è stata uccisa.
Quanto deve costare a queste donne e a questi uomini il fatto di poter sopravvivere?
Quanto deve costare loro mettere al mondo un altro/a di loro? La loro stessa vita?
Tutto questo non è accettabile.
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“Salvare vite in mare è diventato un reato”.
di Intervista a Francesco Piobbichi *
Come è stata la tua missione con la Open Arms?
In realtà è andata come me l’aspettavo dal punto di vista del metodo di come lavorano. Sono una Ong strutturata nella quale intervengono volontari che si intersecano su un equipaggio fisso. I ruoli sono prestabiliti ed il metodo di lavoro è comunque democratico. Io ero li per raccontare la frontiera con i miei disegni, ma ho dato una mano come tutti gli altri quando era necessario. La cosa interessante è che i volontari provengono da storie diverse e anche le motivazioni sono di varia natura. L’aspetto umanitario nella scelta di partecipare resta comunque quello preponderante.
Cosa hai visto in mare?
La cosa impressionante è la difficoltà del soccorso, trovare un gommone nel mare è come cercare un ago in un pagliaio, non è così semplice come pare se non hai assistenza aerea. Abbiamo passato ore in mare con le lance per cercare i gommoni. Ancora più complicate sono i soccorsi quando il mare è mosso. La squadra con la quale mi sono trovato ha lavorato in maniera impeccabile, non hanno sbagliato nulla nel salvataggio e vi assicuro che non è semplice.
Dopo l’introduzione del codice Minniti, e dopo il sequestro delle due navi delle Ong com’è adesso la situazione nel mare davanti le coste libiche?
Ora è rimasta solo la nave Acquarius di Sos Mediterranée, il che vuol dire che i soccorsi sono affidati di fatto ai libici che operano con la Capitaneria di Porto italiana, di fatto le navi militari e quelle impegnate nelle operazioni di Frontex non stanno partecipando ai soccorsi da mesi. Quello che i governi europei volevano ottenere lo hanno di fatto ottenuto. Quello che avviene in quel tratto di mare non lo saprà nessuno, eppure le partenze continuano.
Ma dal punto di vista del diritto internazionale questo cosa significa?
Voi vi ricordate quando Reagan bombardò Gheddafi per la questione del Golfo della Sirte? Allora, gli Usa fecero appello al diritto internazionale dicendo che la zona rivendicata da Gheddafi era fuori dagli accordi internazionali. Oggi paradossalmente assistiamo alla stessa vicenda, ovvero che l’Italia e la Libia hanno esteso la zona di competenza della Libia con un accordo bilaterale che non ha valore giuridico in quanto non regolato dal diritto internazionale. Di fatto la Open Arms è sotto sequestro con un procedimento che non può prevalere sul diritto internazionale, e la Juventa (l’altra nave sequestrata) perché nei soccorsi ha operato con “eccesso umanitario”. Ma al di la della disquisizione tecnica sulle acque libiche e la zona SAR, il fattore grave è che si riconosce la Libia come paese sicuro. Ovvero che le persone che scappano dai lager e chiedono di essere soccorse dovrebbero essere riconsegnati ai libici. Proprio ieri l’altro l’Onu stessa nei suoi rapporti, ha ribadito che è impossibile assicurare protezione nei confronti dei migranti dato che avvengono stupri torture ed esecuzioni.
Cosa ti ha colpito di più in questa vicenda?
Mi ha colpito vedere un bambino libico, malato di leucemia, con il carrello della flebo che navigava con i due suoi fratelli per raggiungere l’Europa per curarsi. Una scena surreale, trovare di notte su di un gommone in mezzo al mare queste persone. Mi ha colpito vedere un ragazzo di 22 anni che dopo poche ore dal nostro salvataggio è morto per gli stenti e la fame a seguito della sua permanenza in un lager in Libia. Mi ha colpito una donna eritrea che mi ha detto grazie per averci salvato dal mare e dalla Libia. Ma la cosa che mi ha fatto più male è stato il sequestro della open arms.
Cioè?
Cioè che su questa strada finiamo per istituire il reato di solidarietà, una cosa che mi fa vergognare profondamente. Non so davvero come si possa pensare che chi lavora nei soccorsi possa riconsegnare queste persone ad uno stato che non assicura loro la protezione. Sparare sulla croce rossa, questo e non altre sta succedendo, mettere sotto accusa chi salva vite non penso sia un vanto per il nostro paese, incriminare il capitano della Open Arms ed alcuni membri per associazione a delinquere finalizzata all’immimgrazione clandestina è un reato che non sta in piedi dal punto di vista giuridico, e ancora di più dal punto di vista morale. Lo ripeto ancora una volta, la Libia non è un paese sicuro, occorrerebbe evacuare i migranti da quello Stato, non riportarceli.
Francesco Piobbichi * operatore sociale del progetto della Fcei – Mediterranean Hope
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